Nell’VIII Centenario delle stigmate di San Francesco (di P. Galiano)

Nell’VIII Centenario delle stigmate di San Francesco (di P. Galiano)

                                                                                                                                Nel crudo sasso infra Tevere ed Arno

                                                                                                                       da Cristo prese l’ultimo sigillo

  che le sue membra due anni portarno.

Dante, Paradiso XI, vv. 106-108

 

La Verna dopo il Tabor, l’Oliveto e il Calvario è il monte più santo e più celebre del mondo[1], così scriveva cento anni fa, per il VII Centenario dell’impressione delle Stigmate[2] di San Francesco fra’ Saturnino Mencherini ofm: questo ci dà la misura di quale valore abbia il “prodigio”, come lo chiama sempre fra’ Mencherini, avvenuto sulla Verna[3] ottocento anni fa, celebrato il 14 Settembre, nel giorno in cui nel 335, dal tempo dell’Imperatore Costantino, si celebrava la festa dell’Esaltazione della Croce e la dedica della basilica nella quale era venerata a Gerusalemme.

Il monte della Verna, che si riteneva si fosse spaccato nel momento culminante della Passione del Cristo, divenne uno dei grandi centri di spiritualità francescana (e non solo), celebrato come nuovo Golgota: “Questo sacro monte si può chiamare quasi un altro mistico Calvario per le gran maraviglie che oprò Iddio in esso … è uno di quelli che s’aprirono nella Passione del Signore nostro Gesù Christo[4], anzi una figura del Paradiso Terrestre, visto che era situato tra quattro fiumi come l’Eden: “Segno notabile è la forma, fattura e figura del Monte, ed esser quello in mezzo di quattro fiumi che formano una bella Croce[5].

Del miracolo delle stigmate, “marchio” quindi segno nella carne dell’appartenenza al Cristo di colui che le riceve, si può parlare in modi diversi, ma non essendo io competente per trattarne sul piano mistico-teologico, mi limiterò ad alcune considerazioni storiche sull’evento che toccò Francesco e, più in generale, sulla storia delle stigmate nel mondo cattolico.

A differenza di quanto scrive il padre Mencherini che “il miracolo delle Stimate [sic] è grande, singolare, nuovo, inaudito” (p. VI), esso non è affatto “nuovo e inaudito”, in quanto numerosi soggetti con stigmate in sedi e forme diverse sono conosciuti fin dal primi secoli dopo Cristo..

San Paolo nella Lettera ai Gàlati (VI, 17) scriveva: “D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi; io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo”. Il significato di questa sua affermazione viene diversamente interpretato, che le sue stigmate siano da interpretare in senso metaforico per significare la sua unione con Cristo o che siano reali come quelle di Francesco, ma propenderei per la prima spiegazione perché fin dall’antichità in nessuna raffigurazione di San Paolo si vedono i segni delle stigmate.

Invece nel IV secolo San Gregorio di Nissa (vissuto tra il 335 e il 395 circa) parlando della sorella, fervente cristiana, riferisce che, quando prepararono il suo corpo per la sepoltura, di un segno (stygma) in forma di croce che aveva sua sorella sul torace, che Gregorio spiega col fatto che la madre lo aveva tracciato in quel punto con le dita per tentare di curarla di un tumore al seno[6].

Negli stessi anni San Gaudenzio vescovo di Brescia riferisce[7] delle stigmate portate dal suo predecessore, Filastrio (morto nel 397), mettendole in relazione con la sua intensa attività, come San Paolo, di evangelizzatore degli Ebrei e dei Gentili.

Ma anche nell’alto Medioevo, e quindi prima di Francesco, sono riportati casi di stigmatizzati, che possono essere interpretati a volte come miracoli, ma a volte come conseguenze delle crude penitenze inflittesi dal soggetto.

Ad esempio San Pier Damiani (1007-1072) scriveva del confratello Domenico Loricato (vissuto tra il 995 e il 1060), un monaco vissuto nel suo stesso convento camaldolese di Fonte Avellana, antica abbazia marchigiana intitolata alla Santa Croce, che egli “portava sul suo corpo le stigmate e aveva i segni della croce non solo sul capo ma impressi su ogni parte del corpo[8]: forse questi erano i segni delle mortificazioni corporali autoinflittesi dal frate, ma San Pier Damiani li collegava esplicitamente alle ferite della Passione del Cristo, e scriveva nel Sermone dell’invenzione della Croce: “Il Giudice riconoscerà i suoi da questo segno, a quelli che Egli vede segnati con il sigillo [stigma] della sua morte dirà: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il Regno[9].

Sempre San Pier Damiani parla delle stigmate impresse sul corpo della contessa Bianca di Milano[10], ritiratasi in un monastero, a cui Pier Damiani aveva indirizzato intorno al 1059 la Institutio monialis ad Blancam ex comitissa sanctimonialem, segno della relazione spirituale che intratteneva con essa.

Anche dopo Francesco numerosi sono i soggetti che ricevettero le stigmate, più frequentemente di sesso femminile, tra i quali ricordiamo solo la domenicana[11] Santa Margherita d’Ungheria[12] (1242-1270), Santa Caterina da Siena[13] (1347-1380), anch’essa domenicana, Santa Rita da Cascia[14] (1381-1457), monaca agostiniana Fig. 1, e Santa Teresa d’Avila[15], carmelitana (1515-1562). E non solo sante ricevettero il “marchio” delle ferite, ma anche semplici monache, come ad esempio alla metà del ‘300 la beghina[16] Gertrude van der Oosten di Delft, di cui ci ha lasciato notizia il gesuita Jean Bolland negli Acta Sanctorum del 1643[17].

  

Fig. 1 – Santa Rita da Cascia 1381-1457): l’immagine è dipinta sulla cassa contenente il corpo della Santa, realizzata poco dopo la sua morte nel 1457; l’autore sarebbe Antonio da Norcia. Santa Rita mostra con la mano destra la spina della Passione del Cristo che la stigmatizza (da Wikipedia, pubblico dominio).

 

Il miracolo delle stigmate si manifestò ancora nei secoli seguenti: sempre per citare soltanto qualche esempio, nel XVII e XVIII secolo con Santa Caterina de’ Ricci[18] (1522-1590), terziaria domenicana, San Carlo da Sezze  ofm[19] (1613-1670), la carmelitana Santa Maria Maddalena dei Pazzi[20] (1566-1607), la Serva di Dio Maria de Leon Bello y Delgado[21] (1643-1731), la clarissa Santa Veronica Giuliani[22] (1660-1627) Fig. 2, Santa Maria Francesca delle cinque piaghe[23] (1715-1791), terziaria francescana, l’agostiniana Beata Anna Katharina Emmerick[24], e nel XIX e XX secolo: la Beata Elena Aiello[25] (1895-1961), dell’Ordine delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue, Santa Gemma Galgani[26] (1878-1903), laica, la Serva di Dio Teresa Neumann[27] (1898-1962), anch’essa laica, e tante altre ancora, fino a giungere nel XX secolo con la figura più nota di tutte, San Pio da Pietrelcina.

1348 2 S  Veronica Giuliani

Fig. 2 – Santa Veronica Giuliani (1660-1627): immagine delle stigmate ritrovate impresse sul suo cuore nel corso dell’autopsia, identiche a quanto lei stessa aveva disegnato anni prima alla presenza di due consorelle per mostrare al suo confessore i segni che portava nascosti sul cuore. Incisione di autore ignoto; la scritta sotto l’immagine dice: “Copia esatta della Figura del Cuore della B. Veronica Giuliani, quale Ella stessa lo rappresentò in carta rossa con segni bianchi per ordine del suo Confessore poco prima dell’ultima malattia, e quale fu riconosciuto nella sezione del Cadavere fatta legalmente per ordine del Vescovo ivi presente. La descrizione dei segni fu data da Lei stessa al Confessore” (dal sito https://www.itreamoribianchi-araldidelvangelo.com/i-segni-incredibili-nel-cuore-di-santa-veronica-giuliani/).

 

La natura fisica delle stigmate di San Pio da Pietrelcina, frate cappuccino il cui nome laico era Francesco, è stata approfonditamente studiata da medici di ogni genere (mi sembra di non aver mai trovato esami da parte di medici dermatologi). Le sue “ferite”, scomparse prima del decesso senza lasciare cicatrici, non erano mai state trovate infette, come testimoniò nel 1919 il medico che lo aveva visitato due volte su richiesta del Ministro Provinciale, neanche quella del costato che è stata descritta da chi l’ha vista della lunghezza di sei-sette centimetri[28].

Certamente è difficile riportare tutti i pareri in merito a Padre Pio e alle sue “ferite”: in quegli stessi anni si dichiararono contrari a un’origine sovrannaturale Amico Bignami (grande anatomopatologo e scopritore dell’agente portatore della malaria, malattia allora diffusissima nelle zone paludose tirreniche), che le considerava causate da uso improprio di tintura di iodio, e Agostino Gemelli, secondo cui erano causate dall’isteria del soggetto, ma nessuno dei due accennò a fenomeni di infezione, il che sarebbe giustificato in caso di lesione indotta da un disinfettante come la tintura di iodio ma non nel caso di un fenomeno isterico[29].

Un’approfondita analisi del “caso” di Padre Pio ci porterebbe troppo lontano dall’argomento, vale però la pena di sottolineare come le “ferite” di Padre Pio siano considerate vere stigmate dal Dicastero delle Cause dei Santi[30] sulla base delle parole di Paolo VI: “Per anni sopportò i dolori delle sue piaghe con ammirabile serenità … Il 20 febbraio 1971, ad appena tre anni dalla sua morte, Paolo VI, parlando ai Superiori dell'Ordine Cappuccino, disse di lui: Guardate che fama ha avuto … Ma perché? Forse perché era un filosofo? Perché era un sapiente? Perché aveva mezzi a disposizione? Perché diceva la Messa umilmente, confessava dal mattino alla sera, ed era, difficile a dire, rappresentante stampato delle stimmate di nostro Signore”.

 Personalmente, essendo stato medico dermatologo, ho avuto modo di vedere almeno un centinaio di casi di quelle che chiamiamo patomimia, lesioni cutanee autoindotte da pazienti con alterazioni mentali di vario grado, e mentre quelle superficiali (graffi o tagli con coltelli, lamette da barba e strumenti simili) intaccano appena la cute dando segni modestissimi, le forme più gravi con asportazione degli strati cutanei in toto fino al derma o addirittura ai tessuti sottostanti, sono sempre grossolanamente infette con vistosi aloni rossastri di natura infiammatoria. Questo dovrebbe accadere ancora di più per lesioni perforanti come le “ferite” dei chiodi alle mani, ai piedi e al costato, ma non se ne fa cenno né nel caso delle stigmate di Francesco né nei soggetti vissuti nei secoli seguenti e osservati da medici. Quindi l’assenza di infezioni sembra essere un carattere distintivo delle stigmate autentiche e non autoindotte.

Torniamo a San Francesco: la sua stigmatizzazione suscitò fin da quando venne fatta conoscere risposte opposte, i Francescani e gli stessi Pontefici[31] ne accettarono l’autenticità, mentre i Domenicani si opposero vivacemente (i rapporti tra i due Ordini erano tutt’altro che buoni), negando l’autenticità delle stigmate e opponendo esempi di membri appartenenti al loro Ordine, i quali avrebbero sofferto le stigmate più spesso come invisibili ma dolorose, come spiega con ricchezza di esempi il Klaniczay nell’articolo citato.

All’inizio della discussione tra Francescani e Domenicani l domenicano Jacopo da Varazze (1230-1298), l’autore della raccolta di agiografie intitolata Legenda aurea, impostò il problema dell’origine delle stigmate nel terzo dei Sermones quator de S. Francisco Assisiensi in termini che precedono le più recenti interpretazioni date da alcuni ambienti scientifici: “La sua veemente immaginazione [di Francesco] poteva imprimere le stimmate nel corpo di Francesco insieme con quattro altri elementi efficaci, e cioè l’amore trasformativo, l’ammirazione e il forte turbamento emotivo davanti al prodigio, la meditazione specialmente diretta sulla Passione del Cristo e la compassione per i dolori del Cristo crocifisso[32]. Senza forse conoscere le parole di Jacopo da Varazzem molti patologi, psicologi e psichiatri contemporanei riconoscono la causa delle stigmate in un insieme psico-patologico di autoconvinzione.

La prima notizia della stigmatizzazione di Francesco la dette Frate Elia, suo amico e infermiere, in una lettera enciclica alle Province francescane subito dopo la morte del Santo nella qualità di Vicario Generale, essendo ormai da tempo Francesco malato e impossibilitato a svolgere l’attività amministrativa, e tre anni dopo ne scrive Tommaso da Celano nella Vita Prima.

Frate Elia[33] descrive in modo semplice e asciutto le stigmate di Francesco e la miracolosa persistenza di mobilità del suo corpo dopo la morte senza i segni del normale rigor mortis:

Ed ora vi annuncio una grande gioia e uno straordinario miracolo. Non si è mai udito al mondo un portento simile, fuorché nel Figlio di Dio, che è il Cristo Signore. Qualche tempo prima della sua morte, il fratello e padre nostro apparve crocifisso, portando impresse nel suo corpo le cinque piaghe, che sono veramente le stimmate di Cristo. Le mani e i piedi di lui erano trafitti come da chiodi penetrati dall’una e dall’altra parte, e avevano delle cicatrici del colore nero dei chiodi. Il suo fianco appariva trafitto da una lancia, ed emetteva spesso gocciole di sangue. Mentre era in vita aveva aspetto dimesso e non c’era bellezza nel suo volto ... Le sue membra erano rigide, per la contrazione dei nervi, come avviene in un uomo morto. Ma, dopo la morte, il suo volto si fece bellissimo, splendente di mirabile candore e consolante a vedersi. Le membra, prima rigide, divennero flessibili e pieghevoli qua e là come si volevano disporre, a guisa di un tenero fanciullo.

La testimonianza di Tommaso, scritta nel 1229, è molto più lunga e prolissa[34], per cui ne citerò solo alcuni brani.

Allorché (Francesco) dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato Verna, due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese e i piedi uniti, confitto a una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo …

… Le sue [di Francesco] mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell’esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande. Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra ferita del costato del servo del Signore stimmatizzato mentre egli era in vita. Ma fortunato frate Elia che, ancor vivente il Santo, meritò almeno di scorgerla, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani …

[Alla sua morte] mentre risplendeva davanti a tutti per sì meravigliosa bellezza e la sua carne si faceva sempre più diafana, era meraviglioso scorgere al centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro e il costato imporporato dal sangue.

Le due testimonianze in alcuni punti sono profondamente diverse ma un elemento le accomuna, la mancanza in ambedue i casi del riferimento a una data precisa in cui avvenne il miracolo, segno che probabilmente la scelta di farla coincidere con la festività della Santa Croce di epoca costantiniana venne fatta a posteriori.

Tre sono gli elementi aggiunti da Tommaso alla descrizione di Frate Elia: la presenza del Serafino-Cristo crocefisso (assente nelle parole di Elia), la descrizione dei chiodi come “una escrescenza carnosa” (Elia parla solo di ferite trapassanti “dall’una e dall’altra parte”), la conoscenza delle stigmate di Francesco da parte solo di Elia e di Rufino (a cui Elia non accenna).

Dopo la descrizione di Tommaso le storie francescane cominciano ad abbellire di nuovi particolari la scena della stigmatizzazione, come si legge in un testo del 1504[35]: viene inserita una data del miracolo (circa festum exaltationis sanctae crucis Christi) e compare una miracolosa luce che illuminò la notte e venne vista dai pastori che vigilavano le greggi (cum tanto splendore de nocte illuminavit montes et valles … de quo testes fuerunt cuncti pastores), un modo per equiparare la stigmatizzazione di Francesco in quanto divenuto alter Christus alla nascita del Bambino nella grotta di Betlemme Fig. 3.

1348 3 NAL 3245 p  76r De stigmatibus partic

Fig. 3 – In questo testo a stampa del 1504 vengono aggiunti alcuni particolari alla versione della stigmatizzazione di San Francesco fatta da Frate Elia e da Tommaso da Celano: la data del miracolo (circa festum exaltationis sanctae crucis Christi) e la comparsa la notte di una luce miracolosa di cui furono testimoni i pastori (cum tanto splendore de nocte illuminavit montes et valles … de quo testes fuerunt cuncti pastores). Anonimo, Speculum vitae Sancti Francisci et sociorum eius, Venetiis (expensis domini Iordani de Dinflaken) per Simonem de Luere 30 Ianuarii 1504, p. 96v.  particolare (Bayer Staatsbibliothek, V.ss.c. 232).

 

Sulla testimonianza di Tommaso da Celano si basano le raffigurazioni dell’impressione delle stimmate di Francesco fin dai dipinti più antichi: la più antica sarebbe una tavola datata 1228 (quindi contemporanea se non precedente la Vita Prima di Tommaso), che era nella chiesa di San Miniato al Tedesco ma che pur troppo è andata perduta[36], a cui seguirono la tavola eseguita da Bonaventura Berlinghieri nel 1235, e in seguito l’affresco nella Basilica Superiore di Assisi attribuito a Giotto (circa 1295-1296) Fig. 4 e il dipinto su tavola, sicuramente di Giotto perché da lui firmato, ora al Louvre Fig. 5 .

1348 4 Giotto o Maestro di San Francesco Stimmate

Fig. 4 – Basilica Superiore di Assisi: stigmatizzazione di San Francesco. L’affresco, attribuito a Giotto, segue la descrizione dell’evento fatta da Tomaso d Celano nella Vita Prima e costituirà la fonte da cui derivano molte delle successive rappresentazioni, affreschi, dipinti, incisioni e miniature (da Wikipedia, pubblico dominio).

1348 5 Giotto Stimmate firmata Louvre

Fig. 5 – Giotto di Bondone: Stigmatizzazione di San Francesco, circa 1295-1296. Il dipinto, ora al Louvre, porta la firma dell’autore (da Wikipedia, pubblico dominio).

 

Queste immagini costituirono il modello per quasi tutte le successive rappresentazioni del miracolo, non solo affreschi o dipinti, come quello molto più “asciutto” di van Eick del 1430, ma anche incisioni su libri a stampa e miniature di codici.

I manoscritti miniati ci portano a introdurre un discorso più ampio.

A partire dal ‘300 la Passione del Cristo viene associata all’Alchimia, in quanto le sofferenze da Lui patite e la sua Resurrezione sono considerate simbolo delle operazioni che subiscono i metalli, e in particolare il Mercurio, spesso considerato “figura” del Cristo. Le immagini che illustrano questo percorso costituiscono una novità assoluta rispetto alle stilizzate figure di vasi e di forni dei precedenti trattati alchemici e danno origine a quella che si può definire “Alchimia visuale cristiana”, dalle semplici vignette del testo senza titolo di Gratheus Fig. 6 7 8 alle immagini del Liber Madonnae Alkimiae di Costantino da Pisa Fig. 9a 9b.

1348 6 Gratheus c  59ra

Fig. 6 – Gratheus, ms senza titolo,: il re Ylarius e la regina Virgo si uniscono in un vaso a due aperture alla presenza di Multiperos, il cui nome è lo stesso di un vaso usato in Alchimia. È la prima rappresentazione nelle miniature di figure umane collegate alla Passione, Morte e Resurrezione del Cristo interpretate come fasi del processo alchemico (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms Vindobonensis 2372, c. 59ra, II metà sec. XIV; da van Lennep, Alchimia, ed. Mediterranee, Roma 2020, per gentile concessione della Casa editrice).

1348 7 Gratheus c  60rb

Fig. 7 – Gratheus, ms senza titolo, c. 60rb: il primus puer generato da Virgo e Ylarius (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms Vindobonensis 2372, II metà sec. XIV, da Jacques van Lennep, Alchimia, ed. Mediterranee, Roma 2020, per gentile concessione della Casa editrice).

1348 8 Gratheus c  57va

Fig. 8 – Gratheus, ms senza titolo: il Cristo che risorge dalla tomba (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms Vindobonensis 2372, c. 57va, II metà sec. XIV; da Jacques van Lennep, Alchimia, ed. Mediterranee, Roma 2020, per gentile concessione della Casa editrice).

1348 9a Costantino

Fig. 9a – Costantino da Pisa, Liber secretorum alchimiae: nel primo circolo la mano benedicente di Dio, segue l’Arcangelo Michele coronato e le immagini dei primi quattro pianeti-metalli, Saturnus-plumbum, rappresentato come tricefalo, Iuppiter-cuprum, a cui è associato il rame anziché come di norma lo stagno, Mars-ferrum, con l’elmo sul capo, e Sol (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms Vindobonensis 2372, II metà sec. XIV; Jacques da van Lennep, Alchimia, ed. Mediterranee, Roma 2020, p. 48, per gentile concessione della Casa editrice).

1348 9b Costantino

Fig. 9b – Costantino da Pisa, Liber secretorum alchimiae: gli altri tre pianeti-metalli, Venus-stagnum, Mercurius-argentum vivum, con la mitria vescovile sul capo in quanto pater omnium metallorum, Luna-argentum a cui seguono la Terra, mater omnium con gli animali del cielo e della terra,  e il mare mortuum, in un circolo separato dagli altri e quindi raffigurato intero, come intero è il circolo della precedente figura in cui è la Mano di Dio che tutto ha creato (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, ms Vindobonensis 2372, II metà sec. XIV, da van Lennep, Alchimia, ed. Mediterranee, Roma 2020, p. 48, per gentile concessione della Casa editrice).

Le più interessanti ma anche le più complesse illustrano il Libro della Santissima Trinità, scritto nel 1419 in alto tedesco dal francescano Ulmanno, da lui offerto all’Imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo, e per il contenuto del testo e per le miniature che lo illustrano Fig. 10 costituisce la più importante testimonianza di questa “Alchimia cristiana visuale”. Il trattato di Ulmanno ci è arrivato in lingua altotedesca del XV secolo e ne esistono solo due traduzioni, una in francese del XVIII secolo (le cui immagini però sono molto più tarde, datate al 1875) e una in italiano del solo Libro I, pubblicata nel 2023 dalle Edizioni Simmetria[37].

1348 10 Androgine Wolf 433 Helmst  c  103v

Fig. 10 – La figura dell’Androgine composta dal Re a sinistra, in colore rosso, e dalla Regina, a destra in colore bianco, in piedi sul dragone, tra i due alberi del Sole e della Luna (Ulmanno, Libro della Santissima Trinità, ms Guelf. 433 Helmst., Wolfenbüttel Bibliothek, c. 103v, secondo terzo XV sec.; riproduzione con il permesso della Wolfenbüttel Bibliothek).

 

L’opera costituisce un testo di grande complessità e di lettura non facile, scritto in uno stile molto personale, mistico e a volte profetico, su tematiche di teologia (al limite con l’eresia), alchimia teorica e pratica, con numerose “ricette” di difficile interpretazione, ed astrologia, con complicati “calendari astrologici” per eseguire le operazioni alchemiche nei tempi corretti, in un complesso gioco di rimandi e di metafore, per cui è richiesta al lettore una buona conoscenza di queste materie e una non comune capacità di saper leggere al di là delle frasi. Ad esempio è da comprendere il significato della trasformazione da lui operata sugli strumenti della Passione e Morte del Cristo: come per gli autori precedenti anche per Ulmanno le operazioni alchemiche sono in rapporto con la Passione del Cristo, ma ai chiodi e alla corona di spine sostituisce la tortura sulla ruota Fig. 11, il colpo di lancia è dato da una donna–serpente al costato di Adamo alla presenza di Eva Fig. 12, la morte non è sulla croce ma sulla forca Fig. 13 e con la decapitazione Fig. 14.

1348 11 Ruota c  3v

Fig. 11 – I simboli della Passione e Morte del Cristo di cui scrive Ulmanno non sono quelli di solito rappresentati ma la tortura sulla ruota, il colpo di lancia inferto dal serpente nell’Eden, la forca e la decapitazione (Ulmanno, Libro della Santissima Trinità, ms Guelf. 433 Helmst., Wolfenbüttel Bibliothek, c. 3v, secondo terzo XV sec.; riproduzione con il permesso della Wolfenbüttel Bibliothek).

1348 12 Lancia c  3v

Fig. 12 – Il colpo di lancia è dato nel Paradiso Terrestre da un donna-serpente ad Adamo davanti a Eva (Ulmanno, Libro della Santissima Trinità, ms Guelf. 433 Helmst., Wolfenbüttel Bibliothek, c. 3v, secondo terzo XV sec.; riproduzione con il permesso della Wolfenbüttel Bibliothek).

1348 13 Decapitazione c  3v

Fig. 13 – Anziché la morte sulla croce (che invece si trova in immagini successive) il Cristo viene decapitato (Ulmanno, Libro della Santissima Trinità, ms Guelf. 433 Helmst., Wolfenbüttel Bibliothek, c. 3v, secondo terzo XV sec.; riproduzione con il permesso della Wolfenbüttel Bibliothek).

1348 14 Forca c 3r

Fig. 14 – In un’altra miniatura la morte del Cristo è raffigurata come impiccagione sulla forca (Ulmanno, Libro della Santissima Trinità, ms Guelf. 433 Helmst., Wolfenbüttel Bibliothek, c. 3r, secondo terzo XV sec.; riproduzione con il permesso della Wolfenbüttel Bibliothek).

Per quanto interessa l’argomento delle stimmate di Francesco, almeno cinque manoscritti tra quelli finora conosciuti[38] sono decorati con l’episodio dell’impressione delle stigmate raffigurate secondo la versione di Tommaso da Celano, con l’immagine del Cristo-Serafino crocefisso, accompagnata da un breve testo che consente una nuova interpretazione del significato del miracolo.

È importante comprendere che il centro del pensiero di Ulmanno è Maria, la Madre del Cristo che egli unisce alla seconda Persona della Trinità in un solo essere chiamandola “Maria Gesù” o “Maria Gesù Dio Cristo”. Ulmanno afferma più volte nel manoscritto, con il suo stile tutto particolare, che Maria è stata concepita dal Padre prima di tutti i tempi, affermando così la sua l’Immacolata Concezione, che diventerà dogma della Chiesa solo quattro secoli dopo, nel 1854.

Il collegamento fra Maria Immacolata e San Francesco si trova proprio nella sua stigmatizzazione Fig. 15 e 16, con la quale il Santo ha ricevuto da Dio la conoscenza del mistero della divina umanità di Maria:

1348 15 Wolf ms Guelf 433 Helmst c  324

Fig. 15 – Il Serafino-Crocifisso imprime le cinque stigmate sul corpo di San Francesco (Ulmanno, Libro della Santissima Trinità, ms Guelf. 433 Helmst. Wolfenbüttel Bibliothek, c. 162v, secondo terzo XV sec.; riproduzione con il permesso della Wolfenbüttel Bibliothek).

1348 16 Wolf ms Guelf 433 Helmst c  324 particFig. 16 – Particolare dell’immagine precedente.

 

Nessuno può sostenere che la serva Maria madre di Dio non sia stata concepita e nata al di sopra della natura senza il peccato originale, a preferenza di tutti i santi … L’Ordine di San Francesco sostiene che Maria è stata concepita e nata senza alcun peccato originale (e) lo fa comprendere in modo eccellente. San Francesco ha ricevuto da Dio il dono di fare più miracoli che alcun altro santo, perché Dio ha donato a lui piuttosto che a tutti gli altri santi le sante cinque piaghe che Egli ha sofferto nella sua pura umanità unita alla divinità; questo perché Dio poteva ben dare a San Francesco la conoscenza della pura umanità di Maria; Maria umanità di Dio fu concepita e nacque senza alcun peccato originale, (e) San Francesco ha nascosto questo segreto ai fratelli del suo Ordine circa le cinque piaghe che Dio ha portato nella sua umanità affinché egli conoscesse meglio l’umanità di Dio Maria più di tutti gli altri santi. San Francesco portò insieme a Dio apertamente le sue sante cinque piaghe in carità fraterna piuttosto che tutti gli altri santi. Lo si può credere come un Vangelo perché è scritto in questo libro[39].

Le stigmate di Francesco lo hanno reso partecipe dell’umanità della seconda Persona della Trinità e, al tempo stesso, della sua divinità, è stato ammesso a partecipare, in quanto alter Christus, dei misteri della volontà di Dio Padre e solo lui, tra tutti i santi, ha ricevuto l’illuminazione della duplice realtà divina e umana di Maria, la Madre che è una sola persona con il suo Figlio. Il dono delle stigmate ha innalzato Francesco alla conoscenza suprema, ed egli ha potuto così accedere ai piani divini occultati a tutti gli uomini, siano pure santi, giungendo alla “conoscenza della pura umanità di Maria”.

Ulmanno in tal modo ci fa conoscere un nuovo e più profondo significato delle stigmate di Francesco e trasforma il segreto tenuto sulle sue stigmate di cui fa cenno Tommaso da Celano nella Vita Prima (“[Francesco] si era fatto un programma di non manifestare quasi a nessuno il suo straordinario segreto, nel timore che gli amici non resistessero alla tentazione di divulgarlo”) in un segreto ben più profondo e mistico sul quale è necessario meditare con attenzione.

 

[1] Padre Saturnino Mencherini o. f. m., Codice diplomatico della Verna e delle SS. Stimate [sic] di San Francesco d’Assisi nel VII Centenario del gran prodigio, Tipografia Gualandi, Firenze 1924, p. V.

[2] In Greco stygma vuol dire propriamente “marchio”, quindi lo stigmatizzato è “marchiato” dal Cristo.

[3] Il monte della Verna era stato donato a Francesco nel Maggio 1213 da Orlando Catani conte di Chiusi.

[4] Daniello Delle Rheti ofm, Descrizione delle Stimmate del nostro Serafico Padre San Francesco, Firenze MDCXXI appresso i Giunti, p. 53. Curiosità: l’autore, trattando dei nomi del monte de La Verna, cita Plutarco e Sabellico i quali lo nominano Laverna (pp. 52-53) e in una successiva edizione del testo specifica che “fu nominato Laverna per un Tempio di Laverna, Dea gentilica [sic] di ladroni quivi edificato”.

[5] Salvatore Vitale ofm, Teatro serafico delle stimmate di Christo impresse nel santo e virginal Corpo del glorioso Padre San Francesco, in Firenze, per Zanobi Pignoni, 1629, p. 66.

[6] Carolyn Muessig, The stygmata in Medieval and early modern Europe, Oxford University Press, Oxford 2020, p. 24. Altri esempi ancora sono stati raccolti dalla Muessig sulla comparsa delle stigmate dai primi secoli del cristianesimo fino all’età moderna.

[7] Gaudenzio di Brescia, Sermo XXI de vita et obitu beati Philastrii episcopi, citato in Muessig, The stygmata in Medieval and early modern Europe, p. 29 e nota 24.

[8] Muessig, The stygmata in Medieval and early modern Europe, p. 32.

[9]Et Judex hunc in suis characterem recognoscit, quibus autem impressum propriae mortis stigma considerat: Venite, inquiens, benedicti Patris mei, percipite regnum”.

[10] Muessig, The stygmata in Medieval and early modern Europe, p. 34.

[11] Sottolineo l’appartenenza di molti di questi stigmatizzati all’Ordine Domenicano perché, come dirò più avanti, i Domenicani osteggiarono fin da subito la realtà fisica delle stigmate di Francesco e quindi i loro Santi avevano segni dolorosi ma non visibili o comparsi peri mortem.

[12] Margherita era la figlia di re Bela IV d’Ungheria e fu   decretata santa nel 1943. Gábor Klaniczay, Le Stimmate: le narrazioni e le immagini, in “Memorie Domenicane”, nuova serie, 51-52 (2020-2021), pp. 299-316, pp. 303-304.

[13] Le sue stigmate erano visibili solo a lei e si dice che si siano manifestate solo poco prima della sua morte.

[14] Santa Rita ricevette un Venerdì Santo l’impressione di una spina della corona del Cristo sulla fronte.

[15] Le cinque stigmate della Santa sarebbero state riscontrate sul suo cuore quando venne effettuata l’autopsia.

[16] Le Beghine e i Begardi erano gruppi di laici che seguivano rigorosi sistemi di vita monastica al di fuori delle strutture gerarchiche della Chiesa, più frequenti nei Paesi Bassi, Germania e Francia, e scarsamente rappresentati nel sud Europa e soprattutto in Italia.

[17] Muessig, The stygmata in Medieval and early modern Europe, p. 130.

[18] Ricevette i segni delle cinque piaghe del Cristo e quelli della corona di spine sul capo. Le informazioni su questi stigmatizzati sono tratte da documenti del Dicastero delle Cause dei Santi e dal sito https://it.aleteia.org/, consultato 18-22 Agosto 2024.

[19] Canonizzato solo nel 1959, San Carlo aveva il segno della ferita sul petto in corrispondenza del cuore, secondo la tradizione impressa da un raggio fuoruscito da un’ostia consacrata.

[20] Le sue stimmate erano invisibili, ricevute durante una delle sue tante estasi mistiche (il convento carmelitano in cui aveva preso i voti contava anche altre monache le quali avevano avuto esperienze estatiche).

[21] Alla sua morte sarebbe comparsa l’impressione della lancia nel costato; da notare che la Santa aveva anche periodi di ipertermia di origine ignota come Padre Pio.

[22] Non solo ricevette le stimmate nel corpo ma anche nel cuore, con una figurazione molto complessa di simboli e lettere, disegnata da lei stessa per il suo padre confessore poco tempo prima della morte; le immagini furono verificate dall’autopsia, e si riscontrò anche che non vi erano segni di tessuto cicatriziale, come anche è stato notato per le stigmate di altri Santi.

[23] Il Dicastero delle Cause dei Santi non riferisce di stimmate ma solo dei suoi doni profetici, forse le furono attribuite dalla voce popolare per il nome che prese nello stato monacale.

[24] Le stigmate, confermate dal Dicastero delle Cause dei Santi, comparvero in più tempi: prima l’impressione della corona di spine, più tardi i segni su mani, piedi e torace, qui in forma di due croci sanguinanti.

[25] Ricevette le stimmate ai piedi e alla fronte, e il medico avrebbe accertato il fenomeno del sanguinamento dalla fronte.

[26] I cinque segni della Passione sarebbero stati verificati dal suo medico curante e vennero riportati nell’atto di canonizzazione

[27] Il fenomeno del sanguinamento delle cinque stigmate, delle ferite della corona di spine e dei segni della flagellazione avveniva nella notte tra il giovedì e il venerdì (più abbondanti nei Giovedì e Venerdì della settimana pasquale) come testimoniarono gli astanti, perché era possibile assistere alle sue visioni. Curiosità: poiché la Neumann si nutriva da anni con la sola Ostia consacrata e aveva abbondanti sanguinamenti dalle stigmate, si dice che il Nazismo le tolse la tessera annonaria ma le concesse una doppia razione di detersivi (così riferisce Paola Giovetti in Teresa Neumann. Una grande mistica del nostro tempo, Edizioni San Paolo 2007, p. 32). La Neumann fu visitata nel 1928 da Agostino Gemelli, inviato da Pio XI, il quale la giudicò sana di mente e non isterica, a differenza del giudizio che aveva dato in precedenza su San Pio da Pietrelcina.

[28] Gelsomino Del Guercio, Il mistero delle stimmate di Padre Pio. La parola ai tre medici che lo hanno visitato, pubblicato 09-03-2018 dall’Ansa (https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/fede/il-mistero-delle-stimmate-di-padre-pio-la-parola-ai-tre-medici-che-lo-hanno-visitato-42663, consultato 14 Agosto 2024).

[29] Interessante per l’analisi comparativa delle visite del 1919, anche se l’autore ne tratta per il contenuto semantico alla Umberto Eco, la prima parte dell’articolo di Francesco Galofaro, Le stimmate di Padre Pio: enunciazione assolutiva tra medicina e mistica, in “E|C Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici”, XIV, 30 (2020).

[30] Link: https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_20020616_padre-pio_it.html, consultato 14 Agosto 2024.

[31] Gregorio IX condannò nel 1237 sia il vescovo cistercense Roberto di Anglia, perché aveva affermato che il culto delle stigmate era un sacrilegio, sia il frate domenicano Evechardo, che predicava contro l’autenticità delle stigmate di Francesco; più tardi, nel 1292, Nicolò IV scomunicò il frate domenicano Tommaso di Aversa perché “aveva sostenuto che le vere stigmate della Passione non erano state ottenute da san Francesco ma da san Pietro Martire, l’alter Christus dei Domenicani” (Klaniczay, Le Stimmate, p. 300 e p. 302).

[32] Klaniczay, Le Stimmate, pp. 301-302.

[33] La Epistola encyclica Fratris Heliae post transitum S. Francisci è databile a pochi giorni dopo il 4 Ottobre 1224, data della morte di Francesco. La copia che possediamo è inviata a frate Gregorio Ministro della Provincia di Francia, ma si suppone che essa sia stata indirizzata a tutte le Province sulla testimonianza di frate Giordano da Giano: “per totum Ordinem litteras consolatorias destinavit” (in Chronica fratris Iordani a Iano, “Analecta Francescana”, vol. I, Quaracchi 1885). Nessun manoscritto originale ci è giunto (il che è è dovuto alla quasi certa distruzione dell’epistolario di Frate Elia da parte dei suoi confratelli), e la prima edizione a stampa si trova nello Speculum vitae beati Francisci et sociorum eius di Guglielmo Spoelberg, nella parte seconda della II ed. pubblicata ad Anversa nel 1620. L’Epistola è considerata autentica sia dai Padri Bollandisti che dagli scrittori che in seguito l’hanno utilizzata; solo nel 1995 è stata messa in dubbio da Felice Accrocca (Felice Accrocca, Un apocrifo: la lettera enciclica di frate Elia sul transito di San Francesco?, in “Collectanea Francescana”, 65, 1995, pp. 472-509).

[34] Non per nulla Frate Elia fece scrivere a Tommaso da Celano un versione abbreviata della Vita Prima allo scopo di renderla più fruibile ai lettori e in primis ai loro stessi confratelli, i quali evidentemente avevano difficoltà a leggere il testo integrale. Questa versione, scritta tra il 1232 e il 1239 durante il Generalato di Frate Elia, è nota come Vita Brevior o Vita beati patris nostri Francisci e venne fortunosamente ritrovata in un manoscritto acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Francia (Paris, Bibliothèque Nationale de France, ms Nouv. acq. lat. 3245), tradotto e commentato da Jacques Dalarun.

[35] Anonimo, Speculum vitae Sancti Francisci et sociorum eius, Venetiis (expensis domini Iordani de Dinflaken) per Simonem de Luere 30 Ianuarii 1504, p. 96v (Bayer Staatsbibliothek, V.ss.c. 232).

[36] Giuseppe Piacentini, “Il ‘fatto’ delle stimmate di San Francesco. Riflessioni a margine del libro ‘Vita di un uomo: Francesco d'Assisi’ di Chiara Frugoni”, https://www.academia.edu/40404616/Il_fatto_delle_Stimmate_di_Francesco_Riflessioni_a_margine_del_libro_Vita_di_un_uomo_Francesco_d_Assisi_di_Chiara_Frugoni, consultato 12 Agosto 2024.

[37] Ulmannus: Libro della Santissima Trinità, a cura di Paolo Galiano, Edizioni Simmetria, Roma 2023

[38] Per la precisione: il ms Hs80061 della Germanisches Nationalmuseum Bibliothek di Nürnberg (il più antico, datato al 1430), il ms Cgm 598 della Staatsbibliothek di Monaco (redatto nel 1467, che; secondo il Boeren sarebbe invece la più antica copia autografa del trattato, si veda PETRUS CORNELIUS BOEREN, Codices Vossiani Chymici, Leiden 1975, p. 8), il ms Guelf. 433 Helmst. della Biblioteca di Wolfenbüttel (secondo terzo del XV sec.) e il Cod. 78 A 11 dello Staatliche Museen di Berlino (XV sec.). Il quinto è il testo in francese del ms Mellon 74 della Yale Library di New Haven, traduzione abbastanza fedele del ms di Wolfenbüttel.

[39] Yale Library, ms Mellon 74, Libro III, cc. 195v-196r (Ulmannus, Libro della Santissima Trinità, p. 72). Nel Libro I Ulmanno scrive che il libro gli fu dettato direttamente da Dio e per tale motivo lo considera un testo sacro a cui, egli dice, nulla può essere aggiunto o tolto perché si andrebbe contro il volere di Dio che glielo ha rivelato: “Nessun uomo da parte sua deve né cancellarlo né scriverlo in modo differente da come è scritto, poiché tutto questo libro è un segreto di Dio … Questo libro può ben essere (detto) veridico, è Dio stesso che l’ha messo alla luce, Dio, cioè il libro della Santa Trinità” (ms Mellon 74, c. 4v; Ulmannus, Libro della Santissima Trinità, p. 92).

 

Sullo stesso tema:

Le Stigmate (di C. Lanzi)

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