Questo editoriale aggiungerà alcune spiacevoli certezze al precedente; certezze acquisite in tanti anni d'incontri meravigliosi con esseri straordinari, incontri personali, diretti, non mediati da nulla e da nessuno.
Questa assenza di mediazione contrasta ferocemente con l’illusoria idea strisciante, assai in voga di questi tempi, che, attraverso la comunicazione mediatica (internet, TV etc.), qualcuno possa raggiungere qualche forma di conoscenza o, ancor peggio, di democrazia o infine, colmo dei colmi, di verità. Trovandomi assai in linea con l’idea platonica che già la scrittura rappresenti una grave reductio nei confronti della comunicazione verbale, ritengo che ogni cosa che abbia prodotto una massificazione delle idee non possa essere altro che una precipitazione verso la totale confusione. Mi rendo conto che questa potrebbe sembrare un'esaltazione dell’ignoranza e, forse, sotto un certo aspetto, vuole esserlo.
Una meravigliosa ignoranza (che, per ventura, potrebbe approdare a quella luminosa nescienza, descritta ineffabilmente dall’Anonimo autore de La Nube della Non Conoscenza) è a mio avviso di gran lunga preferibile a una parziale e faziosa conoscenza. Esiste ormai una colossale confusione fra l’informazione, l’accumulo mnemonico e la conoscenza. Esistono uomini che sono vere e proprie enciclopedie ambulanti, poco diversi da un CD Rom della Treccani.
Non fa grande differenza che sappiano tutto sul kamasutra o sulle Confessioni di Sant'Agostino. Il principio di acquisizione mnemonico che, per usare un termine archeologico, è di tipo stratigrafico, mi solletica un gioco di parole post-cartesiano: “copio-incollo e fotocopio, ergo sum”... Ma l’enciclopedia, checché ne pensassero Dideròt e D’Alambert, non è affatto una fonte di sapienza; è di certo una fonte d’informazione ed è utile per chi è già nella scienza (cioè ha imparato a discriminare il bene dal male e il vero dal falso) ma è terribilmente pericolosa per chi tale sapienza non ce l’ha. Oggi riempiamo di'informazioni la testa dei giovani e dei meno giovani e pretendiamo di farne degli in-formati. “Formiamo le teste” e non ci curiamo delle anime.
C’era sicuramente una ragione per la quale l’accesso alla scuola pitagorica era filtrato da tante prove. Prove non solo di abilità cognitiva ma di dirittura coscienziale (cfr. il mio Ritmi e Riti). L’informazione mediatica e la frenetica accumulazione del “copia e incolla” getta in un immenso pentolone gli ingredienti più eterogenei, e poi qualcuno ogni tanto pretende di dare un’”etica” a tale minestrone. Sarebbe comico se non fosse tragico. Un esempio fra mille: supponiamo che la verità sia una e che, fra cento giornali, cento telegiornali, cento blog, cento siti web, e cento opinionisti, ce ne sia uno solo che la propugni a spada tratta, e supponiamo che tutti gli altri affermino bugie. Succede forse che qualcuno abbandoni tali giornali o tali fonti di informazioni fasulle?
No. Tutti hanno lo stesso coefficiente di credito. Ne consegue che il falso non è quasi mai distinguibile dalla verità. Anzi la verità, perfino quella parzialissima raggiungibile con gli strumenti umani, NON interessa. Interessa “l’audience”. Ergo l’informazione non porta mai verso una verità accettabile, ma solo verso una teoria faziosamente condivisibile dagli appartenenti al medesimo schieramento (filosofico, politico, religioso, esoterico…). Se apriamo una delle enciclopedie mediatiche accessibili con Google scopriamo alcune cose utili e vere, ma anche un mucchio di assurdità. Queste ultime e le cose vere sono trattate ed enfatizzate nello stesso modo e sono presentate con uguale dignità. Massificare le idee e impastarle con quelle di milioni di persone: ecco il grande obiettivo mediatico. E così le una, nessuna e centomila idee diventano sempre più omogenee. Anche se contraddittorie s’impastano bene nell’arcobaleno del possibilismo collettivo.
Tale magma, direbbe Fantappié, porta verso la morte entropica dello spirito, e verso l’illusorio trionfo di un individualismo che si strozza da solo. Il nuovo Narciso proletario sta diventando un borghese rivoluzionario mediatico, impotente al pari del suo ex nemico, figlio di papà, che invece si proletarizza in quanto teme di non essere abbastanza diverso, mentre il diverso vuole diventare accettabile, e per far questo propugna la sua diversità in modo che diventi normalità. Questo è l’impasto in cui tutte le contraddizioni si stemperano in un minestrone democraticamente grigio, che diventa sempre più appiccicoso.
Questa non è una protesta questa, è un piccolo segnale, ma solo per coloro che hanno ancora voglia di capire.
Claudio Lanzi