TESTI, ARTICOLI E SITI WEB CONSULTATI
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[1] Carmine Ampolo, Presenze etrusche, koiné culturale o dominio etrusco a Roma e nel Latium vetus in età arcaica?, in “Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina”, vol. XVI “Gli Etruschi e Roma”, Atti del XVI Convegno Internazionale di studi sulla Storia ed Archeologia dell’Etruria (a cura di Massimo Della Fina, Roma 2009, pp. 9-42.
[2] Marcello de Martino, L’identità segreta del Nume tutelare di Roma. Un riesame dell’affaire Sorano, Roma 2011.
[3] Massimo Pallottino, Etruscologia, Milano 19847, pp.489-494.
[4] Mario Torelli, La forza della tradizione, Milano 2011, pp. 39-57.
[5] Come abbiamo più volte sottolineato in altri lavori, il termine “mito” va inteso nel suo reale significato, non “fantasia”, accezione che viene data nell’àmbito della cultura moderna per ignoranza della sostanza delle parole, ma secondo la definizione di Attilio Mordini: “Il termine mythos significa, almeno nel senso originario, parola, parola che si manifesta dal silenzio nell’atto segreto dell’iniziazione ai Misteri; e cela, ma al tempo stesso porge discretamente e rivela, la verità che nel gran silenzio primordiale è racchiusa” (Attilio Mordini, Il Tempio del Cristianesimo, Vibo Valentia 1979, p. 10).
[6] Torelli, La forza della tradizione, p. 58.
[7] Giovanni Colonna, Gli scudi bilobati dell'Italia centrale e l'ancile dei Salii, in “Archeologia Classica”, vol. 43/1 (1991), “Miscellanea Etrusca e Italica in onore di Massimo Pallottino”, pp. 55-122, p. 68 (https://www.jstor.org/stable/44368008, consultato 11 Aprile 2024).
p. 63.
[8] Giosuè Auletta, Santa Palomba Albunea. Relazione storica, 2019, p. 7.
[9] Mauro Menichetti, La guerra, il vino, l’immortalità, in Kulte ‒ Riten ‒ Religiose vorstellungen bei den Etruskern, Atti I Congresso internazionale Istituto Nazionale di Studi etruschi e italici, Wien 4-6 Dicembre 2008, a cura di Petra Amann, Vienna 2012, pp. 393-406, pp. 396-397.
[10] La fanciulla nata con Roma (a cura di Francesco Capanna e Stéphane Verger), catalogo della mostra del restauro della tomba 359 della necropoli di Castel di Decima tenutasi a Roma 13 Giugno-8 Ottobre 2023, Roma 2023, p. 22.
[11] Torelli, La forza della tradizione, p. 61.
[12] Mario Torelli, La “Grande Roma dei Tarquini”, continuità e innovazione nella cultura religiosa, in “Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina”, vol. XVII, Roma 2010, pp. 305-335, pp. 312-314. L’autore precisa che non si trattò di una supina accettazione del mondo religioso greco ma che sia i Latini che gli Etruschi adattarono il sistema religioso greco e “questi elementi di origine greca vengono ben presto a scontrarsi con precise e invalicabili limitazioni frapposte dalla cultura ‘nazionale’ all’influenza di modelli esterni”, che concernono non solo aspetti materiali, come la persistenza di vasellame sacro di tipo arcaico, ma anche la concezione stessa di alcune forme rituali quali l’auspicium e l’augurium.
[13] Ampolo, Presenze etrusche, p. 11 e note 3 e 4.
[14] Placca in avorio a forma di leone, recante l’iscrizione: “Mi (ha fatto) Araz Silqetanas per Spurianas” (Ampolo).
[15] Ampolo, Presenze etrusche, p. 16.
[16] La situazione archeologica è in realtà complessa: un primo abitato costituito da almeno cinque capanne era situato sul Palatino nord-occidentale (in corrispondenza della c. d. “capanna romulea”) e di fronte ad esso è stata definita l’esistenza di una necropoli, già scavata dal Vaglieri nel 1909, di cui però non è possibile determinare l’età per l’assenza di reperti databili (Stella Falzone, L’abitato protostorico dell’area sud-ovest del Palatino, in “Mites de fundació de ciutats al món antic”, Atti dei Colloqui di Barcellona, Barcellona 2002, pp. 269-282), ma sarebbe logico pensare che a una successiva espansione del primo nucleo la necropoli sia stata abbandonata e spostata alle pendici sud-orientali verso la fine della Fase laziale IIA, cioè circa 830-800 a. C., quando il primo abitato iniziò a diffondersi nella valle del futuro Foro Romano e vennero costruite le “mura romulee” portate alla luce dal Carandini (Francesco Quondam, Rinvenimenti di età protostorica sulle pendici nord-orientali del Palatino, in “Scienze dell’Antichità”, 17, 2011, pp. 621-642, p. 636).
[17] Così testimoniano Dionigi di Alicarnasso, Ant. Rom., III, 59-62, e Tito Livio, Ab Urbe Condita I, 8.
[18] Paolo Galiano, Vesta, il Fuoco di Roma, Roma 2011; id., Mars Pater, Roma 2014; id., Venere, la Grazia divina, Roma 2014; id., Diana e Apollo, la selva e l’Urbe, con Massimo Vigna, Roma 2015; id., Vulcano, il Fuoco generatore, Roma 2023.
[19] Paolo Galiano e Massimo Vigna, Il tempo di Roma, Roma 2013.
[20] Segnaliamo su Apollo il fondamentale testo di Jean Gagé, Apollon romain: essai sur le culte d'Apollon et le developpement du “ritus Graecus” á Rome des origines á Auguste, Paris 1955. L’Autore studia il passaggio dall’Apollo medico all’Apollo della vittoria fino all’Apollo della pace augustea, tesi sulla quale ci troviamo in linea di massima concordi. Sembra prevalere nell’impostazione del Gagé una visione squisitamente politica della storia della religione romana, per cui, ad esempio, l’utilizzo dei Carmina Marciana, di cui diremo a proposito dei Ludi Apollinares, sarebbe stato un vero e proprio falso voluto dalla gens Marcia per sottolineare la propria discendenza da Anco Marcio a scopi politici.
[21] Macrobio, Sat. I, 17, 5–25.
[22] Carandini, La nascita di Roma, p. 418 nota 128.
[23] Ralph Lilley Turner, A comparative dictionary of the Indo-Aryans languages, London 1962-1966 (revisione 2006) p. 782 s. v. “sūˊra”.
[24] Lily Ross Taylor, Local cults in Etruria, Roma 1923 p. 90. Gabriella Giacomelli, La lingua falisca, Firenze 1963 p. 28 documenta sorex come titolo sacerdotale presente nelle iscrizioni funerarie di Falerii Novi. Gabriel Bakkum, The latin dialect of the ager faliscus, Amsterdam 2009 vol. I p. 33 ritiene sorex una parola falisca arcaica e desueta, forse collegabile ad un *sor-ag-s con significato di “sacerdote estrattore delle sorti” (p. 196), che si collegherebbe alla funzione mantica di Soranus pater.
[25] Servio, Ad Aen XI, 785. Bakkum, The latin dialect of the ager faliscus p. 331, ritiene che il termine hirpus derivi dal protosabellico *herpo, protoindoeuropeo *gherskuo (p. 98), da cui la possibile origine sabellica del gruppo degli Hirpi (a Roma si riscontra il gentilizio Hirpius, p. 265).
[26] Carlo Donà, Per le vie dell’altro mondo: l’animale guida e il mito del viaggio, Soveria Mannelli 2003 p. 54 nota 77.
[27] Plinio, Hist. nat. VII, 19.
[28] Bakkum, The latin dialect of the ager faliscus, p. 33.
[29] Servio, Ad Aen XI, 785.
[30] Mario Attilio Levi, Ercole e Roma, Roma 1997, p. 25.
[31] Ciro Nispi-Landi, Roma monumentale – Il Settimonzio sacro, Roma 1891, pp. 236–247: nel Foro Boario, scrive l’Autore, “si trovavano que’ famosi monumenti in ispecie l’Ara Massima, il simulacro nazionale, il bove, il sacello ed il tempio di Ercole; tutto lo spazio formava un templum, cioè ‘area inaugurata’ … era altresì il luogo più elegante e più ricercato: più elegante, perché frequentatissimo e attorniato da taberne di orefici, argentieri e negozianti di valori… e ricercato perché le case che vi si trovavano valevano a preferenza di altre posizioni”. Queste considerazioni rendono falsa l’opinione di chi ritiene che il Foro Boario fosse un semplice mercato di buoi: “[Queste] cose non potevano sopportare il sozzume del mercato dei bovi! Oh! ameni archeologi! chiappagranchi! ... Credettero che fosse il Foro mercato dei buoi, commisero un errore madornale, pronunziarono una solenne bugia, uno scerpellone … la deplorevole falsa asserzione è smentita non solo dalla vetustà e santità del luogo, dalla presenza del simulacro santo patrio del Bove, da cui Romolo parte e a cui torna per la delimitazione del territorio… ma smentito dai monumenti e da tutto quanto ho accennato testé, dai sacrifici per placare le anime sdegnate dei padri o Mani, dai prodigi avvenuti e dalla dimora di nobili persone”, tra cui il fratello di Cicerone, che spese una fortuna per comprare la casa in questo posto.
[32] Dumézil, La religione romana arcaica, p. 381.
[33] Filippo Coarelli, Il Foro Boario – Dalle origini alla fine della Repubblica, Roma 1988, p. 107.
[34] Macrobio, Saturnalia III, 12, 5.
[35] Plinio, Nat Hist XXXIV, 33.
[36] Livio, Hist. V, 13: “I Duumviri addetti al sacro placarono nel modo più fastoso Apollo, Latona e Diana, Ercole, Mercurio e Nettuno con il primo lectisternium eseguito nell’Urbe, della durata di otto giorni. Questo fu celebrato anche in modo privato”. Gli Dèi nominati da Livio sono tutti precedenti l’introduzione di Juppiter, Juno e Minerva al vertice del pantheon romano, i quali compaiono nel rito del lectisternium solo nel 217 a.C. dopo la sconfitta al lago Trasimeno nella guerra contro Annibale, rito da cui Ercole è escluso (Livio, Hist. XXII, 10: “A cura dei Decemviri sacrorum vennero offerti per tre giorni i lectisternia: si prepararono sei letti, uno per Juppiter e Juno, il secondo per Neptunus e Minerva, il terzo per Mars e Venus, il quarto per Apollo e Diana, il quinto per Volcanus e Vesta, il sesto per Mercurius e Ceres”).
[37] Si veda: https://www.museoetru.it/etru-a-casa-aiser/gennaio-e-il-dio-culsans, consultato 21/03/24).
[38] Camese per Macrobio è di sesso maschile, mentre per molti autori latini è una regina, divenuta successivamente moglie di Janus.
[39] Macrobio, Sat. I, 7, 19.
[40] Georges Dumézil, Jupiter Mars Quirinus, Torino 1955, ritiene che “la sua figura bifronte può essere l’utilizzazione accidentale di un tipo plastico mediterraneo” (p. 341); non vi sono nelle tradizioni indoeuropee figure di Dèi bicipiti, salvo la Dèa Aditi la quale è detta “dai due volti” perché è posta all’inizio e alla fine di ogni sacrificio (Georges Dumézil, La religione romana arcaica, Milano 1977, p. 293).
[41] Macrobio, Saturnalia I, 9, 11: “Janus da ire, perché il mondo va sempre muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna”. Prima dell’affermarsi di questa tesi etimologica, Janus era fatto derivare da una radice *dei, *dia con significato di “brillare”, da cui sarebbero derivati (D)ianus, Di(vi)ana-Diana, tesi successivamente rigettata per motivi etimologici (Nuccio D’Anna, Il Dio Giano, Scandiano 1992, p. 23) e che si basava su di una affermazione di Nigidio Figulo riportata da Macrobio, Saturnalia I, 9, 8: “Nigidio dichiarò espressamente che Apollo è Giano e Diana è Giana, cioè Iana divenne Diana per l'aggiunta della lettera d che spesso viene premessa alla i per eufonia”.
[42] Così Varrone secondo la citazione di Agostino in De civ Dèi VII, 9.
[43] Marco Baistrocchi, Arcana Urbis, considerazioni su alcuni rituali arcaici di Roma, Genova 1987, p. 190; per il complesso argomento del significato di Giano e del suo rapporto con Vesta rimandiamo ad un’attenta lettura del capitolo V del testo di Baistrocchi pp. 188–248 e a Paolo Galiano, Il Fuoco di Vesta, Roma 2011.
[44] Ovidio, Fasti I, vv. 111-112.
[45] Macrobio, Saturnalia I, 9, 9–10.
[46] Roma conosce molte e differenti espressioni del “potere femminile” a dimostrare, se ce ne fosse la necessità, come la sua religione ben sapesse che maschile e femminile sono due forme di espressione dell’unica Realtà superiore, che non possono prevaricare l’una sull’altra degenerando in uno stupido maschilismo o femminismo, deteriori e soprattutto inutili.
[47] Sono conosciuti a Tivoli i Saliares di Ercole, ma Ercole non è una divinità del commercio, come affermano gli autori moderni, ma un Dio guerriero come Marte. Scrive infatti Macrobio: “Tale Dio anche presso i Pontefici è identificato con Marte” (Saturnalia III, 12, 5).
[48] Nancy de Grummond, Thunder versus Lightning in Etruria, in “Etruscan Studies”, 19, 2 (2016), pp. 183-207.
[49] Charlton Lewis, Charles Short, A Latin dictionary, Oxford 1879, sub voce.
[50] Frammento 2 del Carmen Saliare: “Cume tonas, Leucesie, prae tet tremonti / quot ibet etinei deis cum tonarem”. Il testo, scritto in latino arcaico risalente almeno al IV sec. a.C., può essere approssimativamente così tradotto: “Quando tuoni, o Luminoso, davanti a te tremano / tutti gli Dèi che lassù ti hanno sentito tuonare”.
[51] Dumézil, Jupiter Mars Quirinus, p. 194.
[52] Ancora oggi la maggior parte degli Autori considera Marte una divinità agricola, pregiudizio al quale già si era opposto Dumézil in particolare in Jupiter Mars Quirinus.
[53] Per alcuni Saturno è un Dio non degli Aborigeni ma dei Siculi: Giuseppe Brex, Saturnia Tellus, Roma 1944 p. 23, riporta l’etimologia stessa del nome dei Siculi alla sikala, il falcetto di Saturno.
[54] Guido di Nardo ne Il preistorico culto infero del Vulcano laziale, Velletri 1942, p. 33 dà una particolare etimologia del nome: “Saturno (da Sat = il saturo, Ur = il fuoco), figlio del fuoco celeste Ur-an e di Vesta, il focolare terrestre” (carattere diritto nel testo).
[55] Per tale motivo Saturno era identificato con Sterculius o Stercutus, il cui nome deriva dallo “sterco” come concime per i campi.
[56] Varrone, De lingua latina V, 64.
[57] Macrobio, Saturnalia I, 7, 25.
[58] Macrobio, Saturnalia I, 7, 27.
[59] Il Carmen Saliare chiama Janus con l'appellativo di Consivius, a indicare che, come “seminatore”, egli rappresenta la causa prima della generazione.
[60] Che con Saturno abbia inizio la storia lo dimostrava secondo Macrobio, Saturnalia I, 8,4 la presenza delle statue di Tritoni sul frontone del suo tempio: “Sul frontone del tempio di Saturno furono posti dei Tritoni con trombe, perché dai suoi tempi ad oggi la storia è chiara e quasi parlante, mentre prima era muta, oscura e sconosciuta, come dimostrano le code dei Tritoni immerse nella terra e nascoste”. La connessione di Saturno con i Tritoni è per noi un ulteriore simbolo della sua attività ordinatrice sulla creazione, raffigurata nel dominio del Dio sulle Acque simbolo della potenzialità generatrice; per questo i Romani lo consideravano il più grande degli Dèi, come scrive Macrobio, Saturnalia I, 7, 16: “Voi Romani celebrate Saturno con grandissimo onore, forse più di tutti gli altri dèi”.
[61] Aulo Gellio, Noctes atticae XIII, 23, 2. Così ne scrive Dumézil, La religione romana arcaica, p. 347: “Anteriori ai libri dei Pontefici, tanto antiche che il loro significato risulta talvolta incerto, sono le Entità femminili che le ‘comprecationes Deum immortalium, quae ritu romano fiunt’ congiungono a numerose divinità importanti, delle quali esse esprimono, sotto un certo aspetto, una fondamentale modalità d’intervento [quella che noi chiamiamo “qualità”]: ‘Lua Saturni, Salacia Neptuni, Hora et Virites Quirini, Maia Volcani, Herie Junonis, Moles et Nerio Martis’. Il medesimo processo si nota anche nel rituale umbro di Iguvium (Tursa Çerfia)”.
[62] Tito Livio, Hist. VIII, 1: “Il Console Gaio Plauzio [sconfitti i Volsci] … diede le armi dei nemici a Lua Mater”.
[63] Ricordiamo che nei Saturnalia i servi prendevano il posto dei padroni ed era lecito il gioco d’azzardo, altrimenti severamente proibito per tutto il resto dell’anno.
[64] Varrone, De lingua latina, V, 10: “Non quod vincere velit Venus, sed vincire”.
[65] Dumézil, La religione romana arcaica, pp. 366–367.
[66] Dionigi d’Alicarnasso, Ant. Rom., VIII, 39, 2.
[67] Giacomo Devoto, Nomi di divinità etrusche III: Vertumno, in “Studi Etruschi” n° 14, 1940, pp. 275-280; Giorgio Ferri, Voltumna-Vertumnus, in Ou pan ephemeron. Scritti in memoria di Roberto Pretagostini (a cura di C. Braidotti, E. Dettori e W. Lanzillotta), vol. 2, Roma, Quasar, 2009 pp. 993-1009, p. 994.
[68] Così Ovidio.
[69] Properzio: “Non m'allieto d'un tempio d'avorio, / è sufficiente per me poter vedere il Foro romano… / Tronco d’acero ero, frettolosamente sgrossato con la roncola, / un povero Dio nell’amata Urbe già prima di Numa”.
[70] Sempre Properzio: “Sono chiamato il dio Vertumno per la deviazione del fiume; / oppure poiché v'è l'uso di recarmi i primi frutti al mutare delle stagioni, / credete che da qui derivi il culto del Dio Vertumno…/ Tu, menzognera fama, mi nuoci; il significato del mio nome è diverso: / credi soltanto al Dio che parla di se stesso. / La mia natura è adatta ad assumere tutte le forme”.
[71] In Daniel Harmon, Religion in the Latin Elegist, in Band 16/3. Teilband Religion (Heidentum: Römische Religion, Allgemeines [Forts.]), a cura di W. Haase, Berlin-Boston 1973, p. 1963.
[72] L’interessante etimo è stato proposto da Maurizio Bettini, Vertumnus: a God with no identity, in “I quaderni del Ramo d’Oro on-line” n° 3 (2010), pp. 320-33, p. 324.
[73] Orazio, Sat II, 7, 24-25.
[74] Queste osservazioni sono basate sul lavoro di Bettini, Vertumnus.
[75] Giacomo Devoto, Origini indoeuropee - Il lessico indoeuropeo, Firenze 1962, Tabelle, n° 441.
[76] Giulio Giannelli, Il sacerdozio delle Vestali romane, Firenze 1913, p. 27 e nota 6. Non ostante sia stato scritto ormai più di un secolo fa, il testo di Giannelli rimane molto interessante per il copioso materiale in esso contenuto.
[77] Giannelli, Il sacerdozio delle Vestali romane, p. 13 nota 1.
[78] Carandini, La nascita, p. 518.
[79] Ovidio, Fasti, VI 295-296; Esse diu stultus Vestae simulacri putavi / mox didici curvo nulla subesse tholo.
[80] Baistrocchi, Arcana Urbis, p. 190; per il complesso argomento del significato di Giano e del suo rapporto con Vesta rimandiamo ad un’attenta lettura del capitolo V del testo di Baistrocchi Il fuoco sacro: Giano e Vesta pp. 188-248. Vedi anche Dumézil, Jupiter Mars, Quirinus, pp. 342-349.
[81] Dumézil riporta tra le altre conferme della sua asserzione la serie delle divinità invocate nelle preghiere degli Atti dei Fratelli Arvali, alcuni passi di Ovidio e di Cicerone ed altre possibili concordanze, per cui si rimanda al luogo citato.
[82] Notiamo come curiosità linguistica che la trasposizione del nome del Dio in quello del monte che erutta lava avviene in Italia nel Quattrocento e la prima citazione della parola “vulcano” nel significato attuale la si ritrova nella Hypnerotomachia Polyphili di Francesco Colonna del 1499, in cui il termine viene riferito all’Etna: “lo insaziabile vulcano Ethna” (Hypnerotomachia Poliphili, a cura di M. Ariani e M. Gabriele, Milano 1998, tomo I p. 437).
[83] Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi, lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà, Milano 1977, p. 133 nota 27.
[84] Terenzio Varrone, De lingua latina V, 10: “Ignis a gnascendo, quod huic nascitur et omne quod nascitur ignis succendit; ideo calet ut qui denascitur cum amittit ac friges. Ab ignis iam maiore vi ac violentia Vulcano dictus. Ab eo quod ignis propter splendorem fulget, fulgur et fulmen, et fulguritum quod fulmine ictum”.
[85] Walter Skeat, An etymological Dictionary of the English Language, Oxford 1888, s.v. “Volcano”.
[86] Come scrive Varrone, De lingua latina V, 10, 74, l’altare di Tito Tazio era dedicato a Summanus e a Vulcano: “Sono di lingua sabina le are votate e dedicate a Roma da Tito Tazio: come dicono gli annali, le votò a Ops, Flora, Vediovis e Saturnus, Sol, Luna, Vulcano e Summanus, Larunda, Terminus, Quirinus, Vortumno, Lares e Diana Lucina”.
[87] Filippo Coarelli, Il Foro Romano, Roma 1983, vol. I Periodo arcaico, pp. 161–178.
[88] Si veda ad es. Livio, Hist. I, 37: “Tarquinio mandò a Roma bottino e prigionieri [i Sabini sconfitti] e, dato fuoco alle spoglie nemiche secondo il voto che aveva fatto a Vulcano, continuò a spingere l’esercito nel territorio sabino”.
[89] Dumézil, La religione romana arcaica, pp. 284–285.
[90] Franco Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Firenze 1981, p. 55.
[91] Festo: “Questo tipo di piccoli pesci veniva dato al Dio in sostituzione di anime umane”; vedi anche Giulio Vaccai, Le feste di Roma antica, Roma 1986 (Roma 19271). p. 172 e nota 1, Dario Sabbatucci, La religione di Roma antica, Milano 1988, p. 199. Le parole di Festo circa l’offerta a Vulcano nel rituale privato di piccoli pesci in cambio di esseri umani potrebbe interpretarsi come sostituzione di sacrifici umani fatti al Dio per scongiurare i tremendi effetti distruttivi delle eruzioni (le vittime a lui destinate dovevano essere offerte in olocausto, cioè bruciate completamente, a differenza di quanto accadeva nel consueto sacrificio offerto agli altri Dèi).
[92] La complessità della figura di Vulcano è tale che consigliamo per una visione più completa Paolo Galiano, Vulcano, il Fuoco generatore, Roma 2023.