IL LIBRO DI CIÒ CHE È NELL’AMDUAT
Paolo Galiano
PARTE PRIMA
Introduzione
Il Libro di ciò che è nell’Amduat (d’ora in poi per brevità Libro dell’Amduat), le cui prime redazioni, scritte sui muri delle tombe faraoniche o su papiri, risalgono all’inizio del Nuovo Regno, può essere letto come tutti i testi sacri su diversi livelli: è un testo religioso che costituisce una vera e propria “guida pratica” per il viaggio del defunto nell’Aldilà a somiglianza di altri scritti, quali il Bardo thodol tibetano, ma al tempo stesso è un “manuale” iniziatico e operativo, la cui lettura sub specie interioritatis è però possibile in modo solo parziale data la nostra scarsa conoscenza dei simboli sottesi alle figure e ai testi. In esso sono descritte le parole e le azioni rituali da compiersi per raggiungere in vita lo stato di identificazione con Râ, e che questo fosse lo scopo lo dimostrano alcune frasi del testo nelle quali viene fatto riferimento al “beneficio” che deriva a chi compie sulla terra, e quindi in vita, le operazioni descritte, definito esplicitamente come “il giovamento sulla terra”. Ad esempio nell’Ora III si legge: “Chiunque conosce il loro nome [delle ‘Anime nascoste del Duat’] sulla terra potrà raggiungere il luogo dove si trova Osiride … Chiunque avrà compiuto queste rappresentazioni avrà grande utilità sulla terra e nella necropoli”; nell’Ora VII: “Chi avrà fatto ciò a similitudine di questa forma che è negli scritti a nord della caverna nascosta della Duat avrà utilità nel fare ciò in terra e in cielo”[1]; nell’Ora Dodicesima: Ciò avviene secondo questa immagine che è disegnata a oriente della camera misteriosa della Duat. È glorificato chi conosce ciò sulla terra, in cielo, nel suolo [cioè nelle profondità della terra?]”[2].
Questi insegnamenti erano segreti, come afferma il Libro parlando in modo esplicito di “scritti” o “dipinti” che sono situati “nelle sale segrete dell’Amduat”, confermando così che si tratta di insegnamenti nascosti e non accessibili a chiunque.
Sotto l’aspetto iniziatico-rituale esso rappresenta il “viaggio” che il Faraone (o l’Iniziato, poiché è probabile che questi rituali fossero eseguiti anche da altri individui che ne avessero la competenza necessaria) compie passando per quattro centri sacri dell’Egitto: Abydos (Prima, Seconda e Terza Ora), l’egizia Abdju, “la Collina del Tempio”, ove era comparsa dalle acque dell’Oceano primordiale la prima terra sotto forma di una collina piramidale, di cui era protettore il Dio Khentamenti (poi sostituito da Osiride, la cui testa è qui sepolta); Menfi (Quarta e Quinta Ora), Men nefer, “la Bella Città” sacra a Ptah, l’artefice creatore del mondo e degli uomini; Busiris (Sesta, Settima e Ottava Ora), Pr-wsr, “la Casa di Osiride”, dove era custodita la colonna vertebrale del Dio, simbolizzata nel geroglifico djed; Heliopolis, l’egizia Iunu, “le Colonne”, (Decima, Undecima e Dodicesima Ora), dove era venerato Râ, unendosi al quale il Faraone (o l’iniziato) avrebbe raggiunto la completa divinizzazione. La Nona Ora non rientra in questa divisione in “viaggi” perché ha un significato particolare: è l’Ora del “riposo” che precede l’ultima operazione dell’unione con Râ, come sarà detto a suo luogo, cioè della trasmutazione dell’Iniziato in un ente divino.
Mentre le prime tre città sono tutte poste a occidente e quindi nella regione dei morti in quanto sulla riva sinistra del Nilo o, nel caso di Busiris, sulla riva sinistra del ramo di Damietta[3], la conclusione del viaggio è ad Heliopolis, la quale sorge invece sulla riva destra e orientale del fiume perché è la terra dei viventi: in questo modo è sottolineato ulteriormente il fine dell’azione iniziatica, di “portare alla vita” l’iniziato.
Le fasi del viaggio del Dio Solare attraverso la Duat sono suddivise in dodici Ore: già il nome Duat, “Aldilà”, ci dice che questo viaggio in realtà non avviene sotto terra, perché Duat è scritto con il geroglifico della stella N 14[4] secondo la concezione predinastica e protodinastica per cui il Faraone dopo la morte ascendeva al cielo tra le Stelle Imperiture poste a nord nell’emisfero del cielo boreale. Il viaggio quindi si svolge in realtà in un “luogo” che non è in terra o sottoterra bensì in “cielo”, cioè in una dimensione sovramondana.
Il primo Autore in Italia a dare un’interpretazione esoterica del Libro dell’Amduat è stato il de Rachewiltz, al cui lavoro, elaborato integrando testi provenienti dalle tombe regali, da sarcofagi e anche da papiri[5], rinviamo per una completa conoscenza dell’argomento secondo il suo punto di vista, ma qui spesso proporremo differenti decodificazioni concernenti la trasposizione dei simboli contenuti nel testo, sia perché a nostro parere vi sono talora alcune forzature nell’esegesi dovute alla particolare “equazione personale” dell’Autore, sia perché la più recente traduzione di Fornari e Tosi[6] del Libro dell’Amduat comporta a volte differenze, anche importanti, rispetto a quella del de Rachewiltz.
La chiave della lettura secondo questi parte dal presupposto che la concezione della mistica tantrica delle tre “forze” Ida, Pingala e Kundalini, le quali convenientemente attivate fluiscono nell’essere umano trasformando i centri sottili di esso con un processo di dinamizzazione che li trasferisce su di un piano superiore e spesso raffigurate in forma serpentina, costituiscano una concezione universale indipendente dal suo sviluppo in un determinato àmbito, in questo caso quello indù, per cui esse sarebbero riscontrabili anche in Egitto, ove si presenterebbero con caratteristiche analoghe ma con la sostituzione a Ida e Pingala di altre due “forze”, le due Dèe sorelle Iside e Nephtys, le quali nel Libro della Duat si presentano in forma di serpenti, quindi anche figurativamente analoghe alla loro corrispondente forma indù (il de Rachewiltz non lo dice chiaramente, ma Kundalini corrisponderebbe, secondo il suo ragionamento, al potere di Râ-Sole che si rinvigorisce durante l’operazione “ringiovanendo” con la sua trasformazione in Khepri, il “nuovo Sole”).
Il passaggio del Sole (cioè del Faraone o dell’Iniziato) attraverso le contrade dell’Amduat corrisponderebbe quindi ad un progressivo risveglio, purificazione ed energizzazione dei “centri” sottili che sono “attivati” fino alla trasformazione totale del complesso-uomo in un ente divino di pura Luce.
La descrizione delle singole Ore qui esposte segue il testo pubblicato da Fornari e Tosi dipinto nella camera tombale di Thutmosi III, il grande Faraone della XVIII Dinastia; il testo e le figure sono disposti su tre o quattro registri, di cui quello centrale rappresenta il fiume o la distesa di sabbia su cui viaggia la barca solare e gli altri due le “sponde” dalle quali le divinità della Duat assistono al passaggio del Dio. Ad ogni Ora abbiamo premesso i nomi propri della Dea dell’Ora, della Porta della Città o del Luogo che il Dio attraversa e il nome della Città o Luogo secondo la traduzione di Fornari e Tosi.
Le citazioni del Libro dell’Amduat sono accompagnate dall’abbreviazione FT se tratte da Fornari e Tosi (da cui sono state tratte le immagini), oppure R se tratte dal de Rachewiltz. Le citazioni del Libro dell’uscire al giorno (erroneamente conosciuto come Libro dei Morti essendo solo uno dei numerosi testi funerari e iniziatici dell’antico Egitto), salvo diversa indicazione, sono tratte da Il Libro dei Morti degli antichi egizi del de Rachewiltz[7].
ORA PRIMA
Ora: Colei che spacca la fronte dei suoi nemici.
Porta: non c’è.
Luogo: la distesa di acque detta Urnes o “Acque di Râ”.
Fig.1
I Ora: la barca di If. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Il viaggio del Dio Solare (preferiamo chiamarlo così, perché nei testi è a volte chiamato Râ, a volte Horus, ambedue “figure” del Sole) inizia nell’Ora Prima con il passaggio della barca solare e del suo seguito FIG. 1 nella Arrit o Arerit, “il vestibolo” dell’Amduat, rappresentato come una distesa d’acqua o un lago chiamato Urnes (de Rachewiltz traduce “Uranos” e mette in relazione il termine con il greco ouranos, il cielo, e con il sanscrito varunas, “l’accerchiante”, termine che indica “il cielo invisibile degli spiriti” – R p. 25).
Sulle sponde del lago il passaggio dell’imbarcazione è acclamano da quarantadue divinità per parte, divise in quattro gruppi alternati due di nove e due di dodici entità; le dodici divinità femminili del registro superiore sono chiamate le “Dèe delle Ore”, le quali accompagneranno come guide una per ciascuna Ora il viaggio del Dio.
Sulla barca solare il Dio prende la forma di Khnum[8], una divinità antropomorfa di colore nero con testa di ariete e il disco solare sopra le corna, un bastone di comando in una mano e la croce Ankh nell’altra (il simbolo del fiore che nasce dalla linea orizzontale delle Acque primordiali del Nun): il nome di questa divinità è If, cioè “Carne”.
Il Dio rivolto alle divinità presenti ne afferma la loro origine da sé stesso: “Datemi luce, voi che foste da me fatti. Guidatemi, voi che siete usciti dalle mie membra… io vi ho formati per la mia anima, vi ho creati per la mia trasfigurazione” (FT p. 54).
Fig.2
I Ora: lo “Spartiacque”. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Nel registro sottostante si vede un corteo di divinità preceduto da Nephtys, la “Signora della Casa” come dice il suo nome geroglifico formato dal simbolo neb = padrone, “signore” posto sopra il segno per = “casa”, la quale fronteggia Djeba-ta, “Colui che sigilla la terra”, l’unica figura rivolta in senso opposto a tutto il corteo, come se fosse pronto a ricevere il Dio Solare nell’Amduat. Tra i due si trovano uno scettro-bastone heka (il bastone del pastore che guida il gregge, simile a quello oggi adoperato dal Vescovo cristiano), e Up-net, “Colui che separa l’Acqua”, una divinità rappresentata da una figura mummiforme posta tra due corna bovine all’estremità superiore di un bastone intersecato da due serpenti diretti nelle opposte direzioni. FIG. 2
Per compiere il “viaggio” il Faraone deve sottostare a una metamorfosi come è specificato nel testo: “Questo Dio in forma di ariete compie le sue trasformazioni dopo essere passato per questa porta; i morti non lo seguono” (FT p. 52). Per potersi “trasformare” assume la forma del Dio Khnum, il Dio dalla testa di ariete di colore nero, colore della morte, e prende il nome di “Carne”, la Materia Prima dell’Opera: questa forma egli manterrà per tutto il percorso notturno fino all’Ora Dodicesima, quando If, a questo punto chiamato Osiride, rimane abbandonato come una spoglia vuota sulle porte della Duat mentre il Sole risorge nella forma dello scarabeo Khepri.
Khnum è il creatore degli Dèi e degli uomini, i quali vengono da lui plasmati dalla creta sulla ruota del vasaio, ed è rappresentato nel periodo saitico-tolemaico con quattro teste, che costituirebbero le forme di Râ, Shu, Geb e Osiride[9] e quindi il possesso delle loro funzioni.
L’Iniziato assume i caratteri di una divinità primigenia, ma in forma solo imperfetta e potenziale come simboleggia il suo colore nero. Egli deve superare il “Sigillatore della terra”, cioè la condizione umana, la Materia prima, per poter entrare nelle sue profondità seguendo la regola del VITRIOL alchemico, allo scopo di purificare la sostanza grossolana di cui è fatto e trasformarsi in puro Oro solare.
Per fare ciò necessita mettere in azione quel potere presente nel complesso-uomo che nella mistica indiana è la Kundalini, il potere serpentino simboleggiato nell’Ora Prima, secondo l’interpretazione di de Rachewiltz, da “Colui che separa l’Acqua”, raffigurato a somiglianza del caduceo ermetico nella forma di un bastone con due serpenti che si dirigono in direzioni opposte, “forze” che bisogna incanalare impedendone la direzione centrifuga e che in ambiente egiziano sono rappresentate con la coppia Iside-Nephtys, la Magia e il Potere, le quali compaiono nella Seconda Ora proprio in forma di serpenti sulla prua della barca solare. Si noti che il bastone porta al di sopra le corna, simbolo di potere fin dalla preistoria e in Egitto simbolo di Hathor, la Madre degli Dèi che è potenzialità in potenza, e una piccola mummia, che si potrebbero tradurre come la potenzialità dell’esistente ancora avvolta nelle “bende” che impediscono il movimento, manifestazione della “vita”.
Per compiere questo passaggio l’Iniziato deve separare le sue componenti corporee (Piombo), animiche (Mercurio) e spirituali (Oro) che costituiscono il complesso-uomo, affinché emerga il solo Centro di pura volontà e autocoscienza che dovrà compiere l’opera del “viaggio” superando le prove e conquistando i poteri ai quali via via perviene. La raffigurazione pittorica di questa separazione delle componenti può essere identificata nelle piccole celle quadrate entro le quali all’inizio della Prima Ora sono contenuti le diverse “categorie di Dèi” che Râ afferma di avere egli stesso “creato”.
La condizione di “potenzialità” viene ulteriormente sottolineata dalla presenza davanti alla barca solare di quattro erme (FT p. 51) o pietre confinarie (R p. 33) a testa umana, aventi il nome “Ordine (udj medu) di Râ”, “Ordine di Atum”, “Ordine di Khepri”, “Ordine di Osiride”: gli Dèi sono “pietrificati” e solo nelle Ore successive li troveremo prima in forma di mummie, poi seduti sui loro troni ed infine capaci di parlare ed emettere suoni, cioè resi nuovamente “viventi”.
ORA SECONDA
Ora: La Prudente che protegge il suo signore.
Porta: Colui che ingoia tutto.
Luogo: Acqua di Râ.
Dopo la Prima Ora, il “viaggio” del Dio Solare, oltrepassato il vestibolo della Duat, inizia da Abydos sulla riva occidentale del Nilo, la città sacra a Khentamenti, “Colui che è a capo dell’Occidente”, come sottolinea il testo con cui ha inizio questa Ora: “Queste immagini delle anime che si trovano nella Duat sono dipinte in questo modo nella parte nascosta della Duat; l’inizio del libro è verso Occidente” (FT p. 54).
La prima parte del viaggio (che comprende la Seconda e la Terza Ora) si svolge ancora sulla distesa di acqua chiamata Urnes, che viene qui chiamata anche “Le acque di Râ”: campi verdeggianti ed alberi ne caratterizzano il paesaggio e il corteo che rende omaggio al Dio è preceduto da Neper, il Dio-Grano, e si compone di divinità con i simboli dei giorni, dell’anno e delle stagioni.
Il personaggio che li precede è Heruifi-auifi, “Colui che ha due teste e due braccia” (ritroviamo una simile divinità bicefala nell’Ora Undicesima), accompagnato da Akhi, “Il luminoso”, il quale porta due bastoni con i simboli delle stelle Orione e Sirio, rispettivamente “sede” di Osiride e di Iside. La figura con la doppia testa potrebbe indicare la totalità del tempo, se la consideriamo analoga al romano Giano, visto che precede i simboli dell’anno (i rami di palma) e dei giorni (le stelle).
Fig.3
II Ora: il vaso hathoriano. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Il carattere “vegetale” dell’Ora è accentuato dalle barche che accompagnano quella del Sole-If: una di esse porta ciò che FT definisce un “simbolo hathoriano”, rappresentato da un vaso con i due manici ricurvi in forma di ricciolo, figura corrispondente al geroglifico idet, “utero” FIG. 3, la seconda un simbolo costituito dalle corna aperte su cui poggia un disco a righe orizzontali, geroglifico che viene identificato da FT come “placenta”, indicante quindi il potere generatore di Hathor.
Nello stesso registro un gruppo di figure risulta di particolare interesse FIG. 4: una divinità femminile con testa di leonessa[10] e il corpo avvolto in un mantello che la ricopre completamente, Sendet-akhu “Colei che terrorizza gli spiriti”, è inginocchiata davanti a una stele sormontata da una testa umana con la barba arricciata verso l’alto (particolare che nel simbolismo egizio indica trattarsi di un Dio) di nome Udj-medu-Usir “Ordine di Osiride”, seguita da due immagini, Medu-en-Usir, “Bastone di Osiride”, un bastone con testa di serpente, e Meset-en-Usir, “Asta di Osiride”, un bastone da pastore con l’estremità ricurva.
Fig.4
II Ora: il rituale della Meshka. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Nella tomba di Sethi I la figura inginocchiata e avvolta nel mantello è invece una divinità antropomorfa femminile posta in una delle barche del seguito di Râ, chiamata “la Barca del Dio del Grano Nepri”; nella tomba di Thutmosi in questa barca sono invece presenti Nepri e altre due divinità.
Gli Dèi che hanno sede in questa contrada “fanno salire le parole di coloro che sono nella terra, sono essi che permettono alle anime di giungere al loro sonno. Questo è ciò che essi fanno: provocare l’avvento della notte profonda ed eseguire il sacrificio delle ore. Sono essi che custodiscono il giorno e portano la notte ... Essi fanno dono a questo grande Dio delle stagioni e gli fanno dono di piante fresche che tengono in mano ... Sono essi che offrono le piante verdi che sono in Urnes, come cibo agli Dèi che sono al seguito di Râ. Sono essi che porgono acqua agli spiriti come questo grande Dio ha comandato. Sono essi che accendono le fiamme per bruciare i nemici di Râ” (FT pp. 54-55).
Il loro compito quindi non si limita alla custodia della vita vegetale ma si estende sia al ciclo del tempo, per cui è significativa la presenza del Dio Renpeti, “Quello dell’anno”, che alla “protezione” del Dio.
Le divinità acclamano il Dio dicendo: “Sorgi, o grande anima, possa la Duat ricevere If, che appartiene al cielo per sé. Tu vivi sulla terra, o If, che ti è sacra. Vieni dunque Râ, tu vivi nel tuo nome di ‘Vivente, Khepri, che è a capo della Duat’ ... Illumina le tenebre perché If viva e si rinnovi in loro” (FT p. 56).
Ad essi il Dio Solare risponde: “Voi siete coloro che combattono per il mio corpo, che mi proteggono contro Apep. Voi vivete per la mia anima, voi respirate per il mio corpo”; il Dio distribuisce loro il pane e l’acqua e prepara la loro esistenza per l’eternità promettendo: “Possano i vostri corpi essere secchi ... Possano le vostre bende essere allentate e i vostri piedi muoversi ... Vostre sono le anime e non si allontanino da voi ... Salve, io provvedo a voi” (FT pp. 56-57).
Con queste parole il Dio concede loro di aver parte nelle offerte che consentono agli Dèi e alle anime di vivere nell’Aldilà, e garantisce la corretta mummificazione necessaria affinché il corpo sussista e il suo ka possa riconoscerlo e mantenersi in esistenza. La facoltà di “muoversi” indica la possibilità di riacquistare la capacità di essere attivo sul piano spirituale.
Affinché il defunto ottenga il potere di far rivivere i propri sensi, per poter usufruire delle offerte che lo mantengono in esistenza, è prima necessario un’operazione rituale, che è descritta in modo completo nel Libro dell’Apertura della Bocca[11], testo che nella tomba di Sethi I troviamo dipinto nei due corridoi discendenti che portano alla Camera del Sarcofago.
Per far sì che il ka del defunto, cioè la sua componente vitale e animica, sopravviva anche se il corpo, non ostante la mummificazione, è andato distrutto, egli veniva sostituito magicamente da una statua avente le sue fattezze (in questa Ora rappresentata dalla stele), la quale doveva essere “vivificata” dal sacerdote affinché il ka potesse riconoscerla come il corpo di cui era partecipe e mantenersi così in esistenza per mezzo dell’effluvio delle offerte.
Questo rituale è qui raffigurato nel gruppo di divinità che abbiamo descritto, la Dèa-leonessa e la stele con testa umana, e si riferisce a una forma probabilmente molto più antica di “apertura della bocca”, della quale il de Rachewiltz ha trovato traccia in tavolette di epoca predinastica.
De Rachewiltz individua nella divinità inginocchiata e avvolta nel mantello il sacerdote Sem nell’atto di espletare il rituale che trasformerà la statua del defunto in un “essere vivente” capace di sostituirsi a lui[12]: per attuare la tecnica di “apertura della bocca” il sacerdote si avvolge in un mantello di pelle detto meska (“La nascita del Ka”), ponendosi in posizione fetale in modo da porsi in uno stato di trance autoindotta e cosciente ed entrare nella “Terra di trasformazione”, dove per atto magico la pietra della statua diviene “viva”.
La presenza di simboli vegetali accompagnanti un rituale di rinascita qual è quello della meska può essere letto come una prima fase della reintegrazione dell’energia del Dio Solare nel passaggio attraverso il Mondo dell’Aldilà, reintegrazione connessa non solo alla presenza del Dio-grano Nepri come espressione del mondo vegetale ma anche nei simboli hathoriani portati sulle due barche, una delle quali reca il vaso con il segno idet dell’utero, simbolo evidente di connessione con la rinascita[13], a sua volta in rapporto con il rituale della meska.
Tale forma di “rinascita vegetale”, come la definisce il de Rachewiltz e corrispondente alchemicamente all’Opera al Verde, era simboleggiata dalla presenza in alcune tombe del cosiddetto “letto di Osiride”, una sagoma in legno avente la forma del Dio che veniva seminata a grano prima di essere deposta nella tomba (un esemplare ancora integro è stato ritrovato nella tomba di Tut-ankh-Amon ed è esposto al Museo del Cairo).
Nell’Ora Seconda l’Iniziato, dopo aver separato le forze emozionali e psichiche che finora hanno fatto parte del suo complesso-uomo e rappresentate dalle divinità che sono sulle rive delle “Acque di Râ” nell’Ora Prima, deve fornire il proprio Centro solare che si va costituendo di “alimenti”, cioè della potenza necessaria affinché esso possa giungere alla completa realizzazione dell’Opera.
La presenza di figure armate di coltello indica la necessità per l’Iniziato di distruggere le “scorie psichiche” (tutto ciò che è individuale, come i ricordi e le emozioni della sua vita terrena) che potrebbero manifestarsi lungo il percorso di purificazione e rivoltarsi contro di lui: chi non si lascia prendere dal terrore ma reagisce riconoscendole come immagini da se stesso prodotte ed emanate prosegue indenne nella sua azione.
Qualora ciò non si realizzi si ha pazzia o morte, se invece si è in grado di padroneggiare l’operazione di scissione dei propri elementi costituenti si entra in contatto con gli stati superiori dell’Essere; per ottenere tale risultato occorre saper “dosare il ritmo”, come indicano secondo il de Rachewiltz, sulla base dell’analogia che pone con la Kundalini, le forme ondulanti delle figure dei serpenti presenti durante il percorso, che noi preferiamo invece interpretare come le “forze solari” che iniziano ad essere attivate durante il percorso iniziatico per realizzare i rituali contenuti nelle singole Ore.
ORA TERZA
Ora: Colei che fa a pezzi le anime.
Porta: Quella che prende.
Luogo: la distesa di acque detta “Specchio d’acqua di Osiride”.
Nella tomba di Sethi I la Terza Ora è presente in due luoghi diversi[14]: lungo le pareti della scala C (dove il testo e le immagini non sono stati completati essendo in parte solo tracciati nelle linee essenziali, segno che, almeno in questo settore, le maestranze hanno lavorato dalla Sala del Sarcofago verso l’ingresso) e nella Camera del Sarcofago J, qui insieme alla Prima e Seconda Ora e alla cosiddetta “Versione abbreviata” che è incisa sulle pareti del sarcofago.
Nell’ora della notte chiamata “Colei che fa a pezzi le anime” il Dio Solare attraversa le Acque di Osiride che sono nella Contrada dei Massacratori, divinità che “devono schiacciare l’avversario, far esistere il Nun [l’Oceano primordiale da cui tutto è nato], provocare il nascere dell’inondazione quando il vento esce dalla terra sotto di loro. Essi fanno risuonare la voce quando puniscono l’avversario ... Ecco cosa essi devono fare nell’Occidente: arrostire e fare a pezzi le anime ... Essi accendono le fiamme, essi fanno sì che i nemici brucino sulle punte dei loro coltelli ... Khetri [“Colui che reprime”] è il nome del custode di questa contrada” (FT pp. 58-60).
Il Dio “impartisce ordini a Osiride e a coloro che sono al suo seguito”, e parla così agli Dèi che abitano la contrada, chiamati le “Anime misteriose”: “Possano le vostre forme essere stabilite, le vostre esistenze siano trasfigurate in gioia, possa l’aria far respirare le vostre narici, possano i vostri volti vedere e le vostre orecchie sentire. Possano i vostri involucri essere aperti e le vostre bende essere allentate”. È un processo di ri-vitalizzazione dei centri che consente a chi lo compie di prendere possesso di tutte le sue facoltà nella dimensione spirituale, infatti il testo conclude: “Chi conosce ciò è uno spirito padrone delle sue gambe e non entra nel luogo della distruzione, egli esce con le sue forme al giorno, egli respira il vento della sua ora”.
Gli elementi che possono far comprendere la ripetizione della Terza Ora in due settori distinti della tomba di Sethi I sono ravvisabili in tre scene.
La prima raffigura una divinità chiamata Ka-iru, “Il Toro delle Forme”, la quale porta due piccole antenne sul capo a somiglianza della raffigurazione stilizzata del pesce nar, un pesce sacro il cui culto è attestato in Egitto dai tempi protostorici (esso fa parte del nome del Faraone Narmer, costituito dal geroglifico del pesce e da quello del punteruolo, ritenuto il fondatore della I Dinastia e l’unificatore dell’Alto e del Basso Egitto). Il rapporto tra pesce ed acqua è evidente, e poiché l’Acqua è il simbolo della Potenza onnigenerante, il pesce è l’animale in grado di muoversi in essa e quindi è il simbolo di colui che padroneggia la Potenza senza esserne distrutto.
De Rachewiltz (R p. 47) riporta il disegno di una placca risalente al Faraone Djer della I Dinastia sulla quale è incisa una figura del pesce nar nell’ambito di una scena con chiaro significato di rigenerazione, avendo al centro della composizione il geroglifico della nascita mes; sempre pesci-nar sono incisi su alcuni sarcofagi, tra i quali quelli di Ramesse III e di Ramesse IV (idem p. 48), accompagnati da un personaggio il quale porta una sfera identificata dal de Rachewiltz con la “pupilla di Râ” (nella tomba di Sethi I il personaggio raffigurato ha come testa l’occhio di Râ). Notiamo per inciso che non tutti gli Autori sono d’accordo sul simbolismo del pesce nella religione egizia: Mayassis considera il pesce come simbolo della corruzione e ritiene che per tale motivo i sacerdoti egiziani si rifiutassero di mangiarlo[15]; la presenza però di Dèi pisciformi con caratteri indubbiamente positivi sarebbe contro la sua interpretazione.
Fig.5
III Ora: l’Occhio di Râ. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
La seconda scena raffigura una figura seduta la cui testa è costituita dall’”Occhio di Râ” FIG. 5, chiamato In-iret-setep-netjeru (“Colui che porta l’Occhio e soddisfa gli Dèi”): sul significato dell’Occhio come potenza generatrice ma anche distruttrice ci siamo già soffermati nella Parte II del nostro saggio.
In una terza scena FIG. 6 una Dèa che porta in mano due vasi globulari per le offerte di profumo (o forse due “pupille” secondo l’interpretazione del de Rachewiltz) ha il significativo nome di Bakhit, “Colei del monte Bakhu”, la “Montagna della Nascita” che si trova a Oriente.
Fig.6
III Ora: la Dèa Bakhit e le “pupille”. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Da questi elementi si può dedurre che nella Terza Ora il Faraone, assimilato al Dio-Sole che nasce ad oriente dalla Montagna di Bakhit, egli è riportato in un tempo che è prima del tempo, alle origini stesse della creazione dalle acque del Nun (raffigurato dalla divinità pisciforme Ka-iru, “Il Toro delle forme”, dove il toro è l’emblema del potere, il geroglifico con il quale inizia il “Nome Horus”, uno dei cinque Nomi sacri del Faraone), e riceve il “potere dell’Occhio”, l’udjat simbolo vivificante e distruttore in forma di cobra che sputa fuoco; l’esplicito riferimento alla capacità di vivificare le facoltà del defunto (“possa l’aria far respirare le vostre narici, possano i vostri volti vedere e le vostre orecchie sentire”) indica il trasferimento su di un piano superiore dei centri psichici che in precedenza l’Iniziato ha separato da sé. Notiamo che “chi conosce ciò” è uno spirito (il termine adoperato è akhu, “lo spirito luminoso”, concetto che potremmo far coincidere con quello di anima divina e immortale), il quale “cammina con le sue gambe”, cioè ha raggiunto la trasformazione in un essere di natura divina.
Tutti questi elementi possono spiegare la duplice posizione dell’Ora Terza: se nella Camera del Sarcofago essa è collocata per seguire l’ordine cronologico canonico delle Dodici Ore, la sua ripetizione in prossimità dell’uscita dalla tomba è segno del compimento dell’Opera e del passaggio dell’Iniziato dall’oscurità della notte alla luce del giorno quale Sole rinato. La condizione a cui il Faraone, o l’Iniziato, è pervenuto rappresenta non uno stato intermedio ma il compimento dell’operazione iniziatica.
D’altronde vi è un altro motivo per spiegare la duplicazione dell’Ora Terza: la Seconda e Terza Ora del Libro dell’Amduat possono anche essere considerate a sé stanti, in quanto esse si riferiscono al primo dei quattro “viaggi” del Faraone, quello nella terra di Khentamenti “Signore degli Occidentali”: il Libro dell’Amduat potrebbe essere costituito dall’unificazione di quattro differenti rituali più antichi corrispondenti ai quattro “viaggi”, unificazione possibile per il pensiero egiziano considerata la tendenza nella letteratura misterico-religiosa a riprendere testi antichi in nuove forme affinché non vadano perduti con il passare dei secoli, quindi è possibile che la Terza Ora sia di per sé sufficiente a realizzare il compimento dell’iniziazione faraonica.
Qualunque sia la possibile spiegazione, possiamo concludere che i centri che prima erano stati preparati per essere risvegliati ora sono resi vitali e capaci di vedere, respirare e agire per proseguire nelle prossime Ore il “viaggio” e penetrare nella terra desolata di Sokar.
ORA QUARTA
Ora: La grande è nella sua potenza.
Porta: Misteriosa di accesso.
Luogo: Vivente di apparizioni.
Nella Quarta e Quinta Ora il Dio Solare entra nel regno di Sokar, il Dio con testa di falco signore del Ro-stau, la necropoli di Menfi, la contrada dell’Aldilà il cui accesso nel Libro dell’Amduat è raffigurato nelle pitture parietali come un corridoio in discesa costituito da tre scale separate da due piani orizzontali; alcune tombe della Valle dei Re della XVIII e XIX Dinastia, quali quelle di Thutmosi I, Thutmosi III, Sethi I e Ramesse II, riproducono la triplice scalinata nei corridoi che portano alla Camera Sepolcrale.
Il nome “Ro-stau” è costituito dal geroglifico D 21, la “bocca” intesa come organo del linguaggio, dal segno V3, il “chiavistello con tre corde”, che venivano tirate per chiudere o aprire la sbarra della porta, e dal segno D 25, “terra straniera, deserto, necropoli”, presente anche nella parola significante Est. Se i segni geroglifici fossero essere letti come ideogrammi, il Ro-stau sarebbe traducibile come “(la capacità di usare) l’organo della parola per aprire la porta che conduce nella terra dell’Est”, cioè verso la rinascita del Sole.
L’aspetto del Ro-stau non è definibile con certezza: secondo alcuni Autori esso dovrebbe essere una regione tenebrosa, e così la descrivono Fornari e Tosi: “Le due teste [della barca solare trasformatasi in un serpente] rischiareranno con le fiamme che escono dalla loro bocca la via immersa nelle tenebre” (FT p. 61), ma in realtà nel testo dell’Amduat della tomba di Thutmosi III non si parla espressamente di oscurità: “Questo grande Dio naviga in questo modo. Le fiamme che escono dalla bocca della sua barca lo guidano in questa via misteriosa” (FT p. 62); di “fuoco” parla anche il Libro dell’uscire al giorno: “Questa residenza che è nel Ro-stau, il cui calore è di fuoco” (Cap. CXLIX).
Invece Mayassis cita numerosi brani tratti da papiri funerari[16] in cui si parla del Ro-stau come di una “via celeste luminosa” in cui “il sole manda i suoi raggi sul cammino di Ro-stau”. I misteri celati nel Ro-stau, secondo i testi citati dal Mayassis, rendono l’Iniziato purificato e potente e lo portano all’identificazione con l’Occhio di Horus: “L’Occhio di Horo, la sua immagine, sono io [il soggetto titolare della tomba]” (Libro dell’uscire al giorno, Cap. CXVII). In questo luogo, nei papiri citati da Mayassis, l’anima afferma: “Ho visto le cose che sono nascoste nel Ro-stau, io leggo nel libro delle feste di Osiride ... io sono il sacerdote Sem [il sacerdote che compie il rituale dell’Apertura della bocca] ... io sono il grande capo dell’opera”. Per l’autore ciò “sembra fare allusione a un certo grado d’iniziazione superiore dell’anima nel Ro-stau a seguito della quale l’anima ‘sviluppata’ diviene ... potente nel Ro-stau, essa è ‘un capo nel Ro-stau’”.
Il Ro-stau è una regione misteriosa, in cui le divinità non si mostrano al Dio Solare, “non è percorsa dagli Dèi e i Gloriosi Akhu non si riuniscono in essa” (Libro dell’uscire al giorno, Cap. CXVIII); lo stesso Sokar è nascosto sotto una piramide di sabbia in una grotta avente la forma del cartouche faraonico, per cui i due Dèi non si incontrano direttamente: il Dio Solare può solo “chiamare” le divinità ma non dare ordini, né riceve, come nelle Ore precedenti, l’omaggio degli abitanti: “Egli si prende cura di coloro che sono in essa [= nella regione del Ro-stau] con la sua voce, senza che egli li possa vedere” (FT p. 61).
Questa è “la via nascosta di Ro-stau, la porta divina, egli non può passarla ma vi è la sua voce che essi ascoltano. La via che il corpo di Sokar penetra: un’immagine misteriosa, invisibile, impercettibile. La via misteriosa che Anubis percorre per nascondere il corpo di Osiride” (FT p. 62). Tra le divinità presenti in questa Ora vi sono due Dèi affrontati, Thot con la testa di ibis e Horus con la testa di falco, i quali reggono con le loro mani un Occhio udjat FIG. 7, l’occhio che Horus ha perduto nel combattimento contro Seth ma che Thot ha riparato, del cui significato si è già detto.
Fig.7
IV Ora: Thot dà a Horus l’Occhio risanato. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Secondo de Rachewiltz la barca a forma di serpente a due teste (ma nella Quarta Ora numerosi sono i serpenti a una, a due o a tre teste) va interpretata come il simbolo della necessità “di farsi ‘serpentini’, guizzanti, capaci di cogliere le manifestazioni delle successive fasi dell’esperienza e sapervisi adattare” (R p. 57). Perché nel Ro-stau proprio di “manifestazioni” si tratta (tale è d’altronde il nome del luogo: “Vivente di apparizioni”); delle divinità è infatti detto: “Così esse sono, come immagini che Horus ha fatto. Esse stanno nella terra presso questa misteriosa via di Imhet [= “la caverna”], in cui esse entrano, via che appartiene alla creazione” (FT p. 62), come se esse non fossero entità di per sé viventi ma solo apparenze che attendono un atto creatore per essere portate all’esistenza.
L’Iniziato, dopo aver potenziato i suoi centri sottili ed averne iniziato il processo di purificazione passa dal verde della vegetazione al nero del profondo della terra: un visita interiora terrae che lo porterà a contatto con una potenza arcana dalla quale, come vedremo nella Quinta Ora, nasce Khepri, il Sole Futuro. Se nell’Ora Terza era presente l’Occhio di Râ, qui invece compare l’Occhio di Horus: l’Iniziato è entrato in contatto con i due Poteri ma ancora non li domina.
Separate le sue componenti psichiche, ora l’Iniziato è completamente solo: può “parlare” ma nessuno gli risponde, le divinità presenti nell’Ora non hanno nessun contatto con lui, non sono “essenze” ma solo “immagini”. Questa è la prova della solitudine totale: egli può intuire la presenza dell’Occhio ma ancora non può prenderne possesso.
L’ultima delle quattro porte che scandiscono il percorso all’interno di questa Ora, “Colei che separa l’eternità” e che divide la barca solare dalla successiva Quinta Ora è guardata da Maat FIG. 8 ed è preceduta dal simbolo di Khepri non nella sua forma di scarabeo ma come sole alato; davanti a Maat vi è una scena che, come segnala il de Rachewiltz, potrebbe essere uno dei possibili accenni a una “durata” dell’operazione iniziatica da leggersi nelle quattordici teste umane sormontate dal geroglifico seba, la “stella”, avente significato di “giorno”.
Fig.8
IV Ora: Maat e le quattordici Ore. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Tutto ciò si potrebbe tradurre in termini iniziatici dicendo che la “solitudine”, la capacità di sussistere di per sé prima di affrontare la trasformazione finale e crearsi come nuovo Dio entrando in contatto con Sokar, richiederebbe un periodo di “quattordici giorni”, pari a metà lunazione. L’Iniziato deve essere approvato da Maat, la Verità-Giustizia-Ordine, per poter effettuare il transito, e Khepri, il risultato finale dell’Operazione, è per ora solo allo stato “volatile” e non è stato ancora “fissato” nella sua forma di Nuovo Sole.
ORA QUINTA
Ora: Colei che guida e che è nella sua barca.
Porta: Stazione degli Dèi.
Luogo: Occidente.
Si conclude in questa Ora il secondo “viaggio” del Dio Solare: dopo la separazione del Principio spirituale dell’Iniziato dalle componenti psichiche e animiche e la sua “stabilizzazione” nella solitudine all’ingresso nel Ro-stau, l’Iniziato entra in contatto con la Potenza nascosta nel centro della Terra raffigurata in Sokar, per fondersi con il Dio in una più perfetta entità divina.
Fig.9
V Ora: la caverna di Sokar. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Premettiamo alcune informazioni sulla divinità che è signore di questo luogo, Sokar FIG. 9, il cui nome è accompagnato nel testo dalle parole “Colui che è sulla sua sabbia”: è rappresentato in forma antropomorfa con testa di falco, simile all’immagine di Horus, e nei dipinti spesso è dipinto di verde, il colore della resurrezione; è associato come Ptah-Sokar fin dall’Antico Regno con Ptah, il Creatore universale rappresentato in forma di mummia che regge nelle mani il triplice segno della vita ankh, della stabilità djed e del potere uas, il Dio che tutto ha creato per mezzo del cuore che ordina e della parola che crea: “Il cuore fa che esca ogni conoscenza ed è la lingua che ripete quel che ha pensato il cuore. Così nacquero gli Dèi e fu compiuta l’opera di Ptah. Venne in esistenza ogni parola divina per mezzo di quel che il cuore aveva pensato e la lingua aveva ordinato” (Pietra di Shabaka, linea 54).
Nella sua forma di Ptah-Sokar questi è sposo di Sekhmet, paredra di Ptah, la Dea del fuoco distruttore con testa di leonessa, una forma dell’Occhio di Râ[17], ed è come Ptah il protettore degli artigiani, di coloro che dalla materia prima estraggono le forme individuate.
In quanto protettore degli artigiani che lavoravano nella necropoli Sokar diviene il Signore della necropoli di Menfi, e così anche risalirebbe al Medio Regno la sua assimilazione a Osiride nella triplice forma di Ptah-Sokar-Osiride, ma Sokar è una divinità più antica, come dimostra la forma aniconica che aveva originariamente la statua oggetto dei riti, una semplice pietra che veniva annualmente portata per la processione sacra su di una barca di nome Hen-nu. La pietra è un simbolo della Materia Prima, come l’acus della Magna Mater Cibele, adorata anch’essa nella forma di una pietra, forse meteoritica, che venne portata a Roma per salvarla dal flagello di Annibale.
L’insieme dei simboli connessi a Sokar (il verde, la pietra, la connessione con i luoghi dell’Aldilà ma anche l’identificazione con Ptah) fanno di questa divinità un simbolo della Potenzialità universale da cui tutto nasce o ri-nasce, celato nelle profondità della Terra, entro la quale si trova la sua dimora invisibile.
La sua immagine di Dio-falco lo configura come aspetto sotterraneo di Horus, un “polo negativo” del Potere, così come Horus sarebbe il “polo positivo”. L’analogia fra i due farebbe pensare a Sokar come a un “Sole notturno”, e la coppia Horus-Sokar potrebbe corrispondere a quella romana Iuppiter-Vediovis, il “cielo diurno” e il “cielo notturno”, il primo venerato dall’VIII sec. a. C. nel tempio di Iuppiter Stator eretto da Romolo, secondo Coarelli, sulla via Sacra, e l’altro nella valle boscosa e oscura dell’asylum del Campidoglio[18]. Tale analogia fra le due divinità sembra confermata dal fatto che in alcune copie del Libro delle respirazioni[19] (di epoca tarda, ma i cui principii basilari risalgono agli inizi del pensiero egizio) Horus è detto “Signore della barca Hen-nu”, la barca adoperata per portare le immagini di Sokar nei giorni rituali delle sue feste.
In questa duplicità di funzioni tra Râ-Horus e Sokar vediamo il significato dell’incontro fra le due divinità nella Quinta Ora, perché dall’unione delle due metà del Potere, il Potere del Cielo e quello della Terra (in termini alchemici diremmo dell’Oro e del Piombo), nasce il Potere totale che appartiene al Faraone o all’Iniziato che compie questo percorso iniziatico.
Che in questa Ora si realizzi un mistero è più volte sottolineato nel testo: il luogo ove “riposa” Sokar è misterioso e nascosto e la via di Ro-stau è “la via misteriosa, via che appartiene alla creazione” (FT p. 62); “Questo grande Dio [= Râ-Horus] è trainato sopra la metà superiore della misteriosa caverna di Sokar. Invisibile e impercettibile è la misteriosa immagine della terra che trasporta la carne di questo Dio. Coloro che sono in questo Dio [= Sokar] sentono la voce di Râ quando egli chiama nelle vicinanze ... Le misteriose vie dell’Occidente, le porte attraverso le quali si può penetrare nel segreto, il sacro luogo della terra di Sokar, la carne e il corpo come prima manifestazione” (FT p. 65).
L’Ora si apre con un’invocazione del Dio Solare alle divinità di cui nell’Ora precedente era detto essere solo “immagini”: “Possiate voi respirare, o Enneade degli Dèi, che veniste in esistenza dalla mia carne mentre le vostre forme non erano ancora create. Possano mantenersi stabili le vostre provviste [= le offerte che mantengono in esistenza anche gli Dèi], io vi proteggo e voi mi rendete omaggio” (FT p. 65). L’Iniziato esce dalla sua “solitudine” e riprende contatto con gli elementi psico-animici separati da lui all’inizio dell’Opera.
Due gruppi di divinità sono presenti nella Quinta Ora: uno di essi è costituito da Dèi che acclamano il passaggio della barca solare invocando la “pace” sul grande Dio: “In pace, signore della vita. In pace, colui che soddisfa l’Occidente [= la Terra dei Morti]. In pace, colui che apre la terra. In pace, tu che soddisfi il cielo. In pace, trionfa il signore dell’Enneade... Tu chiami, o Râ, nella terra di Sokar ove vive Horus che è sulla sua sabbia! [questo è lo stesso attributo dato a Sokar] Vieni a Khepri, o Râ!”. Il secondo gruppo è invece formato da divinità alle quali è affidato, ancora una volta, il compito di distruggere o nemici di Râ e ad essi il Dio si rivolge dicendo: “Stritolate i nemici, distruggete i morti, tagliate a pezzi le ombre di coloro che sono stati annientati” (FT p. 66).
Fig.10
V Ora: Sokar, Iside e Khepri. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)
Il corteo FIG. 10 passa nel registro centrale tra la grotta di Sokar nascosta in una piramide di sabbia e una collina il cui nome è “La Notte”, ai lati della quale sono poggiate in forma di falchi Iside e Nephtys: dalla parte inferiore della collina esce Khepri, il quale con le zampe anteriori prende la gomena che tira la barca solare per far passare il Dio sopra la grotta di Sokar raffigurata nel registro inferiore, coperta da un tumulo di sabbia avente forma di piramide e sormontato da una testa umana, la quale nella tomba di Thutmosi è detta essere “Carne di Iside che è sopra la sabbia di Sokar”: fra Iside e Khepri passa la gomena della barca.
Uno stretto corridoio con due porte conduce al tumulo-piramide, la porta di destra ha nome “Egli prende colui che è passato”, riferito certamente all’Iniziato: il termine “colui che è passato” significa “mutare la propria esistenza passando ad un’altra realtà... ‘colui che è passato’ è in grado di proseguire il viaggio nell’Oltretomba essendo pronto alla rinascita” (FT p. 67 nota 4).
All’interno della piramide vi è una caverna, ovale come il cartiglio che protegge il nome del Faraone, dentro la quale è un serpente alato tricefalo la cui coda è una testa umana; Sokar è in piedi su di esso e ne separa le ali (simile immagine la ritroveremo nell’Ora Undicesima riferita ad Atum). Della caverna è detto: “Così è questa immagine nelle tenebre. Risplende la caverna che appartiene a questo grande Dio, per i due occhi delle teste del grande Dio [= il serpente tricefalo] mentre egli sorveglia la sua immagine [= di Sokar]. Si ode una voce nella caverna dopo che il grande Dio [= Râ] è passato accanto ad essa, come un ruggito nel cielo durante il temporale” (FT p. 67).
Ai due lati del cartouche in cui è l’immagine di Sokar si vedono due protomi di sfingi con corpo di leone e testa umana, che compongono la figura detta aker, immagine che troviamo fin dal Periodo Predinastico a simboleggiare l’orizzonte da cui nasce il Sole: il loro nome qui è If, “carne” (lo stesso del Dio Solare), e di esse è detto: “Aker, che sorveglia la carne misteriosa... Egli respira la voce del grande Dio, ciò che deve fare è proteggere la sua immagine” (FT p. 67).
Il duplice leone, a volte duplice toro, simboleggia secondo il de Rachewiltz[20] “il potere divino di autogenerarsi quotidianamente [in quanto] agente di resurrezione… esso è chiamato anche ‘phallus di Osiride’ e ‘phallus di Râ’”. In testi di epoca tarda il nome del duplice toro è khons, lo stesso nome della placenta, la quale era considerata il “gemello” del Faraone[21], e poiché la placenta era la sede del suo potere vitale essa costituiva una forma del ka faraonico; Khons o Khonsu era anche il nome del Dio-Luna, nel Medio Regno componente della Triade di Karnak con Amon e Mut come loro figlio. La capacità della luna di autorigenerarsi nel suo ciclo di Luna piena-Luna nuova potrebbe confermare il perché dell’utilizzo dello stesso nome per la divinità e per il duplice leone sulla base della loro funzione di (ri)generatori.
Il Dio si rivolge a Sokar con le parole: “O Sokar che occulti il mistero, io ti chiamo, le mie parole a te sono la tua luce, tu giubili in esse. Iside appartiene alla tua immagine, il grande Dio [= il serpente tricefalo] al tuo corpo che egli sorveglia” (FT p. 66). Le parole che il Dio rivolge a Sokar, “io ti chiamo”, fanno pensare a una tecnica di magia imperativa mediante la quale “costringere” il potere di Sokar a unirsi a quello dell’Iniziato: nel momento in cui la barca solare passa sulla caverna è come se si chiudesse un contatto e scoccasse la scintilla con l’apparizione di Khepri dal tumulo sovrastante. Il “ruggito” che si ode al passaggio del Dio, potente forma sonora generata dal compimento dell’operazione, può essere accostato al “muggito” che l’Iniziato deve emettere nell’Ottavo Logos del così detto Rituale mitriaco: “Emetti subito un prolungato muggito, comprimendo il torace, affinché, simultaneamente, i cinque sensi siano eccitati; prolunga (il muggito) fino alla fine”[22].
La presenza di Iside all’apice della piramide di Sokar in corrispondenza alla figura di Khepri farebbe pensare anche a una possibile integrazione nell’Iniziato del principio femminile (Iside, manifestazione del potere sotterraneo di Sokar “Sole notturno”) con quello maschile (Khepri, segno solare, “Sole diurno”).
NOTA: Il presente articolo costituisce una revisione ed ampliamento della Parte Terza, “Analisi del testo del Libro dell’Amduat”, del saggio di Paolo Galiano, La Via iniziatica dei Faraoni, Edizioni Simmetria, Roma 2009. Alcune immagini sono tratte da Annamaria Fornari, Mario Tosi, Nella sede della Verità, Casa editrice Franco Maria Ricci, Roma 1987, .
[1] Boris de Rachewiltz, Il libro egizio degli Inferi. Testo iniziatico del sole notturno tradotto e commentato, Casa Editrice Atanòr, Roma 1959, rispettivamente p. 44 e p. 77.
[2] Fornari e Tosi, Nella sede della Verità, p. 88.
[3] Encyclopedia of the Archaeology of Ancient Egypt (a cura di Kathryn Bard), Routledge, London-New York 1999, sub voce.
[4] I segni geroglifici sono stati classificati e numerati da Alan Gardiner, Egyptian Grammar, Griffith Institute, Cambridge 19993.
[5] de Rachewiltz, Il libro egizio degli Inferi, p. 21.
[6] Fornari, Tosi, Nella sede della Verità.
[7] Boris de Rachewiltz, Il Libro dei Morti degli antichi egizi, Edizioni Mediterranee, Roma 19922
[8] Khnum (una forma di “Sole imperfetto” o di “Sole notturno” simboleggia l’Iniziato che deve passare per la Duat per divenire Râ-Khepri, il “nuovo Sole”) insieme a Thot, il Dio del libro scritto, è signore di Hermopolis Magna, l’antica Khnum Khemenu (“La città degli Otto”) o Per-Djehuti (“La casa di Thot”), oggi el-Ashmunein, capitale del XV Distretto dell’Alto Egitto (“Nomo della Lepre”); originariamente forse un Dio delle acque e della fertilità, in quanto il suo nome hmn potrebbe derivare da hnmt, “pozzo, sorgente”, con evidente riferimento alle Acque primordiali, potenzialità di qualunque esistenza definita. Ad Hermopolis si trova una necropoli con sepolture che coprono il periodo tra la VI e la XII Dinastia.
[9] Manfred Lurker, The gods and symbols of ancient Egypt, Thames and Hudson, London 1980, sub voce.
[10] Il simbolismo del leone o leonessa nell’antico Egitto è oggetto di un importante studio, datato ma sempre valido, di Constant de Wit, Le rôle et le sens du lion dans l’Égypte ancienne, E. J. Brill, Leida 1951.
[11] Il testo integrale, con le immagini corrispondenti, si trova in Ernest Alfred Wallis Budge, The Book of the Opening of the Mouth, K. Paul, Trench, Trübner & Co., London 1909 (più volte ristampato).
[12] Per una trattazione completa dell’argomento si veda R pp. 38-40.
[13] La presenza di un “vaso di vita” potrebbe rimandare al Santo Graal, una delle cui funzioni era quella di rinnovare la vita o donare la salute.
[14] Poiché le tombe della Valle dei Re sono di struttura complessa, le sale, i corridoi e le porte sono indicati con una lettera dell’alfabeto a partire dall’entrata. Per l’orientamento della tomba di Sethi I l’asse entrata-Sala del Sarcofago è nordest-sudovest.
[15] Sotirios Mayassis, Les Livres des Mortes de l’Egypte ancienne est un livre d’initiation, Archè, Milano 2002, p. 577. Il testo di Mayassis è un’opera di grande interesse per approfondire la conoscenza dei rituali iniziatici egizi.
[16] In questi papiri, precisa Mayassis, pp. 286 ss., il Ro-stau è l’entrata alla Montagna dell’Occidente, cioè l’Aldilà, ed è localizzata non a Menfi ma a sud di Anrutef, la necropoli di Heracleopolis Magna, Het-nen-nesut, capitale del XX Distretto dell’Alto Egitto.
[17] Hathor-Sekhmet è la distruttrice del genere umano nel Libro della Vacca Celeste.
[18] Il tempio di Vediovis nell’asylum venne eretto nel 196 a. C. ma nel corso degli scavi è stato rinvenuto un deposito votivo con materiale del VII sec. a. C., il che indica una maggiore antichità del sito rispetto a quanto comunemente ritenuto (Jane Gardner, Roman myths, British Museum Press, London 1992, p.63).
[19] Si veda: Philippe Jacques de Horrack, Le Livre des Respirations d’apres le manuscrits du Musẻe de Louvre, Klincksieck Librairie de l’Institut de France, Paris 1877.
[20] Boris de Rachewiltz. Egitto magico-religioso, Basaia, Roma 1982, p. 135.
[21] Idem, p. 130.
[22] Armando Cepollaro (a cura di), Il Rituale di Mithra, Edizioni Atanòr, Roma 20063, pp. 33-34. Il testo del Rituale, contenuto nel Papiro greco 534 della Bibliotéque Nationale Française, Supplément grec du Récueil magique, è databile tra il III e l’inizio del IV sec. d. C.