Enrico è un uomo comune, vivente
Marco è l’angelo custode di Enrico
Piero è il diavolo custode di Enrico
Il suo nome era Marco ed era un angelo di terza categoria, adibito per questo a essere un angelocustode. Marco tornava dalla relazione settimanale nella quale aveva raccontato le varie avventure del suo assistito e un’iniziativa sua, con la quale era riuscitoa evitare una cattiva azioneche Enrico, il suo assistito, stava per compiere nei confronti di una ragazza innocente e credulona: Marco si era diretto da Enrico, che a quell’ora del mattino ancora dormiva,e aveva visto con sorpresa che accanto al letto di Enrico si trovava un essere molto bruno, quasi nero, grande e con le ali come le sue.
“Cosa fai qui? Sono io adibito ad Enrico” disse,pensando che fosse un altro angelo custode,benché quel colore scuro l’avesse meravigliato.
“Io sono Piero, il diavolo custode di Enrico”.
“Il diavolo custode?” esclamò Marco, “Cos’è questa novità?Non ne sapevo nulla, ma comunque stai lontano dal mio assistito”.
“Devi sapere, Marco - come vedi conosco anche il tuo nome - che noidiavoli custodiesistiamoda svariati secoli, solo che hanno deciso che non ci tenessimopiù nascosti e ci hanno detto di entrare in competizione palese”.
“Vattene via demonio, già dovresti vergognarti di essere un diavolo, se è vero quello che hai detto, e adesso vuoi anche entrare in concorrenza con me!”
“Guarda che c’è stato un accordo tra entità divine e diaboliche secondo il quale noi demoni di seconda classe possiamo entrare in concorrenza con voi”.
“Un accordo? E trachi?Vengo proprio ora dal colloquio col mio cherubino e lui non mi ha detto niente”.
“Fatti vostri. Da oggi però tu ed io siamo adibiti a Enrico, tu cercando di portarlo in Paradiso e io all’Inferno senza più nascondermi”.
“Ecco allora perché a volte mi sembrava che Enrico non stesse seguendo quello che nascostamente gli suggerivo di fare e sembrava, anzi, fare il contrario! Ma come possiamo fare ora?”
“La cosa migliore sarebbe che tu te ne andassi, confessando che non hai quasi mai ottenuto quello che cercavi di far fare ad Enrico”.
“Ma che dici? Non credere che sia alle prime arme; so quant’è difficile il mio compito, ma non mi sognerei mai di rinunciare aportarlo a termine”.
“Portarlo a termine! Ma ora sai perché a volte Enrico faceva il contrario di quello che tu speravi che facesse”.
“E allora?”
“Allora, se non tivuoi arrendere subito, possiamo convivere fino a quando ti renderai conto che io, noi in generale, siamo spesso i più forti e convincenti”.
La polemica tra i due “custodi” durò ancora a lungo, talvolta si alzava un’ala bianca di Marco per colpire Piero, talaltra un’ala di Piero colpiva Marco, ma finalmente si misero d’accordo: visto che i loro superiori si erano intesi già in precedenza, stabilirono di stare vicino a Enrico un giorno per uno nella settimana ela domenica si sarebbero riposatientrambi, ognuno col proprio gruppo di fratelli,ossia i loro simili.
Senza farsi accorgere da Enrico,ognuno cercava diindirizzarlo nel bene e nell’altruismo oppure nell’egoismo indifferente verso gli altri, con risultati incerti e variabili. Una domenica però, con sua sorpresa Marco vide per combinazione Piero, travestito da semplice passante, mentre indicava a Enrico qualcosa che Marco poteva immaginare.
“Cosa fai qui con Enrico?” esclamò Marco, “il nostro patto era di non contattarlo in nessuna forma la domenica”.
“È vero”rispose tranquillamente Piero senza vergogna, “ma dimentichi che io sono un diavolo e nonho alcun rispetto per la parola data, per la verità o per il rispetto nei tuoi confronti. Sono un diavolo, lo dimentichi?”
“No, non lo dimentico, ma pensavo che anche voi teneste a un minimo di considerazione”.
“Sì e no, dipende. Tutti noi seguiamoi proponimenti e le indicazioni di Lucifero e con lui siamo sempre sinceri… anche perché lui saprebbe subito se mentiamo o no e se non abbiamo seguito i suoi consigli, che poi sono veri epropri ordini. Ma con gli altri, con tutti gli altri non vi è alcun rapporto d’amicizia e neppure di lealtà. Devo dire anzi, che il rapporto che ho con te mi è piaciuto proprio perchésono sicuro che quello che dici lo pensi, che dici laverità o perlomeno quello che tu pensi essere la verità”.
“E allora come la mettiamo?” disse Marco guardando Piero che nel frattempo era ritornato a essere un diavolo, con tutto il suo brutto aspetto, le ali, eccetera.
“Io direiche da adesso in poi rispetterò il patto della domenica,” disse Piero,“dato che sono stato scoperto”.
“No, no, non mi fido” rispose Marco, “ti propongo invece di stare insieme la domenica senza curarci di Enrico”.
“Insieme? Cosa vuoi dire?”
“Tu e io, insieme, magari visitando qualche stella disabitata o facendoci portare da qualche fascio gravitazionale…”
“Marco, non fare il sentimentale. Limitiamoci a stare insieme in questo pianeta, in qualche posto deserto e facciamo passare il tempo della giornata”.
E così fecero;enaturalmente lo stare li portòa fare qualche chiacchera e qualche gioco, solo chementre Marco rispettava le regole del gioco da loro creato, Piero contravveniva a tutto quanto stabilito, mettendo però Marco di buon umore per questocomportamento così lontano dalla sua matura angelica.
Però che col passare degli anni,non solo il comportamento di Enrico divertiva Marco, ma anche quello di Marco divertiva Piero e tra i dueera natauna certa simpatia,pur essendo così distanti. Qualche volta l’angelo si divertiva a pensare di dire una bugia, sapendo che il diavolo vi avrebbe creduto, e qualche volta il diavolo si divertiva a pensare di dire qualcosa di vero per sorprendere l’angelo una volta che questi se ne fosse accorto.Insomma, incredibilmente tra i due era nata una pur debole, anzi debolissima, simpatia che allentò un po’ quel controllo che entrambi operavano.
Quanto a Enrico, egli viveva una vita normale, con qualche slancio di altruismo e qualche atto egoistico, dovutiperòentrambi più al suo carattere che non ai suggerimenti dei suoi custodi. Era uno scapolo volontario che si permetteva talvolta di stuzzicare le mogli di qualche amico, ma qualche volta si prodigava per aiutare qualcuno del suo ambiente in difficoltà. Un uomo comune, insomma, né angelo né diavolo, come tutti noi, sebbene con qualche prevalenza per l’egoismo che Piero ascriveva a suo merito,cosa che però non era vero nella maggior parte dei casi, così come qualche buona azionenon riguardava necessariamente l’intervento di Marco, il quale, naturalmenteera attento che Piero non trasgredisse gli accordi presi e non operasse anche nei giorni a lui non spettanti e questo rendeva il suo lavoro alquanto faticoso perché Piero era capace di fare di tutto.
Ebbene, aun certo punto, senza alcun contributo del diavolo custode, Enrico si trovò nella possibilità di appropriarsi di una discreta somma di denaro appartenente a un suo cliente, senza che questa sottrazione potesse esserescoperta. Da impiegato di banca qual era, avrebbe potuto giostrare su undeposito in modo da sottrare quella somma senza apparire minimamente e senza che il cliente potesse accorgersene. In quella circostanza cosìallettante, il suo diavolo custode poté vincere le esitazioni di Enrico.
“Hai visto? Non è stato difficile convincere Enrico che è ormai dalla mia parte” disse Piero a Marco.
“Non è detto” rispose Marco, che però cominciava a pensare di averperso, tanto più che con i soldi artificiosamente sottratti, Enrico si era dato a fare cose che non aveva mai fatto: andava nei locali notturni, beveva, si accompagnava con ragazze disponibili. Insomma, si era dato alla cosiddetta “bella vita”. Ma una sera che aveva ecceduto nel bere,andò a sbattere violentementecon la macchina contro un paracarro, venne sbalzato sulla strada e riportò varie ferite. Venne trovato poco dopo l’incidente e portato in un ospedale e la sua condizione apparve subito assai grave,così venne esaminato immediatamenteper essere eventualmente operato.
Marco, dato chera il suo giorno, era in macchina con lui, e ora si trovava nella stanza,invisibile a tutti. Enrico sembrava non respirasse neanche quando apparve Piero, che in qualche modo aveva saputo dell’incidente.
“Come sta?” chiese a Marco, ed ecco che Marco compì un’azione che non avrebbe mai pensato di poter fare: mentire:
“È morto qualche minuto fa”disse a Piero.
Conoscendo Marco, Piero non dubitò di quello che gli aveva detto.
“Bene!” esclamò agitando le nere ali, “aveva compiuto molti peccati, uno dei quali molto grave, sono quindiriuscito a mandarlo nel miomondo. Non mi dispiace per te naturalmente. Mi hai fatto divertirecon le tue regole inderogabili” e,felice di aver vinto la competizione con Marco, si allontanòper dare subito la notizia, dato che non dubitavadellasincerità di Marco, il quale non poteva, né voleva mentire per nessun motivo.
Tranne questa volta poiché Marco, costringendosi a non dire la verità aveva mentito! Enrico non era ancora morto e lui lo sapeva, e quando Piero se ne fu andato,s’introdusse nella mente di Enrico per informarlo della sua morte imminente e spingerlo a pentirsi sinceramente dei suoi peccati, specialmente per quello che lo avrebbe portato all’inferno:
“Vivresti sempre nel tormento e nel rammarico, ma ti devi pentire sinceramente di quello che hai fatto a quella fanciulla che si uccise per colpa tua”.
Con un residuo di sopravvivenza e di coscienza, Enrico in un attimo pensò sinceramente all’orrore commesso e fece suo il suggerimento di Marco di cui non conosceva l’esistenza:
“Mi pento sì, ho commesso un’azione orribile e se riuscirò a sopravvivere mi prenderò tutte le responsabilità della mia azione”.
E così morì.
“Ma cos’hai fatto!” disse il cherubino a Marco, “hai detto una bugia! Cosa devo fare adesso con te?”
Marco abbassò il capo e raccolse le sue ali e disse: “Lo so, sono pronto a pagare e anche a sparire per sempre dalla mia famiglia di angeli, ma non ho saputo resistere e ho mentito per salvare l’anima di chi mi era stato affidato”.
“Ma dimmi una cosa” disse il cherubino preposto a Marco, “tu sai che nonsi possono commettere cattive azioni, neppure per dei fini buoni”.
“La so” disse Marco, stringendo ancora più le ali al suo corpo al pensiero che forse non le avrebbe avute più.
“Ma dimmi” prosegui il cherubino, “nella stessa circostanza mentiresti come hai mentito ora?”
Marco abbassò la testa e rispose sussurrando: “Sì… lo farei ancora”.
“Bene!Questo volevo sentire e tipremio la tua sincerità e ti assolvo, ma bada per il futuro:Non suntfacienda mala ut veniant bona!”

