ROMA, ETRURIA E GRECIA (di P. Galiano)

 PARTE I - UN CONFRONTO TRA ROMA E L’ETRURIA

I rapporti tra Roma e l’Etruria comportano una serie di problematiche sintetizzate da Carmine Ampolo nel titolo di un suo saggio del 2009: “Presenze etrusche, koiné culturale o dominio etrusco a Roma e nel Latium vetus in età arcaica?[1]. Tra Roma e più ampiamente tra i Latini e l’Etruria vi è stato solo uno scambio di conoscenze e di usi, com’è normale che avvenga tra popolazioni confinanti? O gli Etruschi hanno dominato per un certo periodo di tempo non solo su Roma con la dinastia dei Tarquini ma sul Lazio (cioè sul territorio a sud del Tevere) imponendo la loro cultura civile, politica e religiosa? Il loro dominio si è esteso alla formazione del pantheon romano e latino?

È opinione presso molti studiosi di Storia delle Religioni che le divinità di Roma siano state plasmate a partire da quelle degli Etruschi e dei Greci, se non addirittura di popolazioni mesopotamiche (come per la Venere detentrice del Nome segreto di Roma secondo Marcello De Martino[2]), quasi che il popolo romano fosse stato incapace di avere una qualche idea su come si concepiscano gli Dèi, e che queste divinità altro non siano, nel migliore dei casi, che personificazioni delle forze della natura, dei procedimenti agricoli o di atti particolari della vita quotidiana.

1333 1 Giano e prua aes grave bronzo circa 240 225 a C

Fig. 1: Moneta con il volto di Giano sul recto e la prua di nave sul verso; aes grave, bronzo, circa 240-225 a. C.

(C C Attribution-Share Alike 3.0 Unported license, http://www.cngcoins.com).

 

Sulla base di questa errata concezione Giano Fig. 1 è un portiere che sorveglia chi entra e chi esce, Saturno è un protettore dell’agricoltura, Vertumno si occupa dei frutti autunnali, Vulcano è un fabbro zoppo, Vesta una brava donna che bada che il fuoco di casa rimanga acceso, Marte un guerriero coperto del sangue dei suoi nemici e Venere una donnina allegra.

In Italia già da alcuni decenni è iniziata la revisione di questa erronea concezione della dipendenza della civiltà di Roma da quella dell’Etruria.

Pallottino nella sua Etruscologia[3] osservava che “può essere significativo il rapporto di queste radici [vel, lar, tarχ] … con una copiosa materia di termini toponomastici e onomastici di substrato o di ambienti linguistici differenti dall’etrusco”, in particolare il termine lar è “quasi esclusivamente tardo e limitato all’Etruria settentrionale, mentre in latino Lar è ben noto nome di divinità”, di fondamentale rilievo nella religione romana e nei culti a livello di stato, di vicus e di famiglia. Un numero “piuttosto rilevante di voci onomastiche etrusche, specialmente gentilizi e cognomina, [derivano] da parole indoeuropee delle lingue italiche” e, per quanto qui ci interessa, i nomi delle divinità etrusche solo in parte sono autoctoni e in parte importati dal greco, mentre altri, quali Menerva, Maris, Neθuns, Uni sono “denominazioni comuni o assonanti con nomi divini dell’area italica che certamente denunciano profonde sfere di reciproche connessioni”.

Le osservazioni filologiche di Pallottino meno di trent’anni dopo sono ulteriormente ampliate dal Torelli[4] con un attento studio comparativo basato su riscontri archeologici: “È il pantheon etrusco a mostrare un’impressionante serie di nomi di divinità derivati dal mondo e dalla lingua dei Latini, tutti con un etimo di chiara origine indoeuropea, a fronte di un unico possibile prestito di origine etrusca fra i teonimi latini … Volturnum, ritenuto in genere nient’altro che il nome etrusco del Tevere”.

Lar-Larth, Minerva-Mnerva, Iuno-Uni, Mars-Maris, Neptunus-Nethuns, Silvanus-Selvans, Saturnus-Satre, Veiovis-Veive sono divinità romane prestate all’Etruria, mentre per altre non vi è riscontro come per Janus, il cui corrispettivo in etrusco sarebbe Ane, un divinità però femminile, forse collegabile alla romana Anna Perenna e legata al culto delle acque, e per Liber, cui corrisponderebbe Fufluns, che per il suo legame con il vino è più vicino al greco Dionysos che al romano Liber e, per quanto è possibile sapere, non ha il ruolo di iniziatore degli adolescenti proprio a Liber.

Il gran numero di divinità del mondo latino mutuate dagli Etruschi, conclude il Torelli, “non può essere considerato frutto di un fenomeno occasionale di contatto … ma al contrario ha svolto una funzione tutt’altro che marginale nello sviluppo storico del sistema religioso etrusco”.

Un esame dei miti[5] e delle fonti originali, sia dei significati religiosi che degli aspetti archeologici, epigrafici e artistici, conduce invece a risultati differenti: non solo le divinità greche da cui vengono fatte derivare quelle romane hanno caratteristiche e funzioni che ne fanno figure del tutto differenti rispetto agli Dèi romani, ma nel caso degli Etruschi sono questi ad avere mutuato da Roma e dai Latini una parte del loro pantheon e non viceversa, mentre gli Dèi di Roma sono archetipi nei quali si riconoscono le idee principiali costituenti la sfera divina che governa il mondo creato secondo i principi del pensiero religioso indoeuropeo.

1333 2 Tinia e Menerva

Fig. 2: La nascita di Menerva, traduzione etrusca del latino Minerva, dalla testa di Tinia (lo Zeus etrusco): come si vede da questo esempio, le narrazioni mitologiche greche sono ampiamente riprese in Etruria (Eduard Gerhard, Etruskische spiegel, Berlino 1884, vol. V, tav. 6).

Soprattutto gli Dèi di Roma non sono comparabili a esseri umani come quelli greci, non vi è traccia per il periodo arcaico di una “mitologia degli Dèi”, conosciuta in Etruria e ampiamente illustrata nella ceramica e negli specchi FIG. 2, non vi sono storie concernenti episodi della loro “vita” se non dopo la “invasione culturale” dei greci subìta dall’Urbe a partire dal Periodo Orientalizzante, e testimonianza di questa non-mitologizzazione degli Dèi romani è l’assenza di statue che li raffigurano se non successivamente all’intensificarsi dei rapporti con le nazioni etrusca e greca, presso le quali invece gli Dèi erano rappresentati nelle statue e nei dipinti in forma umana e secondo le modalità artistiche (atteggiamenti, vesti, ecc.) caratteristiche di questi popoli. Contro queste raffigurazioni antropomorfe, per i Romani di età arcaica Marte era rappresentato da una hasta, Giove da una quercus (il Giove Feretrio invocato da Romolo durante la battaglia contro i Sabini), Vertumno era “un tronco rozzamente intagliato”, secondo le parole di Properzio, e Vesta non aveva alcuna immagine, come testimonia Ovidio nei Fasti.


1333 3a Tinia Uni Menerva

Fig. 3a: Specchio etrusco (circa 350-300 a. C.): Tinia, Uni, Turms (l’etrusco Hermes) e Menerva: Uni è nuda e si appoggia a Tinia alla presenza degli altri Dèi (Eduard Gerhard, Etruskische spiegel, Berlino 1884, vol. V, tav. 98). La corrispondenza tra Uni e la fenicia Astarte in alcuni templi etruschi (Pyrgi – Santa Severa) spiega la posa voluttuosa di Uni, ancora più esplicita in altri specchi quale quello di Berlino pubblicato in Nancy de Grummond, Thunder versus lightning in Etruria, in “Etruscan studies”, 19 (2016), pp. 183-207, p. 200 fig. 11.


1333 3b Juno Sospita

Fig. 3b: Antefissa raffigurante Juno Sospita Mater et Regina dal Tempio di Juno a Lanuvio come Juno Caprotina, circa 500-480 a. C. La solennità ieratica della Giunone laziale contrasta in modo evidente con quello della Uni etrusca.

 

La differenza nella raffigurazione degli Dèi è ben visibile nel confronto tra la rappresentazione di Uni completamente nuda, la Juno romana che in Etruria è assimilabile ad Astarte, e la ieratica antefissa di Juno Sospita Mater et Regina di Lanuvio Fig. 3a-3b, o tra Aplu ed Erkle del frontone del tempio di Menerva a Veio e la statua del Palladio di Lavinium Fig. 4a-4b.

 
 

1333 4a Aplu e Herkle da mydbook giuntitvp it

Fig. 4a: Frontone del santuario di Portonaccio a Veio (ora al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia): Aplu (il latino Apollo) contro Herkle (il greco Herakles, da non confondere con il latino Hercules), terracotta, circa 510 a. C. (da Contesti d’arte, vol. I, https://mydbook.giuntitvp.it/app/books/GIAC89_G8970102L/html/190). Il movimento scattante delle due figure che si stanno affrontando è magnificamente illustrato dall’autore, che si ritiene sia l’etrusco Vulca, a cui è attribuita anche la quadriga che ornava il tempio di Giove Ottimo Massimo di Roma, eretto dai Tarquini sul Campidoglio.

 1333 4b Palladio

Fig. 4b: Raffigurazione fittile del Palladio: la statua, ritrovata nella favissa del tempio di Minerva a Lavinio (ora al Museo di Lavinium, Pratica di Mare) e databile al V sec. a. C. La forma quasi cilindrica della statua rende evidente la sua origine da una più antica statua in legno ricavata da un tronco d’albero: è assente presso gli antichi popoli latini quella antropomorfizzazione tipica della statuaria greca ed etrusca: forme essenziali che devono stimolare la mente e il cuore, non splendidi oggetti d’arte da ammirare (dalla rivista online www.aboutartonline.com).

Come per le divinità, gli Etruschi “importarono” dai Latini anche riti e simboli di fondamentale importanza.

1333 5 Auguraculum a Juno Moneta b Piazza c

Fig. 5: Pianta del Campidoglio: le frecce indicano, a partire dall’alto, il Tempio di Juno Moneta, la posizione dell’Auguraculum e, come punto di riferimento, il piazzale michelangiolesco del Campidoglio (da Francesco Paolo Arata, Osservazioni sulla topografia sacra dell’Arx capitolina, https://doi.org/10.4000/mefra.338, Fig. 1, modificata).

 

Il più importante tra i rituali è certamente quello dell’auspicium Fig. 5, la cui originaria paternità, osserva il Torelli spetta al gruppo dei latinofoni[6], anche se esso si ritrova presso tutti i popoli italici. I termini con cui si esprime la preparazione del templum e il rituale dell’augurium sono in lingua latina e nulla di etrusco si riscontra in essi, e l’auguratorium dell’Arce del Campidoglio, ora scomparso a causa dei lavori per la costruzione del Vittoriano che spianarono la cima più alta del colle, ne è la più antica testimonianza nella città di Roma.

Altrettanto importante, in quanto base dell’iniziazione dei giovani maschi e del loro passaggio tra gli adulti, è il rituale dei Sacerdotes Saliares: il doppio scudo rotondo conosciuto come ancilis è presente nelle tombe del Lazio a partire dall’Età del Bronzo finale, già presente nel X sec. a. C. nella tomba 21 di Castel di Decima[7] o nella necropoli di Santa Palomba - Albunea[8] Fig. 6 (in Etruria compare al III quarto dell’VIII sec. nella necropoli di Casal del Fosso a Veio[9]), ed è reperibile in tombe di personaggi con chiara funzione sacerdotale (di sesso maschile ma anche femminile), insieme al coltello, di bronzo come gli scudi, e spesso una statuina di offerente[10]. Il fatto che i Saliares siano descritti dagli autori latini con un abbigliamento proprio dei guerrieri dell’Età del Bronzo testimonia l’arcaicità del rituale.1333 6 Ancili e carro

Fig. 6: Necropoli di Santa Palomba-Albunea (Roma): oggetti miniaturizzati tra cui due ancili in bronzo nella tomba di un guerriero, circa X sec. a. C.
(Giosuè Auletta, Santa Palomba Albunea. Relazione storica, 2019, p. 7).

 

Le tombe dei sepolcreti tra la regione a nord del Tevere e quella a sud presentano notevoli diversità nel corredo funebre: la prima, corrispondente al territorio dei Protoetruschi, comprende tombe a incinerazione con corredo di oggetti funerari di dimensioni di grandezza pari a quelli di uso comune, mentre nella seconda, territorio dei Protolatini, si segue dall’XI sec. a. C. il costume dell’incinerazione (fino all’inizio dell’Età del Ferro, quando compare l’uso dell’inumazione, persistendo però per lungo tempo l’incinerazione per i personaggi di alto rango) e gli oggetti del corredo sono miniaturizzati, da quelli di uso quotidiano ai segni propri del rango, l’ancile, la spada, il coltello e il carro da guerra. La presenza di tali offerte miniaturistiche e soprattutto la distinzione che compare in modo evidente tra persone di ceto inferiore e soggetti di rango superiore, capi o guerrieri e sacerdoti, dimostra l’esistenza di una netta distinzione tra le due popolazioni, incentrata sulla comparsa di uno sviluppo culturale e sociale con ruoli politico-sacrali ben distinti nelle popolazioni di Protolatini rispetto ai Protoetruschi, presso i quali è assente o comunque di livello meno complesso, tanto che è possibile parlare di una “subalternità dei Protoetruschi ai Protolatini[11].

Sarà solo a partire dall’avanzata Età del Ferro e dal successivo Periodo Orientalizzante che la società latina inizia un processo di scambi sempre più cospicui sia con la vicina Etruria meridionale che con i Greci e la Magna Grecia, dai quali nasceranno nuove forme di vita sociale e religiosa con quella “monumentalizzazione del culto” consistente, come scrive il Torelli, nella “introduzione di forme greche nelle architetture sacre, nelle pratiche cultuali e nell’immaginario degli dei con la definitiva ellenizzazione della ‘parte canonica’ del pantheon etrusco-latino”, per cui si può parlare di un “meticciato culturale” causato dall’introduzione di elementi di origine greca[12].

1333 7 Tessera hospitalis VI sec

Fig. 7; Tessera Hospitalis, dall’area sacra di Sant’Omobono (avorio in forma di leoncino, circa 580-540 sec. a. C.) recante l’iscrizione: “Mi (ha fatto) Araz Silqetanas per Spurianas” (ricostruzione da Carmine Ampolo, Presenze etrusche, koiné culturale o dominio etrusco a Roma e nel Latium vetus in età arcaica?, in “Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina”, vol. XVI “Gli Etruschi e Roma”, Atti del XVI Convegno Internazionale di studi sulla Storia ed Archeologia dell’Etruria, a cura di Massimo Della Fina, Roma 2009). 

 

Questa differenza tra i Romani, ormai distinti dall’originaria famiglia latina dopo la fondazione della protocittà di Roma tra XI e X secolo, e gli Etruschi è confermata anche dai reperti epigrafici: i testi scritti in lingua etrusca reperiti a Roma sono solo sette, di cui solo cinque risalenti all’età arcaica[13], brevi iscrizioni incise su donativi, a partire dalla tessera hospitalis di Sant’Omobono risalente al 580-540 a. C.[14] Fig. 7, mentre allo stesso periodo risalgono le lunghe epigrafi del triplice vaso di Duenos ritrovato sul Quirinale Fig. 8 (forse una formula magica, ancora non completamente decifrata) e della stele del Lapis Niger di poco successiva Fig. 9 (attribuito al VI secolo), di ben maggiore lunghezza e significato, ambedue scritte in latino arcaico. Questo è l’indizio che la lingua latina è la lingua parlata a Roma, e non l’etrusco, e che questa lingua è utilizzata non per brevi dediche ma per leggi sacre e formule magiche.

Conclude Ampolo: “Il latino sembra essere l’unica lingua ufficiale a Roma nel VI secolo, malgrado la significativa presenza di etruscofoni, una dinastia di sovrani di origine etrusca e tanti elementi culturali etruschi[15].

 

 I primi romani, stanziati sul Palatino almeno dall’XI sec. a quanto ci dicono le tombe ritrovate sotto il murus romuleus[16], hanno una cultura religiosa e civile compiuta e diversa da quella degli Etruschi e i contatti di Roma con la Grecia si limitano a missioni commerciali provenienti dalle città micenee. Quando Roma è una città, cioè almeno nella seconda metà dell’VIII secolo, i suoi Dèi sono già ben definiti per caratteri e funzioni (anche se in età tardo-monarchica e repubblicana il loro ricordo andrà affievolendosi), la loro raffigurazione permane a lungo diversa dalle antropomorfizzazioni della cultura etrusca e greca.

 1333 8 Vaso di Dueno 600 a C

Fig. 8: Il c. d. Vaso di Dueno, dal nome del dedicatore, ritrovato sul Quirinale (VI sec. a. C.): la lunga iscrizione in lingua latina non è stata ancora tradotta con certezza, potrebbe forse trattarsi dun a formula magica propiziatoria (da Wikimedia Commons, public domain).

Quando una dinastia di re etruschi regna per un breve periodo di tempo a Roma non lascia tracce permanenti: il racconto del persistere dei templi (o forse temenos) di Juventas e Terminus sul terreno dove sorgerà quello dell’etrusco Giove Ottimo e Massimo costituisce l’esempio della “resistenza” romana ai “nuovi arrivati” scesi dal nord.

 

  

1333 9 Cippo del Lapis Niger copertina

Fig. 9: Il cippo ritrovato da Giacomo Boni sotto il lastricato del Lapis Niger accanto a quello che ora si ritiene sia l’altare del Volcanal: l’iscrizione, in lingua latina, si sviluppa lungo le quattro facce del cippo (dalla relazione di Giacomo Boni in Notizie di scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, Roma 1899, p. 153 fig. 2).

 

La vicinanza con altri e diversi popoli determina, come è normale, lo scambio di idee in un flusso che è però bidirezionale e non univoco: se i Latini e Roma danno all’Etruria i loro Dèi, a loro volta, ad esempio, ne mutuano alcuni rituali e usanze, come l’aruspicina e il fascio[17] dei littori che accompagnano i magistrati. Ma da qui a definire Roma e la sua civiltà come un prodotto costruito da Etruschi e Greci di strada ce ne passa.

 

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