San Francesco e le Stimmate (di A. Partini o.f.m.)

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San Francesco e le stimmate: segno e mistero

L’impressione delle stimmate nel corpo di San Francesco fu un evento prodigioso per i suoi contemporanei, e lo è ancora per noi. Vorremmo aprire una piccola finestra in quel mistero per cogliere l’esperienza di Francesco d’Assisi e il suo vissuto interiore, nella straordinarietà dell’evento e nell’ordinarietà della sua vita, per poi sbirciarne qualche possibile significato anche per noi.

Il segno

Sul monte della Verna, vicino ad Arezzo in Toscana, intorno alla metà di settembre del 1224, Francesco d’Assisi riceveva il dono delle stimmate: proprio quest’anno, dunque, se ne celebra l’ottavo centenario[1].

Dono unico e mai visto prima, almeno a quanto si sa dalle notizie in nostro possesso.

Sulla storicità del fatto, al contrario di quanto qualcuno ha nei tempi recenti dichiarato, non sembrano esserci dubbi: tutte le fonti primarie lo trasmettono in maniera chiara, e talune anche in modo dettagliato. A partire dalla prima testimonianza, la Lettera di frate Elia[2] alla morte di San Francesco nel 1226, fino a quelle di San Bonaventura e dell’opera dei Fioretti[3], che comprende proprio le cinque considerazioni sulle sacre stimmate, sono tutte concordi nel riferire i fatti narrati dai testimoni oculari.

In Francesco le stimmate apparivano non solo con le ferite, ma c’erano i segni dei chiodi, formati da escrescenze della carne: in modo che sul dorso delle mani e dei piedi si vedevano le capocchie dei chiodi di colore nerastro, mentre nelle parti palmari le punte come ribattute all’indietro a formare un arco di carne. Le ferite nelle mani e nei piedi, come quella del costato, emettevano sangue vivo, e Francesco le proteggeva con bende. Per camminare doveva usare delle calzature particolari e viaggiare a dorso di un asino proprio a causa della forma delle stimmate nei piedi.

Finché visse, Francesco cercò sempre di nasconderle, tanto che neppure alcuni dei suoi più intimi non le videro fino alla sua morte, quando il “meraviglioso prodigio” si rese visibile a tutti. Tanto s’è detto su questo suo atteggiamento, e vi torneremo brevemente più avanti.

Il mistero

Che cosa avvenne sul monte della Verna, per cui Francesco si ritrovò stimmatizzato?

Le fonti narrano dell’apparizione di un serafino, in forma di uomo crocifisso, che parlò a tu per tu con Francesco. Questi ne era ammirato per la mirabile visione e si domandava a un tempo che senso avesse tutto ciò. Era pieno di gioia nel vedere la figura di Cristo che si rivolgeva a lui benignamente sotto forma di serafino, e insieme terrorizzato alla vista delle piaghe del Crocifisso. Com’è possibile che coesistano la gloria del serafino, tra gli angeli più vicini a Dio, infuocato dell’amore divino, con l’aspra sofferenza della Passione?

In realtà è proprio qui il senso del mistero: un evento che parla di croce e di gloria, che rimanda alla Pasqua di Gesù, annientamento e dolore infinito dell’Uomo Dio, e potenza gloriosa dell’amore altrettanto infinito del Signore Risorto!

 

L’esperienza di San Francesco

Per ripercorrere l’esperienza intima di Francesco sulla Verna, bisogna considerare “come” egli vi arrivò: era un uomo quasi cieco e con diverse malattie – siamo a due anni prima della morte nel 1226 – segnato dalle difficoltà dell’ordine francescano ormai cresciuto a dismisura, tali che sentiva di non riuscire più a gestirle; e, forse anche per questo, immerso in una crisi profonda, la più acerba della sua vita, che coinvolgeva il rapporto con il suo Signore. In una parola, si può dire che sentiva già in sé qualcosa di quei dolori infiniti che Cristo patì in croce nel corpo, nell’anima e nello spirito, quando gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).

Nell’appressarsi al sacro luogo, aveva in cuore una preghiera al Signore: di ottenere il dono di sperimentare, per quanto possibile, il dolore che Gesù aveva provato nella sua passione e al tempo stesso l’amore smisurato che l’aveva spinto a ciò.

In concordanza con la sua preghiera, si trovò a vivere dentro di sé aspetti contrastanti, come in una coincidentia oppositorum: abbiamo già accennato all’ammirazione con l’incapacità di comprendere, ma poi gioia e tristezza, ardore d’amore e agitazione, e così via.

“Il beato servo dell’Altissimo si sentì ripieno di un’ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante letizia per lo sguardo bellissimo e dolce con il quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile, ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell’acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito”.[4]

In realtà Francesco rivive in sé la Pasqua di Gesù, mistero di morte e di risurrezione, di croce e di gloria, di amore e di dolore.

Forse proprio per questo egli cercò in tutta la sua vita di nascondere le stimmate a occhi indiscreti: infatti, l’amore e il dolore fanno parte dell’intimità di un rapporto, di quello di Francesco con Dio, il suo Signore, il suo Amico, il suo Sposo. Agli altri la grazia e la gioia di sperimentare la santità irradiante amore di Francesco, ormai già conformato anche nel corpo al Risorto, che nell’apparire ai discepoli porta nella sua carne i segni della Passione.

 

Straordinarietà e normalità

Un motivo per cui Francesco non fece mai vedere in vita le stimmate può essere anche un altro: e ciò sarebbe confermato dalla relativa assenza della menzione delle stimmate nelle biografie scritte dai suoi compagni più intimi, a testimonianza che essi, come Francesco, davano probabilmente più importanza ad altri aspetti della sua storia.[5]

Infatti, egli fin dall’inizio della sua conversione portò sempre nel cuore l’impronta del Crocifisso Risorto, da quando udì la sua voce nella chiesa di San Damiano[6]: così San Bonaventura narra nella Legenda Maior la vita di San Francesco, in una sua continua sequela del Cristo, che trova il suo sigillo nel dono delle stimmate, intorno al quale è strutturato tutto il racconto[7].

Per Francesco, così, l’amore al Signore si esprime in tutta la sua vita alla sequela del Vangelo: ciò che conta per lui è la quotidianità e la costanza nel seguire la “forma del santo Vangelo”, in gesti, pensieri e sentimenti che fanno parte della vita di ogni giorno, più che di fenomeni spettacolari come miracoli o visioni. L’amore e il dolore, gli elementi essenziali del dono di Sé di Gesù, fanno parte del “pane quotidiano” di ogni persona che voglia seguirlo.

Ne è una testimonianza unica il Cantico di frate sole[8], che Francesco scrive l’anno successivo a quello delle stimmate, in un momento in cui è tormentato da malattie e persino gli elementi naturali, come la luce del sole, sono causa di dolore fisico per lui: è nella preghiera che viene rinfrancato dal Signore che gli promette un regno eterno d’amore infinito in cambio di una breve pena. E Francesco prorompe nel canto di giubilo che tutti conosciamo, perla di preghiera e della letteratura di ogni tempo.

Ecco allora che le stimmate sono un evento, sì, straordinario, ma in continuità con tutta la vita del poverello di Assisi, fatta di quella normalità della vita cristiana, che s’incarna nelle ferie di ogni giorno: così come “ogni giorno” sperimenta il Signore che viene a lui, e tra noi, “in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre nelle mani del sacerdote. E … si mostra a noi nel pane consacrato”.[9]

Francesco ha parole stupende al riguardo, piene di meraviglia, e vale la pena riportarle:

“Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O ammirabile altezza e stupenda degnazione! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane! Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati.

Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre”.[10]

Francesco esalta e canta l’umiltà sublime e la sublimità umile del Signore, cui ogni giorno cerca di donarsi con tutto se stesso. E’ una restituzione di sé che sempre ha vissuto in due modi essenziali: la lode a Dio, come abbiamo visto nel Cantico di frate sole, e la prossimità ai fratelli, in special modo quelli che più portano i segni delle ferite della vita.

Le stimmate per noi

Quale senso possiamo noi trarre da questo segno e mistero delle stimmate di San Francesco?

Le caratteristiche sin qui menzionate ci aiutano a rispondere a questa domanda, almeno in modo embrionale e a mo’ di balbettii.

L’aspetto di segno delle stimmate ci aiuta a cogliere la dimensione concreta di quanto cade sotto i nostri sensi, mentre quello di mistero ci rimanda a una dimensione invisibile, nella quale risiede il cuore della realtà. La nostra vita non può fare a meno di questa duplice dimensione, Paul Ricoeur direbbe di “fatto” e di “vissuto”: solo nell’interazione tra di essi, ogni volta unica e irripetibile, possiamo riuscire a comprendere il significato intimo di ciò che ci accade.

In particolare, nell’esperienza di San Francesco, abbiamo visto coniugati insieme l’amore e il dolore, la gioia e la tristezza, l’ammirazione e il terrore: elementi che rimandano in lui alla Pasqua di Cristo, in cui morte e resurrezione – mai realtà più opposte si potrebbero immaginare – sono unite in un unico evento. Inoltre, ciò che in Francesco si rende manifesto nell’esperienza “straordinaria” delle stimmate rimanda a una realtà interiore che attraversa tutta la sua vita, dall’inizio alla fine: e questo in una “normalità”, in cui la quotidianità diventa il luogo del mistero, come emerge dalle sue parole sull’Eucaristia.

Alla luce dell’esperienza di Francesco anche per noi l’ordinarietà, fatta di eventi gioiosi e tristi, lieti e amari, può assumere un significato tutto particolare, che dona una pienezza di vita. Anche noi possiamo vedere trasformato il dolore in amore, l’amarezza in dolcezza[11], la morte in vita. Tutta la vita cristiana, infatti, si fonda sulla Pasqua di Gesù (cfr. ad esempio Col 3,3), dando luogo a quell’ineludibile lotta interiore tra “carne” e “spirito” che l’apostolo Paolo evidenzia così bene nelle sue lettere (cfr. Rm 8,6; Gal 5,16, ecc.).

Francesco c’insegna che la vita condotta alla luce del Vangelo, la lode a Dio nel creato e nei suoi misteri – sopra a tutti quello dell’Eucarestia –, il dono di sé ai fratelli più bisognosi e feriti sono le caratteristiche tipiche in cui s’incarna questa lotta spirituale. Quando è vissuta nello Spirito Santo, l’Amore di Dio che ci viene donato dal Padre in Gesù, questa lotta fondamentale ci porta, come per un’alchimia divina, a trasfigurare la nostra vita e a farci fin d’ora “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19).  

“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16): è davanti a quest’amore infinito che Francesco s’è sentito trasformare interiormente fino a far trasparire all’esterno i segni del dolore e dell’amore infinito di Gesù per noi, come esprime Iacopone da Todi in versi di una forza espressiva ineguagliabile:

“Parlar de tal figura                 co la mea lengua taccio;

misteria sì oscura                    d’entendarle suiaccio;

confesso che no ’l saccio         splicar tanta abundanza,

la smesurata amanza              de lo cor enfocato.

Quanto fusse quel foco           no lo potem sapere;

lo corpo suo tal ioco                no ’l pòtte contenere;

en cinqui parte aprire lo fece la fortura,

per far demostratura               que ’n lui era albergato”.[12]

[1] Per chi volesse iniziare ad approfondire il tema, uno strumento valido è il testo di Cesare Vaiani, San Francesco, La Verna e le stimmate, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2024.

[2] In Fonti Francescane, Editrici francescane, Padova 2004 (d’ora in poi abbreviato in FF), 304ss.

[3] FF 1826ss.

[4] Cfr. Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco (Vita prima) 94 (FF 484).

[5] Vedi la Leggenda dei tre compagni, l’Anonimo Perugino, la Compilatio Assisiensis (detta anche Leggenda Perugina) e lo Specchio di perfezione (in FF).

[6] Cfr. Tommaso da Celano, Memoriale del desiderio dell’anima (Vita seconda) 10 (FF 594). Il Crocifisso di San Damiano ha la particolarità di riflettere una simbologia tipica dell’evangelista Giovanni: è infatti rappresentato con le ferite nelle mani, nei piedi e nel costato (segno quest’ultima che Gesù è morto), e insieme con gli occhi aperti, segno del Risorto che guarda con amore ogni sguardo di persona che si posi su di Lui.

[7] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda Maggiore, Prologo 2 (FF 1022).

[8] Cfr. Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole (FF 263).

[9] Francesco d’Assisi, Ammonizioni I, 17-19 (FF 144).

[10] Francesco d’Assisi, Lettera a tutto l’Ordine, II, 26-29 (FF 221).

[11] Cfr. Francesco d’Assisi, Testamento, 1-3 (FF 110).

[12] Iacopone da Todi, Lauda 40, 75-82 (FF 2031).

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