L’Uomo Rosso e il Rinascimento arcaico - I parte (di A. Bonifacio)

L’Uomo Rosso e il Rinascimento arcaico

(Al nativo il dio Pan non ha mai smesso di parlare)

Antonio Bonifacio

 

Parte prima

Nell’Eden perduto del cuore umano cresce un antico albero della conoscenza. Fino a ora, la mente non ha raccolto da esso che pochi frutti fatti cadere dal vento (Fiona Mc Leon).

L’uomo rosso chi è costui? È questa una domanda cui si può rispondere in molteplici modi ma, per sintetizzare il tutto con un’espressione, si può affermare che l’uomo rosso è quel tipo umano che non ha subito gli effetti catastrofici della morte del Dio Pan e quindi è l’uomo che è in grado di sentire il mondo (inteso come cosmos) cardiacamente e che sa “aprire” l’occhio del cuore, laddove per l’uomo bianco v’è solo silenzio e morte perché questi ha reificato il mondo. L’uomo rosso può definirsi come colui che, con sintomatica espressione, vive -e quindi esperisce – la realtà degli “universi multipli” la cui porta d’accesso è, da tempo, sbarrata ai più.

L’uomo rosso “crede perché conosce” in quanto il suo hardware spirituale è rimasto sempre attivo

Afferma Lame Deer, uomo medicina sioux: “Piangere per una visione, questo è l’inizio di tutta religione. La sete di un sogno dall’alto, senza di esso non sei niente. Questo io credo. Come i profeti della bibbia, come Gesù che digiunò nel deserto e ottenne la sue visioni. Come la nostra ricerca della visione sioux, l’hanbleceya. Gli uomini bianchi questo l’hanno dimenticato. Dio non parla più a loro da un cespuglio in fiamme. Se lo facesse, non ci crederebbero, e la chiamerebbero fantascienza.

E ancora

I nostri vecchi profeti andavano nel deserto a piangere per un sogno e il deserto glielo dava. Ma gli uomini bianchi di oggi hanno fatto un deserto della propria religione e un deserto entro se stessi. Il deserto dell’uomo bianco è un luogo senza sogni e senza vita. Non ci cresce nulla. Ma lo spirito dell’acqua è sempre presente, in profondità, pronto a far tornare verde il deserto (Lame Deer 1970, in R. Erdoes, 28).

La lunga pena dell’uomo rosso merita d’essere narrata, sia pure in somma sintesi, perché, nonostante il quasi genocidio subito dalle popolazioni native, i pellebianca non sono riusciti a cambiare davvero nel profondo la natura dell’”uomo rosso” e, altresì, nonostante l’inquisizione feroce che l’autorità laica ha scatenato in perfetto accordo con quella religiosa (le chiese cristiane) fin alla metà - e oltre- dello scorso secolo, ebbene in questi ultimi decenni c’è stata una ripresa tradizionale di cui lo stesso Guénon, in un suo lontano scritto, coglieva compiaciuto le avvisaglie.

Al nativo il dio Pan non ha mai smesso di parlare e questo può essere considerato in sintesi il radicale discrimine che separa un tipo umano da un altro, quasi una razza da un’altra e la “razza  rossa” è quella che vive spiritualmente grazie alla circostanza di possedere il “tesoro nascosto” di una percezione scaturente da  “sensi spirituali” ancora attivi che consentono una “visione” sinestetica dell’universo, così come connaturata è la possibilità di udire la voce degli “dèi” (spiriti) soccorrevoli, con cui il pellerossa non ha mai smesso di dialogare, dèi (aspetti dell’Uno) che svelano la loro presenza anche attraverso teofanie di animali selvaggi, colmi di potere che si palesano sia privatamente che nei riti collettivi. Tutta la natura, empiricamente percepibile, è un mondo di ombre simboliche che una volta interpretate guidano l’”Adamo rosso” alla comprensione del “Vero” . Al contatto dei sensi sottili la realtà si “spietrifica”, e rivela la sua abbagliante sacralità offrendo all’esperiente il frutto della conoscenza non duale:

Siamo tutti fratelli! 

Archie Lame Deer avalla questa interpretazione dal momento che questi, oltre a trovare sicuri paralleli delle sue “esperienze spirituali” con le popolazioni americane native, si è sorpreso nel constatare, durante un viaggio in Europa, le profonde similitudini simboliche che legano le antiche culture preistoriche europee al mondo dei Sioux Lakota, perforando così una barriera temporale che procede all’indietro dal 10.000 a. C. fino ai millenni antecedenti. Si vuole con l’occasione, ricordare come gli animali ritratti nelle caverne europee sono stati considerati qualificati con quali “indicatori metafisici” (Pier Luigi Zoccatelli), al fine di sottrarre la loro presenza nei santuari rupestri a qualsiasi tentativo di riduzione utilitaristica in davvero singolare similitudine con la concezione degli Indiani del nord America.[1] Proprio nel mondo delle caverne si riscontra quella straordinaria fluidità del cosmos che concepisce la possibilità di una traslazione tra mondo umano e mondo animale, o, per meglio dire, tra forma umana forma animale, “sembianti” occasionali che sono come vestiti da indossare a seconda delle circostanze, come al contempo mostra come la concezione della temporalità e della spazialità sia soltanto il frutto di una autolimitazione metafisica alla “Possibilità”.

 

Le premesse del genocidio

È un miracolo se siamo ancora qui. Siamo i discendenti di un popolo sopravvissuto a un tentato genocidio – la perdita delle vite dei nostri antenati, la cancellazione della nostra spiritualità, della cultura, delle terre e delle risorse naturali… tutto per una percezione distorta della superiorità occidentale e un auto-dichiarato diritto divino a dominare altri popoli. Siamo dolorosamente consapevoli che non si può permettere alla storia di ripetersi.

(Cheryl Andrews-Maltais, Aquinnah Wampanoag, avvocato di origine nativa)

In questo sintetico cahier de doléance è contenuto tutto il senso di questo capitolo dedicato al più efferato genocidio della storia del quale si ricordano episodicamente solo i brandelli senza che se ne commemori lo sconvolgente quadro d’insieme frutto di una visione insieme teologica e ideologica. In cinque secoli difatti si cambiò il volto naturale e umano d’un intero continente dall’area artica settentrionale a quella antartica meridionale

L’invasione europea ha difatti riguardato l’intera Isola Tartaruga e in questo immenso territorio si è proceduto all’accurato espianto di tutto ciò che ostacolava l’innesto dei coloni in funzione del retroterra cultural-religioso di cui erano portatori i medesimi il che ha determinato un approccio necessariamente relazionato alla difformità delle popolazioni incontrate e al “portato” dei colonizzatori.

Al centro e nel sud America fiorivano difatti grandiose civiltà urbane che trovano una delle massime espressioni nelle capitale messicana dell’impero azteco Tenochtitlán (oggi città del Messico), mentre la parte settentrionale del continente non conosceva grandi concentrazioni urbane, ma etnie prevalentemente nomadi, o seminomadi, (ma anche stanziali come i Pueblo) i cui componenti si aggregavano in tribù o, addirittura, in bande.

Nonostante le differenze sinteticamente enunciate il trattamento riservato agli aborigeni fu “democraticamente” il medesimo.

In ogni caso è bene ricordare che:

- La parte meridionale del continente è stata conquistata dalle truppe spagnole cui immediatamente dopo sono seguiti dei coloni, in genere uomini singoli, soldati e avventurieri senza il seguito delle famiglie

Questo uomini non hanno mai lavorato ma hanno fatto lavorare duramente, nelle condizioni che si vedranno, la popolazione locale

I nuovi venuti poi si sono accoppiati con le donne locali irregolarmente (stupri) o “regolarmente” (matrimonio) e ciò ha determinato un forte disequilibrio etnico e un diffuso meticciato.

Lo scopo della conquista era duplice: la ricerca ossessiva dell’oro, bramosamente cercato da Colombo per contribuire alla lotta contro gli Infedeli, e la propagazione della fede cristiana (cattolica).

- La colonizzazione settentrionale (USA Canada) aveva invece carattere “familiare” i primi coloni cercavano la libertà religiosa che la madrepatria nord europea ostacolava. Gli stessi coloni erano comunque lavoratori che volevano trasformare l’Eden primigenio in una fonte di ricchezza per loro e per le famigle con cui avevano compito la traversata.

La statua della libertà (la menzogna di cartapesta)

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Fig. 1

Statua della libertà, “La Libertà che illumina il mondo” (in inglese Liberty Enlightening the World, in francese La Liberté éclairant le monde) in una rappresentazione artistica nel giorno della sua inaugurazione

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:EdwardMoran-UnveilingTheStatueofLiberty1886Large.jpg  immagine libera)

 

È singolare che circa un secolo e mezzo fa si erigesse una statua (inaugurata nel 1886) di tale imponenza e di tale nome mentre di lì a poco si sarebbero sterminati inermi indiani a Wounded Knee (1890) con dei cannoncini mitragliatori ponendo così praticamente fine alle “guerre indiane”. La statua, che ha retrostanti diverse ispirazioni artistiche, celebra l’evento cardine della storia americana ossia la propria indipendenza dall’Inghilterra e il quasi completamento della perseguita sostituzione etnica, dal momento che, posta nel porto, invita tutto il mondo a traslocare in un altro continente come se questo fosse ormai “vuoto”, senza più occupanti.

Paradossalmente nella costituzione americana è proclamato il “diritto alla felicità” ma questo diritto è stato tolto ai nativi che pur si proclamavano “felici” di vivere nella loro condizione di apparente selvatichezza e non nutrivano alcuna ammirazione per l’apparato ideologico con cui si presentavano i nuovi venuti. Stiamo quindi parlando di una “nazione” che ha finalizzato la propria Costituzione al “diritto alla felicità” e che per farla raggiungere dai suoi cittadini non ha esitato a tentare il genocidio degli aborigeni quali ostacolatori alla concretizzazione del predetto diritto.

Questi passaggi stigmatizzano il paradosso:

“Avete detto di volerci mandare in una riserva, per costruirci case e ospedali. Non li voglio. Sono nato nella prateria dove il vento soffiava libero, e dove non c'era nulla che spezzasse la luce del sole. Sono nato dove non esistevano confini, e dove tutto respirava libero. Voglio morire lì, e non all'interno di mura. Conosco ogni ruscello e bosco dal Rio Grande all'Arkansas. Ho cacciato e vissuto nella prateria. Ho vissuto come i miei antenati, e come loro, ho vissuto felicemente”.

(discorso di Dieci Orsi alla Conferenza di Medicine Lodge)

Così come da questa riflessione tratta dal Discorso di Capo Seathl il cui autore sottolinea come l'attaccamento ai luoghi fosse talmente innestato nell'animo indiano da poter proseguire dal mondo delle ombre anche dopo la sua dipartita.

Si legga questo passaggio:

 "I giovani, le madri, e le fanciulle, i bimbi che qui vissero e furono felici, amano ancora questi luoghi solitari. E a sera le foreste s'oscurano, tanta è la presenza di questi morti. Quando l'ultimo uomo rosso sarà scomparso da questa terra, e tra i bianchi il suo ricordo sarà soltanto una storia, queste rive continueranno a essere gremite dagli invisibili morti della mia gente". (William Arrowsmith: 2018, 373)  

Non possiamo omettere dal segnalare in questa breve rassegna l’iraconda riflessione del valoroso capo indiano Tecumseh, che, dopo aver assistito alla distruzione di molte tribù nel suo territorio, incoraggiava accoratamente, in un memorabile contraddittorio, William Henry Harrison "governatore" degli intrusi a lasciare il campo e lo faceva con queste parole:

“Signore, sei libero di tornare al tuo paese. [...] una volta, sino agli ultimi tempi, l'uomo bianco non c'era in questo continente. Esso apparteneva interamente all'uomo rosso, figlio di genitori, pure rossi, collocati su di esso dal Grande Spirito che li aveva creati, per mantenerlo, traversarlo, godere dei suoi prodotti e riempirlo con la stessa razza. Una razza felice, una volta”.

Per finire  uno degli aforismi attribuiti a Tatanka Yotanka (Toro seduto[2]):

"Per voi uomini bianchi il Paradiso è in cielo; per noi il Paradiso è la Terra. Quando ci avete rubato la Terra ci avete rubato il Paradiso".

Questa sottolineatura arricchisce il nostro scritto di ulteriori significati, magari involontari, dal momento chi richiama la dimensione edenica in cui l’uomo fu creato con l’argilla rossa paradisiaca e mostra altresì la convinzione dell’autoctonia dei pellerossa in luogo della teoria di un’antica migrazione paleolitica. Il rapporto amicale con gli animali prolunga convincentemente questo parallelismo.

La statua della libertà è il monumento con cui l'America presenta se stessa. Essa è la soglia d’ingresso al sogno americano, il biglietto da visita in cui troneggia il più caro dei concetti che un essere vivente possa accarezzare: quello di libertà. Ma rovesciando il biglietto da visita cosa possiamo leggere al retro?

Questo:

Guarda lo smog! Guarda quelle piccole formiche che corrono dappertutto laggiù Sono persone! La statua della libertà! Ne parlano sempre. Ma guarda dalla parte sbagliata Volta le spalle al signore indiano: Dice all’uomo bianco dall’altra parte dell’Oceano; Venite a rubare un altro poco di terra indiana” (Lame Deer a New York in cima al Rockfeller Center in R. Erdoes, 79).

America meridionale

È da porsi preliminarmente una domanda. Posto che l’argomento di questo intervento dovrebbe essere confinato all’America settentrionale è legittimo associare il nostro tema principale, ovvero il destino funesto toccato all’Uomo Rosso, con la precedente Conquista della parte meridionale del continente americano? Noi pensiamo di sì anche in relazione a un ricordo personale. Lo scrivente, da semplice discente, ai tempi dell’università fu invitato a partecipare a un incontro con una rappresentanza dei nativi americani (vestiti nei loro abiti tradizionali) i cui membri, con molta ironia e rovesciando la posizione osservatore- osservato, hanno in quella sede sottolineato come la radice del male delle loro disgrazie sia comunque da ricondursi all’incauto vagabondare di Cristoforo Colombo nell’Oceano Atlantico. Questa circostanza rende legittimo occuparsi di questo fondamentale e controverso personaggio storico la cui azione, determinata dall’ideologia assolutamente condivisa ai suoi tempi, ha denominato gli effetti che si leggono in basso.

“Il viaggio di Cristoforo Colombo verso occidente, apre alla conquista europea del Nuovo Mondo, cioè al più grande genocidio di cui si abbia memoria storica”

 Si diceva dell’ideologia assolutamente allora dominante in rapporto all’occupazione di nuovi territori che può essere condensata nel famigerato Diritto di scoperta con cui si legittimava l’annessione alla Corona di terre sconosciute anche se queste erano occupate da altre popolazioni.

   

Diritto di scoperta nelle bolle pontificie precedenti lo sbarco

Alcuni studiosi hanno sostenuto che la base della suddetta “dottrina” si trova in diversi documenti papali, come le Bolle Dum Diversas (1452)[3], Romanus Pontifex (1455)[4] e Inter Caetera (1493), in quanto con esse si sarebbe giustificata la presa di possesso  delle nuove terre sottomesse al dominio degli europei. Delle prime due si riportano in nota i passaggi salienti mentre della bolla Inter Caetera si parlerà appena in appresso.

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Fig. 2

Atteggiamento di Colombo allo sbarco che mostra l’esercizio del “diritto di scoperta”.

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Columbus_Taking_Possession.jpg (pubblico dominio)

Dopo questa premessa non ci sorprende che già all’esordio della lettera che il celebre navigatore inviò alla Corona spagnola, si trovasse scritto: ”Di tutte quelle terre ho preso possesso in nome delle Vostre Altezze, per proclamazione e mostrando lo stendardo reale, e nessuno ha sollevato obiezioni” ecc. (Stannard: 127).

Atteggiamento di Cristoforo Colombo (Cristobal Colon) verso i Nativi

A mano a mano che Colombo prendeva cognizione della autoriforme realtà Indigena egli, per successivi slittamenti ideologici, passerà dalla possibilità dell’assimilazionismo dei nativi, che presupponeva un’eguaglianza di principio, alla visione schiavista, cioè all’affermazione dell’inferiorità degli indiani. Lo si può già intravedere da qualche sommario giudizio formulato fin dai primi contatti e trascritti nei suoi diari. “Questi uomini devono essere dei buoni servitori e di intelligenza vivace, poiché vedo che imparano molto presto tutto quel che dico loro” (11 ottobre 1492). “Sono anche disposti a farsi guidare” (16 dicembre 1492). Per restare coerente con se stesso, Colombo introduce delle sottili distinzioni fra indiani innocenti, potenzialmente cristiani, e indiani idolatri che praticano il cannibalismo; fra indiani pacifici (che si sottomettono al suo potere) e indiani bellicosi, che meritano di essere puniti. Ma l’importante è che quelli che non sono già cristiani non possano essere altro che schiavi: una terza via non esiste. Egli ritiene opportuno, quindi, che le navi che trasportano bestie da soma nella direzione Europa-America siano riempite di schiavi nel viaggio di ritorno, per evitare che ritornino vuote (in attesa di trovare oro in quantità sufficiente).

L’equivalenza implicitamente istituita fra uomini e bestie non doveva essere gratuita: “I trasportatori potrebbero essere pagati in schiavi cannibali, feroci ma robusti, ben fatti e di buona intelligenza, i quali, strappati alla loro condizione disumana, possono essere – io credo – i migliori schiavi del mondo” (Memoria per Antonio de Torres, 30 gennaio 1494).

. I sovrani spagnoli non accettano però questo suggerimento di Colombo: preferiscono avere dei vassalli, non degli schiavi; dei sudditi in grado di pagare imposte, non degli esseri che appartengono a terze persone. Tuttavia Colombo non rinuncia al suo progetto, e scrive ancora nel settembre 1498: “Di qui sarebbe possibile inviare, nel nome della Santissima Trinità, un buon numero di schiavi da mettere in vendita, insieme a un carico di brasile [una qualità di legno]. Se le informazioni di cui dispongo sono buone, mi risulta che sarebbe possibile vendere quattromila schiavi, per un valore di venti milioni e più” (Lettera ai sovrani, settembre 1498). Tutto ciò può trovare perfetta sintesi nella considerazione sottostante

“L’evangelizzazione di infedeli che non hanno mai conosciuto la rivelazione rappresenta la prima giustificazione ideologica della conquista e la potente motivazione per contestarne le modalità, che si risolvono nella disumanizzazione dei nativi: “Estos no son hombres?” chiedono i frati predicatori .” (Massimo Livi Bacci)

Può essere curioso constatare come la lettera del nostro terziario francescano, dove si insiste sulle qualità schiavili connaturate negli indigeni sia datata settembre 1498, e non esista alcun cenno alla proibizione della schiavitù contenuta nel documento papale abrogazionista del 1462, che è successivo alla Bolla Romanus Pontifex.

In ogni caso il “diritto” esclusivo degli Spagnoli di prendere possesso del nuovo mondo si ratificava con una un bolla papale che con una riga divideva l’orbe terracqueo nel duopolio Spagna Portogallo.

Pertanto, ed è questo l’aspetto rilevante, era il Pontefice romano che stabiliva la ripartizione delle terre, attraverso un potere che gli sarebbe derivato dalla famigerata Donazione di Costantino.

1351 3 Spain and Portugal

Fig. 3

La “riga” di Alessandro VI (Inter Caetera, 1493) e il suo spostamento dopo il Trattato di Tordesillas del 1494 (vedi Fig. 5) dopo le rimostranze del Re del Portogallo.

1351 4 bisCantinoPla00nisphere

Fig. 4

Planisfero (o carta) di Cantino (XVI), che mostra la riga di separazione tra le due potenze dopo l’acquisizione dell’area.

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:CantinoPlanisphere.png (pubblico dominio)

1351 5 Iberian mare clausum claims

Fig. 5

Duopolio mondiale tra Spagna e Portogallo.

(autore: Nagihuin, “Iberian 'mare clausum' claims from 1479 to 1790”; licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Trattato di Tordesillas, 1494

Il Trattato di Tordesillas (in portoghese: Tratado de Tordesillas, venne firmato a Tordesillas, in Castiglia, il 7 giugno 1494. Il trattato, modificando il meridiano di riferimento di Alessandro VI di qualche grado (370 leghe [1770 km]  a ovest delle Isole di Capo Verde al largo della costa del Senegal - nell'Africa occidentale, corrispondenti approssimativamente a 46° 37'), consolidò così la divisione del mondo al di fuori dell'Europa in un duopolio esclusivo tra l'Impero spagnolo e l'Impero portoghese. Le terre a est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e quelle a ovest alla Spagna. Il trattato venne ratificato dalla Spagna il 2 luglio, e dal Portogallo il 5 settembre 1494. [5]

Stabilito, in parte, il fondamento giuridico della legittimità spagnola sui nuovi territori i coloni ebbero mano libera sui nativi che, agli occhi degli spagnoli, non avevano diritti. Della crudeltà commesse nei primi lustri ben si accorsero i domenicani e in una celebre predica di uno di questi fu lanciato un guanto di sfida al sistema oppressivo e rapace che si stava rapidamente consolidando in quelle nuove terre.

La predicazione di Antonio De Montesinos e Pedro de Cordoba a Santo Domingo il 21 Dicembre del 1511

“Ditemi per quale diritto voi tenete questi indiani in una schiavitù così crudele e orribile? Con quale autorità avete condotto guerre così riprovevoli contro questi popoli che vivevano tranquilli e in pace sulle loro terre? Guerre nelle quali avete eliminato un numero infinito di loro con omicidi e stragi inaudite. Perché li tenete così oppressi e senza forze, senza dargli abbastanza da mangiare o curarli per le malattie in cui incorrono per il troppo lavoro a cui li sottoponete ed essi muoiono o meglio voi li uccidete allo scopo di estrarre e procurarvi oro ogni giorno”. (Omelia di Antonio De Montesinos del 1511[6])

La predica non è stata conservata, ma si è possesso solo di un estratto di essa che, più tardi, Fra Bartolomeo de Las Casas incorporerà nella sua opera sulla Storia delle Indie, dove si legge questa frase sconsolata:
“Arrivò domenica e all'ora per la predicazione, don Antonio de Montesinos si alzò sul pulpito e prese come tema della predica, scritta e firmata da tutti gli altri fratelli, "Ego sum vox clamantis in deserto". (e questo la dice lunga sul clima sfavorevole che circondava la protesta domenicana).
 
Bartolomeo de las Casas e le “leggende nere”

Questo longevo e instancabile predicatore (1543-1550), assunto progressivamente alla carica vescovile (a Chiapas), fu, con pochi altri, il solertissimo difensore dell’umanità degli Indios, messa ripetutamente in discussione. Le relazioni di questo implacabile denunciatore dei soprusi che si consumavano sotto i suoi occhi, unita alla sua attività di frenetico pubblicista raggiunsero tali vertici di orrore da sembrare inverosimili anche per la perdita, da parte di Las Casas, di parte della documentazione a suffragio, motivo che fece a lui attribuire la paternità della “leggenda nera” della repressione spagnola. Nella edizione di Treccani del 1933 a proposto di Las Casas si può leggere questo passaggio:


Scrisse in questa occasione il suo famoso libro Brevisima relación de la destruyción de las Indias, (pubblicato poi nel 1552 e tradotto in varie lingue europee) che doveva destare una così profonda impressione, e - senza che l'autore vi pensasse - doveva anche essere sfruttato da alcune nazioni come una documentazione delle atrocità della conquista spagnola: in realtà non vi mancano esagerazioni (come la valutazione a 20 milioni del numero degl'indigeni trucidati, o certi episodî come quello dell'uso dei conquistatori di farsi accompagnare nelle loro spedizioni da torme di schiavi che dovevano servire di cibo ai cani da guerra), là dove il L. C. riferisce per aver sentito dire da altri.
Come si diceva la spaventosità di questi numeri ha determinato la coniazione della famosa locuzione “leggenda nera” che sarebbe stata appiccicata artificiosamente ai conquistadores spagnoli per sottolineare la loro indicibile crudeltà e s’immagina che tale supposta esagerazione sarebbe stata sfruttata per scopi politici. D’altronde tale è l’opinione che permea certi ambienti come risulta da alcune consultazioni personali private sul tema, concorrendo l’adesione a questo modello a concretare un’opposta visione assolutoria denominata leggenda bianca. In realtà ricerche e documenti più recenti sembrano confermare in toto quanto sostenuto dalla narrazione lascasiana in quanto alcuni storici odierni sono riusciti, con metodi scientificamente ingegnosi di conteggio, a stimare, con notevole verosimiglianza, il numero degli abitanti del continente americano alla vigilia della conquista, per confrontarla a quella che vi si trovava cinquanta o cento anni più tardi, secondo i censimenti spagnoli. Nessuna seria contestazione ha potuto essere mossa contro queste cifre, e coloro che ancora oggi continuano a rifiutarle, lo fanno semplicemente perché, se la cosa fosse vera, sarebbe molto urtante. Infatti queste cifre dànno ragione a Las Casas: non perché le sue stime siano attendibili, ma perché le cifre da lui indicate sono del medesimo ordine di grandezza di quelle oggi stabilite. Senza entrar troppo nei particolari, e per dare soltanto un’idea globale del fenomeno (anche se non si ha certo il diritto di arrotondare le cifre, quando si tratta di vite umane), si può ritenere che nel 1500 la popolazione del globo fosse dell’ordine di 400 milioni di abitanti, 80 dei quali residenti in America. Verso la metà del XVI secolo, di questi 80 milioni ne restano 10. Limitando il discorso al Messico, alla vigilia della conquista la popolazione era di circa 25 milioni di abitanti; nel 1600 era ridotta a 1 milione. Se c’è un caso in cui si può parlare, senza tema di smentita, di genocidio, ebbene il caso è proprio questo. Si tratta di un record, non solo in termini relativi (una ecatombe dell’ordine del 90 per cento e più degli aborigeni), ma anche in termini assoluti, perché la popolazione del globo venne diminuita di 70 milioni di esseri umani. Nessuno dei grandi massacri del xx secolo può essere paragonato a questa ecatombe. È FACILE CAPIRE, ALLORA, QUANTO SIANO STATI VANI GLI SFORZI DI CERTI AUTORI I QUALI CERCANO DI SFATARE QUELLA CHE FU CHIAMATA “LEGGENDA NERA”, che mette a fuoco la responsabilità della Spagna in quel genocidio e ne offusca in tal modo la reputazione. Il nero esiste, anche se non c’è nulla di leggendario. Non che gli spagnoli siano peggiori di altri colonizzatori; si dà solo il caso che l’America, in quel momento, sia occupata da loro, e che nessun altro colonizzatore abbia avuto occasione, prima o dopo, di far perire tanta gente in una sola volta. Gli inglesi e i francesi, in quella stessa epoca, non si comportano diversamente; ma la loro espansione non avviene alla medesima scala, e i guasti da loro provocati non hanno, quindi, le medesime catastrofiche caratteristiche (considerazioni tratte da T. Todorov: La Conquista dell’America, p. 234)
Ritorniamo quindi alla fonte annotando che Bartolomeo de la Casas formula il suo terribile atto d’accusa rivolto ai correligionari (e non specificamente agli spagnoli) esprimendosi con queste parole:

Consideriamo un conteggio certo e veritiero che siano morte nei quarant’anni considerati per queste TIRANNIE INFERNALI PER OPERA DEI CRISTIANI INGIUSTAMENTE E TIRANNICAMENTE, più DI DODICI MILIONI DI ANIME UOMINI DONNE E BAMBINI”. Brano cui poi aggiunge: “e in verità io credo senza pensare di sbagliarmi che furono più di quindici milioni  (brano citato in  Massimo Livi Bacci Conquista la distruzione degli Indios americani, p. 40, si noti che il vescovo non parla di 20 milioni come sembra erroneamente citare la Treccani).
Si tenga conto che parlare di “milioni di morti” all’epoca era persino più drammatico dei tempi nostri in relazione alla popolazione vivente allora. Questa affermazione trova sostegno negli studi demografici più recenti che sono riportati nel medesimo contesto come ad esempio il successivo.


Ma non è il solo Las Casas a denunciare la terribile condizione dei Nativi e la loro rapida estinzione. Un altro autore Toribio de Bonavente Motolinia, evangelizzatore francescano, pur se acerrimo avversario del Las Casas, nella sua  Historia de los Indios de Nuova Espana 1540-1550 (p. 35 Bacci e p. 38) si spende per dimostrare, operando un significativo parallelo con l’episodio biblico  (le dieci piaghe d’Egitto), l’indifferenza dei conquistadores verso la vita della popolazione locale il cui sterminio avvenne attraverso una elencazione di nequizie tra loro inanellate detta delle “dieci piaghe”. Una di esse è significativamente quella relativa alla distruzione della magnifica capitale azteca i cui templi furono demoliti per essere sostituiti con edifici ecclesiali. In queste operazioni di demolizione e costruzione morirono e si inabilitarono un numero impressionante di nativi.

Il vertiginoso depauperamento della popolazione locale costrinse, anche su suggerimento (purtroppo!) di Las Casas, a ricorrere a una schiavitù d’importazione, ovvero a utilizzare gli schiavi neri dall’Africa che dovevano rimpiazzare la mano d’opera mancante a causa della violenta opera di sfruttamento degli indios. A proposito di ciò Las Casas faceva leva sul fatti che gli schiavi negri erano molto più robusti dei locali come ci riporta questo passaggio della medesima Treccani:  “Al L. C. fu fatta colpa d'aver proposto, per impedire l'indebolimento e la fatale scomparsa della razza, la sostituzione del lavoro dei negri, più robusti e resistenti, onde si volle vedere in lui il primo responsabile della tratta: accusa ingiusta, perché il commercio dei negri esisteva sin dai primi tempi della conquista, e quello del L. C. fu, se mai, un adattamento per attenuare un male più grave”.

Al di là della buona fede di Las Casas, ciò che rileva ancora un volta, come per Cristoforo Colombo, è la presenza della corticalizzata concezione “aristotelica”  in  ordine alla fondamentale giustezza della condizione schiavile cui sarebbero connaturatamene destinati certi gruppi umani (i “negri”: forse perché discendenti del biblico Cam).

In ogni caso, benché più robusti dei locali, i “negri” nelle piantagioni di cotone morivano anch’essi come mosche a causa della durezza del lavoro, è questo un altrettanto odioso capitolo che non riguarda le presenti note. 

Un’altra “leggenda bianca” da sfatare è quella del “non impiego” dei cani da combattimento. Essi, difatti, sotto certi aspetti divennero più importanti dei cavalli per esercitare un vero e proprio dominio terroristico su quelle terre. Gli spagnoli avevano a disposizione due tipologie canine: i ferocissimi mastini condotti in battaglia con tanto di armatura protettiva, e, per l’inseguimento degli schiavi fuggitivi, i velocissimi levrieri inglesi (i greyhound). Entrambe le razze non erano autoctone e quindi gli esemplari erano importati in gran copia dall’Europa. Diversi cani sono “passati alla storia” per la loro abilità e implacabilità in combattimento. In definitiva “I Cani della Conquista”, il cui impiego era già stato lungamente sperimentato in Europa, ebbero un ruolo determinante non solo per piegare la resistenza dei nativi ma anche come “dissuasori terroristicici” preventivi (del tipo colpirne uno per educarne 100). Per inciso nel recente film di Quentin Tarantino, Django, c’è una scena in cui si vede come i proprietari terrieri utilizzavano i mastini nella caccia ai fuggitivi.[7]

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Fig.  6

Copertina del libro di John Grier e Jeannette J Varne Dogs of Conquest. David D, Stannard ha molto utilizzato questa fonte nel suo libro denuncia  Olocausto americano

(https://www.amazon.it/Dogs-Conquest-Grier-Jeannette-Varner/dp/0806117931)

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Fig. 7

Theodore de Bry: I cani di Vasco de Nunez attaccano gli Indiani (senza data incerta)

(da: https://www.copia-di-arte.com/a/bry-theodore-de/thedogsofvasconunezdebalb.html)

 

 

Le leggi di Burgos, 1512

Queste leggi, nate su impulso de Las Casas, avrebbero dovuto migliorare le condizioni degli indigeni in quanto con esse si introducono due istituti giuridici asseritamente protettivi. il primo dei due è il Requerimiento che era stato immaginato come un escamotage per proteggere “teologicamente” la monarchia spagnola da possibili contestazioni “divine”. Difatti quando ormai la conquista nel Nuovo Mondo era avviata, alcuni teologi avevano affermato che spogliare i nativi americani delle loro terre senza avviso, né diritto legale, avrebbe messo in pericolo la salvezza eterna dei re spagnoli. Il Requerimiento venne elaborato dai giuristi proprio come soluzione a questo problema, alla luce della dottrina scolastica della "Guerra giusta" [8]: scritto per essere letto di fronte ai nemici prima che cominciasse la battaglia, il documento dava loro l'opportunità di sottomettersi pacificamente all'autorità legittima dei re di Castiglia e Aragona. La ribellione a questa opportunità sarebbe stata una "giusta causa" per una guerra contro di loro: se i nativi non accettavano l'autorità reale, sarebbero stati colpevoli “delle morti e dei danni che da ciò seguiranno”.

Sul Requerimiento, fra Bartolomé de Las Casas disse:

È una presa in giro della verità e della giustizia, un grande insulto alla nostra fede cristiana, alla pietà e alla carità di Gesù Cristo, e non ha alcuna legalità”.[9]

L’istituto dell’encomienda[10] trapiantato nel nuovo mondo costituiva in realtà un mero travestimento della schiavitù e per la sua coloniale convenienza fu largamente impiegato nelle terre conquistate tanto da divenire un diritto ereditario, una sorta di servitù della gleba di quest’epoca.

Le  Leggi nuove

Malgrado tutti i suoi fallimenti riformisti l’instabile Las Casas continuò a insistere nella protezione degli indigeni e nel 1542 riuscì nel suo intento e vennero pubblicate le Leggi Nuove che proibirono la schiavizzazione degli indigeni e abolirono l'ereditarietà dell'encomienda, che doveva scomparire alla morte degli encomenderos. Ma i risultati non  furono quelli auspicati. La promulgazione delle Leggi Nuove causò difatti un'insurrezione dei coloni del Perù (comandata da Gonzalo Pizarro), che arrivarono ad eliminare il viceré Blasco Núñez Vela che tentava di farle applicare. Nella corte spagnola si diffuse l'allarme e Carlo V si convinse che eliminare l'encomienda significasse rovinare economicamente la colonizzazione: così il 20 ottobre 1545 venne abrogato l'articolo 30 delle Leggi Nuove, in cui si proibiva l'encomienda ereditaria. Come ai nostri tempi il sistema di sfruttamento era ormai inesorabilmente avviato e non poteva essere fermato.[11]

Disputa di Valladolid, 1550-1551

Malgrado il tempo trascorso nella nuova patria restava ancora indeterminata agli occhi dei conquistadores la natura degli indios e quindi si dibatteva se essi fossero umani, semiumani o bestiali e da questa determinazione sarebbero scaturite conseguenze importati anzi fondamentali. A seguito di ciò, sempre per l’incessante insistenza di Las Casas, fu convocata la Giunta di Valladolid, in cui si affrontarono le posizioni di Bartolomeo de Las Casas e Juan Ginés de Sepúlveda  assolutamente ostile a ogni idea di assimilazionismo in quanto questi rifiutava di attribuire natura umana ai nativi definendoli Homuncoli nati per servire e invocava nei loro confronti una “guerra santa” riproponendo l’interpretazione tomistica dell’istituto (Luca Baccelli: 2016; 57,58). Il vescovo vinse dialetticamente sull’umanista e da allora la legislazione coloniale spagnola tentò di migliorare la condizione degli indigeni in America. Tuttavia il danno era ormai fatto le culture locali erano state cancellate o si erano “sincretizzate”, le proprietà delle terre passate di mano e quindi, a conclusione, può dirsi che l’incontro dei cristiani europei con popolazioni radicalmente “altre” si risolse sì in una conversione al cattolicesimo ma fu una conversione ottenuta coercitivamente dopo aver depredato, assoggettato e sfruttato e ridotto alla fame i popoli sottomessi, destino che toccherà in egual misura ai nativi nord americani che tuttavia scamperanno dalla completa omogeneizzazione grazie al fortissimo carisma di alcuni dei suoi “uomini sacri” come si vedrà nella seconda parte.

NOTE

[1] A parti invertite Il noto ricercatore e pioniere degli studi e della pratica sciamanica in Occidente Michael Harner, ha avuto un’esperienza sinestetica confrontabile con quella narrata da Lame Deer in Europa. Ciò è accaduto in una grotta situata nella valle di Shenandoah in Virginia dove ha avvertito la presenza, sempre più ravvicinata, di cavalli e bisonti lanciati al galoppo, animali, soprattutto il bisonte, che è autoctono delle grandi pianure statunitensi e fulcro della locale esperienza religiosa. La similitudine con le rappresentazioni dinamiche, spesso “cinematografiche” (Marc Azema: 2011), dell’arte franco cantabrica sono evidenti (cfr. M. Harner: Caverne et cosmos, pp. 37-43).

[2] Peroncini e Colombo, autori del volume Al dio degli Inglesi non credere mai, ci ricordano che Il nome di Tatanka Yotanka (lo sgangherato e surreale Sitting Bull degli angloamericani) ovvero correttamente "Bisonte che si siede", stava a indicare un essere saggio e quasi soprannaturale che aveva preso residenza presso di loro. Altro che Toro seduto! Del resto Archi Lame Deer descriveva la lingua inglese come di un linguaggio secco come la polvere.

 

[3]Niccolò V, Dum diversas, 1452:

“Noi, rafforzati dall'amore divino, spinti dalla carità cristiana, e costretti dagli obblighi nel nostro ufficio pastorale, desideriamo, come si conviene, incoraggiare ciò che è pertinente all'integrità e alla crescita della Fede, per la quale Cristo, nostro Dio, ha versato il suo sangue, e sostenere in questa santissima impresa il vigore delle anime di coloro che sono fedeli a noi e alla vostra Maestà Reale. Quindi, in forza dell’autorità apostolica, col contenuto di questa lettera, noi vi concediamo la piena e libera facoltà di catturare e soggiogare Saraceni e pagani, come pure altri non credenti e nemici di Cristo, chiunque essi siano e dovunque abitino; di prendere ogni tipo di beni, mobili o immobili, che si trovino in possesso di questi stessi Saraceni, pagani, non credenti e nemici di Cristo; di invadere e conquistare regni, ducati, contee, principati; come pure altri domini, terre, luoghi, villaggi, campi, possedimenti e beni di questo genere a qualunque re o principe essi appartengano e di ridurre in sudditanza i loro abitanti; di appropriarvi per sempre, per voi e i vostri successori, i re del Portogallo, dei regni, ducati, contee, principati; come pure altri domini, terre, luoghi, villaggi, campi, possedimenti e beni di questo genere, destinandoli a vostro uso e vantaggio, e a quelli dei vostri successori…”.

[4]Niccolò V, Romanus Pontifex, (1454):

Grazie all'appoggio dato dal sovrano portoghese Alfonso ad una crociata contro i Turchi che avevano occupato Costantinopoli (1453), il papa riconosce al re le conquiste fatte in terra africana, in Marocco (Ceuta, 1415) e lungo le coste del Golfo di Guinea. Inoltre il papa garantisce: il possesso dei mari adiacenti alle terre conquistate, il diritto esclusivo di commercio, pesca e navigazione, l'esenzione delle restrizioni imposte dalla Legge canonica sul commercio con gli Infedeli e infine (e soprattutto) il diritto di organizzare la gerarchia ecclesiastica nei nuovi territori. Quest'ultima concessione è importante perché da l'inizio al Patronato regio spagnolo, ossia al controllo statale sulla Chiesa cattolica nelle terre di missione.

Nella bolla infine Niccolò V riconosce al sovrano portoghese anche la schiavitù dei "Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo" d'Africa, sottomessi ai colonizzatori portoghesi o in seguito all'occupazione o in virtù della stipula di contratti d'acquisto. In un passo della bolla il Papa accerta l'esistenza di un mercato degli schiavi già esistente:

“Per molti anni fu condotta la guerra contro i popoli di questi luoghi in nome del re Alfonso e dell'Infante (Enrico il Navigatore) e durante la lotta numerose isole vicine furono sottomesse ed occupate pacificamente; esse sono ancora in loro possesso, insieme al mare vicino [le acque navigabili]. Da allora anche molti abitanti della Guinea ed altri negri furono catturati con la violenza, mentre altri erano ottenuti con lo scambio di articoli non proibiti, o con altri contratti legali d'acquisto, e furono mandati nel regno suddetto. Di questi un gran numero era stato convertito alla Fede Cattolica e si può sperare, con l'aiuto della misericordia Divina, che se viene continuato fra loro un progresso di tal genere, pure quei popoli verranno convertiti alla Fede, o almeno verranno acquistate a Dio le anime di molti di loro.”

In un secondo passo ne restringe l'esercizio riservandolo contro i nemici della fede cattolica:

“Perciò noi, […], poiché abbiamo concesso precedentemente con altre lettere nostre - tra le altre cose - piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano "e gli altri nemici di Cristo"..., ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua e di occupare, appropriarsi e volgere ad uso e profitto proprio e dei loro successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possedimenti e beni, in conseguenza della garanzia data dalla suddetta concessione il re Alfonso o il detto Infante a suo nome hanno legalmente e legittimamente occupato le isole, terre, porti ed acque e le hanno possedute e le posseggono, ed esse appartengono e sono proprietà de iure del medesimo re Alfonso e dei suoi successori; […] possano compiere e compiano questa pia e nobilissima opera, degna di essere ricordata in ogni tempo, che noi, essendo da essi favorita la salvezza delle anime, il diffondersi della Fede e la sconfitta dei suoi nemici, consideriamo un compito, che concerne Dio stesso, la sua Fede, e la Chiesa Universale – con tanta maggior perfezione, in quanto, rimosso ogni ostacolo, diverranno consapevoli di esser fortificati dai più grandi favori e privilegi concessi da noi e dalla Sede Apostolica.” (da Wikipedia)

Come si vede Il contenuto del documento è affine alla precedente bolla Dum Diversas (16 giugno 1452), dove veniva ancora esortata la colonizzazione ad opera dei portoghesi e la riduzione in schiavitù. Tuttavia, il documento è in contrasto con l'abolizionismo ribadito in numerosi atti papali emessi nel 1434, 1462, 1537, 1591, 1639, 1741, 1839, 1888, 1890, 1912

[5]Gli originali di entrambi i trattati sono conservati presso l'Archivio General de Indias a Siviglia in Spagna e presso l'Archivio nazionale Torre do Tombo a Lisbona in Portogallo.] Nel 2007 l'UNESCO ha inserito il testo del Trattato nell'Elenco delle Memorie del mondo.

[6]In it.wikipedia.org/wiki/antonio_de_montesinos#cite_note

[7] Il primo resoconto scritto di cani da guerra proviene da una fonte classica riguardante Alyattes, re di Lidia.  Si dice che i cani da guerra abbiano attaccato e ucciso gli invasori in una battaglia contro i Cimmeri intorno al 600 a.C. Cristoforo Colombo fu il primo ad usare i cani come armi nel Nuovo Mondo.  Li liberò sugli indigeni di Hispaniola nel 1493 e per disperdere i gruppi che erano venuti per fermare il suo sbarco in Giamaica nel 1494. Ma fu la battaglia di Vega Real nel 1495 che risvegliò Colombo al potenziale che i cani avevano come armi, utilizzandoli nel 1493 contro gli indigeni di Hispaniola. 

.  Il 27 marzo 1495, Colombo e suo fratello Bartolomeo marciarono nell'entroterra di Hispaniola con 200 uomini, 20 cavalieri e 20 mastini spagnoli per combattere i nativi, che si opponevano al dominio spagnolo.  Le forze erano guidate dal conquistatore spagnolo Alonso de Ojeda, che aveva imparato l'arte di usare i cani da guerra nelle battaglie contro i Mori di Granada. Del resto in un breve lasso di tempo furono importati migliaia di cani proprio per la loro micidiale efficacia negli scontri.

[8]La dottrina cristiane parrebbe, almeno all’apparenza, inconciliabile con il combattimento, nonostante un passato non propriamente pacifista. Esiste difatti una prolungata “teoresi teologica” (che si potrebbe far scaturire da Sant’Agostino, passando per San Tommaso, San Bernardo e Francisco de Vitoria, uno dei fondatori riconosciuti del diritto internazionale) che riconosce la liceità della guerra dai parte dei cristiani subordinandola a certe (variabili) condizioni. Un discorso a parte andrebbe fatto per Gines de Sepulveda, umanista influentissimo ai tempi suoi, che scrive a proposito della repressione contro gli indios “che la guerra contro gli indiani è guerra santa in quanto punisce le iniuriae fatte a Dio” (L. Baccelli:2016,58).

[9]Formula del requerimiento.

Di impronta fortemente cattolica ed imperialista, il Requerimiento cominciava con una breve storia dell'umanità, culminante con la nascita di Gesù Cristo, che avrebbe trasmesso poi il proprio potere universale a san Pietro e da lui ai suoi successori (ai quali si riconosce la superiorità del potere spirituale e temporale, e quindi una responsabilità per la salvezza delle anime), uno dei quali, all'epoca papa Alessandro VI, aveva donato il continente americano ai portoghesi e agli spagnoli (Trattato di Tordesillas, 1494), verso i quali si richiedeva la totale sottomissione da parte degli indigeni. In caso di rifiuto o assenza di risposta (eventualità che si ripeteva più spesso), il Requerimiento rappresentava una vera e propria dichiarazione di guerra, giustificata secondo i criteri della dottrina della guerra giusta. Il Requerimiento venne usato per la prima volta da Pedro Arias Dávila a Panama ed entrò in disuso già nel 1525.

“A questo san Pietro fu tributata l'obbedienza e il rispetto come a signore, re e superiore dell’universo da quelli che vivevano in quel tempo, e così fecero nei confronti degli altri che dopo di lui furono eletti al pontificato, e così si è continuato fino ad ora, e si continuerà finché finisca il mondo. Uno dei pontefici passati che al posto di questo successe in quella dignità e sede che ho detto, in quanto signore del mondo fece dono di queste isole e terraferma del mare Oceano ai detti re e regina e ai loro successori in questi regni, con tutto ciò che c’è in essi, come è contenuto in certi scritti che furono stabiliti su ciò, come è stato detto, che potrete vedere se vorrete. Così le loro maestà sono re e signori di queste isole e terraferma in virtù della suddetta donazione; e alcune altre isole e quasi tutte cui questo è stato notificato hanno ricevuto le loro maestà come tali re e signori, e li hanno serviti e li servono come devono fare dei sudditi, e con buona volontà e senza alcuna resistenza, e poi senza dilazione, appena furono informati delle cose suddette, obbedirono e ricevettero gli uomini religiosi che le Loro Altezze inviavano loro perché predicassero e insegnassero la nostra santa Fede, e tutti loro, di loro libera e spontanea volontà, senza alcun premio né condizione, sono diventati cristiani e continuano ad esserlo, e le Loro Maestà li ricevettero lietamente e benignamente, e comandarono di trattarli esattamente come gli altri sudditi e vassalli; e voi siete tenuti e obbligati a fare la stessa cosa Quindi, come meglio possiamo, vi preghiamo e vi chiediamo che intendiate bene ciò che vi abbiamo detto, e che per intenderlo e deliberarvi vi prendiate il tempo che fosse giusto, e riconosciate la Chiesa come signora e entità suprema dell’universo, e il sommo Pontefice - chiamato papa - in suo nome, e il re e la regina donna Giovanna, nostri signori, in suo luogo, come superiori e re di queste isole e terraferma, in virtù della suddetta donazione, e che consentiate e diate modo che questi padri religiosi vi dichiarino e predichino il suddetto. Se farete questo, e tutto ciò cui voi siete tenuti e obbligati, farete bene, e le Loro Altezze e noi in loro nome vi riceveremo con tutto l’amore e la carità, e vi lasceremo le vostre mogli e i vostri figli, e le fattorie libere e senza vincolo di servitù, perché di queste e di voi stessi voi facciate liberamente quello che vogliate e riteniate bene: non vi obbligheremo a farvi cristiani, se non nel caso che voi, informati della verità, vogliate convertirvi alla nostra santa Fede cattolica, come hanno fatto quasi tutti gli abitanti delle altre isole, e oltre a ciò le Loro Maestà vi concederanno privilegi ed esenzioni, e vi faranno molti doni. Ma se voi non faceste ciò, o in ciò voi interponeste maliziosamente delle dilazioni, vi faccio sapere che con l’aiuto di Dio noi interverremo potentemente contro di voi, e vi faremo guerra da tutte le parti e i modi che potremo, e vi assoggetteremo al giogo e all'obbedienza della Chiesa e delle Loro Maestà, e prenderemo le vostre persone, e le vostre mogli e i vostri figli e li faremo schiavi, e come tali li venderemo e disporremo di loro come le Loro Maestà comanderanno, e vi prenderemo i vostri beni, e vi faremo tutti i mali e i danni che potremo, come si fanno ai vassalli che non obbediscono né vogliono ricevere i propri signori e oppongono loro resistenza e disobbedienza; e dichiariamo che le morti e i danni che faranno seguito a ciò saranno attribuiti alla vostra colpa e non alle Loro Maestà, né a noi, ne a questi signori che vengono con noi.” (Il brano iniziale è tratto dalla relativa voce di Wikipedia parzialmente rielaborata, il virgolettato è uno stralcio della bolla) 

[10]A partire dal XVI secolo (Leggi di Burgos del 1512 e Leggi nuove del 1542) fu uno strumento di colonizzazione adottato dagli spagnoli durante la conquista dell'America del Sud e delle Filippine. In America, questa istituzione, pur mutuando la sua organizzazione dalla istituzione europea, dovette adattarsi ad una situazione molto differente e presentò problemi e controversie che non si erano presentati nel sistema della encomiendas della Spagna medievale.

L'encomienda coloniale consisteva nell'affidare a degli encomenderos spagnoli determinati territori abitati con "in dotazione" un gruppo di indigeni, che dovevano essere colonizzati e cristianizzati. L'encomienda fu quindi un'istituzione che permise di consolidare la colonizzazione dei nuovi territori, attraverso l'assoggettamento fisico, morale e religioso delle popolazioni precolombiane.

Sebbene gli spagnoli accettassero il fatto che gli indigeni fossero esseri umani (la questione della presenza dell'anima negli indigeni fu sottoposta da Carlo V al giudizio della giunta di Valladolid, che ne riconobbe l'effettiva sostanza dopo tante dispute), pensavano che, come i bambini, non fossero responsabili delle loro azioni e per tanto dovessero essere encomendati dagli encomenderos. Questa usanza servì anche a giustificare la sottomissione degli Indios.

In breve gli encomenderos, avendo avuto assoluta libertà di governo, cominciarono ad abusare dei loro encomendados, facendoli lavorare in modo disumano. I tributi (che potevano essere metalli o beni di genere alimentare come mais, pesce, carne) erano raccolti dal capo della comunità coloniale locale. L'encomendero rimaneva sempre in contatto con la sua encomienda, ma risiedeva in città.

L'encomienda fu un modo per ricompensare coloro che si erano distinti per i loro servizi e favorire l'insediamento di popolazione spagnola nelle terre appena conquistate. All'inizio il titolo di encomendero era personale e non trasferibile, ma con il tempo la trasmissione del titolo divenne ereditaria. (da Wikipedia)

[11]Le Leggi Nuove si possono riassumere in questi principi:

  • Garantire la conservazione del governo e il buon trattamento degli indigeni;
  • Divieto di schiavizzare gli indigeni per qualsiasi ragione;
  • Liberazione degli schiavi, se non si dimostravano delle ragioni giuridiche in senso contrario;
  • Gli indigeni non dovevano essere costretti a fare da caricatori contro la loro volontà o senza un salario adeguato;
  • Non potevano essere portati in regioni remote con la scusa della raccolta delle perle;
  • Gli ufficiali reali, ordini religiosi, ospedali e confraternite non avevano diritto all'encomienda;
  • Il possesso delle terre dato ai primi conquistadores doveva cessare totalmente alla loro morte, senza che nessuno potesse ereditarne la detenzione e il dominio.

 

L’Uomo Rosso e il Rinascimento arcaico - II parte (di A. Bonifacio)

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