L’Uomo Rosso e il Rinascimento arcaico - II parte (di A. Bonifacio)

L’Uomo Rosso e il Rinascimento arcaico

(Al nativo il dio Pan non ha mai smesso di parlare)

Antonio Bonifacio

 

Parte seconda

America settentrionale

Lo sbarco dei padri pellegrini (3° sbarco in America settentrionale)

Anche se si trattò del terzo approdo di migranti inglesi sbarcati nell’occasione a capo Cod in America settentrionale il 19 novembre 1620, dopo due mesi di navigazione; questo giorno è considerato fondativo di quella nazione che poi prese il nome di Stati uniti d’America, tanto che la sua commemorazione di quella circostanza costituisce la più importante e sentita festa nazionale.

Tuttavia non tutti gli statunitensi la pensano così:    

Celebrare il viaggio dei pellegrini significa celebrare il colonialismo e il genocidio. Non c'è dubbio che l'arrivo dei pellegrini abbia provocato una tragedia, e quindi ci chiediamo: come dovremmo ricordare l'evento?  Per molti membri della Nazione wampanoag è una ricorrenza da compiangere non da celebrare. La percezione pubblica della storia è importante. Modella la nostra retorica il modo in cui si parla di quello che è accaduto. È fondamentale che la nostra storia sia ascoltata, ma senza cancellare ulteriormente la nostra sopravvivenza e resilienza. Dobbiamo raccontare le barriere che abbiamo superato e i grandi successi che abbiamo ottenuto, nonostante la tragedia.

(Samantha Maltais, membro della tribù Aquinnah di Wampanoag, avvocato)

1353 8 The First Thanksgiving Jean Louis Gerome Ferris

Fig. 8


Primo “Giorno del Ringraziamento”
 “Fratelli, quando i bianchi misero piede per la prima volta sulle nostre terre, avevano fame, non avevano posto su cui stendere la coperta o accendere il fuoco, erano deboli, non sapevano far niente da soli. I nostri padri ebbero compassione della loro pena e divisero con loro, senza contropartita, tutto quanto il Grande Spirito aveva donato ai suoi figli rossi. Dettero loro cibo, quando avevano fame, medicamenti, quando erano ammalati, stesero pelli per farli dormire, e diedero terreni, così che potessero cacciare e far crescere il grano. Fratelli, i bianchi sono come serpenti velenosi: al freddo sono deboli ed innocui, ma rinvigoriteli col calore e pungeranno a morte i loro benefattori. I bianchi arrivarono tra noi deboli ed ora che li abbiamo resi forti, ci vogliono ammazzare o spingere indietro come farebbero con lupi e puma. Fratelli, i bianchi non sono amici degli indiani: all'inizio chiedevano solo un pezzetto di terra sufficiente per una casa, oggi nulla li soddisferà se non i nostri interi territori di caccia, dal luogo in cui sorge il sole a quello in cui tramonta”. (Tecumseh, capotribù degli Shawnee)
 (Jean Louis Gerome Ferris: Primo giorno del ringraziamento,).
  https://commons.wikimedia.org/wiki/File:The_First_Thanksgiving_Jean_Louis_Gerome Wikimedia, pubblico dominio). 

Genocidio

"Vennero con la Bibbia in una mano e con la pistola nell'altra. Dapprima rubarono l'oro. Poi rubarono la terra. Quindi rubarono anime"

(Commento a una pittografia navajo che raffigura l’arrivo dei preti a cavallo)

Proprio dalle parole di Samantha Maltais, prendiamo spunto per un puntuale commento dei suoi scanditi passaggi esaminandoli uno alla volta.

Il genocidio dei popoli dell’America settentrionale non fu conseguenza diretta delle impossibili condizioni di vita in cui furono costretti gli autoctoni una volta schiavizzati, perché schiavitù a quelle latitudini non vi fu, né la conseguenza di malattie infettive diffuse (ciò solo in parte in quanto si praticò anche questo tipo di infettazione degli indigeni), semmai fu l’alcol a decimare i nativi dal momento che questi non hanno enzimi che ne riducano l’azione tossica e, insieme a ciò,, elementi di dissoluzione, più vicini ai nostri tempi, sono le droghe e il diabete.

Dal momento che, come si vedrà subito in appresso, il termine genocidio va a coprire un vasto campo di comportamenti ostili, anzi omicidiari, ebbene, quando si esamineranno le singole fattispecie del “poliedro genocidio”, si vedrà quale aspetti della vita nativa si tendeva a colpire e ciò al fine di tagliare definitivamente quel ponte che, attraverso la “visione”, negava all’uomo indiano la possibilità di vedere la realtà in divinis, secondo le sue intatte capacità, spirituali rendendolo così ontologicamente mutilo.  

L’eliminazione degli abitanti del continente Tartaruga, anche attraverso il denunciato “furto” delle loro anime, avvenne a “tenaglia” con una serie di provvedimenti legislativi e si cruente azioni belliche intercorsi nel tempo e che adesso si esamineranno in una serie di brevi ed essenziali paragrafi.

-Le guerre indiane, spesso solo massacri, come Sand Creew, Wounded Knee, Minnesota, etc. che di “battaglia” avevano solo la “decorazione”.

A tal proposito è opportuno mettere in evidenza questo passaggio per mostrare la spietatezza con cui il governo americano di allora intendeva procedere alla soluzione del problema indiano:

"Dobbiamo agire contro i Sioux con assoluto impegno vendicativo, anche sino al loro sterminio; uomini, donne e bambini. Niente di meno drastico potrà risolvere alla radice il problema". (Ulisses S. Grant) 

Tutto questo fu mascherato da Hollywood fin da tempi prossimi alla contemporaneità, con i mezzi propri della principale fonte di manipolazione messa in piedi per l’occasione. La città del cinema più che fabbrica dei sogni fu, piuttosto, fabbrica delle menzogne, e si adoperò attraverso la costruzione di una accurata mitologia cinematografica per confortare e giustificare l’ideologia suprematista dei pellebianca.

Il regista Robert Altman ha ironicamente smascherato questo meccanismo nel suo film Buffalo Bill e gli indiani del 1976. Si tratta di un progetto cinematografico volto alla la demitizzazione del più popolare eroe western realizzato dal regista nel 1976 che è così presentato dall’autore:

Come tutti i miti della storia in ogni epoca; sistema, a cosa servono i miti? A celare, giustificare, a fornire verità ufficiali. Muovendosi verso ovest, cavalcando i propri interessi, i pionieri avevano un solo obiettivo: far fuori gli occupanti di quelle terre. Tuttavia alle loro famiglie cosa raccontavano? Assalti, massacri, tradimenti? No! Insomma Buffalo Bill è uno che sa stare a cavallo e sparare come tutti ai suoi tempi, ed una volta scritturato come attore, bello, biondo ed americano, costruendogli addosso il mito risulta semplice. Buffalo Bill è la prima star del sistema: da un lato perfetto, dall'altro la rappresentazione degli indiani stupratori, alcolizzati, scotennatori”. (Robert Altman)

 

1353 9 Sacheen Littlefeather Oscar 45

Fig. 9

 

Piccola Piuma (Marie Louise Cruz o Sacheen Littlefeather).

Piccola Piuma ha ricevuto solo "oggi" le scuse per il comportamento tenuto dalla sala in cui si assegnava il premio, trascorsi 50 anni del 27 marzo 1973 da quel famoso coup de theatre. Ciò è accaduto poco prima che lei morisse. In ogni caso la donna ebbe modo di così commentare la bizzarra vicenda: “Noi indiani siamo persone molto pazienti, sono passati appena 50 anni!”.

Così facendo non ha mancato di sottolineare che mantenere alto il senso dell’umorismo, in ogni circostanza, per i nativi è fondamentale, visto che questo atteggiamento li aiuta a sopravvivere.

(Sacheen Littlefeather alla cerimonia dell'Oscar 1973 legge il discorso di Marlon Brando, il quale aveva boicottato la cerimonia. Autore: Rick Browne, Los Angeles; Creative Commons Attribution 4.0 International license]

 

-Spostamenti forzati degli indiani dai loro abituali territori in condizioni meteorologiche avverse (“il sentiero delle lacrime”), vere e proprie deportazioni

-Assegnazioni di territori improduttivi ovvero quelli “scartati” dai coloni ed eliminazione attraverso la tecnica dell’holodomor (genocidio ucraino) privandoli d'ogni provvista, indebolendo la popolazione che così divenne preda di malattie epidemiche sconosciute o cui effetti furono amplificati dalla denutrizione.

 

-Sterilizzazione delle donne una procedura che traeva fonte dal diffusissimo libro dell’avvocato Madison Grant Il tramonto della grande razza 

 

-Epistemicidio (o genocidio culturale)

Enrico Comba ha sinteticamente così definito l’epistimicidio: “distruzione dei sistemi di conoscenza dei popoli nativi, mentre un altro ricercatore, Andy Philipps Zeballo, ha inteso rapportare questa pratica di rimozione della trasmissione culturale con l’affermarsi della cultura scientifica

"È la liquidazione di alcune forme dell’apprendere, creare e trasmettere, conoscenze – saperi comunitari, ancestrali o proprie di certe culture di vera natura in particolare dopo la nascita e l'uso del metodo scientifico come unico valido delle classi dominanti, trasformandosi quella in una sorta di garante della obiettività che ci protegge dalla soggettività dell'irrazionale".

Posto che il fulcro della conoscenza dei popoli del nord America si concentra nella “figura” dello sciamano o ”uomo medicina” il che vale a dire, molto approssimativamente, “uomo sacro”, è di tutta evidenza che attaccando questa figura, sminuendola, demonizzandola si fa cadere al suolo tutto il plurisecolare sistema di relazioni con l’alterità.

Così ne scrive Comba in questo passaggio: "i sistemi sciamanici sono "sistemi epistemici" forme di produzione di conoscenza che orientano l'interpretazione del mondo e l'agire degli uomini. Il ruolo che gli sciamani hanno nel fare da ponte, da connessione, tra le diverse categorie di esseri,  le esplorazioni che essi conducono negli spazi che si trovano al di là dei confini ordinari del mondo e della coscienza, li rendono depositari di un sapere che continuamente si rinnova e si arricchisce attraverso l'esperienza personale"(Enrico Comba: 2019, 241).[1]

È, detto in altre parole, come l’equivalente della teoria degli “universi multipli” proposta dallo psichiatra Tobie Nathan ma espressa nel lessico storico-religioso

Un notevole interprete delle tradizioni spirituali meso e sud americane, Federico Gonzales, ha ulteriormente ben esposto, almeno ad avviso di chi scrive, i contenuti della locuzione "universi multipli", così come sono vissute in quelle culture in questo passaggio: "Questi riti o sostanze sacre conducono inoltre alla catarsi attraverso una forma di limpiezza [lett. pulizia, limpidezza, liberare e purificare il paziente da ogni tipo di infermità anche spirituale] o purificazione - una morte e successiva resurrezione - prodotta dall'intensità della situazione, che promuove una rottura di livello, strappando il soggetto dal suo tempo e spazio abituali, per ubicarlo al centro di se stesso, che equivale all'esperienza di un'altra lettura della realtà, o di una realtà diversa, che appare ora come molto più certa e vera, come una verità interiormente verificabile, coesistente con l'immagine riflessa che ordinariamente si possiede intorno all'essere e al mondo" (F. Gonzales:1993, 85).

Proprio a tal proposito giunge propizio riprendere un aforisma proposto da Alessandro Martire, presente nelle prime pagine del suo libro Wakan Tanka il grande sacro, che evidenzia il carattere decadente della civiltà dei pellebianca, rispetto a quella indigena. Il passo così recita: "Voi credete che io abbia visioni perché sono un indigeno del continente della Tartaruga, che voi chiamate America, io ho visioni perché ci sono cose da vedere che voi bianchi non siete più in grado di vedere perché lontani dal vostro centro che è il centro della vita". (Martire: 2013, 31)

 

- Scuole residenziali

Il programma delle scuole residenziali è ben chiaro e di inequivocabile nettezza ed è condensato nelle parole di un fondatore delle stesse il capitano dell'esercito statunitense Richard Henry Pratt che qui si presentano le convinzioni: "Un grande generale ha detto che l'unico indiano buono è un indiano morto. In un certo senso mi trovo d'accordo con lui, ma solo su un punto che tutto ciò che vi è di indiano nella razza dovrebbe essere morto. Uccidete l'indiano che è in lui e salverete l'uomo" (cit. da G. Hancock: 2020, 377)

Identico trattamento di rieducazione fu riservato in Canada dal 1879 al 1970 a più di 150 mila bambini indigeni che furono portati via dalle loro famiglie e internati in scuole residenziali, a volte veri e propri gulag, in cui elevatissima era la mortalità a causa della durezza del “programma” di uccidere l’indiano nel bambino”.[2]

Tuttavia, per chiarire ulteriormente nel pratico in che cosa si traduca il termine epistemicidio si può prendere in considerazione l'esempio contenuto in questo passaggio: "Negli anni della soluzione finale del problema indiano, il tiyospaye (famiglia estesa) entrò nel collimatore del governo federale che in esso identificava, non a torto, uno degli ostacoli principali per la "pacificazione" e la neutralizzazione della nazione lakota. La famiglia estesa con i suoi formidabili legami di sangue di cultura e di storia, rappresenta infanti una cittadella fortificata pressoché inespugnabile dal progresso e dalla civilizzazione pellebianca.” (G. Peroncini, M. Colombo: 2017, 373).

Allo scopo, per legge (la legge Dawes del 1887), vennero ammessi al diritto di proprietà della terra non le tribù, le bande o le famiglie, bensì le coppie al fine di importare nella cultura sioux, come ebbe a dire un ministro degli Interni dell'epoca, quell'altrimenti sconosciuto ai nativi sentimento di "egoismo totale ... senza il quale sarebbe stato impossibile realizzare uno stadio di più "elevata civilizzazione". (Per dettagli sulla tiyospaye: ibidem, p. 375).

-Ierocidio (distruzione delle forme della sacralità indigena)
Presso di noi tutti gli uomini erano stati creati figli di Dio e stavano eretti perché consapevoli della propria natura divina” (Charles A, Estaman, L’anima dell’Indiano).
 
La sintesi di questo paragrafo la si ritrova condensata in un lucido brano di Jonh Collier, che così sintetizza il programma che presiedette la mentovata "soluzione finale" del problema indiano: "A cominciare dal 1870 circa, uno dei principali obiettivi degli Stati Uniti è stato quello di distruggere le società degli Indiani delle Pianure, distruggendone le loro religioni, e forse nel mondo non si è mai vista una persecuzione religiosa implacabile e portata a termine in modo così diversi. Le reazioni degli Indiani che hanno fatto seguito e si sono sviluppate in conseguenza di questa proibizione, cui era difficile resistere, costituiscono un commovente capitolo nella storia religiosa dell'umanità. L'attacco contro le religioni tribali ed intertribali era parte di un'offensiva immediata contro la terra e la società indiana. Quest'offensiva, compreso il suo aspetto religioso, venne estesa ben al di là della regione delle pianure, ma in nessun altra regione fu così intensa" (Collier 1947 [1975 :133], citato da E. Comba: 2012, 83; lo stesso brano in un altro testo, qui in bibliografia, V. Lanternari: 2003, 256).[3]

Idealmente a fianco Alla difesa della spiritualità indigena concorsero due altri personaggi di spicco che furono in qualche modo pionieri tra i pellebianca di una rimeditazione globale del giustificazionismo dei colonizzatori per i loro comportamenti. Stiamo parlando dell’antropologo James Monney e della scrittrice statunitense Helen Hunt Jackson, autrice di un formidabile atto d’accusa contro il sistema dal titolo Century of Dishonor (Un secolo di disonore).

Più di recente è da sottolineare che gli stessi Indiani, ormai perfettamente consci della loro specificità spirituale, hanno manifestato la loro diversità attraverso diversi portavoce che hanno controvertito le posizioni delle parti nel “campo di gioco”, Tra questi ricordiamo il nativo Russel Means, noto attore cinematografico,, che, difatti, in maniera intransigente, quale leader del Movimento di Liberazione degli Indiani (AIM), ha affermato: “Noi stiamo lottando, ed è molto importante che vi rendiate conto di questo fatto, perché abbiamo una società e una cultura molto diversa da quella della più grande società dell'emisfero occidentale. Noi abbiamo una religione, delle religioni, che sono completamente in contrasto con le religioni stabilite in questo paese, e questa difformità è palpabile perché i pellebianca "non hanno occhi e non hanno orecchie" a sottolineare quella che ai suoi occhi appare come una minorità ontologica, che si manifesta nell’incapacità di avere una visione dell’altrove in modalità sinestetica. Queste parole sono state pronunciate in un ficcante discorso tenuto al Washington Irving Auditorium il 6 aprile 1974. Tale intervento mostra in maniera evidente l'esistenza pressoché attuale di incomprese culture in grado di esperirsi in una molteplicità di universi (forse il Guénon, quale "interprete della tradizione", avrebbe parlato di “stati molteplici dell'essere”) [4]e che sono state offese e vilipese proprio a causa di questa loro obliata e incompresa specificità. [5]

Del resto l’orgoglio di appartenere a un’antica e pura razza non è frutto di una rimeditazione recente sulle proprie origini, da contrapporre all’arroganza razziale dei pellebianca, piuttosto essa è connaturata in questi nativi. Vediamo, a tal proposito, cosa scriveva Charles A. Eastman nel libro L’anima dell’indiano che risale al 1911: ”Egli desiderava diventare un degno anello tra le generazioni, così da non fiaccare con la propria debolezza quel vigore e quella purezza di sangue che una lunga successione di antenati aveva raggiunto a prezzo di molte rinunce”(:1983, 55) e poco dopo: ”La modestia personale veniva coltivata come una salvaguardia fin dai primi anni di vita , insieme a un rispetto di sé e a un orgoglio familiare e razziale molto forte(ibidem).

Come si vede il distacco tra i due mondi è assunto come totale, ogni compatibilità tra "loro" e "noi" è negata quasi "razzialmente", dichiarandosi i nativi appartenenti a una certa "razza dello spirito", ancor prima di ogni altra identificazione somatica che assume un valore del tutto secondario e riflesso (il che richiama, non poco, il pensiero di Julius Evola).[6]

Questa congenita, o subentrata, "deminutio capitis", rende inaccessibile all'esperienza della Realtà gli "occidentali" (in realtà “orientali” dal punto di vista geografico dei nativi americani). [7]

Tale "sordità", secondo Russel Means, discende esattamente dalla "costituzionale” natura nativa in quanto "il popolo indiano è un popolo legato alla spiritualità" ed è questo faro che funge da stella polare e guida gli Indiani anche nella vita politica, sociale ed economica, diversamente dai nuovi venuti che hanno "teologicamente" sciolto il legame con il Sé spirituale.

In conclusione "per essere un indiano bisogna possedere spiritualità", volendo esplicitamente affermare che i pellebianca, sebbene abbiano molte religioni, non sono intrinsecamente dotati di un'idonea "spiritualità" e non sanno procedere oltre il "credere", che è esteriore all'esperire e quindi al “conoscere”.

L'esperire spirituale, in un'ottica "iniziatica" (che ricordiamo è la trasmissione di un contenuto spirituale da un soggetto che lo possiede a un altro che ne è privo), è, sempre un evento trasmutativo e non certo un semplice stato d'animo fugacemente emotivo, né tanto meno un’adesione fideistica inavvertita esperienzialmente dal soggetto ricevente. La prospettata minorità dell'odierno "occidentale" deriverebbe da una irrimediabile diminuzione delle sue capacità "sottili", essendogli impedito ogni accesso all'esperienza diretta del sacro, ovvero ogni possibilità di trasformarsi in "essere sacro". [8] (il complesso delle dichiarazioni di Russel Means, nonché i virgolettati, sono brani tratti  da E. Comba: 2012, 88 e segg.).

Ovviamente ll pensiero dei pellebianca era esattamente l’opposto di quello di Russel Means. Per i nuovi venuti il complesso delle credenze e delle pratiche indiane si risolveva in un concentrato di superstizioni immeritevoli di essere considerate come “una religione”, semmai si era di fronte a una “religione naturale”, e quindi non certo sovrannaturale come il cristianesimo. Ed è appunto in base a questo (pre) giudizio che, fino agli ‘70 dello scosso secolo, era proibito portare un “conforto spirituale di impronta nativa” ai detenuti indiani mentre i riti più importanti (ovvero le cerimonie con le pipe sacre o la danza del sole erano addirittura perseguite penalmente e si rischiavano lunghi periodi di detenzione se colti nella pratica e ciò fino al 1940). Nel lasso di tempo che va dal 1890 al 1940, in cui l’inquisizione laico religiosa funzionò a pieno regime, si persero per conseguenza molti saperi tradizionali, quei saperi che avevano accompagnato la vita degli Indiani da millenni. Si persero perché non poterono più essere trasmessi oralmente. L'influenza spirituale non si trasmette attraverso i libri e la generazione che conosceva i rituali di guarigione dell’orso e del tasso (importantissimi!) spari portando con se i propri poteri senza averli potuti consegnare a qualche successore.

1353 10 American Progress

Fig. 10

Progresso Americano (Destino Manifesto) di John Gast

Nella scena, una figura femminile di fattezze angeliche (talvolta identificata come Columbia una personificazione degli Stati Uniti d'America del XIX sec.) porta la luce della "civilizzazione" verso ovest assieme ai coloni statunitensi, che stendono i cavi del telegrafo durante il viaggio. Gli indiani d'America e gli animali selvatici scappano (o aprono la strada) nel buio del West 'incivilizzato'" (da Wikipedia). L'espansione con il progredire delle conquiste si irradia e diventa "circolare" ricordano in ciò idealmente la collocazione del ceppo di Terminus romano al Campidoglio che, anziché segnare il confine, si faceva centro di un'espansione infinita, tuttavia non imponendo nei territori soggetti a Roma un credo coattivamente condiviso. I sostenitori del destino manifesto diversamente credevano che tale espansione non fosse solo buona, ma che fosse anche ovvia ("manifesta") e inevitabile ("destino"). Sebbene in origine essa fosse una frase ad effetto nella politica del XIX secolo, destino manifesto divenne un termine storico standard, spesso usato come sinonimo dell'espansione degli Stati Uniti d'America attraverso il Nord America e verso l'Oceano Pacifico. di un modello di vita "superiore".

https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto#/media/File:American_Progress_(John_Gast_painting).jpg (pubblico dominio)

 

-Genocidio operato anche attraverso l’ecocidio e demonizzazione dell’indiano.
 “Che cosa è l’uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani morirebbero di solitudine. Perché qualunque cosa capiti agli animali presto capiterà all’uomo. Tutte le cose sono collegate”.
 
Per meglio potersi accostare al senso di questo paragrafo intorno alla concezione della natura dell’Uomo rosso forse l’espressione più adeguata è quella offerta dalla religione romana che sintetizza il proprio “animismo” nell’espressione: “Tutto è pieno di Giove”, i cui contorni Lame Deer delinea con questa inequivoca affermazione
“La terra è un essere vivente. Le montagne parlano. Gli alberi cantano. I laghi sono in grado di pensare. I sassi hanno un’anima. Le rocce hanno potere”.  
 “Rovesciando la tavola” quindi si può affermare che proprio ai popoli nativi è stato possibile accedere, in maniera davvero comprensiva, alla conoscenza del cosmos in quanto“... è stato riconosciuta una caratteristica precipua ovvero di comprendere il mondo secondo quella forma di intelligenza che sui potrebbe definire simbolica o analogica, percependo quindi costoro la realtà diversamente dai loro osservatori che, utilizzando la sola intelligenza analitica, reificavano in oggetto distinto dal soggetto il loro “conoscere” tanto da potersi verosimile concludere che è la visione reificante del razionalismo occidentale la causa dei molteplici mali del mondo“ (Daniela Boccassini, Perché abbiamo bisogno di una casa in cui si torni a parlare di un linguaggio dell’anima, e di un linguaggio dell’anima che ci riporti a casa, in: AA.VV. Oikosophia p.19).

Questa reificazione ha come perno il pensiero di Cartesio, laddove il filosofo distingue tra res cogitans (s'intende la realtà psichica, a cui Cartesio attribuisce le seguenti qualità: inestensione, libertà e consapevolezza) e res exsensa (rappresenta invece la realtà fisica, che è estesa, limitata e inconsapevole). Questo ci introduce all’esperienza dell’ambiente e quindi del paesaggio che non è solo “veduta” ma esperienza sinergica e sinestetica del “paesaggio sonoro”.

 

Il “suono” vive esprimendosi nello stesso paesaggio che lo genera; il paesaggio è comunicativamente sonoro e la sonorità è parte integrale del “tempio” e parimenti strumento primario di "contemplazione". Questo brano ne offre perfetta esplicazione: "Prima dell'immigrazione europea nel nord America i Nativi del continente percepivano il loro mondo sonico, almeno in parte, come una sinfonia di suoni naturali dove tutte le voci delle creature erano parte integrante di una orchestra animale. Quando i loro habitat furono radicalmente trasformati dalla deforestazione, l'agricoltura e l'urbanizzazione e quando molte tribù vennero sradicate a causa di guerre e malattie, molte famiglie perdettero la fonte diretta delle strutture soniche naturali in un lasso di temporale relativamente breve. Questo ha prodotto un arresto nell'associazione diretta della loro musica al mondo naturale, e una conseguente frattura quando la natura selvaggia fu così profondamente trasformata." (Bernie Krause,:l'ipotesi della nicchia: come gli animali ci hanno insegnato a ballare e cantare, p,149, in Ecologia della musica, Saggi sul paesaggio sonoro).[9]

L’argomento del “canto”, attività indispensabile nei processi di iniziazione, consentirebbe un numero vastissimo di comparazioni, evidentemente impossibili nella circostanza, tuttavia, per la particolare pregnanza con cui il tema è commentato da Nuccio D’Anna, utilizziamo una sua riflessione, a mo’ di specimen di universale valore, anche se dedicata dall’autore alle esperienze mistiche pitagoriche: Il canto trabocca dall’anima dell’iniziato nel punto in cui la sua mente, liberatasi dal divenire e dall’attaccamento alle apparenze, stabilizzatasi in Mnemosyne e in un presente ‘acronico’ che annulla il cambiamento e l’abituale dispersione sensitiva, viene assorbita nell’armonia cosmica e nei ritmi melodici che permeano l’intero universo”(:2022, 103).

Ora, proprio gli animali (non addomesticati) che hanno insegnato ai Nativi a cantare in maniera sacra e quindi a vedere e ad udire in maniera sacra sono invece oggetto di considerazione “reddituale” da parte dei sopravvenuti. Così si esprime Lame Deer “Gli animali che il Grande Spirito mise qui devono andarsene, ha detto il Washitu, È permesso rimanere soltanto agli animali creati dall’uomo, almeno fin tanto che ce li mandano e noi possiamo macellarli, La terribile arroganza dell’uomo bianco che crede di essere superiore a Dio, afferma: ”Questo animale deve scomparire, non è fonte di reddito, lo spazio che occupa può essere utilizzato in un modo migliore. L’unico coyote buono è un coyote morto!”. Stanno trattando i coyote come hanno trattato gli indiani (Piangere per un sogno, p. 66). Il transito dall’inutile al demoniaco era così in fieri e fu proprio la forte impronta puritana propria di cospicui gruppi di coloni a incoraggiare tale passaggio come ben illustrano le sottostanti parole:  

"Ma qualunque fosse il livello individuale di consapevolezza teologica (dei nuovi arrivati n.d.r.), incontrarono in questo Nuovo Mondo un numero sorprendente di creature che dapprima sembravano i guardiani di un moderno Eden, ma che ben presto divennero l'immagine stessa della corruzione satanica" (David E. Stannard: 2016, 384).[10]

Il pensiero puritano, diversamente da quello di Cartesio, non materializzava il creato, e quindi i suoi abitanti, ma ne rovesciava il senso spirituale, attribuendo un carattere diabolico agli abitanti delle cupe foreste nord americane, in relazione al loro livello di ferinità, oppure in relazione alla posizione che essi avevano nella Bibbia (il serpente indicava sempre una presenza diabolica)

Attraverso questa elaborazione concettuale del Nuovo Mondo, osserva acutamente Carlo Pagetti nel suo libro Il senso del futuro, viene prima a rivivere l'utopia dell'età dell'oro, e, appena successivamente, nasce l'esigenza di una espressione letteraria in grado di spiegare come tutte le meravigliose risorse che lì si rinvengono possano essere utilizzate per la realizzazione della felicità umana.[11] Le potenzialità, apparentemente infinite, del nuovo habitat dovevano essere messe a frutto nei modi più ingegnosi.

I primi coloni elaborarono quindi una concezione utopistico-mercantilista che, travasata nella cultura del New England, viene a commischiarsi con la mentalità puritana innescando il processo di demonizzazione. Giunti a questo punto l'età dell'oro si trasforma nel regno di Dio. Tutta la realtà acquista dimensioni spirituali e viene letta nella cornice della Scrittura biblica; pericoli e misteri concreti si ammantano per conseguenza di inquietanti implicazioni simboliche. Gli Indiani allora si trasformano in emissari del demonio che si oppongono alla creazione della nuova Gerusalemme. Lo stesso contatto con la natura viene fortemente mediato attraverso la visione puritana. Un valore quasi emblematico, per la critica più sensibile alla presenza puritana nella letteratura americana, è così l'episodio del serpente che, nel 1648, apparve nel sinodo di Cambridge (Massachusetts), tra l'orrore dei presenti e in tale occasione un cittadino, tale Jonh Wintrop, scrisse nel suo diario: "il serpente è il demonio" (cfr. Carlo Pagetti: 1970, 41). 

Su questa onda di pensiero si incastona perfettamente un emblematico significativo episodio inerente la nota vicenda delle streghe di Salem, come si mostra questo passaggio: "Di conseguenza era prevedibile che quando, verso la fine del XVII secolo, a Salem emerse il problema della stregoneria, il più eminente pastore del new England ne abbia attribuito la colpa agli "indiani" i cui capitribù sono ben noti ad alcuni nostri prigionieri per essere stati tremendi stregoni e maghi malvagi e, in quanto tali, hanno conversato con i demoni". Infatti, come ha dimostrato Richard Slotnin, citato da David E. Stannard. Nella mente dei coloni inglesi la fusione tra satanico e nativo era divenuta in quel periodo cosi ovvia da non richiedere alcuna discussione. Perciò quando una giovane donna di nome Mercy Short fu "posseduta" dal diavolo, descrisse la bestia che l'aveva visitata: "come un disgraziato non più alto di un comune bastone da passeggio; non era del colore di un negro, ma di un colore bronzeo, quello degli indiani, indossava un cappello a punta, aveva i capelli lisci, aveva un piede caprino". Slotnin osserva: Era, infatti, un'immagine uscita dagli incubi dei puritani americani [...] del colore degli indiani, con un cappello da cristiani, con il piede da bestia - una sorta di indiano puritano, bestia-animale, un essere ibrido” (David E. Stannard: 2001: 366, 367).

Sterminio dei bisonti 

”Non fu l’esercito degli Strati Uniti a sconfiggerci, ma la sistematica distruzione del Bisonte.. il bestiame degli Indiani. Fummo costretti ad arrenderci per mancanza di cibo”. (Archie Fire Lame Deer, 208)

Il cinico sterminio dei Bisonti - al pari di quello degli elefanti descritto da Joseph Conrad in Cuore di tenebra -fu scientificamente organizzato sotto la presidenza di Abraham Lincoln e portato a termine con spietata volontà dai suoi generali al fine di eliminare la fonte prima della sussistenza dei popoli delle grande pianure, Il piano à stato eseguito con tanta puntualità che ha condotto a un filo dalla quasi estinzione del bisonte, il simbolo sacrale stesso della tradizione nativa e, al contempo, ha generato un dissesto totale della vita biologica delle Grandi Pianure. Il bisonte infatti offriva, oltre il cibo gli indumenti e la pelle per le abitazioni, lo sterco per il riscaldamento e i tendini per le frecce e altro ancora ma soprattutto offriva un ancoraggio simbolico identitario senza paragoni come ha ben mostrato E Comba nel suo ponderoso saggio la Danza del Sole, dove gli aspetti simbolici del quadrupede sono accuratamente esaminati.

Per questo l’animale rappresentava lo stesso universo in quanto contenente la totalità delle cose manifestate e ciò fa di esso il simbolo stesso della creazione anche nella sua espressione ciclica temporale tanto da potersi perfettamente accostare al toro del dharma degli Induisti. Una parte del corpo del bisonte si rivela come peculiarmente ierofanica ed è quella porzione anatomica dell'animale che si trova sulla spalla dell'animale e che "rappresenta" nello specifico Donna Bisonte bianca. Per i Sioux assumere questo “ierofanico” brano di carne può equivalere alla sacralità della ingestione eucaristica (su tutto ciò si veda: Alce Nero: 2011, 31, n. 4, e 35-36, n. 2).

Conclusione

Molte e molte cose ovviamente sarebbero ancora da dire intorno alla penetrazioni del “regno della quantità” nel Nuovo mondo e queste cose sarebbero comunque solo una minima parte di quanto è accaduto e questo perché non ci sono che pochi testimoni delle immani sofferenze patite da una miriade di popoli incolpevoli a causa dello scontro tra due mentalità non solo tra loro diverse ma spesso, anzi, quasi sempre, addirittura antipodali.

Centinaia, forse migliaia, di culture sono state distrutte, i suoi rappresentanti irrisi, imbavagliati e spesso gettati in prigione e financo uccisi; calato così il silenzio dappertutto è venuto meno il sistema reticolare di riferimenti: familiare, sociale e religioso. Ogni cosa è stata frantumata e oggi lo “specchio” non è più ricomponibile e, sebbene tutto non sia perduto, perché la “tradizione” è sempre carsicamente viva, di fronte a questa devastazione una domanda rimane in piedi perché la sofferenza patita, i torti subiti, l’estinzione di un mondo non possono essere obliterati dal velo non pietoso, quanto piuttosto omertoso, del tempo ormai trascorso.

Ebbene la domanda da porre è da porsi è questa: tutto ciò che si è raccontato, qui prodest?:

  

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[1]La più significativa interpretazione della figura dello sciamano e del suo cosmo nel mondo amerindio, almeno a parere di chi scrive, la si ritrova in questo brano proposto da Karl Schlester: "Questa organica descrizione degli Cheyenne, nella quale ogni parte dell'universo era interrelata con le altre, assumeva la vita come fonte di meraviglia. La forma fisica significava solo la costrizione temporanea, la vita spirituale era immortale e libera nello spazio e nel tempo. Questa forse è la più grande conquista dello sciamanesimo, fin dai suoi primi sviluppi, che risalgono al Paleolitico Medio interpretare il mondo come un luogo di miracoli, di trasformazioni e di immortalità, dove non c'è ragione di avere paura" (cit. in E. Comba: 2012, 379)

[2] "I bambini che vivono nelle riserve sono selvaggi e devono essere portati via dalle famiglie e messi in scuole residenziali di apprendistato dove acquisteranno abitudini e modi degli uomini bianchi". Sono queste le parole pronunciate nel 1879 in Parlamento non da un politico qualunque ma da Sir John Macdonald, il Primo Ministro Canadese, autore della politica che istituiva le scuole residenziali e portabandiera del pensiero di allora, largamente condiviso, che si prefiggeva di convertire e assimilare i giovani indigeni nella società canadese e che tale scopo poteva essere raggiunto solo "killing the Indian in the child" (uccidere l'indiano nel bambino). "Quando la scuola è nella riserva – sono ancora parole del Primo Ministro – il bambino vive con i suoi genitori, che sono dei selvaggi, e anche se apprende a leggere e scrivere il suo modo di pensare e le sue abitudini sono indiane. È semplicemente un selvaggio che sa leggere e scrivere". A gestire questa transizione velocemente e con convinto e condiviso orgoglio furono istituite in tutto il Canada scuole residenziali, gestite dalle chiese canadesi cristiane (il 60% dalla chiesa cattolica). Un sistema andato avanti fino al recente 1970, quando quello che era ritenuto il metodo migliore per civilizzare la popolazione indigena è stato riconosciuto dalla Truth and Reconciliation Commission come genocidio culturale. E questi sono i numeri: più di 150 mila bambini indigeni portati via dalle loro famiglie e internati in scuole residenziali. I bambini sono stati forzati a tagliare i loro lunghi capelli ed è stato proibito di parlare nella loro lingua. Tanti, troppi, hanno subito abusi sessuali. Si stima che almeno 6 mila bambini sono morti in queste scuole dal 1879 al 1970. Tanti sono stati sepolti in bare senza nome.

[3]La sistematica distruzione della sacra pipa è stata forse un forma persecutoria più grave da quella dello sfasciare un altare di un qualsiasi culto, anche perché a ciò si è accompagnata l'impossibilità di svolgere la relativa liturgia. Per comprendere da un punto di vista spirituale la portata di questa repressione sistematica, oltre indirizzare chi può essere interessato alla lettura di J Ephes Brown, nei suoi commenti al libro di Alce Nero La sacra Pipa e i sette riti Oglala, nonché al grande volume di F. Schuon Il Sole piumato,. Troviamo inoltre particolarmente illuminante concentrare la riflessione su un passaggio, tratto dal libro di Sandro Consolato, in cui il commentatore rileva come, già nel 1946, René Guénon mostrasse, in La Grande Triade (1980, 55) di avere nozioni particolarmente incisive sul significato rituale della Sacra Pipa. Il paragrafo, il sesto, del libro, è dedicato al tema "solve et coagula' e il Guénon osserva come tale formula condensi: '”tutto il segreto della Grande Opera, in quanto questa riproduce il processo di trasformazione universale”'. Difatti il termine “’solve’ 'talora è rappresentato da un segno che mostra il cielo', mentre il termine 'coagula', 'da un segno che mostra la terra”. Prosegue l'Autore rilevando come "l'uno e l'altro da assimilarsi alle azioni della corrente ascendente e dalla corrente discendente della forza cosmica o, in altre parole, alle rispettive azioni dello yang e dello yin". Il parallelo, davvero sorprendente con il mondo dei Lakota, è in nota della stessa pagina, ove si legge: "...anche a quello del 'calumet' tra gli indiani dell'America del Nord, che comporta tre movimenti successivi riferentesi rispettivamente al Cielo alla Terra e all'Uomo e traducibili con 'soluzione', 'coagulazione' assimilazione" (:2023, 208,51). Per questo la persecuzione della ritualità indiana supera per incisività, nella comprensione "pneumatica" del fatto storico, altre condannabili repressioni in quanto l'accanimento persecutorio del mondo nativo si espresse con i tratti "sulfurei" di una ribellione antimetafisica. Ciò è tanto verosimile se si considera che, nel paese dei "diritti civili", solo nel novembre 1978 con L’Indian Freedom Religion Act i Nativi ottennero la libertà di praticare la propria spiritualità, ovvero il diritto di tornare alla spiritualità dei loro padri e di praticare i riti religiosi della loro tradizione, tra i quali uno dei più “importanti” è la Danza del Sole.

[4] A tale proposito non è superfluo riportare un brano di René Guénon presente nell'articolo La porta stretta contenuto in Simboli della scienza sacra in cui si può leggere: "Presso gli Indiani dell'America del Nord che sembrano aver conservato un numero di dati tradizionali perfettamente riconoscibili maggiore di quanto si creda di solito, i diversi 'mondi' sono spesso rappresentati da una serie di caverne sovrapposte e gli esseri passano da uno all'altro salendo da un albero centrale; naturalmente il nostro mondo è anch'esso una di queste caverne avente il cielo come volta". È di tutta evidenza la presenza del simbolo dell'axis mundi e della cupola. Il pioppo, axis mundi della 'danza guardando il Sole', con la sua struttura cosmologica d'accompagnamento, esprime efficacemente l'idea di questo cosmos e ad esso gli Indiani dedicano gloriose preghiere come si può leggere in questo stralcio tratto da La sacra Pipa di Alce Nero nella traduzione di Enrico Comba: "Quando Tu (Il pioppo "stormente" n.d,r.) sarai al centro del sacro cerchio Tu rappresenterai il popolo e sarai come la pipa, che si stende dalla terra fini al cielo. I deboli si appoggeranno a te e sarai un supporto per tutto il popolo. Con la cima dei tuoi rami Tu tratterrai i giorni sacri rossi e blu: Tu sorgerai là dove i quattro sentieri si incrociano - là sarai al centro e di grandi Poteri dell'universo, Che noi esseri a due gambe possiamo sempre seguire il tuo sacro esempio, perché vediamo che Tu guardi sempre in alto nei cieli: Presto e insieme con tutto il popolo del mondo. Tu sarai il centro, per tutti gli esseri e tutte le cose: Tu porterai ciò che è buono" (R. Comba: 2012, 202).

[5]Un esempio di ciò si trova nell'episodio di preveggenza di Cavallo Pazzo prima dello scontro di Rosebud, prodromo dell'epica battaglia di Little Bighorn, raccontato da Dee Brown nel suo libro Seppellite il mio cuore a Wounded Knee: "Cavallo Pazzo sapeva che il mondo in cui vivono gli uomini è solo un'ombra del mondo reale. Per entrare nel mondo reale doveva sognare e quando vi si trovava ogni cosa sembrava ondeggiare o saltare: questo avveniva perché si chiamava Cavallo Pazzo. Egli aveva appreso che, se sognava se stesso nel mondo reale prima di partecipare a un combattimento, avrebbe potuto sopportare qualsiasi cosa"(:2023, 283). Questi viaggi onirici e/o "visionari" costituiscono verosimilmente la sperimentazione della realtà degli universi multipli che Cavallo pazzo ottenne dopo aver partecipato alla Danza guardando il Sole. Singolarmente questo chiaro pensiero è oggi ripreso in una diversa cornice da un noto psicologo cognitivista Donald Hoffman nel suo recente testo: L'illusione della realtà, scritto citato da Ezio Albrile nel libro Fantascienza e gnosticismo. Molto coinvolgente è l'incipit "platonico" di Albrile che qui si riproduce: "Chi scrive si domanda se il tempo in quanto flusso di eventi diretti in una sola direzione, sia qualcosa di unicamente legato alla condizione umana, ovvero se si debba vivere sempre tra le ombre oppure un giorno ritrovarsi all'aperto". (E. Albrile 2022, 9).    

[6]Nello specifico assai rilevante è anche il giudizio di J. Evola che nel libro L'arco e la clava (siamo nel 1968), scrive: "I pellirosse erano razze fiere con un loro stile, con una loro dignità, una loro sensibilità e una loro religiosità; non a torto uno scrittore tradizionalista F. Schuon, ha parlato della presenza nel loro essere, di qualcosa di 'aquilino e di solare'. E noi non temiamo di affermare che se fosse stato il loro spirito a improntare in misura sensibile, nei suoi migliori aspetti e su un piano adeguato, la materia immessa nel crogiuolo americano, il livello della civiltà americana sarebbe stato probabilmente più alto" (:1995 p.40, 41). Nella 4°edizione di Rivolta contro il mondo moderno del 1998, Evola cita lodevolmente anche l'importante saggio di F. Schuon: Aperçus sur la Tradition des Indiens de l'Amerique  mostrando così un suo ulteriore apprezzamento per il mondo nativo nord americano.

[7] Questo "contro-razzismo" è ben delineato da Versluis in un passaggio del suo libro in cui i nativi rendono conto del perché della cattiveria degli uomini bianchi facendo riferimento a un saggio Sioux Lakota che così si è espresso:" Il bianco è il colore del Nord, del crudele vento del Nord. Senza alcuna pietà, l'uomo bianco continua a distruggere il mondo naturale. Esiste solamente una cura per questa rapacità: il riconoscimento e l'accettazione della sacralità del territorio" (Versluis: 2018, 141).

[8]Persino l’occupazione di Woundeed Knee, che ha avuto esiti cruenti, non è stato solo un episodio picaresco, né, tanto meno, un evento meramente rivoltoso; quegli incredibili giorni sono costellati di atti sacrali compiuti ininterrottamente dagli occupanti del sito nei loro 71 giorni di "ribellione"

[9]i Ikhwān al-Ṣafāʾ, i cosiddetti Fratelli della Purezza, una società segreta islamica che operò a Bassora tra VIII e X secolo sono stati studiosi di neoplatonismo, di astrologia, di dottrine e testi sacri, i Fratelli diedero vita a una straordinaria sintesi filosofica e religiosa della cultura islamica: un’enciclopedia composta da 52 “epistole” e intitolata Rasā’il ikhwān al-ṣafā’ wa Khullān al-wafā’ (Epistole dei Fratelli della purezza e degli amici della fedeltà). Henry Corbin, nella sua Storia dell’Islam, ne parla come di un’impresa di liberazione spirituale: “si tratta di condurre l’adepto a vivere somiglianza della divinità”; l’Enciclopedia dei Fratelli “tende dunque a inglobare tutte le conoscenze e a dare senso agli sforzi del genere umano”. Tra queste epistole ve n'è una che propone un ribaltamento antropocentrico: sono gli animali che, beffardamente, processano l'uomo e lo fanno senza "peli" sulla lingua. Il testo è stupefacente ma questo solo passaggio s'incastona perfettamente con i propositi di questo paragrafo e ci ricorda che comprendere il mondo sonoro degli animali ci fa vivere a somiglianza della divinità, il che nel linguaggio dei nativi nord americani si potrebbe tradurre nel "vivere in modo sacro".

[10]             Il "mito" della Gerusalemme terrestre è innestato profondamente nella coscienza degli abitanti degli States. con il pedissequo atteggiamento "suprematista" che si accompagna a tale visione. George Washington vedeva negli Stati Uniti la Nuova Gerusalemme,stabilita dalla Provvidenza in un territorio dove l’uomo deve raggiungere il suo pieno sviluppo e dove la scienza, la libertà, la felicità e la gloria devono diffondersi in pace”. Analogamente, per John Adams, gli Stati Uniti erano “una pura e benefica repubblica, il cui compito consiste nel governo del mondo e nel perfezionamento degli uomini”. In tempi più recenti è significativa la dichiarazione di Bush junior è addirittura arrivato a rivendicare agli Stati Uniti, protagonisti della “lotta del Bene contro il Male” (locuzione applicata in diverse circostanza ma, eufemisticamente sottolineando, di dubbia onestà), il ruolo di guida in una missione di “giustizia infinita”. Un'apoteosi glorificatrice che culmina nel libro di Edmund Weizmann intitolato “L’America. Nuova Gerusalemme”.

[11]Il grottesco di questo proponimento sta nel fatto che prima che arrivasse "il popolo delle merci", con tutta la sua "repubblica delle armi" e con il suo corredo di alcol, droga e cibo spazzatura, i Nativi si reputavano felici ed espressero lo struggimenti per questa felicità perduta in diverse occasioni tra cui ricordiamo questa, tratta dal Discorso di Capo Seathl il cui aurore sottolinea come l'attaccamento ai luoghi fosse talmente innestato nell'animo indiano da proseguire anche dopo la sua dipartita dal mondo delle ombre. Leggiamo questo passaggio: "I giovani, le madri, e le fanciulle, i bimbi che qui vissero e furono felici, amano ancora questi luoghi solitari. E a sera le foreste s'oscurano, tanta è la presenza di questi morti. Quando l'ultimo uomo rosso sarà scomparso da questa terra, e tra i bianchi il suo ricordo sarà soltanto una storia, queste rive continueranno a essere gremite dagli invisibili morti della mia gente". (William Arrowsmith: 2018, 373) 

 

L’Uomo Rosso e il Rinascimento arcaico - I parte (di A. Bonifacio)

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