Invito alla lettura del libro
Aforismi nel Gatto
di Claudio Lanzi e Ghebbel Gatto
Quasi tutti gli scrittori hanno imparato a commentare
o a scopiazzare quel che leggono. Sono assai meno
quelli che hanno imparato a cancellare quel che
hanno scritto, e ancor meno quelli che evitano di
scrivere. Purtroppo scripta manent
Ghebbel Gatto![]()
Questo libricino si spaccia come un divertissment letterario e perfino casalingo, scritto a 2 mani e a 4 zampe, ma è un vero concentrato di saggezza zen di cui è difficile offrire una visione d’insieme, perché è come guardare in uno specchio rotto, i cui frammenti sparpagliati non si trovano sulla stessa superficie, e quindi riflettono punti di vista diversi.
Mi spiego meglio: ogni capitolo è inaugurato da un ritratto dell’Autore felino, colto (sia nel senso di “sorpreso”, che in quello di “acculturato”) in varie attività “gattesche”; segue una descrizione del modo semplice e diretto in cui i gatti vivono quell’aspetto della vita (l’alterità, l’amore, la giustizia, la comunicazione etc.); nelle pagine successive, invece, è il Coinquilino bipede del saggio Ghebbel a riflettere su quelle stesse tematiche e su come gli uomini vi si approccino solitamente male. Afferma infatti Ghebbel:
“Gli umani vivono la vita come successione di problemi da risolvere, noi come svolgersi di occasioni. Gli umani ci ragionano; noi siamo l’occasione stessa, la soluzione, l’evento e il distacco dall’evento. […] A volte io e il mio coinquilino ci guardiamo fissi; lui prende appunti… chissà perché. Io lo osservo e constato... In effetti il vero autore di questo libretto sono io”.
Le riflessioni antropologiche sembrano suggerire che gli umani vivano più nei dubbi che nelle certezze, e che i gatti (la Natura in genere) siano qui per addestrarci alla saggezza e alla consapevolezza. Senz’alcuna pretesa di esaustività, riporto qui di seguito alcuni estratti dal testo a cui aggiungo qualche commento, sorto durante un incontro con gli Autori, dei quali vi porto i saluti e le fusa.
Nel primo capitolo, intitolato “Noi e gli altri”, il Coinquilino ragiona sulla mutua incomprensione e sulle conseguenze che ne derivano:
“il tuo problema non è che gli altri ti capiscano, ma che tu ti sforzi di capire gli altri. Gli altri sembrano sempre diversi da noi, tant’è vero che per sentirci tranquilli cerchiamo le somiglianze: meno li conosciamo più sembrano diversi, e più sembrano diversi, meno ci fidiamo. Ma meno ci fidiamo, meno li comprendiamo. Quindi, dammi retta, fidati degli altri!”
Quindi, più ci fidiamo, più ci possiamo restare fregati, ma qui si giunge a un bivio, proprio come Ercole, che verrà infatti ricordato nelle pagine successive; le strade sono solo due: chi vuole “avere” non si deve fidare; chi vuole “amare”, si deve fidare; ci potrà restare fregato un sacco di volte, come sa l’Autore, ma seguendo Lord Tennyson, conclude che “è meglio aver amato e perduto, che non aver mai amato”.
Nel capitolo dedicato all’enorme tema della Giustizia, Ghebbel afferma che “ognuno di noi felidi difende i suoi spazi di libertà e di territorio e nessuno perde di dignità se affronta la sua guerra con onore. Non è lo stesso per gli umani”. Infatti il suo Coinquilino scrive:
“Dio mi protegga dalle persone che si ritengono sensibili e che si sentono ingiustamente accusate.
I danni che può fare una persona sensibile sono tali da massacrare la sensibilità di tutti coloro che lei ritiene insensibili. […] Sono certo di aver fatto molte cose sbagliate, ma sono anche certo che, se verrò giudicato dagli uomini, verrò condannato per tutto, tranne che per i miei errori”.
Questa riflessione, messa per iscritto nel 2018, è tanto più attuale e profonda oggi, nella nostra società woke e falsamente inclusiva, in cui in apparenza tutti possono avere (ed esprimere) la propria opinione, ma solo fino a che questa non offenda i sentimenti (o i deliri) altrui. Nel capitolo successivo, dedicato alla comunicazione, gli Autori portano avanti questa riflessione collegandola alle attività del Governo e a ciò che avviene in Parlamento, che è diventato un luogo dove tutti parlano ma nessuno ascolta, figuriamoci comprendere!
Sempre in tema di giustizia, l’Umano medita sul fatto che “per diventare giudici si studiano le leggi e basta, ma siamo sicuri che questo studio fornisca all’uomo una visione filosofica, metafisica, assolutamente non faziosa, che consenta al giudice d’essere giusto? […] “Chissà se verremo giudicati più severamente per tutte le sciocchezze che abbiamo fatto o per tutti gli sforzi per non farle”.
Il capitolo successivo, intitolato “Parlare e comunicare”, si apre con le semplici ma sagge considerazioni di Ghebbel Gatto: “la comunicazione perfetta emerge dal silenzio e dimora nella postura. Perché gli umani hanno delle posture così ineleganti?” Il suo Coinquilino replica:
“spesso le parole, sia dette che scritte, ci ipnotizzano e non si sa più se servono per gratificare chi ascolta o chi parla. Spesso si annoiano entrambi e non se ne rendono conto. […] Dire ciò che si pensa realmente, senza alcun filtro è un evento rarissimo […] e può non essere equivalente a dire ciò che si crede. Far capire ciò che si è pensato attraverso le parole è quasi impossibile. Dunque comunicare verbalmente è un compromesso abominevole, […] ma allora perché non mi decido mai a star zitto? […] Quando parlo ricordo. La memoria costringe la parola nella schiavitù dei luoghi comuni e dei riferimenti dell’apprendimento; solo chi conosce il linguaggio degli uccelli usa le parole e non ne è più vittima”.
In queste righe sono condensati molti trattati di linguistica e di teoria della comunicazione, ai quali rimandiamo gli interessati, limitandoci a sottolineare che entrambi gli Autori qui alludono a una forma comunicativa ben nota agli alchimisti, quel linguaggio degli uccelli, chiamato anche “lingua verde”, “cabala fonetica” e altrimenti, e descritto da Fulcanelli, Fabre d’Olivet e Louis Claude de Saint Martin, per citarne solo alcuni.
Si tratta a tutta prima di uno stratagemma comunicativo, che permette di scambiarsi conoscenze tramite messaggi cifrati basati sul fatto che certe parole ne ricordano certe altre, semanticamente estranee alle prime, ma foneticamente simili; ma chi analizza più in profondità i meccanismi di questa “lingua segreta”, scoprirà che prescindere dalla grafia di un termine per sondarne le implicazioni sonore può far emergere significati reconditi che possono essere andati perduti nella storia etimologica della parola, ma che ciononostante sono lì, sepolti sotto le stratificazioni di significati, connotazioni e sfumature che un termine può assumere nei secoli.
L’esercizio di questa pratica, che poi è un addestramento all’ascolto profondo, è tematizzato in una delle Fiabe del Focolare raccolte nell’800 dai Fratelli Grimm, intitolata “I tre linguaggi”, di cui ho trattato QUI
Infatti gli Autori proseguono, spiegando che “parlare vuol dire portar fuori il Suono. Perbacco! E se quello non volesse uscire?”. Allora forse, con una buona postura, si realizzerebbe la “comunione perfetta”.
Il quinto capitolo tratta della Libertà in maniera irriverente e quasi sovversiva: infatti la sfiducia nell’organizzazione e nella gestione della società “civile” trasuda da ogni riga, accompagnata da domande retoriche canzonatorie e da un invito a una ribellione radicale, che dev’essere però praticata all’interno di Sé stessi, che è il solo luogo dove abbia davvero senso agire. Asserisce infatti il Felino: “noi siamo liberi per principio, possiamo dedicarci a una cosa che ci piace fino all’ossessione […], ma smettiamo con la stessa eleganza e indifferenza: libertà, rinuncia e possesso sono per noi la stessa cosa. Ciò per i nostri coinquilini bipedi è quasi incomprensibile”.
Accogliendo queste affermazioni di Ghebbel, il Coinquilino riflette sul rapporto con l’altro e su come esso limiti la propria libertà:
“Tu ce l’hai con me perché ho il potere e non ti permetto di fare tutto quello che vorresti. Ma quando tu avrai il potere mi permetterai di fare tutto quello che vorrò? […] Libertà esteriore e libertà interiore: dove finisce la prima e dove inizia la seconda? E quanto è alta la montagna dove vive il Maestro che ci libera? E se il maestro fosse andato a vivere in pianura?”.
Io ignoro dove sia andato a vivere il Maestro – e se anche lo sapessi, non potrei svelarlo, ma credo che una parte di Lui animi ogni gatto, ogni fiore, ogni montagna e l’intera Natura e forse anche qualcuno degli Aforsimi di Ghebbel.
Buona lettura!

