Un po’ per non essere accusati di fare predicozzi (ce l'hanno benevolmente rimproverato dopo l’articolo sulla riconoscenza) e un po’ per venire incontro alla sensibile e belligerante anima di alcuni nostri lettori, abbiamo deciso di dedicare questo editoriale alla Vendetta, straordinaria anche se prevedibile facoltà dell’anima che, a seconda dei casi, può essere cruenta o subdola e di cui è possibile scoprire tante valenze, tanti aspetti contraddittori proprio per la diversa enfasi e interpretazione che nei secoli è stato dato a questo termine.
La parola vendetta ha varie origini. Forse la più acclarata è quella che rimanda al vin-dices latino cioè a colui che attraverso la forza "dice", "dichiara" e si fa garante di qualcosa. L’interpretazione più comune la definisce come offesa o danno arrecato in contraccambio a una offesa o danno ricevuto. Altri ancora interpretano vin per ven (radice per stirpe) e dex da dicere; per cui il vendicatore è una specie di "garante della stirpe". Altri trasportano il termine vin o ven, verso "vis" (forza) e in questo caso starebbe a indicare una forza per affermare la giustizia. Esiste anche una variante interessante anche se discutibile, che fa derivare vendetta dal termine latino “venia” (licenza, permesso): a sua volta venia (da cui l’italiano "chiedo venia") può essere fatto risalire all’atto con cui il pretore romano dichiarava libero un accusato usando la vindicta, nome della verga con cui veniva toccato colui che doveva essere prosciolto dalle accuse o a cui veniva concessa la libertà da schiavitù. Sotto questo profilo la vendetta sembrerebbe una gran bella cosa o quanto meno un modus operandi ai confini fra due virtù, la Forza e la Giustizia.La letteratura classica, in realtà, è intrisa di vendette, di occhio per occhio, o di giustizieri che ripristinano gli equilibri, ma tale Nemesi non sempre appare ammantata di autentica Giustizia (anche se ognuno dichiara di volersi vendicare specificamente per sete di giustizia e per il riequilibrio del diritto). Nello stesso cristianesimo esistono gli angeli vendicatori: quelli dell’Apocalisse, ad esempio, che lanciano piaghe terribili sulla terra, e pure San Michele, per essere un angelo è decisamente agguerrito e combattivo. Anzi è l’archetipo della Giustizia all’interno della quale anche la violenza e la morte trovano il loro legittimo posto.
Le vendette imperversano in buona parte della tragedia greca, con eroi che spargono fiumi di sangue per ripristinare il diritto. La stessa guerra di Troia, apparentemente, è motivata da una vendetta più o meno futile. Nelle tragedie shakespeariane gli eroi si muovono animati da sete di vendetta. Massacri di massa traboccano in ogni momento della letteratura epica medievale come conseguenza di vendette tra fazioni diverse.
La guerra, antica e moderna è un aspetto macroscopico della vendetta, che trascina intere nazioni nella spirale del massacro legittimato ed eroicizzato. Ogni dichiarazione di guerra parte con l’idea del vindices, di colui che vuole ristabilire un diritto usurpato, un’offesa subita, un equilibrio turbato. Non parliamo poi delle vendette perpetrate dietro il paravento di una religione di cui abbiamo un continuo e spaventoso proliferare.
Le bombe intelligenti sono una vendetta, così come quelle stupide. E i massacri di bambini a fronte di altri massacri di bambini compiuti dalla parte avversa, sono anche loro una forma abominevole di vendetta. E più ci addentriamo nella spirale della vendetta più ci rendiamo conto che per colui che la esercita come per colui che la subisce, è un semplice problema di prospettiva. Infatti gridiamo all’orrore e rabbrividiamo per certe vendette cruente che ci minacciano da vicino mentre restiamo indifferenti se migliaia di esseri viventi muoiono ogni giorno di fame, non per vendetta, ma per menefreghismo o per la prevaricazione dei potenti nei confronti dei deboli. E poi se qualche ex debole si vendica brutalmente di tale trascuratezza restiamo colpiti per la sua efferatezza ma non per il nostro menefreghismo.
La vendetta si configura allora come il terzo elemento di una triade divina, simile a quella che contraddistingue le Grazie: il prendere, il conservare e il restituire può essere assimilato al processo del ricevimento dell’offesa, elaborazione del vulnus e della restituzione dell’offesa ricevuta. Ma, mentre il processo delle Grazie è sottoposto all’armonia, accompagnato dalle Muse, sorvegliato da Eros e guidato da Venere, quello della Vendetta è sottoposto alla furia acefala di Marte e allo scatenamento delle Erinni. In entrambi i casi, comunque, l’Anankè e il Fato sopraintendono all’ineluttabilità del divenire. Questa visione triadica ci porta a far soggiacere anche la violenza del vindices alla spirale del "debito" e del bisogno di cui abbiamo parlato nel precedente articolo dedicato alla “riconoscenza”.
Sono infatti di nuovo il "credito" o il "debito" (in questo caso di "giustizia" o di "onore") che richiedono un lavacro di sangue, un sacrificio espiativo, che raramente avviene attraverso i tribunali. Assai più spesso viene concluso in maniera più sbrigativa e diretta attraverso lo scontro fra i contendenti, con cui si presume di chiudere la spirale delle necessità che si è avvolta come un serpente sulle relazioni fra gli uomini. In realtà tale spirale resta sempre aperta e non giunge mai a compimento in quanto, in questo mondo affannato di voglia di modificare gli altri, manca del tutto la voglia di modificare sé stessi. Per cui nessuna vendetta termina con una pacificazione o con una soddisfazione di entrambe le parti in conflitto.
Come abbiamo cercato di esplicitare nell’articolo dedicato alla "riconoscenza", solo la "remissione del debito" assicurerebbe il corretto fluire degli scambi e la liberazione dalla necessità. L’azione diventerebbe di nuovo libera e la prigione della spirale delle vendette scomparirebbe. Questo non vuol dire che il cammino del sacrificio non vada completato ma, diventando azione non più determinata dalla presunzione e dal pregiudizio attraverso il quale va punito il delitto, si estinguerebbe l’odio e Marte farebbe nuovamente amicizia con Venere. Ma ovviamente stiamo parlando di una società utopica, dove gli uomini sono alla ricerca della Verità e del Bello. Tutto ciò non è facile da comprendersi. Anzi, risulta evidente che la remissione del debito "esula" dalle capacità di recepimento usuali. TUTTO è sottoposto a contratto, a mercimonio, e qualsiasi opera armonica che comporta la possibilità di serena rinuncia, diventa invece motivo di sottile e piccola vendetta compensativa. Basti pensare a quante cause civili e penali assillano le nostre aule di giustizia: sotto un certo profilo potremmo immaginare che in tali aule si celebrino giudizi, sotto un altro profilo si potrebbe pensare che si celebrino vendette, avallate da un giudice che, in genere, ha ben altro a cui pensare piuttosto che alla ricerca della verità... Quale sarà la giusta interpretazione?
Claudio Lanzi

