Se Evola - "Uno stile spirituale delle origini" - (di M. Toti)

Uno “stile spirituale” delle origini. Tradizione e metapolitica della controdecadenza in J. Evola*

Ideen ohne Worte

1342 20230516 194154La nozione di tradizione, in alcuni ambienti “evoliani”, è stata interpretata come rivoluzione metapolitica (con giustificato rimando alla esperienza germanica della “rivoluzione conservatrice”[1], oltre che mediante una lettura “metapolitica” dell’opera di R. Guénon): la prospettiva “rivoluzionaria” può essere intesa, in tal caso, anche quale “mistica” lato sensu, ossia come la “immanentizzazione” di questa; in un certo senso, essa è la risultante della integrazione precipuamente occidentale tra politica e tradizione, calata nel contesto del mondo moderno. In un mondo “rovesciato”, la tradizione diviene quindi rivoluzione (non semplicemente “reazione” o “controrivoluzione”). La metapolitica, in questo senso, ha costituito il tramite tra le elaborazioni meramente politiche ed il cd. ”orientamento tradizionale”; e ne è stata, pure, una “sintesi” qualificante. Da questo punto di vista, il “paradosso evoliano” è consistito proprio nell’aver Evola costituito un autore tendenzialmente “impolitico” (o forse, più precisamente, metapolitico), e tuttavia suscettibile di interpretazioni (secondo noi non destituite di fondamento) che, tra l’altro, traslavano la metapolitica evoliana sul piano dell’azione politica (ossia della “grande politica”): coll’assunzione di una postura di “realismo eroico” che si dava quale fine ultimo quello di operare sulla realtà, scavalcando l’apoliticità dei “tradizionalisti” (guénoniani e schuoniani) e innervando la stessa “impoliticità” evoliana. Da questo punto di vista, F. Freda (1941-), insieme a C. Mutti (1946-), ha rappresentato il più significativo epigono “politico” di Evola. Il mezzo per “cavalcare la tigre” è stato inteso dall’editore padovano il superamento del nichilismo[2]: in tale prospettiva, F. Nietzsche è stato assunto quale medium destruens, anche se non pienamente concluso (dal “nichilismo passivo” è necessario passare a quello “attivo”, attraversando il primo); Platone quale riferimento construens (nozione del “vero Stato”); e lo stesso Evola come trait d’union “attuale” tra i due grandi filosofi dell’Occidente greco-germanico, pure irrisolto tra “individuo assoluto” e “Tradizione”[3]. Il “distacco”, categoria eminentemente “mistica”, qui si deve intendere come il mezzo sovrano per agire sulla realtà (magicamente o “politicamente”, tramite l’”io assoluto” e l’”immaginazione creatrice” ad esso connessa[4], ovvero attraverso l’azione): se alla incipiente desacralizzazione della religione corrisponde, quasi per compensazione, la sacralizzazione della politica, quest’ultima diviene non solo una religione, ma una nuova sintesi metapolitica ed una autentica ascesi o “mistica dell’azione”[5] (affine a quella del “soldato politico”, o “miliziano”, nei termini di Freda, che la riprende da E. Von Salomon [1902-1972]). Di tale “ascesi”, operante nella storia e fondata sulla volontà, l’”uomo nuovo”[6] è il “sacerdote” (il “mistico” fascista[7], in qualche modo analogo alla SS germanica, che peraltro teneva in somma considerazione i samurai giapponesi[8]), una sorta di “monaco guerriero” adattato ai tempi: “insomma, il razzismo era la chiave che permetteva di realizzare finalmente il totalitarismo perfetto: un ‘uomo nuovo’ rinnovato nel corpo, ma soprattutto nello spirito […]”[9]. All’interno di un processo che portò alla “svolta antisemita” del 1938, la “nazionalizzazione delle masse” (G. Mosse) fu seguita quindi dalla “razzizzazione della nazione” (l’antisemitismo, unitamente alla nozione ed alla prassi dell’”uomo nuovo”, rafforzava il sistema totalitario[10]). Secondo Evola, la mistica fascista, fuori dalla coppia complementare sentimento-cerebralità[11], ha un significato specificamente razziale[12], e il suo fine è l’ordine superindividuale e supernaturale, la “’realtà libera dai limiti di tempo e spazio’, che, all’inizio della sua Dottrina del Fascismo Mussolini stesso riconosce e indica come imprescindibile condizione per ogni ordinamento della volontà e per ogni dominio”[13]. Essa, pur interferendo con la religione (ascesi cattolica), ne è chiaramente distinta[14]: “esistono delle combinazioni interiori in cui […] il Mehr-Leben, vale a dire una estrema intensità di vita, si capovolge e quasi trasfigura in un Mehr-als-Leben, in ‘più che vivere’, ‘più che vita’ […] Si tratta di apici, capaci di giustificare tutta una esistenza umana e che, per così dire, rendono partecipi di un’altra natura”[15]. Infine, la mistica, favorita dall’attivazione di un clima di tensione spirituale ed eroica, è la sostanza di una “rivoluzione permanente”, all’interno della quale la “forza primordiale formatrice” si “risveglia” e fonda il vero Stato, concepito come entelechía, “mito” (idea-forza) e “forma più alta e potente di personalità”, per cui, come ha affermato Mussolini, è lo Stato, “forza spirituale”, “autorità che dà legge e valore di vita spirituale alle volontà individuali”, a creare la nazione”[16].

In tal senso, è ovvio che le stesse esperienze fasciste non vadano tanto considerate come dottrine, quanto quale Weltanschauung (questa ne è l’interpretazione presso autori quali Evola[17] –seppure con critiche--, i letterati francesi collaborazionisti, etc.), che inglobano in sé uno “stato d’animo”, uno “stile” e quindi una sorta di “estetica della politica”. Lo stesso Evola, dopo un impegno “politico”[18], passò ad una elaborazione propriamente “metapolitica”[19]. Ciò non escluse, oltre alle problematiche teoretiche e pratiche che l’approccio di Freda poneva, i differenti orientamenti di quest’ultimo e di Mutti[20] (giornalisticamente maltrattati quali “nazimaoisti”[21]) ed i contrasti tra gli stessi Freda e Evola[22].

Nel caso di Freda, con la sua Disintegrazione del sistema[23] si volle proporre un contenuto consapevolmente e radicalmente nazionalpopolare ai sommovimenti del ’68-’69: ove lo “Stato popolare” e l’alleanza con le sinistre extraparlamentari (principalmente in funzione anticapitalistica e antisionista, oltre che “antieuropea”, ed avversa a quell’anticomunismo deteriore tanto à la page a destra) costituirono unicamente mezzi e fini tattici e provvisori, non strategici, né tantomeno “dottrinali” (anche se integrati con la nozione e la funzione moderna di “popolo”, e con un certo apprezzamento del totalitarismo cinese). Già allora, dall’analisi del folgorante testo in questione, si poteva ben comprendere come si trattasse di una prospettiva eminentemente “ultrapolitica”, fondata su di una interpretazione, pure “problematica”, di un passo di Evola sulla apoliteía[24]: che intendeva attualizzare ed esplicitare ciò che nel filosofo era implicito, traendo spunti pragmatici da quanto si considerava lo “spirito” del dettato evoliano, che, dalla assunzione di uno “stile interno” eroico mutuava la necessità di una “guerra santa” al “sistema borghese” (sul piano, quindi, politico: ma si trattava di una prospettiva, almeno teoreticamente, del tutto estranea ed esterna all’alternativa classica destra-sinistra). Il “cortocircuito” tra tradizione e modernità ha dato pertanto luogo a una sorta di “retrofuturismo romantico”, che ha idealizzato alcuni dati storicamente complessi in “archetipi” fondanti la prassi “politica”, sulla base di una mitostorica, pura “emozione delle origini” (talora ingenerando, però, “scentrate” esplosioni di violenza e, individualmente, di rabbia malcelata).

In altro ambito, dal punto di vista della storia delle religioni (sul piano di un’”ermeneutica creatrice”[25] debitrice di M. Eliade), ci si è concentrati sulla ricerca del “senso” dell’esperienza religiosa (homo religiosus) come “antidoto” alla modernità. In questo caso, la comparazione è stata anche intesa come via per la ricostruzione delle differenti tradizioni religiose, forme storiche della “sapienza”[26]: qui, il rapporto tra tradizione e storia (e “cultura” come “degradazione” della “sapienza”) è palesemente tematizzato. La storia sarebbe l’esito di una rottura ontologica “originaria”, costituita dal processo di ingravescente solidificazione[27] che muove, sul piano “individuale”, dall’individuazione dell’”io” (in termini cristiani, la “persona”; si pensi anche a certe tesi junghiane), con i portati del “terrore della storia” e dell’”angoscia esistenziale” (dovuta alla contemplazione dell’abisso che induce la “caduta”, oltre che alla heideggeriana “gettatezza” [Geworfenheit]) e della libertà correlata (la storia come dominio della volontà[28]). Ciò che sul piano materiale è individuato come “corpo”, sul piano “mentale” implica il formarsi delle categorie di spazio e tempo, e quindi la percezione di sé come “individualità”: la “esperienza della finitudine”, dunque, che a sua volta determina la constatazione della propria mortalità (altro motivo di angoscia, sublimato, nelle “civiltà tradizionali”, dallo stretto e organico aggancio al trascendente, che ordina la società e le conferisce un significato trascendente).

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          La metapolitica evoliana è strutturalmente connessa con i concetti di “uomo nuovo” – proprio delle esperienze totalitarie coeve -- e di “razza”. Al fine di sgombrare il campo da facilissimi equivoci, sarà bene operare – repetita iuvant! - qualche precisazione in merito alla nozione di “razza”[29], in generale e presso Evola; a tal fine, si procederà ad una breve analisi dei rapporti di questi con il fascismo ed il nazionalsocialismo, in merito alla questione, e ad una comparazione con un autore parzialmente ascrivibile, da questo punto di vista, all’orientamento evoliano, F. Schuon (1907-1998). 

          Laddove, com'è noto, il razzismo “biologico” si pose in linea col positivismo e il darwinismo[30] (di cui rappresentava l’espressione “sociale”), il razzismo “spirituale” del filosofo romano implica in essentia l’ineguaglianza degli uomini (anche all’interno della medesima razza “del corpo”: mentre è possibile una “convergenza metapolitica” tra razze diverse[31]), non fondata su dati biologici o persino su autoreferenziali, scientisti “quozienti intellettivi”, ma su possenti (e oggettive, sebbene non “oggettivabili”) “tensioni spirituali”. In altri termini, secondo questo punto di vista la razza interna è, nel suo aspetto più “profondo”, lo spirito “manifestato”, quindi l’espressione “qualitativa” della natura umana[32].

La parola “razza” descriverebbe, biologicamente, dei tratti somatici ricorrenti presso precisi gruppi; inoltre, darebbe ragione di un “carattere” comune (uno “stile psichico”, che pure non oltrepassa il dominio della storia), oltre che di un preciso “atteggiamento” di fronte al trascendente[33]. Essa, in quanto “mito”, costituisce una idea rivoluzionaria[34]. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, uno dei maggiori “traghettatori” della nozione in questione, intesa sia in senso fisico che metafisico (ed applicata alla politica, quindi metapolitica), fu G. Le Bon (1841-1931): l’”anima della razza” sarebbe significativamente “un essere permanente affrancato dal tempo”[35]. Fonte di ispirazione privilegiata per Evola, pur nella differenza di vedute (Evola considera la Rassenseelekunde come “razzismo di secondo grado”[36]), fu certamente L.F. Clauss (1892-1974) – il cui rapporto col nazionalsocialismo fu ambiguo --, secondo cui le varie qualità “intellettuali” non sono appannaggio di un’unica razza, ma ineriscono a tutte le razze, pur esprimendosi attraverso “stili” e livelli differenti: “[…] le proprietà o caratteristiche sono proprie del carattere, non della razza. La razza non determina un particolare inventario di proprietà specifiche, ma il modo in cui esse si rivelano. Quel modo di rivelarsi noi lo chiamiamo: ‘stile dell’espressione vitale’ oppure: ‘stile dell’anima’. È questo stile che costituisce la natura di ogni animazione razziale ed ha un effetto in ognuna delle nostre esperienze vitali, siano esse profonde, superficiali o quotidiane. L’opinione diffusa che l’anima della razza poggi su queste o quelle caratteristiche, è tanto poco scientifica o tanto poco intellettuale, come quella secondo cui la differenza fra nordici e meridionali sta nel fatto che gli uni vendono aringhe e gli altri arance”[37].

D’altra parte, nella prospettiva di Schuon (e a fortiori di Evola), la razza individua una determinata “Weltanschauung spirituale” (cui, comunque, tratti somatici e caratteriali rimandano[38]), sebbene nel primo essa costituisca una categoria dipendente dalla “mistica pura”, nel secondo sia inerente ad una sorta di “mistica metapolitica” estranea al pensiero di Schuon. In vista della costruzione dell’“uomo nuovo” e sulla base di una prospettiva “metapoliticamente tradizionale”, Evola tentò infatti, come è risaputo, di “orientare” dall’interno il fascismo italiano[39] e di “rettificare” il nazionalsocialismo tedesco[40]: senza riuscirvi, nel caso del fascismo essendo generalmente poco considerato da un atteggiamento politico “pragmatico” e da un razzismo talora “biologico” (anche se Mussolini approvò le sue tesi sulla razza[41]), nel caso del nazionalsocialismo risultando talora osteggiato nel suo stesso razzismo “integrale”[42] e dalla sua prospettiva, giudicata romana e “reazionaria”[43]. Tuttavia, è qui il caso di mettere in questione il luogo comune (condiviso in buona parte dallo stesso Evola) del crasso “biologismo” nazionalsocialista. Nel suo “testamento politico”, Hitler afferma infatti: “Parliamo di razza ebraica solo per convenienza linguistica, perché […] da un punto di vista genetico non esiste alcuna razza ebraica […] La razza ebraica è soprattutto una comunità dello spirito […] Una razza spirituale è più tenace e duratura di una razza naturale”[44]. Qui la tesi del Führer, espressa pochi giorni prima della sua scomparsa ed in una veste particolarmente “grave”, converge con quella di Evola e compendia la nozione di “ebraicità” o “spirito ebraico”[45]. Inoltre, con riferimento agli ultimi anni della guerra, risulta “specialmente evidente nel caso di Hitler, la costante associazione alla persona di Gesù e al suo messaggio rivela una dimensione religiosa dell’antisemitismo nazista che coesisteva con la dimensione razziale, e in qualche modo le dava forma”[46].

          Pur criticando Evola, Schuon utilizza spesso il termine “razza”, secondo alcuni in senso non incompatibile con quello che gli conferiva il primo[47]. Ad es., in The Feathered Sun. Plains Indians in Art and Philosophy[48], del 1990, il metafisico elvetico scrive questo poetico passo, che costituisce una sorta di “summa programmatica” del testo, interamente dedicato ai pellerossa, ed una specificazione della loro Weltanschauung spirituale: “Questo grande dramma [degli Indiani d’America, n.d.r.] può esser definito come la lotta […] tra la civiltà urbana (nel senso strettamente umano e peggiorativo del termine, con tutte le sue relazioni con l’artificio e il servilismo) e il regno della Natura considerato come l’abito solenne, puro e illimitato dello Spirito Divino. Ed è da questa idea della vittoria finale della Natura (finale perché primordiale) che gli Indiani traggono la loro inesauribile pazienza malgrado le sventure sofferte dalla loro razza; la Natura, di cui loro stessi si sentono l’incarnazione, e che, al tempo stesso, è il loro santuario, finirà conquistando questo mondo artificiale e sacrilego, perché è l’Abito, il Respiro e la Mano stessa del Grande Spirito”[49]. Tale estratto sintetizza alcuni temi che ineriscono, direttamente o no, alla questione della razza come “temperamento”: in primo luogo, il conflitto tra urbanesimo (artificio) e natura (autenticità “originaria”, per l’appunto “primordiale”, cui quindi è destinata la vittoria “finale”), significativamente intesa non quale “creato” ontologicamente distinto quasi per iatum dal Creatore, ma per l’appunto come “abito solenne, puro e illimitato dello Spirito divino”[50], “santuario”, “respiro” e “mano” del “Grande Spirito”[51].

In un’ottica sociologica, si può anche ricordare che certo pensiero tedesco del tardo Ottocento opponeva per diametrum Gemeinschaft (“comunità” naturale, basata sul sentimento dell’appartenenza ad una stirpe e ad un suolo: ad una sacra terra “madre”, per l’appunto) e Gesellschaft (“società” artificiosa, razionalmente e contrattualisticamente fondata), Normaltypen di organizzazioni sociali inconciliabili e “divaricatesi” successivamente alla Rivoluzione Industriale[52]. Il nazionalsocialismo, cui pure F. Tönnies (1855-1936), primo presidente della Società Tedesca di Sociologia, si oppose, riprese tali paesaggi teoretici, specificando l’idea di “comunità” con la categoria della Volksgemeinschaft (“comunità di popolo”, nozione cui fu connesso un profondo ed organico tentativo di “ruralizzazione” della Germania e dell’Europa presso alcune alte gerarchie del regime[53]), ove la relazione tra “sangue” e “spirito” era considerata strettissima[54].

          In secondo luogo, il dramma storico dei pellerossa interseca (trovandovi una sua giustificazione “suprastorica”) una visione metafisica della “natura vergine”, apparentemente in contrasto col Cristianesimo (certamente con le sue derive “razionalistiche”, per non parlare di quelle “occidentaliste”), che vi introduce quasi ab origine lo “strappo” del peccato[55]. Nella tradizione pellerossa, caratterizzata da un “primordialismo” che non si ritrova così esplicitamente nei tre grandi monoteismi[56], è evidente che la natura, nel suo aspetto “vergine”, costituisce una autentica “teofania”: ciò che non pare in contrasto, tuttavia, in specie con la prima Patristica orientale (contra, in particolare, l’”agostinismo”[57] e certo tomismo).

          In terzo luogo, la razza, in Evola, non è tanto e solo un dato biologico (o anche “psicologico”, come in Clauss e Schuon), ma costituisce uno stile spirituale, che può essere difforme nelle espressioni “esterne” ma anche, talora, convergere sul piano della “prassi” presso soggetti o ambiti qualificati (oltre che, in teoria, nel contesto della “pure metaphysics”), pure afferenti a universi spirituali apparentemente incomponibili. Secondo Evola, il cui “razzismo” ricalca peraltro la classica tripartizione antropologica cristiana (e “tradizionale”) – cui egli “sovrappone” la nozione di razza, intesa in senso “totalitario” e concepita come idea spirituale[58]: e sta proprio in questo, essenzialmente, la sua “originalità”, fondata peraltro su modelli tradizionali --, la “razza dello spirito”, “forza profonda delle origini”[59], si definisce in tal modo: “La ‘razza dello spirito’ è una cosa diversa [rispetto a quella “dell’anima”, n.d.r.], perché riguarda la forma non più dell’atteggiamento rispetto al mondo sensibile, storico e sociale, ma dell’atteggiamento di fronte al mondo divino e sovrasensibile: il punto di riferimento non è più la vita, ma quel che sta di là dalla vita. Riguarda dunque anche la forma e lo ‘stile’ delle vocazioni spirituali, nel senso più alto e severo del termine. Come il mondo del costume, del pensiero, dell’arte e della psicologia individuale e collettiva ci mostra degli ‘invarianti’, cioè dei comuni denominatori, delle uniformità tipologiche che noi riportiamo alle ‘razze dell’anima’, così il mondo dei culti, dei miti, dei simboli, dei riti, delle vie di realizzazione ascetica, mistica o iniziatica è suscettibile di una discriminazione, che ci riporta ad un dato numero di forme spirituali primordiali e originarie. Anche all’interno di una data religione vi sono modi di concepire il divino e i rapporti esistenti fra esso e l’uomo. E in questa diversità che si tradisce la ‘razza spirituale’: essa appartiene, per così dire, alla direzione verticale (verso l’alto), cosi la ‘razza dell’anima’ riguarda invece la direzione orizzontale (il mondo intorno a noi, l’ambiente”[60]). In tal senso, fatti i dovuti distinguo, il “primordialismo” di Schuon (autore, peraltro, di Caste e razze, in cui criticava Evola, senza nominarlo, per “atavismo etnico”[61]) può essere dunque accostato alle tesi di Evola. Il primo, pur affermando che “la casta prevale sulla razza”, sostiene chiaramente che “è [però] impossibile accettare che le razze non significhino nulla al di là delle caratteristiche fisiche”, poiché esse, in quanto “forme” complementari[62], devono avere una “ragione sufficiente”[63] (propriamente “metafisica”): dove Evola parla di “razza dello spirito”, con riferimento alla tradizione “guerriera”, Schuon parla di “casta”, con rimando alla tradizione sacerdotale (indù). D’altra parte, il primo afferma che, se la “cultura” pellerossa – costituita di “razze fiere con un loro stile”, dotate di “qualcosa ‘di aquilino e di solare’” – avesse avuto la meglio sulla “civilizzazione” statunitense, “il livello della civiltà americana sarebbe stato probabilmente più alto”[64]: ciò da cui si deduce la tesi della “superiorità” del pellerossa “tradizionale” sull’uomo bianco “degenerato” (ovvero della “civiltà” pellerossa sul “crogiuolo americano”), le cui originarie qualità “solari” si sono trasformate, per il tramite di indebite commistioni e della “necessità” dei cicli storici, in esiziali difetti.

          In questa prospettiva, pure, ogni razza, somaticamente più o meno identificabile (oggi molto meno che ieri), produce un “campo ideologico” (nozione elaborata da G. Dumézil) e soprattutto una “civiltà” (nel senso tedesco di Kultur), essendo latrice di una specifica, essenziale “forma spirituale”. Sul piano della “personalità”, di conseguenza, non si dà una dignità astratta o “naturale”; esistono, invece, tante “dignità funzionali” che, nella loro gradazione gerarchica, fondano una armonia “metasociale”, specchio dell’armonia “cosmica”: un “ordine”, la cui espressione “metapolitica” più compiuta, in Occidente, è lo Stato[65], in cui si realizza, sul modello platonico, una configurazione gerarchica il cui imperium è affidato ad una “razza” (un “ordine”, per l’appunto, fondato sul “genio”[66] di una particolare élite o nazione) di “sapienti”. Significativamente, la ineguaglianza delle anime umane – ma non delle “razze”: che Evola stesso, ad ogni modo, non interpreta in modo “schematico” e “suprematista” -- è attestata anche nel tomismo “ufficiale” (dottrina ormai ignorata dai più). La quindicesima tesi del tomismo recita infatti che l’anima[67], “forma” del corpo e “personalità sussistente”, “[…] viene creata da Dio quando il soggetto che la riceve è sufficientemente disposto ed allora può esservi infusa”[68]: dal che si potrebbe anche desumere che le anime – ma non le razze! --, come i corpi che le “ricevono” proporzionalmente, dopo essere state create uguali, sono dotate, all’atto dell’incorporazione, alcune di dignità “superiore”, altre di dignità “inferiore”[69]. Tutto il composto umano, quindi – anche il corpo come simbolo che rimanda costitutivamente ad altro, espressione esterna di una “forma” interna: ciò che si oppone per diametrum ai mefitici conati della postmodernità -, ha un senso (un significato e una destinazione), in un ordine costituito ab origine di un armonico universo di significati complementari.

MARCO TOTI

 

* Ringrazio il dott. L. di Chiara e il dott. G. de Turris per la cortese disponibilità.

[1] Sui rapporti tra Evola e la rivoluzione conservatrice  v. H.T. Hansen, Julius Evola e la ‘rivoluzione conservatrice’ tedesca, tradotto in italiano da A. Grossato per Studi evoliani, Libreria Europa, Roma 1998, pp. 144-180 (poi pubblicato nel 2002 col titolo Julius Evola et la ‘révolution conservatrice’ allemande). Sulla rivoluzione conservatrice v. A. Mohler, La rivoluzione conservatrice in Germania. 1918-1932 (1950), La Roccia di Erec, Firenze 1990.

[2] Cfr. AA. VV., Tradizione e/o nichilismo. Letture e riletture di Cavalcare la tigre, AGA, Cusano Milanino (Mi) 2020.

[3] https://www.ereticamente.net/a-proposito-delleredita-culturale-di-julius-evola-luciano-albanese/.

[4] Cfr. R. del Ponte, Ritorno a Shambala. J. Evola e il mistero del tempo e della decadenza, in H.T. Hakl (a cura di), La ricerca della totalità, Scientia Nova, Gaggenau 2017, vol. 3, p. 473. Totalmente estranea a Evola ed alla sua opera è la triste stagione del terrorismo – da qualunque fonte esso sia stato alimentato --, checché ne pensino il tendenzioso F. Cassata ed i suoi epigoni, e come già ampiamente dimostrato da G. de Turris nel suo Elogio e difesa di Julius Evola. Il Barone e i terroristi, Mediterranee, Roma 1997.

[5] Sulla “mistica fascista” si può vedere T. Carini, Niccolò Giani e la scuola di mistica fascista. 1930-1943, Mursia, Milano 20182 e J. Evola, La scuola di Mistica Fascista. Scritti su mistica, ascesi e libertà. 1940-1941, Controcorrente, Napoli 2009 (in particolare Sul concetto di mistica fascista e sui rapporti con la dottrina della razza [1940], pp. 67-68; La razza dell’’uomo di Mussolini’ [1940], pp. 82-87; Sul significato razziale della mistica fascista, pp. 88-99 [1940]; Introduzione ad una ascesi fascista, pp. 115-120 [1940]). La mistica fascista deve “necessariamente intonarsi alla tradizione dell’azione” (J. Evola, La scuola di Mistica Fascista, cit., p. 93).

[6] Sulla nozione di ’”uomo nuovo” fascista (un “uomo antico” inserito nel contesto moderno di una guerra “totale”), strettamente connessa all’idea di razza (interpretata dal fascismo in vario modo, spesso non del tutto convergente con la visione nazionalsocialista), si veda tra gli altri P. Bernhard-L. Klinkhammer (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo. La costruzione di un progetto totalitario, Viella, Roma, 2017.

[7] Si potrebbe anche porre un parallelo tra la talora cattolicheggiante “mistica fascista”, che Evola voleva orientare in senso metapolitico-esoterico, e le “paganeggianti” (ma non inaccessibili ai cattolici) SS himmleriane (oltre che la romena “Guardia di Ferro” di C.Z. Codreanu, cristiano-ortodossa). In entrambi i casi, si trattava di esperienze guerriere elitarie, caratterizzate da una notevole riservatezza e, soprattutto presso le SS, da un abbondante contenuto “iniziatico” (ritualizzato).  

[8] M. Zagni La svastica e la runa. Cultura e esoterismo nella SS Ahnenerbe, Mursia, Milano 20175 , pp. 314-315.

[9] F. Germinario, Fascismo e antisemitismo. Progetto razziale e ideologia totalitaria, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 105.

[10] Ibidem, p. 11.

[11] Sul significato razziale della mistica fascista, in J. Evola, La scuola di mistica fascista, cit., p. 90.

[12] Ibidem, pp. 94-99.

[13] Ibidem, pp. 91-92.

[14] Ibidem, p. 93. Si tratta di “vie distinte, ma convergenti al loro vertice”.

[15] Ibidem, p. 92. Non si può non pensare qui allo Jünger delle Tempeste d’acciaio, del 1920, e de La battaglia come esperienza interiore, del 1922.

[16] Sul significato razziale, pp. 96-97 (Evola, al termine del suo scritto, sembra ottimista – siamo nel 1940 -- in relazione alla “evocazione” in itinere della “razza dell’uomo fascista” o “dell’uomo di Mussolini”, “fatta sotto segno romano” [ibidem, p. 99]). Qui si nota una differenza sostanziale della dottrina dello Stato fascista con le elaborazioni “politiche” nazionalsocialiste. Secondo la visione nazionalsocialista – diversa da quella romana, cui Evola aderiva --, lo Stato è una “comunità di popolo” (Volksgemeinschaft), organizzata gerarchicamente e tendenzialmente omnicomprensiva (“totalitaria”, ossia priva di dialettica interna e nella quale Partito e Stato tendono a coincidere, perché non riconducibili a interessi particolari), avversa al formalismo ed al proceduralismo borghese. La forma totalitaria dello Stato potrebbe costituire una “revisione” dell’organicismo tradizionale, calato nel contesto moderno. Inoltre, vi sarebbe da chiedersi se si possano intendere ordini quali le SS come strutture di mediazione e di sintesi tra dottrina dello Stato e della razza, all’insegna della costituzione dell’”uomo nuovo” e di una élite di “monaci guerrieri”.

[17] J. Evola, Mito e realtà del fascismo. Scritti 1949-1964, Pagine, Roma 2014 (v. in particolare, con riferimento ai temi di questo contributo, Mussolini e il razzismo [1951], pp. 60-62 e Mussolini e il razzismo [1960], pp. 185-189).

[18] Messo in luce, per quanto concerne gli ultimi anni della seconda guerra mondiale e fino alla metà degli anni ‘50, da G. de Turris in Julius Evola. Un filosofo in guerra (1943-1945), Mursia, Milano 20244.

[19] In verità, già a partire dalla celeberrima Rivolta contro il mondo moderno, del 1934.

[20] Mentre Mutti, vicino a un orientamento “rossobruno”, si convertì all’Islam sciita, Freda ha tenuto fermo su una posizione più völkish, non però nettamente distinta dal profondo apprezzamento per lo Stato platonico e romano. Inoltre, gli orientamenti dei due si divaricarono, indirettamente, in merito al giudizio sull’atteggiamento da tenere nei riguardi dell’Europa, con riferimento al teorico del “nazionalcomunismo” J. Thiriart (1922-1992).  Thiriart fu membro della divisione vallone delle Waffen-SS, comandata da L. Degrelle (1906-1994) durante la seconda guerra mondiale.

21 Sul tema si può vedere A. Villano, Da Evola a Mao. La destra radicale dal neofascismo ai ‘nazimaoisti’, Luni, Milano 2017, in particolare cap. 6.

22 A L’infatuazione maoista di Evola (ne Il Borghese, 18 luglio 1968) rispose Freda con L’infatuazione atlantista (in Corrispondenza Repubblicana, 10 ottobre 1968). E. Houllefort, prefatore dell’edizione francese della Disintegrazione (1980), afferma che Freda andò al di là di Evola, “estraendone” alcuni contenuti “impliciti”: “Freda was the first to not content himself with commenting on Evola, but extracting from the Evolian theory of practice, the practice of the theory […].Thus, it has filled in what we are well obliged to call a lacuna in the work of Evola, to know the incapacity of transcribing on a new level of political combat some normative principles is perfectly exposed. After having recognized himself in Ride the Tiger the untimeliness of a book like Men Among the Ruins (untimely of the sole level of historical application, evidently), Evola had magisterially defined the internal line of struggle of the differentiated man: what we could all an ‘active nihilism’. But, so curiously, it did not leave to the radical existentialism of this differentiated man another possibility, on the political level, that of fighting on lost positions. Here reappears the ancien regime side of Evola and the mentality of the ‘last stand’, an exclusively defensive mentality that does not cease to refresh ‘the cup of bitterness’, from Metternich to the neo-Fascists of today who are still ‘defending the West’ (https://disintegrationofthesystem.wordpress.com/2015/11/20/preface-eric houllefort/). Si tratta quindi di una “negazione della negazione”: “[…] non è una neutralizzazione; al contrario, il vero infinito ne dipende” (C. Schmitt, Ex Captivitate Salus. Esperienze degli anni 1945-47 [1950], Adelphi, Milano 19932, p. 92). D’altra parte, l’esperienza di alcuni cattolici di destra (non facenti riferimento alla Fraternità S. Pio X, né necessariamente legati all’antico rito, ma evoliani “convertiti” al cattolicesimo: ad es., F. Gianfranceschi [1928-2012]) ha costituito l’esito opposto, non solo quanto alle scelte religiose, rispetto a quello dei “rivoluzionari” evoliani. Nel caso dei cattolici “evoliani”, per così dire, si passò, per così dire, “da Evola a Cristo” (P. Tosca, Il cammino della tradizione e altri scritti, Il Cerchio, Rimini 2005), senza rinnegare il primo; tuttavia, pur nella serietà dell’itinerario, non si risolsero alcuni nodi teoretici di fondo, primo tra tutti, ci pare, l’incompatibilità dottrinale tra la prospettiva evoliana e quella cattolica (in senso “metafisico”, non necessariamente “politico”). La “rivalutazione” del cattolicesimo da parte di Evola, infatti, non riguardò la sostanza della religione cattolica in sé, ma la sua forma medievale, che ereditava strutture e motivi “tradizionali”: un cattolicesimo significativamente apprezzato perché, in qualche modo, “pagano” (v. ad es. https://www.rigenerazionevola.it/quo-vadis-ecclesia/; Sintesi di dottrina della razza [1941], Ar, Padova 2017, pp. 148-149).

[23] Ar, Padova 19691 (la IV ed., arricchita con nuovi testi a commento, è del 2010).

[24] J. Evola, Cavalcare la tigre. Orientamenti esistenziali per un’epoca della dissoluzione, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1961, p. 244 ss. Impolitico non significa apolitico, l’apoliteía evoliana riferendosi al distacco assoluto di fronte alla “piccola politica” democratica.

[25] V. ad es. La nostalgie des origines. Méthodologie et histoire des religions, Gallimard, Paris 1971, pp. 131 ss.

[26] F. Baroni, Riviste italiane e perennialismo (1970-1990): permanenze, evoluzioni e contaminazioni, in H.T. Hakl (a cura di), cit., p. 417.

[27] Cfr. R. Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi (1945), Adelphi, Milano 2009, cap. 18.

[28] R. Del Ponte, cit., p. 474. Per Eliade v., tra gli altri, il suo Mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizioni (1949), Lindau, Torino 2018, cap.4. Si noti che, negli anni ‘30, la produzione di Eliade fa abbondantemente riferimento alla nozione di “uomo nuovo”.

[29] Proscritto dai sacristi dell’intellettualmente corretto, funzionalmente alla egemonia della sinistra radicaloide e mondialista, oltre che alla costruzione di carriere accademiche e pubblicistiche: le razze (la constatazione della esistenza delle quali non implica necessariamente il razzismo, almeno in senso deteriore: addirittura, lo stesso Manifesto della Razza [1938], al punto 1, afferma che “dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti”) non esistono, anche se la stessa Costituzione vi fa esplicito riferimento… Al proposito, si può pensare alle corbellerie esalate da un collettivo di “scrittori” sedicenti “dissidenti”, che con pseudonimo cinese (“senza nome” ovvero “cinque nomi”: tanto per cercare di mostrarsi originali) pontificano senza nerbo né requie, riprendendo una inconsistente polemica “accademica” su di un Convegno dedicato a un Maestro: del quale non sembrano costitutivamente - e colpevolmente - in grado di intendere nulla (https://www.wumingfoundation.com/giap/2014/12/evola-fermare-il-virus/). In ultima analisi, siamo oggi di fronte ad un fenomeno tanto paradossale quanto diffuso: l’antirazzismo in assenza (dichiarata) di razza, che fa il paio con l’antifascismo in assenza di fascismo.

[30] L'incontro con gli abitanti della Terra del Fuoco, nel corso di una spedizione avvenuta tra il 1831 ed il 1836, fu centrale ai fini del convincimento di Darwin in merito all’esistenza di una serie di gradi di forme appartenenti alla specie umana e per la sua convinzione della perfettibilità e del miglioramento sociale. Anche il co-scopritore della selezione naturale, A.R. Wallace, aveva osservato l'estinzione di tutte le razze inferiori e poco sviluppate dal punto di vista intellettuale (La sélection naturelle, Reinwald, Paris 1872, p. 335). Darwin afferma, tra l’altro: “le varietà umane sembrano reagire le une sulle altre allo stesso modo delle diverse specie animali, il più forte distrugge sempre il più debole” (Viaggio di un naturalista intorno al mondo [1839], Giunti, Firenze 2002, vol. II, p. 409). Inoltre, “le varie razze, quando vengono accuratamente confrontate e misurate, si distinguono molto l’una dall’altra - come la struttura dei capelli, le relative proporzioni di tutte le parti del corpo, la capacità dei polmoni, la forma e la capacità del cranio e persino le circonvoluzioni del cervello. Ma sarebbe un compito infinito quello di specificare i numerosi punti di differenza. Le razze si differenziano anche nella costituzione, nell’acclimatazione e nella responsabilità di determinate malattie. Le loro caratteristiche mentali sono altrettanto distinte; principalmente come sembra nella loro emozione, ma in parte anche nelle loro facoltà intellettuali” (L'origine dell'uomo e la scelta sessuale [1871], Rizzoli, Milano 1982, cap. 7 [corsivo nostro]). Infine, uno dei più importanti lavori di Darwin, On the Origin of Species (del 1859), reca il significativo titolo completo On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life. È noto che l’ideologia darwinista costituì un significativo sostegno alla politica espansionistica dell’Inghilterra vittoriana. A questo proposito, ricordiamo che la “scienza” (meglio, le varie epistemologie) non è mai un sapere neutro, ma sempre socialmente, ideologicamente e  politicamente “orientato”: ad es., già dall’Ottocento essa -- e la mentalità comune europea, per non parlare del tradizionale antigiudaismo cattolico ed ortodosso -- era fortemente orientata in senso “razzista” e “antisemita” (per non considerare ad es. le leggi segregazioniste, valide in USA fino al 1965, il reato di sodomia, vigente in tutti gli stati degli USA fino al 1962, ed i crimini di pace commessi dagli alleati dopo la fine della guerra).

[31] Si pensi al caso della seconda guerra mondiale (guerra di Weltanschauungen opposte, più che conflitto “razziale” in senso stretto), in cui inglesi e francesi combatterono contro tedeschi ed italiani (alleati dei giapponesi e in ottimi rapporti con alti esponenti del mondo islamico - si rammenti anche il caso della 13. Waffen-Gebirgs-Division der SS “Handschar”, costituite per lo più da musulmani bosniaci ed albanesi: si può parlare, in questi casi, di “razza del corpo” e “dell’anima” difformi, e tuttavia di una “convergenza” sul piano della “razza dello spirito”), ed alla questione delle misteriose SS tibetane, su cui si può vedere C. Mutti, Le SS in Tibet, Effepi, Monte Porzio Catone (Rm) 2011, e pellerossa (S. Forte, I pellerossa combatterono nelle Waffen SS di Hitler: fanta-storia o realtà sconosciuta?, ne Il Secolo d’Italia, 2 luglio 2014). Interessante anche quanto riportato da  M. Zagni: “Come i russi entrarono a Berlino nel 1945, trovarono ‘fra i cadaveri un migliaio di volontari della morte di razza himalayana’ […] i cadaveri di questi asiatici appartenevano molto probabilmente a uno di quei circa dieci battaglioni di mongoli calmucchi che erano stati costituiti dall’Esercito tedesco […]” (cit.,, p. 305). Ovviamente, in specie nel caso degli indiani, l’esercizio di una certa prudenza è d’obbligo.

[32] Afferma M. Pacilio: “Nel razzismo, la diversità razziale è pensata come consustanziale alla natura umana, non è un accidens che interviene a determinarne aspetti secondari: la natura umana si manifesta come razza. Un ente uomo privo di una sua determinazione razziale non è nemmeno pensabile, così come non è possibile concepirlo privo di una sua materia. La razza, allora, non può essere teorizzata come la conseguenza di un imprevedibile ‘processo evolutivo’ ma come il perdurare di una forma che, in quanto tale, non è suscettibile di cambiamenti, bensì solo di origine e di estinzione. Essa si può considerare come la causa formale dell’ente uomo, e ne garantisce, pertanto, la conoscibilità più di qualsiasi teoria psicanalitica - quest’ultima restando sul piano superficiale, se non esclusivamente clinico, dello studio della persona. Ciò che circoscrive l’ambito delle possibili reazioni del singolo nell’insieme delle interrelazioni sociali non è l’inconscio, inteso come somma delle esperienze pregresse depositate nella memoria individuale, ma è la razza e la sua relativa purezza” (Dal caos alla forma, in AA. VV., Risguardo V. Quarant’anni delle edizioni AR. 1963–2003, Ar, Padova 2003 = https://www.azionetradizionale.com/2017/10/11/massimo-pacilio-dal-caos-alla-forma/).

[33] V. J. Evola, Sintesi, cit., in specie pp. 47-50 e, per quanto riguarda la “razza dello spirito” (“razza di terzo grado”, “razza eterna”), pp. 116-121.

[34] Non a caso, la parte prima della Sintesi di dottrina della razza ha come titolo La razza come idea rivoluzionaria. La rivoluzione totalitaria fascista ha quindi come strumento l’uomo nuovo, inteso in senso spirituale – in qualche modo, quindi, risultando legata alla nozione di tradizione -- e “razziale” (di “visione del mondo”); i  due caratteri, in Evola, coincidono.

[35] M. Olender, Razza e destino (2005), Bompiani, Milano 2014, p. 21.

[36] Sintesi, cit., p. 95. Clauss è criticato ibidem, pp. 103-104. Altro autore a lui coevo con cui Evola si confronta è l’antropologo nazionalsocialista H.F.K. Günther (1891-1968).

[37] https://studirazziali.xoom.it/virgiliowizard/clauss.html. Tra le opere più significative di Clauss si ricordano Rasse und Seele. Eine Einführung in den Sinn der leiblichen Gestalt, del 1926, e Rasse und Charakter – das lebendige Antlitz, del 1936.

[38] Scrive Evola: “Quali sono i rapporti fra razza interna e razza somatica? Ciò dipende. In via normale, così come in via normativa, esse sono due manifestazioni di una realtà unica, due modi di apparire su due piani diversi di una unica realtà. Qualcuno ha scritto che la razza è l’esteriorità dell’anima così come l’anima è la razza vista da dentro. A parte alcune riserve, che si potranno senz’altro capire da quanto diremo più sotto, si può aderire ad un tale punto di vista. Dunque, né dipendenza unilaterale della razza interiore da quella del corpo, né di questa da quella. Il punto di riferimento vero è una realtà anteriore e superiore sia alla razza somatica che a quella interiore, dal momento che, l’una e l’altra, di essa sono i modi di apparire su due piani diversi”. Ciò è però valido solo “in una condizione di normalità e purità razziale” (https://www.rigenerazionevola.it/sul-problema-della-razza-dello-spirito/).

[39] “Tale indagine, oltre ad essere scientificamente necessaria, ha una precisa importanza politica. Infatti il razzismo fascista intende evidentemente destare un sentimento di unità interna, vuole una unità di razza come unità di volere, di sentire, di agire e di modo d’essere, e non come l’uniformità ipotetica del maggior numero di individui che riproducano un dato tipo razziale somatico. Senza tralasciare menomamente la razza del corpo, devesi dunque considerare, con mezzi adeguati d’indagine, anche quella dell’anima e dello spirito” (ibidem).

[40] J. Evola, Fascismo e Terzo Reich (1946), Mediterranee, Roma 20016, pp. 233-237.

[41] Si noti che Evola stesso afferma, dopo aver esplicitamente ammesso l’”approvazione incondizionata” di Mussolini alle sue tesi (contenute nella Sintesi della dottrina della razza), che, con ciò, “Mussolini entrava in quest’ordine di idee, che avrebbe differenziato il razzismo fascista da quello nazista, negli aspetti estremistici e poco meditati di esso” (Mussolini e il razzismo, ne Il Meridiano d’Italia, dicembre 1951[corsivo nostro]). 

42 V. infra, n. 54.

43 Si rammenti che in un rapporto del 1938 di funzionari dell’Ahnenerbe (destinato ad H. Himmler, suo “primo curatore”) si afferma che “la dottrina di Evola non è né nazionalsocialista, né fascista. Con queste due concezioni egli ha in comune certi valori, che nella sua impostazione risultano notevolmente alterati. Ciò che in special modo lo separa dalla visione del mondo nazionalsocialista è la sua radicale negligenza del nostro passato popolare a favore di una fantasiosa e spiritualmente astratta utopia […] Si tratta di un romano reazionario” (riportato nel Saggio introduttivo di G. Galli a J. Evola, L’arco e la clava [1968], Mediterranee, Roma 19953, p. 12 [corsivo nostro]). Come a dire: i nazionalsocialisti intendevano la propria azione politica, “nazionalpopolare” e “rivoluzionaria”, in contrasto con le dottrine evoliane, percepite come una forma di “spiritualistica” reazione aristocratica (sui rapporti tra Evola e l’Ahnenerbe si veda B. Zoratto [a cura di], Julius Evola nei documenti dell’Ahnenerbe, Controcorrente, Napoli 2004). Tuttavia, vi furono nazionalsocialisti (come W. Wüst [1901-1993], indologo e membro di punta dell’Ahnenerbe: v. L. di Chiara, Da La dottrina del risveglio a Indogermanisches Bekenntnis: arianità del  Buddhismo in Julius Evola e Walther Wüst, di prossima pubblicazione su Studi Evoliani) in sintonia con le posizioni “imperiali” di Evola. Sull’Ahnenerbe, importante associazione scientifico-culturale delle SS, si può vedere M. Zagni, cit., che ne rivaluta con cognizione di causa gli studi in ambito preistorico, archeologico ed antropologico (con l’analisi di alcune “teorie di frontiera”, tra il fisico ed il metafisico, oggi diffuse ad es. presso la “nebulosa” New Age e talora presso la stessa scienza ufficiale, che se ne è appropriata, in modo “occulto”, a qualche decennio dalla fine della guerra).

[44] Politisches Testament: Die Bormann-Diktatevom Februar und April 1945, Amburgo 1981, pp. 68-69 (riportato tradotto in R. Steigmann-Gall, Il santo Reich. Le concezioni naziste del Cristianesimo, Boroli, Milano 2005, p. 394 [corsivi nostri]).

[45] Al proposito v. C. Mutti, Sombart, gli Ebrei e il capitalismo, in AA. VV., Risguardo IV. Venti anni delle edizioni di Ar. 1963-1983, Ar, Padova 1985. Per un significativo intendimento fascista dello spirito ebraico, presente anche nei non ebrei ma non sempre coincidente con l’ebreo come individuo, v. D. Carbone, Il socialismo tedesco di Werner Sombart, ne Lo Stato, dicembre 1938, p. 669.

[46] R. Steigmann-Gall, cit., p. 416. Sul problema del rapporto tra clero cattolico e nazionalsocialismo si veda P. Spicer, I sacerdoti di Hitler. Clero cattolico e nazionalsocialismo (2008), Mondadori, Milano 2010. Nel sacerdote filonazionalsocialista P. Haeuser emerge la connessione tra “sangue ariano” e “visione spirituale”, e quindi, implicitamente, la categoria di una “razza dello spirito” (p. 237: più “schematica” che in Evola!).

[47] G.A. Lipton, De-Semitizing Ibn ʿArabī: Aryanism and the Schuonian Discourse of Religious Authenticity, in NUMEN 64 (2017), pp. 258-293 (opposizione tra ariani e semiti e “desemitizzazione” di Ibn Arabī). Tuttavia, Schuon credeva nella monogenesi “primordiale” e l’articolo, pure significativo, sembra risentire di una impostazione “accademicamente corretta”.

[48] Il sole piumato, Mediterranee, Roma 2000.

[49] Citato in esergo a A. Versluis, Terra sacra. Religione e natura degli Indiani d’America (1992), Mediterranee, Roma 2018, p. 5.

[50] Riportato in M. Toti, Introduzione a A. Versluis, cit., p. 14 (corsivi nostri).

[51] Si potrebbero qui suggerire analogie tra la “Natura” e la Prakṛti indù (come “forza motrice primordiale”), oltre che con la Vergine, tanto cara a Schuon.

[52] F. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft: Abhandlung des Communismus und des Socialismus als empirischer Culturformen, Fues’s Verlag, Leipzig 1887. Significativo quanto afferma l’A. in un passo della sua opera: “mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono” (Comunità e società [1887], Laterza, Roma-Bari 2011, p. 65).

[53] R.W. Darré, ministro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura del III Reich tra il 1933 ed il 1942 ed autore, nel 1930, di Neuadel aus Blut und Boden (La nuova nobiltà di sangue e di suolo [Ar, Padova 1978]), fu l’artefice principale di questo progetto, fondato sulla valorizzazione, in senso anticapitalistico ed antibolscevico, del contadinato germanico. Nel caso di Darré, inoltre, è lecito parlare di una autentica, pionieristica “politica ecologica”.

[54] Sulle vicende concernenti la rivista Sangue e Spirito (che non fu mai pubblicata, per una decisione che Mussolini prese nel 1942, connessa all’impegno nel conflitto bellico; gli incontri per la preparazione della rivista si sarebbero tenuti presso la sede della Scuola di Mistica Fascista [T. Carini, cit., 231 n. 172]) si veda J. Evola, Il cammino del cinabro (1963), Mediterranee, Roma 2014, pp. 84-85. Su ciò si rimanda anche a https://www.rigenerazionevola.it/mussolini-e-il-razzismo-ii-parte/, ove l’A. precisa che da un lato vi fu una manovra contro le sue tesi, architettata da firmatari del primo Manifesto della Razza (al p. 3 del quale si legge: “Il concetto di razza è concetto puramente biologico”) e da ambienti cattolici, dall’altro che i suoi argomenti “razzisti” costituivano unicamente il portato di una più generale visione del mondo.

[55] Tuttavia, se pensiamo a ciò che rappresenta la Vergine nella tradizione cristiana di Oriente e di Occidente (nel suo attributo cattolico di “Immacolata”, oltre che nelle sue relazioni con la natura, esemplificate dai suoi molteplici titoli connessi ad elementi naturali e fenomeni atmosferici), si intuisce come lo iato tra le due tradizioni, su ciò, si possa quantomeno ridurre. Da questo punto di vista, si può anche fare riferimento all’importanza della prassi della “contemplazione della natura” (theoría physiké) nella prima Patristica (ad es. in Origene, Evagrio, Gregorio di Nissa).

[56] Le religioni “etniche”, in generale, affermano che “ogni popolo ha la sua religione” (tra queste, la stessa spiritualità dei nativi d’America e, implicitamente, il primo enoteismo ebraico); ma la stessa idea si trova nel Corano, che sostiene variamente che Dio ha inviato ad ogni popolo un profeta.

[57] Ad es., un B. Pascal sembra ignorare, nella sua opera, ogni dimensione “spirituale” della natura.

[58] Sintesi, cit., parte IV.

[59] J. Evola, Sul significato razziale, cit., p. 95.

[60]  https://www.rigenerazionevola.it/sul-problema-della-razza-dello-spirito/ (corsivo nostro). Cfr. J. Evola, Sintesi, cit., pp. 47-50 e 116-125.

[61] Caste e razze (1957), SE, Milano 1994, p. 29. Cfr. S.H. Nasr, L’arte della trasformazione spirituale interiore secondo Evola, in J. Evola, La tradizione ermetica (1931), Mediterranee, Roma 19964, p. 18. La critica appare eccessiva, se si comprende profondamente quanto scrive Evola nella sua opera più significativa sul tema, la già variamente menzionata Sintesi di dottrina della razza. D’altra parte, è noto che, ad esempio nell’India “tradizionale” (“primordiale”), la casta, metafisicamente determinata, era legata alla razza (in accezione “biologica”): vi è dunque, come lo stesso Evola precisa, una tendenziale correlazione tra “razza dello spirito” e “razza del corpo” (e dell’”anima”, ciò che afferma pure Schuon).

[62] Caste e razze, cit., p. 73. Ad es., il bianco corrisponde all’elemento fuoco, il giallo all’elemento acqua, e i due si incontrano nell’elemento aria (ibidem, pp. 63-64).

[63] Ibidem, p. 47.

[64] L’arco e la clava, cit., pp. 40-41.

[65] Sul tema dello Stato quale “creazione culturale” di Occidente risulta importante, da un punto di vista “storicistico”, la riflessione di D. Sabbatucci (studioso acuto, ma per altri versi discutibile), Lo Stato come conquista culturale. Ricerca sulla religione romana, Bulzoni, Roma 1975. Della “superiorità” culturale di Occidente (termine, peraltro, oggi sommamente ambiguo) era certo, da un punto di vista “storicistico assoluto” e da “sinistra”, anche E. de Martino (con il suo metodo fondato sull’”etnocentrismo critico”), mentre negli ambienti della “destra radicale” si nota spesso una oscillazione tra (implicito) “suprematismo” e “differenzialismo etnico-culturale” (à la de Benoist, per esempio). Sui problemi in oggetto, nello specifico contesto della “scuola storico-religiosa di Roma”, si può vedere il nostro ’Storicismo’ e ‘fenomenologia’: Raffaele Pettazzoni e la ‘scuola di Roma’, in M. Toti, “Un atomo di fuoco”. Forme e dinamiche culturali di Occidente: storia delle religioni, ermeneutica, tradizione, Il Cerchio, Rimini 2019, parte I, cap. 1.

[66] Cfr. J. Evola, Sintesi, cit., pp. 199-201. È noto che Mussolini preferiva, al termine “razza”, quello di “stirpe”, orientato in senso morfologico-culturale più che biologico (stirpe come “molteplicità unificata da una idea”, non quantitativa, “idea che ‘nel popolo si attua […] come coscienza e volontà […] di uno’” [ciò che Evola approva: Sul significato razziale, cit., pp. 97-98]). Inoltre, è significativo l’uso ricorrente, da parte del Duce, del termine “genio” (che sembra influenzato da un intendimento molto favorevole dell’epoca “rinascimentale”), applicato tra gli altri a Leonardo e finanche alla religione: “cattolico è tutto quello che è romano: che il cattolicesimo non è questione d’una confessione, per noi, ma questione di nazione, cioè di natura e di genio” (Questionario, ne La Difesa della Razza, 20/2, novembre 1938, pp. 46-47). Tale idea, di natura culturale, appare più aperta alle elaborazioni evoliane che al biologistico “Manifesto della Razza” (che Evola discute, in relazione all’idea di “pura razza italiana”, affermata al p. 6: ad es. in Sul significato razziale, cit., p. 94). Sulla nozione di “genio italiano” si può vedere S. Lanfranchi-E. Varcin, Mussolini, il genio italiano e la letteratura, in L. Auteri-M. di Gesù-S. Tedesco (a cura di), La cultura in guerra: dibattiti, protagonisti, nazionalismi in Europa (1870-1922), Carocci, Roma 2015.

[67] Secondo S. Tommaso l’anima (qui da intendersi come “spirito”) non è, significativamente, localizzabile in alcun preciso luogo corporeo – ossia è presente “dappertutto”, contro Cartesio e in assonanza col Buddha -: riprendendo S. Agostino (De Trin. 6,6), il Doctor Angelicus statuisce che essa “dato [invece] che si unisce [al corpo] come forma deve trovarsi nel tutto e in ogni parte del corpo” (S. Th. I, q. 76, a. 8). Inoltre, è interessante notare che presso gli Arapaho, che non hanno una precisa nozione di “anima”, la parola betanayaha può essere tradotta con “la misteriosa forza della struttura umana” (A. Hultkrantz, Concezioni dell’anima tra gli Indiani del Nord America [1953], Ester, Torino 2016, p. 28). Fondamentalmente, il traduttore del testo di Hultkrantz individua, presso i pellerossa, “quattro tipologie […] di anime: 1. l’anima che rappresenta la memoria degli antenati; 2. l’anima che infonde vita al corpo; 3. l’anima che permane come fantasma accanto al corpo dopo la morte; 4. l’anima che va nell’aldilà (anche durante la fase di vita corporea)” (S. Gallo Cassarino, Postfazione del traduttore, in A. Hultkrantz, cit., pp. 257-258 [corsivo nostro]).

[68] S. Th. I, q. 75, a. 2; ibidem, q. 90; ibidem, q. 118; Q. disp. De Anima, a. 14; De Potentia, q. 3, a. 2; S. Cont. Gent., lib. II, cap. 83 ss. Le “24 tesi del Tomismo” furono redatte, al fine di restituire la genuina dottrina di S. Tommaso, da Padre G. Mattiussi, e quindi approvate, nel 1914, da S. Pio X. La XV tesi recita: “[Al contrario] l’anima umana è per sé sussistente, la quale è creata da Dio e viene infusa nel corpo che si trova nelle disposizioni richieste e per sua natura è incorruttibile e immortale” (“analogia di proporzionalità” tra corpo ed anima, con riferimento all’ente: v. IV tesi).

[69] Vi è però da precisare che, nell’insegnamento della Chiesa cattolica, esiste una dignità “remota”, ontologica e relativa alla natura umana, ed una “prossima”, morale e relativa alla persona (che si perde col peccato mortale, e si può riacquistare con il sacramento della confessione, ovvero con la “perfetta contrizione”): sul punto, il pensiero “razzista” e il Magistero della Chiesa entrano in un conflitto irresolubile. Per un intendimento cattolico-tradizionale del “razzismo” v. https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2019/10/05/specchietto-riassuntivo-sano-razzismo-cristianamente-inteso/. Un interessante esempio di “razzismo” cattolico è peraltro in J.L. Meagher, L’origine dei popoli e delle religioni. Storia dei più grandi imperi della terra (1896), EffediEffe, Proceno (Vt) 2018, cap. 3 (“la nobile razza degli uomini bianchi supera le altre razze in ogni contesto storico” e “la maledizione sulla razza di Cam aveva preannunciato la maledizione sugli ebrei”). Di notevole interesse quanto afferma, sul tema, Evola (Sintesi, cit., pp. 148-149): “[del resto], negli insegnamenti della Chiesa vi è qualcosa che potrebbe conciliarsi con tale veduta [nel senso di “manifestazioni superiori di una tradizione primordiale”, n.d.r.]. Alludiamo alla dottrina della cosiddetta ‘rivelazione patriarcale primordiale’, che sarebbe stata fatta a tutte le razze prima di una catastrofe […] che poi sarebbe andata perduta. Riferendosi a tale veduta, il Padre Schmidt ha anzi svolto delle ricerche in fatto di etnologia e di culti ‘primitivi’, dimostranti molta più comprensione che non quelli della grandissima maggioranza dei suoi colleghi. Difficilmente potrebbesi però ammettere che questa ‘rivelazione’, oscuratasi dappertutto, sia stata conservata ‘pura’ solo da un ‘popolo eletto’ identificato a Israele”. 

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