IL 'LIBRO DEI MORTI' DI TUT-ANKH-AMON - (recensione del libro di Paolo Galiano)

Il significato dei c. d. Libri dei Morti come testi iniziatici già proposto dagli egittologi è approfondito nel saggio di Galiano seguendo diverse linee interpretative: la disposizione spaziale degli scritti nelle tombe di Faraoni e di privati cittadini, gli accenni a un “giovamento” per chi li utilizza “sulla terra”, e soprattutto l’esame di tre di questi testi, operazione con cui sono messi a disposizione traduzioni e riassunti di Libri dei Morti, alcuni dei quali poco o per nulla conosciuti dai interessati, il Libro delle Due Vie, il Libro di ciò che è nell’Amduat e in particolare quello che si legge nella tomba di Tut-ankh-Amon, al quale è stato dato il titolo di Libro dell’unione di Râ e di Osiride, che costituisce la chiave interpretativa dei rituali iniziatici egizi, in cui sembra di poter ravvisare i primi accenni a una pre-alchimia “filosofica”, o meglio spirituale, ancora non espressa mediante il simbolismo dei metalli che sarà adoperato secoli più tardi dai primi alchimisti egizi.

Paolo Galiano: Il “Libro dei Morti” di Tut-ankh-Amon. L’iniziazione nei “Libri dei Morti” degli antichi egizi. Con un contributo di Anna Bellon sul viaggio di Gilgameš nell’Oltremondo.

Edizioni Simmetria, Roma 2025, pp. 312, 70 illustrazioni in b/n, € 34

1388 TutANKHAMON CopertinaTutte le culture tradizionali del mondo antico hanno speculato sul mistero del post mortem, lasciando  le loro concezioni trascritte in testi più o meno espliciti, come nel caso degli inni sumerici aventi per soggetto Inanna[1] o Gilgameš, trattati in questo saggio da Anna Bellon, oppure del Bardo Thodol tibetano, ma nessuna civiltà ci ha trasmesso un corpus così ricco come l’Egitto, un corpus di testi elaborato in un arco di tempo di tre millenni contenente le indicazioni all’anima del defunto per poter entrare nel Regno dell’Aldilà, o meglio dell’Oltremondo, perché il percorso seguito dal soggetto lo conduce verso piani dell’essere sempre più distanti dal livello fisico, i “cieli” superiore e inferiore, allo scopo di ottenere la perfezione eterna come un nuovo Dio tra gli Dèi.

Questi testi, dapprima incisi nella pietra delle piramidi e delle tombe dell’Antico Regno[2] e successivamente dipinti sui sarcofagi del Medio Regno[3], compaiono infine nel Nuovo Regno in forma di raccolte, chiamate dagli egittologi Libri dei Morti, più “organizzate” rispetto alle precedenti, assumendo la loro forma definitiva a partire dalla XVIII Dinastia. I testi del Medio e del Nuovo Regno, i cui contenuti derivano dai più antichi Testi delle Piramidi costituendone uno sviluppo in nuove forme ma conservandone i principi originari, presentano una modifica importante: la comparsa di immagini che li illustrano, le cosiddette “vignette”, la cui analisi consente di ampliare la comprensione dei testi, anche se rimane sempre difficoltoso, se non impossibile, intenderne in profondità il significato a causa del nostro modo di ragionare, imbevuto di principi religiosi lontani dal modo di pensare egizio e di impostazioni scientifiche e materialistiche, le quali limitano la capacità di conoscere ciò che è “altro”, nonché per le tutt’ora scarse conoscenze sul significato e il ruolo delle numerose divinità che popolano l’Oltremondo.

Con la transizione dall’Antico al Medio e al Nuovo Regno diviene sempre più esplicita una differenza importante tra i diversi Libri dei Morti: i Testi delle Piramidi sono costituiti da singole “formule” che arbitrariamente vengono riunite dagli egittologi in sequenze di contenuto più o meno affine, nei Testi dei Sarcofagi compare invece per la prima volta un gruppo di testi ben definito, denominato dai moderni come Libro delle Due Vie, riportato sul fondo della cassa insieme a una “pianta” dell’Oltremondo e altre raffigurazioni[4] (in particolare le c. d. “barche solari”). Nel Nuovo Regno i testi si organizzano in forma di veri e propri Libri, con una precisa e costante sequenza degli eventi che accompagnano il viaggio di Râ-Sole nell’Oltremondo illustrata dalle “vignette”, che assumeranno col passare del tempo una forma “canonica” ripetuta con modeste varianti. Esempio di questo ultimo passaggio sono il Libro di ciò che è nell’Amduat, il Libro delle Caverne e il Libro delle Porte.

Tutto questo fa pensare che questi Libri differenti per contenuto abbiano in realtà un’identica finalità, costituire una sorta di “manuale di viaggio” per l’anima del defunto, derivando probabilmente da formulazioni abbreviate di rituali templari adattati in modo che il defunto possa rendere per l’eternità omaggio agli Dèi nel suo sepolcro.

Ma esiste anche un’altra possibilità, che in essi si possa trovare un significato più interiore e profondo, cioè che debbano essere letti e interpretati come testi di iniziazione per la trasformazione e la palingenesi del defunto nella forma di un Dio, tecniche secondo l’autore riservate non a un soggetto deceduto ma realizzate quando questi era in vita e compiute dal Faraone ma anche da altri personaggi, appartenenti o meno alla sua corte[5]. Che i Libri dei Morti abbiano un significato interiore e iniziatico è un’ipotesi già conosciuta dall’Egittologia, dal Mayassis[6] al De Rachewiltz[7], al Barguet[8], il quale scrive che “l’ultimo capitolo [di questo libro] è stato consacrato a quello che viene chiamato il ‘Libro delle Due Vie’, che noi personalmente consideriamo un testo di iniziazione”) e al Dorman, come riportato in nota.

In questo saggio la tesi del significato iniziatico-rituale dei Libri dei Morti è stata ampliata attraverso un esame, per quanto possibile approfondito, di alcuni testi, non tutti conosciuti dal pubblico degli interessati all’argomento, a partire dal Libro delle Due Vie fino al misterioso Libro dell’unione di Râ e di Osiride, che si trova solo nella tomba di Tut-ankh-Amon e di due successivi Faraoni.

L’ipotesi che i Libri dei Morti fossero adoperati da chi era in vita per uno scopo iniziatico può trovare una risposta nelle affermazioni, ripetute più volte all’inizio di alcune delle dodici Ore in cui è suddiviso il Libro dell’Amduat, secondo cui chi compie le azioni e i riti descritti avrà “giovamento sulla terra”. Ad esempio nell’Ora III si legge: “Chiunque conosce il loro nome [delle ‘Anime nascoste del Duat’] sulla terra potrà raggiungere il luogo dove si trova Osiride … Chiunque avrà compiuto queste rappresentazioni avrà grande utilità sulla terra e nella necropoli”, nell’Ora VII: “Chi avrà fatto ciò a similitudine di questa forma che è negli scritti a nord della caverna nascosta della Duat avrà utilità nel fare ciò in terra e in cielo”, e nell’Ora XII: “Ciò avviene secondo questa immagine che è disegnata a oriente della camera misteriosa della Duat. È glorificato chi conosce ciò sulla terra, in cielo, nel suolo”.

 “Raggiungere sulla terra il luogo in cui si trova Osiride”: queste parole confermano che quanto descritto nei testi è lo strumento in questa vita e prima della morte per un’opera di trasmutazione del soggetto in un ma-kheru, il “giusto di parola” secondo l’espressione egizia per indicare i perfetti, attraverso una progressione di prove, di cui non è possibile comprendere appieno il significato a causa delle nostre scarse conoscenze della religione egizia, che richiedono la “morte” iniziatica del soggetto e il suo passaggio attraverso stati dell’essere rappresentati nella forma di “luoghi” protetti da divinità pericolose, fino a raggiungere la sfera dello Spirito rappresentata dal mondo di Râ-Osiride, come leggiamo nel Libro dell’unione di Tut-ankh-Amon. In altri termini, ci troviamo di fronte a una prima formulazione dei principi dell’Ermetismo che solo decine di secoli più tardi verranno messi per iscritto con il Corpus Hermeticum.

Un’ulteriore conferma si può trovare nella relazione tra la disposizione spaziale degli scritti e le camere della tomba[9],  come particolarmente nella tomba KV 17 di Sethi I, nella quale la distribuzione delle sezioni del Libro di ciò che è nell’Amduat sono in stretto rapporto con le parti dell’ipogeo, descrivendo un preciso percorso che a partire dalla camera sepolcrale situata a sud-ovest va in direzione dell’uscita rivolta a nordest nella direzione del Sole nascente, cammino che il Faraone avrebbe seguito in senso opposto nel giorno della sua sepoltura.

 Si ha così la trasformazione della tomba in una rappresentazione dell’Oltremondo, i cui primi accenni si vedono già in quelle dei primi Faraoni della XVIII Dinastia, Thutmosi III, Amenhotep II e Amenhotep III. A tal proposito scrive la Richter:

Nella tomba di Thutmosi III la disposizione delle Ore [del Libro dell’Amduat] in posizioni strategiche sulle pareti della Sala del Sarcofago determina la trasformazione di questa Sala in uno spazio microcosmico di lavoro dell’Aldilà, la ‘camera nascosta’ della Duat nella quale il Sole compie il suo viaggio notturno … Questa modalità di espressione continuerà nelle successive Dinastie, fin quando tutte le camere della tomba saranno decorate e avranno un ruolo nella creazione di ciò che sarebbe un microcosmo dell’intero universo … Un esempio è la tomba di Sethi I della XIX Dinastia con la sua rappresentazione del cielo e dell’Aldilà[10].

È possibile attraverso i Libri dei Morti ricostruire nelle sue linee generali l’iter iniziatico: la prima fase è la preparazione del soggetto perché possa superare le prove che dovrà affrontare, segue l’attraversamento del dominio di Osiride sorvegliato da entità mostruose e terribili che devono essere sottomesse, un luogo definito a volte oscuro o sotterraneo e a volte invece localizzato in un “cielo” (come si vede dal nome stesso della Duat scritto con il geroglifico seba, “stella”); superato il regno di Osiride, l’Iniziato attraversa una regione di ricchezza e di abbondanza o percorre un fiume sulla barca solare di Râ per giungere infine al “cielo superiore” che è prima del tempo e della creazione del cosmo, ove la trasmutazione si completa con la trasformazione dell’essere umano in un essere divino[11].

Questo iter iniziatico non è una concezione legata a un periodo specifico della plurimillenaria vita dell’Egitto ma perdura dall’Antico Regno ai secoli successivi, sia pure con le modifiche che ci si possono aspettare per cause intercorrenti  (nuove forme religiose e filosofiche, situazioni politiche, condizioni sociali, ecc.), fino a concretizzarsi in strutture esoteriche che si possono identificare in senso lato con l’Ermetismo, l’Alchimia e la Gnosi, strutture che compaiono nella loro forma esteriore, per quanto concerne l’Occidente, proprio in Egitto, lasciando intuire la prosecuzione attraverso di esse almeno di alcuni elementi di conoscenza iniziatica, anche se inevitabilmente corrotti da forme di tradizione provenienti dalle nazioni che hanno conquistato l’Egitto e dall’impatto con il pensiero filosofico greco[12].

E poiché sia l’Ermetismo che la Gnosi, in forme più o meno aderenti a quella originale, persistono ancora nel nostro tempo, questo vuol dire che la sapienza dei Libri dei Morti non è solo il ricordo obsoleto di un lontano passato ma che essa è tuttora presente e vitale nel mondo moderno.

L’esame condotto nel testo per evidenziare il significato iniziatico parallelo, se non precedente, alla funzione funeraria dei Libri dei Morti si basa sull’analisi di tre testi: il Libro delle Due Vie, nel quale persiste ancora la forma in “capitoli” dei Testi delle Piramidi, ma con un primo tentativo di riunirli in una sequenza ordinata, il Libro di ciò che è nell’Amduat, che ha la struttura di vero e proprio “libro” illustrato con immagini canonicamente standardizzate, e il Libro dell’unione di Râ e di Osiride, caratterizzato (almeno nei soli tre esemplari finora conosciuti) da una netta prevalenza dell’immagine sul testo, che non solo è ridotto al minimo indispensabile ma è anche scritto con geroglifici criptici di difficile comprensione[13].

Quest’ultimo scritto è, a nostro parere, il più importante di tutti non solo per le nuove immagini che illustrano la successione delle fasi iniziatiche ma soprattutto in quanto descrive l’atto finale del percorso iniziatico che nei testi precedenti era solo sottinteso, rendendolo graficamente esplicito nell’ultima immagine della parete nord del Secondo Santuario ligneo che racchiude i tre sarcofagi di Tut-ankh-Amon. Come già detto nell’analisi dei tre testi abbiamo sottolineato più volte la possibilità di leggere alcuni passi in chiave, diciamo, “prealchemica”, ma il Libro dell’unione di Râ e di Osiride fornisce elementi che rafforzano le nostre ipotesi prefigurando l’operazione conclusiva della Grande Arte: oltrepassato il regno di Osiride per salire sulla barca solare, l’Iniziato (che nella formula 1079 del Libro delle Due Vie è detto “colui che guarisce il male di Osiride”) non si separa definitivamente dal Dio dei Morti ma lo integra nella corte di Râ, e se Râ è il Sole equivalente al metallo Oro, Osiride è il Dio nero dell’Oltremondo, la Terra che conserva i corpi imbalsamati dei defunti, il Piombo alchemico che va riunito con l’Oro per giungere alla perfezione finale della trasmutazione alchemica, come millenni dopo insegneranno gli alchimisti occidentali nell’operazione finale della riunione delle faeces, i residui della Materia Prima, all’Oro nell’ultima operazione[14].

[1] Sul complesso significato di Inanna (la Ištar assiro-babilonese) nel mondo sumerico si veda Anna Bellon, I misteri di Inanna. Origini dell’Alchimia, Edizioni Psiche2, Torino 2023.

[2] I Testi delle Piramidi sono stati raccolti da Raymond Faulkner, The ancient egyptians Pyramid Texts, Oxford University Press, New York 1969. Ulteriori formule sono state ritrovate negli anni successivi in altre tombe dell’Antico Regno.

[3] Un’edizione con ampia introduzione è stata fatta da Paul Barguet, Textes des Sarcophages egyptiens du Moyen Empire, Editions du Cerf, Paris 1986. Anche se nuovo materiale è stato aggiunto negli ultimi decenni, l’opera di Barguet è tutt’ora considerata fondamentale.

[4] Barguet, Textes des Sarcophages, pp. 30-31: “Il Libro delle Due Vie … si presenta come una carta geografica, di cui si possono seguire facilmente i diversi punti di riferimento, che il defunto percorre dopo il suo ingresso [nell’Oltremondo], luogo chiuso da un recinto di fiamme attraversabile solamente da colui che è puro, alla fine del quale splende la Luce divina rappresentata da Horus l’Antico”.

[5] Queste ipotesi sono confermate dal fatto che “formule” di questi Libri sono state ritrovate anche in tombe non regali come scrive il Dorman: “Un certo numero di Testi delle Piramidi era chiaramente composto dal punto di vista di personaggi non-reali, oppure sono riferiti al re ma come uno dei possibili [fruitori]”. Inoltre “molte biografie di tombe di funzionari fin dalla IV Dinastia asseriscono che rituali di trasfigurazione erano stati compiuti per loro sulla terra” (Peter Dorman, The origins and early development of the Book of the Dead, in Foy Scalf, Book of the Dead. Becoming God in ancient Egypt, Oriental Institute of the University of Chicago, Chicago 2017, pp. 29-40, p. 31). “

[6] Sotirios Mayassis, Les Livres des Mortes de l’Egypte ancienne est un livre d’initiation, B. A. O. A. 1955 (traduzione italiana: Archè, Milano 2002, p. 449 (con una carta sinottica finale, nella quale Mayassis ricostruisce la sua visione del Libro dell’uscire al giorno come testo iniziatico e i possibili parallelismi con i Misteri di Eleusi).

[7] Boris de Rachewiltz, Il Libro dei Morti degli antichi egizi, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1958 (il libro ha avuto numerose ristampe negli anni seguenti, tra cui segnaliamo: Edizioni Mediterranee, Roma 1986, ultima edizione 1992); il testo costituisce la prima traduzione integrale in italiano del “Papiro di Torino”.

[8] Barguet, Textes des Sarcophages, p. 30.

[9] Questo si ritrova anche in quelle di alcuni privati cittadini, come la tomba di Karakhamun (dignitario della XXV Dinastia), nella quale “i capitoli [del Libro dell’uscire al giorno] sono in modo attento e specifico selezionati per essere riportati sulla parete occidentale della tomba, in modo da avere la funzione di zona liminale tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti” (Kenneth Griffin, The Book of the Dead from the Western Wall of the Second Pillared Hall in the Tomb of Karakhamun (TT 223), in Elena Pischikova, Julia Budka and Kenneth Griffin (a cura di), Thebes in the First Millennium BC, Cambridge Scholars Publishing,  Newcastle upon Tyne 2014, pp. 251-268, p. 252).

[10] Barbara Richter, The Amduat and its relationship to the Architecture of early 18th Dynasty royal burial chambers, in Journal of the American Research Center in Egypt, vol. 44 (2008), pp. 73-104, pp. 101-104 e nota 69.

[11] Da osservare come la “trama” di questi testi ricalchi quasi perfettamente i principii fondamentali delle c. d. “fiabe di magia” enunciati da Campbell: separazione dal mondo e partenzaprove conquista del potere - dono al mondo del potere conquistato, che nel caso del Faraone è l’unità dell’Egitto e la vittoria sul Caos (sull’argomento rimandiamo a Gianfranco Ersoch, Il simbolismo iniziatico delle fiabe di magia, Edizioni Simmetria, Roma 2014, paragrafo “I metodi di analisi di Propp e di Campbell”).

[12] Nel Corpus Hermeticum si mette in guardia l’adepto dalla filosofia greca, come si legge nelle Definizioni di Asclepio al re Ammone: “O re, conserva questo discorso nella sua lingua originale [cioè in geroglifico egizio] affinché tali importanti misteri non giungano ai Greci: che il loro modo di parlare altezzoso, senza nerbo e per così dire compiaciuto non privi la nostra lingua della gravità, della forza e dell’efficacia dei suoi termini. I Greci infatti, o re, fanno discorsi vuoti, adatti a produrre dimostrazioni, è questa è la loro filosofia, un rumore di parole. Noi invece non ci serviamo di parole ma di suoni ricchi di azione” (Corpus Hermeticum, a cura di Valeria Schiavone, ed. Rizzoli, Minano 20063, p. 265). Come scrive la curatrice nella relativa nota: “La filosofia greca ignora l’energia vitale delle parole, strumenti dell’energia divina stessa, e se ne serve solo per tessere la logica delle sue argomentazioni”.

[13] Il Piankoff, che per primo ha tradotto dal geroglifico questo testo, ne affermava il carattere enigmatico a causa del particolare modo di scrittura: Alexandre Piankoff, Natasha Rambova (editor), The Shrines of Tut-ankh-Amon; texts translated with introductions by Alexandre Piankoff, Pantheon Books for Bollingen Foundation, n° 40, New York 1955, pp. 127-128.

[14] Rimandiamo in particolare a Paolo Galiano, Storia dell’Alchimia occidentale, Edizioni Simmetria Roma 2024, paragrafo Il Caput mortuum.

Articoli simili

Image

Newsletter

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sui nostri eventi!

Iscrivendomi alla Newsletter Accetto i Termini di utilizzo e l'Informativa sulla privacy e dichiaro di aver letto l'informativa richiesta ai sensi dell'articolo 13 del GDPR.

Mappa