Paolo Galiano: Storia dell'Alchimia occidentale (di E. Santacroce)

PAOLO GALIANO: Storia dell’Alchimia occidentale dalle origini al XIII secolo.

Edizioni Simmetria, Roma 2024; pp. 146, 24 immagini b/n - € 25,00.

 1357 alchimia occidentale dalle origini al xiii secolo

Questa Storia dell’Alchimia occidentale consente di comprendere le distinzioni che devono esser fatte tra le diverse “forme” di Alchimia: all’Alchimia spagirica, le cui prime notizie compaiono dal IV-III sec. a. C. con i libri “Sulle tinture, sull’oro, sull’argento, sulle pietre e sulla porporaattribuiti a Democrito di Abdera (giunti a noi nei riassunti compilati nel IV secolo d. C. dall’alchimista bizantino Sinesio) e all’Alchimia filosofica o sapienziale, in cui le operazioni materiali costituiscono il supporto per un’attività interiore di trasmutazione dell’uomo, si contrappone dal XVI-XVII secolo in poi un’Alchimia in cui prevale l’interesse spagirico con formulazioni complesse e utilizzo sovrabbondante di sostanze, che ha consentito fin dall’Illuminismo di considerare l’Alchimia  in toto semplicisticamente come un primo nucleo di sperimentazioni che avrebbe dato origine alla vera Chimica.

Da qui la concezione, affermatasi allora e perdurante ai nostri giorni, che l’indirizzo spirituale di una certa forma di Alchimia rappresenti solo una costruzione psicologica nata da un misticismo sfrenato, anche per influsso della religione cristiana dominante in Europa, per cui l’Alchimia spirituale sarebbe null’altro che una deviazione demenziale e fantasiosa delle tecniche spagiriche.

Contro il pensiero materialista di questi studiosi, l’Autore mette in evidenza, non con ragionamenti personali ma tramite le parole degli alchimisti che vengono ampiamente riportate nel suo lavoro, come l’indirizzo spirituale dell’Alchimia sia quanto meno coevo alle prime opere scritte che ci sono pervenute dal mondo egizio-bizantino, nelle quali, pur se attraverso un’esposizione non sistematica né facilmente accessibile, è ben presente il duplice significato delle operazioni alchemiche, al tempo stesso operazioni materiali e operazioni interiori di purificazione e rinnovamento allo scopo di creare un Uomo integralmente rinnovato, tanto da farle dare nel Medioevo il nome di philosophia manualis, pensiero e azione uniti in un’unica forma di ricerca.

L’aver circoscritto nel tempo la trattazione dell’argomento non costituisce una limitazione, perché è nel periodo che va dall’epoca della Dinastia egizia dei Tolomei al Medioevo dell’imperatore Federico II che l’Alchimia ha la sua completa esposizione al pubblico degli studiosi, per quanto sia possibile metterne per iscritto i segreti (e già Zosimo rimprovera questo agli alchimisti ebrei). Si noti per inciso che Galiano propone una nuova terminologia per identificare le forme assunte dall’Alchimia nel corso del tempo nel suo passaggio dall’Egitto all’Europa.

Anche se lo studio avrebbe potuto proseguire al XIV secolo, nel quale viene sviluppata sia la forma spagirica con l’introduzione delle tecniche di distillazione della “acque” (Bonaventura d’Iseo e Giovanni da Rupescissa), sia quella interiore adombrata in una più precisa definizione delle fasi di transizione dell’Opera alchemica (Raimondo Gaufredi), i limiti posti da Galiano sono sufficienti affinché il lettore possa conoscere i punti cardinali dell’argomento mediante un lavoro volutamente divulgativo.

I limiti “spaziali” dell’idea di Occidente scelta da Galiano, che vanno dall’Egitto tolemaico alla Grecia bizantina e infine all’Italia, sorgente della nuova Alchimia di lingua latina, consentono di evidenziare un preciso percorso nello sviluppo dell’Alchimia, la quale ha forse origini ben più lontane nel tempo in certi modelli del pensiero anatomo-fisiologico delle prime Dinastie egizie, argomento di cui brevemente tratta Galiano, ma si tratta di un’ipotesi che, come correttamente osserva l’Autore, è ancora da provare. L’Alchimia europea viene così svincolata dall’ossessiva concezione della sua passiva derivazione da quella detta “araba” (che è solo “di lingua araba” ma dovuta ad alchimisti egizio-persiani), certamente sopravvalutata e la cui importanza per gli inizi dell’Alchimia di lingua latina di Michele Scoto e di Frate Elia è smentita dalle recenti indagini, in quanto alcune tra le opere più importanti fino ad ora legate al nome di Geber e di Morieno-Khalid risultano scritte con grande probabilità da alchimisti italiani.

                               Enrico Santacroce

 

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