La Canonica di S. Niccolò a Montieri (GR) - parte I - (di P. Galiano)

La Canonica di San Niccolò a Montieri (GR)

Parte prima

Paolo Galiano

 

La Canonica di San Niccolò: certezze e ipotesi

Sul Poggio di Montieri, circa 2 km a ovest di Montieri (GR), cittadina delle Colline Metallifere situata tra Massa Marittima e Siena, è stato riportato alla luce un insediamento di cui si era perso anche il ricordo, la Canonica di San Niccolò, costituito da una chiesa e da alcuni edifici annessi Fig. 1, ritrovamento possibile grazie alle ricerche di un gruppo giovanile di Montieri guidato da Oriano Negrini[1]. Le operazioni di scavo degli archeologi dell’Università di Siena, sotto la guida della Prof.ssa Giovanna Bianchi, sono iniziate nel 2008 e l’équipe ha riportato alla luce un insieme di edifici eretti su di un terrazzamento artificiale e costituito da una chiesa di pianta esapetale connessa alla sepoltura di un ignoto personaggio di sesso maschile e da un’area adibita a cimitero circostante la chiesa, accanto a cui sorgevano alcuni edifici destinati a lavorazioni artigianali.

1359 1 Montieri panoramica

Fig. 1

La parte più importante della scoperta è stata la chiesa: essa presenta un’insolita pianta circolare su cui si aprono sei absidi disposte radialmente Fig. 2, rientrando così nella tipologia delle chiese definite per la loro forma “chiese esapetali” o “esaconche”, di cui costituisce un esemplare per ora unico nel suo genere in Italia, e comunque presente in Europa in poche decine di esemplari. Quasi al centro di essa nella pavimentazione è stato ritrovato uno splendido gioiello d’oro seppellito probabilmente come oggetto votivo di consacrazione del luogo.

1359 2 Montieri chiesa e tomba

Fig. 2

Una pianta così insolita, del cui significato simbolico abbiamo già trattato altrove[2] per cui qui non ci ripeteremo, suscita numerose domande sulle sue origini, sui suoi committenti e sulle maestranze che l’hanno costruita, ma anche sul significato della particolare struttura, a cui si aggiunge la singolarità della regione in cui fu costruita, considerato che a circa 20 km da essa si trova la Rotonda di Montesiepi, di cui abbiamo trattato in un precedente lavoro[3], costruita intorno al 1185 e consacrata a San Galgano e alla sua spada nella roccia, sede di un culto cavalleresco del tutto speciale. Fig. 3

1359 3 Tulenhauptfenster Wiki pubbl dom min

Fig. 3

La vicinanza di due siti così unici non può non far sorgere ulteriori interrogativi, ad esempio se possa esistere un rapporto tra le due costruzioni e i culti ad esse connessi, interrogativi ai quali però al momento non è possibile dare risposta, anche perché uno studio integrale e definitivo sul sito e sui reperti della Canonica non è stato ancora pubblicato[4], per cui parte delle informazioni che qui riportiamo sono basate sulla nostra osservazione diretta del sito di scavo nel 2015. Per questo motivo quanto scriviamo potrebbe essere oggetto di revisione in futuro se, com’è probabile, i dati emergenti dall’analisi scientifica consentiranno una più precisa interpretazione dei ritrovamenti.

La Canonica di San Niccolò: descrizione

Il sito della Canonica è disposto su di un terrazzamento delimitato ad est da un ruscello e sul lato ovest dalle pendici del colle: l’ingresso della chiesa si apre su di un ampio ripiano in parte circondato da un muro di cinta, nel quale si trovano una necropoli e alcuni edifici, costruiti in epoche successive. La pianta esaconca della chiesa è interrotta da tre aperture, di cui quella nell’abside di sud-est dà accesso all’annesso quadrangolare nel quale erano contenuti i resti di un ignoto personaggio di sesso maschile.

La necropoli che si trova nello spazio antistante la chiesa contiene sepolture cominciate alla fine XI e proseguite fino al XIII sec.[5], il cui inizio precedette gli edifici delle attività artigianali collegate alla Canonica, risalenti al pieno XII sec. Tali costruzioni nulla hanno toccato della chiesa e del suo prezioso contenuto, anzi l’importanza di essa per la comunità è dimostrata dalle prove sicure di interventi di restauro nelle mura e nei pavimenti proseguiti fino alla fine del XII secolo, a testimoniare che il luogo era ritenuto considerato sacro forse proprio per la presenza dello sconosciuto individuo.

Gli edifici annessi al sito “vanno forse intesi come sede di possibili attività produttive, solo in parte connesse con la metallurgia … Nelle sequenze stratigrafiche associate con la fase finale [del sito] sono stati trovati … i possibili segni di una sporadica attività metallurgica, piuttosto che la prosecuzione di un esteso periodo di attività metallurgica[6], anche se Montieri è ricca di miniere di argento, ferro e rame (donde il suo nome latino Mons aeris), sfruttate fin dal periodo etrusco e romano.

Nel pendio del colle al di sopra della Canonica si apre una fenditura nella roccia, che in passato era stata interpretata come l’accesso di una miniera a galleria, interpretazione smentita dalle recenti ricerche le qali hanno dimostrato l’assenza di segni riferibili ad attività minerarie[7], per cui è stato dedotto che la cavità, per altro ancora da esplorare a fondo, sia del tutto naturale[8].

Non sono state ritrovate tracce di processi di raffinamento dell’argento né nel sito della Canonica, né nel vicino abitato di Montieri[9], che pure era sede della zecca vescovile, processo che probabilmente veniva eseguito altrove[10].

Il collegamento tra San Nicola, il santo nato a Myra in Licia a cui la Canonica è dedicata e molto venerato in tutta la regione, e la presenza di miniere non è un caso unico, considerando che San Nicola è anche il santo protettore della vicina Roccastrada, ricca di miniere di lignite, di rame e di argento. Nelle regioni di lingua germanica si riscontrano altri esempi analoghi: in Germania nella Cattedrale di Friburgo nel Baden-Wurttemberg, dedicata alla “Nostra amata Signora” (“Unserer lieben Frau”), costruita all’inizio del XIII secolo, si può vedere la vetrata chiamata la Tulenhauptfenster Fig. 4, risalente al 1320 circa, donata dalla famiglia Tulenhaupt e dai minatori delle miniere d'argento della Foresta Nera, in cui San Nicola è raffigurato nel tondo superiore; nel Tirolo austriaco ad Hall-in-Tirol presso Innsbruck la chiesa parrocchiale, eretta prima del 1281, è consacrata a San Nicola come patrono dei minatori (in questo caso miniere di salgemma); forse nel Tirolo italiano analogo patronato si trova in Val di Tures per la chiesa di San Nicola a Caminata, citata nei documenti dal 1296 in relazione con le miniere di rame della Val Aurina (naturale prolungamento della Val di Tures verso il confine con l’Austria), ma non esiste una documentazione certa.

1359 4 ROTONDA MONTESIEPI 1987

Fig. 4

Questo indica che a San Nicola veniva riconosciuto un particolare legame con le attività minerarie, anche se nella sua agiografia non vi sono elementi specifici per comprenderne le ragioni; osserviamo però che nel folklore nordico rimane forse traccia di questo carattere “minerario” di San Nicola nella figura di “Santa Klaus” che prepara i doni delle feste natalizie con l’aiuto di nani o di gnomi, abitanti del mondo sotterraneo.

Le fonti scritte medievali sono di scarso aiuto per la conoscenza della storia della Canonica e in particolare della costruzione della chiesa, in quanto danno notizia di essa solo a partire dalla prima metà del XII secolo e fino alla metà del XIV, senza nulla riportare circa la data della sua costruzione, quindi solo l’esame delle strutture e dei ritrovamenti avvenuti nel sito possono dare elementi per una ricostruzione attendibile.

La struttura architettonica della chiesa esapetale costituisce “il solo esempio di questo genere in Italia[11] e viene definita “un unicum nel panorama italiano… e, vista la regolarità delle absidi e della loro disposizione spaziale, possiamo ipotizzare che la chiesa venne costruita in conformità a un progetto di alto livello elaborato secondo precise regole geometriche[12] Fig. 5. Le maestranze che la edificarono non potevano consistere in semplici lavoratori locali, ma dovevano essere “di alto livello tecnico”, lapicidi che utilizzarono “pietre ben squadrate di medie dimensioni disposte in maniera regolare lungo filari orizzontali”, realizzando l’intera opera “in un’unica fase edilizia, che non ha subìto modifiche sostanziali nel corso del tempo se non la realizzazione di alcune aperture nei paramenti delle absidi[13].

1359 5 Pianta della chiesa esapetale tipo

Fig. 5

Lo studio delle fasi di costruzione della chiesa esapetale ha portato alla conclusione che non fosse corretta la prima ipotesi che era stata avanzata, cioè che l’attuale chiesa fosse stata preceduta da una costruzione ad abside unico nella quale era contenuta la sepoltura del personaggio ignoto: si ritiene invece che l’edificio a sei absidi costituisca la struttura più antica del sito e che esso sia stato edificato verso la metà dell’XI sec.[14], pochi anni dopo l’inumazione dell’individuo al quale essa appare strettamente connessa. Le fondamenta della chiesa infatti tagliarono gli strati di terra che coprivano la sepoltura e per prima fu iniziata la costruzione di un abside sul lato corto nord di essa, abside che non appartiene a una prima e più antica chiesa ma sarebbe contestuale all’edificazione della chiesa esapetale[15]; forse questo primo abbozzo di costruzione voleva includere la sepoltura all’interno dell’edificio sacro ma venne subito sostituito da una pianta esaconca comunicante con la cella della sepoltura. Sottolineiamo però che la struttura muraria della sepoltura sembra essere differente da quella della chiesa, come si dirà più avanti.

La chiesa è stata costruita all’inizio dell’XI secolo, ma il sito è stato frequentato fin dall’antichità, visto che nello scavo di uno degli edifici posti all’estremità nord è stata recuperata una punta di freccia del tipo detto “di Rinaldone”, fase preistorica che si fa risalire circa al IV-III millennio a.C., e vi sono segni di un primo insediamento di IX-X secolo desumibili dai reperti ceramici e da altri elementi ritrovati in uno degli edifici sempre nell’area nord del terrazzamento, ma troppo scarsi per poter definire forma e funzione di questo primo abitato[16].

La chiesa, del diametro di circa 10 m da abside ad abside, doveva essere illuminata da cinque o sei monofore, secondo una prima ricostruzione basata sui frammenti recuperati, e l’esterno era decorato da fasce alterne di calcare bianco e di serpentino verde[17], paramento tipico degli edifici religiosi toscani. La pavimentazione è interrotta da un piano sopraelevato comprendente le due absidi rivolte ad est, probabilmente costruito per motivi liturgici e analogo a quello presente in altre chiese simili.

Gli scavi nel pavimento della chiesa, volti alla ricerca del terreno vergine, hanno portato alla luce una piccola fossa, scavata lungo l’asse che va dall’ingresso principale all’apertura che conduce alla sepoltura dello sconosciuto[18], contenente nello strato superficiale residui carboniosi (resti di un fuoco rituale?) misti con i frammenti di un bicchiere di vetro bitroncoconico incolore[19] e, più in profondità, uno splendido gioiello ora esposto alla Pinacoteca di Siena FIG. 6.

1359 6 Montieri fibula

Fig. 6

Si tratta di una fibula del tipo “ad umbone”, o forse un filatterio pettorale, gioiello di eccellente fattura in oro, smalti, paste vitree e pietre semipreziose, la cui provenienza non è al momento nota. Il gioiello è stato rinvenuto in una piccola fossa insieme a ceneri riferibili a un rituale di consacrazione e coperta da una pietra di calcare rosso di Girifalco, che doveva rendere ben evidente il luogo della deposizione sul piano della pavimentazione della chiesa[20]. La presenza di questo ricco manufatto quasi al centro della chiesa fa pensare che si possa trattare di un’offerta connessa alla consacrazione dell’edificio di culto e non di un ex-voto.

La fibula rotonda, di 22 x 64 mm. (per la cui completa descrizione rimandiamo al saggio già più volte citato della Bianchi), è caratterizzata da un disegno ottagonale e appartiene a un alto livello di produzione; sicuramente era destinata a un personaggio di alto rango, maschile o femminile. Il modello è ben conosciuto, ma “composizione generale a parte, la Fibula di Montieri non trova una chiara ed evidente collocazione nelle produzioni suntuarie dei secoli centrali del Medioevo”; anche se “l’intera composizione tende ad assumere un aspetto vagamente islamico … è molto probabile sia il prodotto di un’officina suntuaria italiana[21].

Nella struttura della chiesa sono presenti tre aperture nelle absidi: la prima a nord-nord-ovest costituisce l’ingresso principale preceduto da tre gradini (ai piedi dei quali si trova una tomba parallela ad essi, in posizione tale da essere volutamente calpestata da chi entrava nella chiesa, probabilmente in segno di umiltà), la seconda a sud-ovest consente il passaggio nell’area del cimitero o forse in un chiostro, considerata la quantità di frammenti di colonnine e capitelli ritrovati nell’area, la terza a sud-est dà accesso all’annesso rettangolare, nel quale sono presenti alcune larghe nicchie ricavate nel paramento (forse per sostenere lampade o altri mezzi di illuminazione, essendo l’ambiente in base alla ricostruzione privo di finestre); la sepoltura è disposta secondo l’asse nordovest-sudest e costituita da una cassa litica in cui si è rinvenuto uno scheletro di sesso maschile Fig. 7.

1359 7 Montieri scheletro e cassa litica

Fig. 7

Per quanto concerne questo ignoto personaggio si è potuto accertare, in base alle datazioni al radiocarbonio[22], che la morte fosse avvenuta tra la fine del X e l’inizio dell’XI sec., il che dà la certezza che la chiesa esapetale, costruita nei decenni seguenti[23], sia stata eretta in onore di questo personaggio. Che la sepoltura sia anteriore e originariamente separata dalla chiesa esapetale si può ipotizzare in base alla differente tecnica costruttiva del piccolo vano in cui essa è custodita, in quanto le sue mura si appoggiano a quelle delle absidi senza segni di legatura e la struttura è più rozza e meno elaborata, con pietre più grandi e mal squadrate Fig. 8; nel lato maggiore della struttura sarebbe riconoscibile un originario ingresso rivolto a sud, successivamente murato quando venne aperto quello nell’abside della chiesa[24].

La giunzione tra la parete della chiesa e la cappella (© Paolo Galiano).

Fig. 8

Dagli esami antropologici e paleopatologici lo scheletro è risultato essere di “un individuo di sesso maschile deceduto a circa 50 anni”, tra il 981 e 1033 con la datazione al carbonio[25], “con struttura scheletrica gracile e una statura anatomica (158,5 cm.) al di sotto delle medie maschili medievali[26]. È stata riscontrata un’ipoplasia dello smalto dentale, segno di malnutrizione in età giovanile, e segni di usura del rachide compatibili con l’età ma anche con una cattiva postura; sono state altresì riscontrate due fratture, immediatamente precedenti o susseguenti la morte, al cranio e a un femore in via di guarigione e quindi non causa diretta della morte.

La Bianchi ipotizza da questi elementi che i resti siano identificabili “in una di quelle figure carismatiche che vivevano in eremitaggio in questo territorio” e che la fenditura del colle situata di fronte alla chiesa fosse il suo romitaggio[27].

La morte di un individuo gravemente ferito a cui la popolazione locale offrì una qualche forma di venerazione si ritrova in alcune leggende trasmesse oralmente a Montieri e raccolte tra gli anziani del paese, le quali fanno però riferimento a un cavaliere e non a un eremita, venuto da lontano e morto nella cittadina in un tempo imprecisato; il fatto che si tratti di un cavaliere potrebbe essere un “abbellimento” della trasmissione orale, ma si potrebbe anche ipotizzare che il cavaliere per penitenza sia divenuto un eremita, non diversamente da quanto sappiamo dalla storia di San Galgano Guidotti della vicina Rotonda di Montesiepi. Se la leggenda che si riferisce a questo soggetto avesse un nucleo di verità, come spesso accade, si potrebbero trarre interessanti ipotesi, e di questa leggenda e della sua possibile interpretazione come “fiaba di magia” secondo i canoni di Propp e di Campbell diremo più oltre.

 Nell’area ovest antistante la chiesa è stato portato alla luce un cimitero con fosse di inumazione contenenti in parte scheletri interi, ma in un maggior numero di casi accumuli di ossa riferibili a più individui riesumati e collocati in giacitura secondaria (si calcola che si tratti dei resti di almeno 300 persone[28]) per fare posto alla costruzione degli annessi o ad altre sepolture. Con la datazione al test del C14 i resti possono essere datati tra seconda metà dell’XI secolo e il XIII, quindi il cimitero avrebbe iniziato a formarsi in un’epoca di poco posteriore alla prima sepoltura dell’ignoto collegata alla chiesa e sarebbe durato a lungo nel tempo, segno dell’importanza della Canonica come luogo di culto. Tracce rapportabili a popolazioni longobarde (ad esempio corredi funerari) non sono state rinvenute[29], e il piccolo insediamento preesistente alla Canonica, come si è detto riportabile al IX-X secolo, non ha lasciato tracce che possano consentire al momento ulteriori deduzioni per identificare una fase di dominazione longobarda della zona.

La Canonica pone alcune domande per le quali al momento non vi sono risposte certe: quali possono essere stati il o i committenti e le maestranze all’origine della costruzione? e i suoi costruttori? da dove può essere giunto il modello esapetale utilizzato a Montieri, un modello di edificio liturgico così particolare da essere al momento considerato unico esempio nell’Italia medievale e in ogni caso raro in Europa? 

 

I possibili committenti della Canonica di Montieri

La costruzione di una chiesa quale quella di San Niccolò richiedeva ingenti somme di denaro e capacità organizzative che dovrebbero essere ricondotte a un personaggio di un certo rango e non all’impresa di una comunità rurale. Si dovrebbe quindi pensare che il committente sia stato o uno dei Vescovi di Volterra, nella cui giurisdizione rientrava Montieri (almeno da un certo momento della sua storia), o un membro delle potenti casate presenti nella regione, le famiglie di origine longobarda dei Gherardeschi, dei Pannocchieschi o degli Aldobrandeschi, o ancora un loro ricco vicecomes legato al territorio montierino.

Gli scarsi documenti dell’epoca[30] finora disponibili nulla ci dicono per dare una risposta: le testimonianze sulla Canonica iniziano con un atto del 1137 tra il vescovo di Siena e quello di Volterra[31], nel quale Ademaro vescovo di Volterra permuta alcuni beni di Ranieri vescovo di Siena con la metà del castello e del borgo di Montieri con le sue miniere, però con l’esplicita eccezione della Canonica. In seguito essa compare in un privilegio del 1189, con il quale passa sotto la protezione di Papa Clemente III, e poi in altri documenti fino al 1321, anno in cui la Canonica è definita un rudere, abitato temporaneamente da una comunità di Francescani prima di trovare una sistemazione più adeguata a Montieri. Dopo questa data l’edificio viene dimenticato, anche se resta come toponimo in due atti del 1336 e del 1350.

Gli atti del 1137 e del 1189, concernenti l’esplicita esclusione della Canonica dal contratto con il vescovo di Siena e il successivo privilegio pontificio, fanno ritenere che essa godesse di una particolare attenzione da parte dell’autorità ecclesiastica, ma non è possibile conoscerne la causa. Inoltre il primo documento ci dà solo una data certa post quem per il possesso della Canonica da parte del Vescovado di Volterra, ma nulla sappiamo con sicurezza per il periodo precedente.

Il sovrapporsi di autorità diverse nella zona di Montieri, insieme alla scarsità di documentazione, rende complessa la ricerca del possibile committente/i, in quanto il potere dei Vescovi e dei Conti della Tuscia sulle ricche miniere montierine non si mantenne univoco nel corso del tempo: “Non mancano casi, anche vicini come Massa Marittima e Montieri, nei quali lo sfruttamento delle risorse minerarie non avvenne nel quadro di un forte dominio signorile, ma al contrario favorì l'affermazione di più soggetti concorrenti e di forti comunità autonome”, anche se “sembra però evidente che il carattere pubblicistico del potere famigliare [dei Conti], in virtù della carica comitale ricoperta fin dall'età carolingia, abbia favorito un controllo, almeno in una prima fase, su queste attività[32], come dimostra il fatto che proprio al nome dei Gherardeschi è legato il primo atto datato al 1133 concernente Montieri da considerarsi autentico[33]. In cui però non si fa parola della Canonica.

Montieri e le sue miniere rientravano nella giurisdizione dei Vescovi di Volterra[34], ma nei loro atti nulla è riferito circa la costruzione della Canonica di San Niccolò, ma tale possesso non fu comunque esclusivo: “Il Vescovo volterrano non aveva il pieno possesso di Montieri se parte del Castello nel 973 può essere venduto dal suo possessore Lamberto degli Aldobrandeschi [atto però, come si è detto, giudicato un falso] e se altre terre il Vescovo vi può acquistare dai Gherardesca nel 1133 e dai Pannocchieschi nel 1135[35].

Per quanto riguarda le famiglie nobili, la loro storia nel X secolo è poco nota per la scarsità di documentazione, come scrive il Collavini[36] a proposito degli Aldobrandeschi, citando tra le cause della scarsa conoscenza di questo periodo “il relativo rarefarsi in termini assoluti delle fonti [essendo] la Tuscia meridionale un’area di scarsissima sopravvivenza della documentazione”. Solo in seguito per l’XI e XII secolo la documentazione aumenta in quantità, lasciando però sempre zone di ombra che non possono essere esplorate: tra l’altro proprio i documenti concernenti Montieri presenti nell’archivio locale sono andati perduti a causa di un incendio nel XVIII secolo[37].

Le famiglie più potenti della zona della valle del Merse, il fiume che attraversa la regione delle Colline Metallifere, erano quelle dei Gherardeschi e dei Pannocchieschi, le quali erano presenti nel territorio di Montieri anche per mezzo di loro rappresentanti[38].

I maggiori rapporti con Montieri li ebbero i Pannocchieschi FIG. 9, i quali ancora nel XIII secolo avevano diritti giurisdizionali sulla zona, anche per la loro parentela con i tre Vescovi di Volterra appartenenti alla loro casata, Galgano (vescovo dal 1150, ucciso dai suoi concittadini nel 1171), Ildebrando (vescovo dal 1184 al 1211), e Pagano (dal 1212 al 1239), tutti e tre di parte ghibellina, i quali avevano ricevuto dagli Imperatori non pochi benefici[39].

1359 9 Stemma dal Palazzo Pannocchieschi min

Fig. 9

L’unico sicuro rapporto tra i Pannocchieschi e la Canonica di San Niccolò lo si trova solo quando ormai la storia della Canonica volge al termine con Paganello (Nello) Pannocchieschi, del ramo non comitale dei Pannocchieschi di Pietra e a differenza di molti suoi antenati di parte guelfa (forse, ma non è certo, marito della Pia de’ Tolomei cantata da Dante), il quale lasciò nel suo testamento del Febbraio 1321 alla Canonica di Montieri, ormai in abbandono, una somma di denaro per i lavori di ricostruzione e per l’acquisto di un calice[40].

Infine non bisogna dimenticare che a Montieri vi erano famiglie della nobiltà minore[41]: le più antiche erano quelle degli Ugorazzi e dei Bruccardi, forse discendenti dei due vassalli a cui venne affidato il castello di Montieri in un documento del 1151, e le più recenti erano quelle degli Orrabili (ramo dei Bruccardi), dei Galigaia e dei Guarneri, citati in un altro documento del 1215.

Essi, a detta di Volpe[42], “sono l’aristocrazia di Montieri e formano il gruppo dei ‘Lambardi’[43], come si trovano nominati in centinaia di terre volterrane e toscane”, ove il nome “Lambardi” o “Lombardi” distingue i castellani dai semplici abitanti di un borgo. I “Lambardi”, come precisa altrove Volpe[44], “non sono una nazionalità, sebbene la parola indichi di quali elementi etnici specialmente si componesse questa piccola aristocrazia rurale e a quale origine si ricollegasse l’istituto giuridico nel quale essi erano organizzati, ma una classe sociale che in parte si sostituisce ai signori feudali”. Questo ceto sociale ha le sue origini “in quella classe di proprietari di origine prevalentemente longobarda”, i quali “son designati con la parola ‘lombardi’, che due secoli innanzi per i Romani [così era chiamata la popolazione autoctona] suonava come la gerarchia dei marchesi, dei conti, dei vicecomites equorum, dei gastaldi e degli altri Longobardi”, ceto che emerge nel X e XI secolo, distinguendosi dagli abitanti del contado come i boni homines che assistono il loro signore o il Vescovo, e che da un lato va a sostituirsi progressivamente al potere di Conti e Vescovi e dall’altro si rafforza mediante l’unione dei gruppi familiari in una sorta di “consorzio privato”, come si può dedurre da un documento ratificato nel 1215 e confermato in scritti successivi, in cui Ugorazzi, Bruccardi, Orrabili, Guarnieri e altre famiglie montierine si uniscono con un patto di difesa reciproca in una sorta di “Compagnia” diretta da un Capitano[45].

Possibile origine della pianta esapetale di San Niccolò

È stato ipotizzato[46] che la pianta della chiesa, per i suoi stretti legami con i contemporanei edifici di culto della Dalmazia di forma analoga, possa essere stata voluta da un personaggio di rilievo che aveva conosciuto direttamente le chiese dalmate, e l’unico personaggio che poteva averne diretta conoscenza potrebbe essere identificato con l’abate Morione dell’Abbazia di San Salvatore a Sesto in provincia di Lucca sul lago di Bientina (lago prosciugato nel XIX secolo).

Gli elementi che supportano tale ipotesi sono però a nostro avviso poco coerenti: sarebbe necessario avere la certezza che Morione, frate benedettino proveniente dall’Abbazia di Montecassino e abate di San Salvatore dal 996 al 1004, possa essere identificato con il monaco benedettino cassinese Morione che nel 986 fu abate di San Crisogono a Zara, forse la prima delle chiese a pianta esabsidata della Dalmazia[47], ma, anche se da Zara egli avesse portato una così insolita pianta in Italia, per quale motivo l’avrebbe utilizzata solo ed esclusivamente in un paese distante in linea d’aria 130 km dalla sua Abbazia (220 km con le strade attuali)? L’ignoto sepolto a Montieri, se fosse stato davvero un eremita, potrebbe forse essere stato un suo conoscente che Morione voleva in tal modo onorare? Rimane però curioso il fatto che di chiese esabsidate non vi sia altra presenza in Italia e soprattutto nelle vicinanze dell’Abbazia retta da Morione per otto anni. 

E, infine, San Crisogono di Zara non è una chiesa funeraria, come invece lo è chiaramente quella di San Niccolò a Montieri, e casomai le maggiori analogie questa le presenta con la chiesa, sempre dalmata, di Bribirska Glavica[48] Fig. 10, la quale, dalla ricostruzione che ne è stata fatta, si trova in un’area cimiteriale e ha un’abside in stretta connessione con un mausoleo, a somiglianza della Canonica di San Niccolò (in altre chiese dalmate, Kašič, Trogir e Brnaze, la sepoltura è situata all’interno dell’edificio e non al suo esterno, e in quella di Stomorica è situata immediatamente all’esterno del vestibolo di accesso).

1359 10 Bribirska absidi

Fig. 10

Come si vede, il problema della committenza rimane ancora irrisolto per la mancanza di documenti nei quali siano chiaramente riportati dati su colui o coloro che l’hanno voluta.

Possibili maestranze: i “Maestri Comacini”?

Altrettanto difficile individuare quali possano essere stati gli architetti che progettarono e le maestranze che edificarono la chiesa di Montieri, mancando al momento ogni possibile traccia documentaria. Tutto quanto si può dire sulla base dei reperti trovati sul luogo[49] è che la chiesa a sei absidi venne costruita nella prima metà dell’XI secolo e tra la fine del XII e la prima metà del XIII vennero effettuati lavori di ristrutturazione e di ampliamento degli annessi con la creazione di ulteriori edifici.

Per quanto concerne i materiali utilizzati per la costruzione della chiesa e degli annessi, la maggior parte proviene dalla zona stessa di Montieri o da cave a media distanza, con la sola eccezione del serpentino, una pietra di difficile reperibilità. I laterizi sono di produzione locale e, considerata la data di costruzione del complesso, occorre aver presente che “per la Toscana la comparsa di mattoni con moduli medievali si riferisce alla metà del XII secolo come produzione occasionale … Soltanto nel XIII e XIV secolo il laterizio si diffonde capillarmente come materiale costruttivo in Toscana” (nella prima fase i mattoni utilizzati sono in genere materiale di spoglio di edifici tardoromani).

Il lavoro di costruzione richiedeva una complessa organizzazione, che comprendeva non solo lapicidi capaci di lavorare la pietra e di scolpirla nel modo dovuto e manovalanza in grado di erigere le strutture secondo il complesso piano stabilito dal o dagli architetti, ma anche fornaciai per la fabbricazione dei laterizi e personale che mantenesse rapporti con cave di pietra a media e grande distanza per importare il materiale di costruzione. È certo che gli stessi operai lavorarono sia alla Canonica che nel paese di Montieri, come si è potuto dimostrare dall’analisi di due palazzi della cittadina, in cui vi sono somiglianze di materiali e di lavorazione con quelli presenti nel sito della Canonica[50].

Poiché dovrebbe essersi trattato di costruttori e lapicidi esperti e dotati di ampie conoscenze, data la complessità dell’opera, è possibile avanzare l’ipotesi che essi possano rientrare nel novero di quelli che, con un termine molto generico e non sempre adeguato, vengono fatti rientrare nel novero dei “Maestri Comacini” o “Lombardi”; senza entrare nella questione dell’origine delle loro corporazioni, è però certo che i Maestri Comacini lavorarono in Toscana già nell’Alto Medioevo.

I “Maestri Comacini”, di cui si ha la prima notizia negli editti dei re longobardi Grimoaldo e Liutprando tra la fine del VII e la prima metà dell’VIII secolo, come confermano diverse fonti documentali, operarono in alcune fra le maggiori città della Toscana già dall’VIII secolo a Lucca[51], data da alcuni studiosi considerata però troppo alta, ma sicuramente nel 1166 nel Duomo di S. Andrea a Pistoia[52] e in quello di Pisa nel 1183[53]. Una vera e propria dinastia fu la famiglia dei Bigarelli di Arogno, chiamata anche dei Guidi[54] per la diffusione di questo nome tra i lapicidi di cui ci è giunta notizia, i quali furono prima a Lucca[55] e poi anche a Pistoia, a Pisa e a Prato[56], e furono per quanto qui ci interessa attivi a Grosseto, Volterra, Massa Marittima e nelle colline Metallifere, cioè nella regione dove sorge il paese di Montieri[57].

La Bianchi[58] conferma la loro attività nel senese a partire dall’XI secolo: “Nell'area maremmana, caratterizzata da una bassa densità demografica ma da una certa ricchezza di materie prime (in particolare di filoni metalliferi), il XII e il XIII secolo rappresentarono il momento di massimo fervore edilizio... Sebbene il Volpe parli della presenza di lombardi nell'area populoniese e rosellana fin dall'alto Medioevo, è da questo momento che abbiamo le prime notizie sicure del loro operato… Dall'XI al XIII secolo si registra una forte influenza, nei moduli compositivi, della cultura lombarda, influenza che fu, comunque, costantemente più forte nell'area senese”.

All’epoca in cui venne edificata la chiesa esapetale di Montieri il lavoro era organizzato secondo modalità precise[59]: “L'analisi delle strutture murarie presenti in alcuni castelli dell'area maremmana e delle Colline Metallifere ha consentito di ipotizzare la suddivisione del lavoro edile nel momento di massimo fervore costruttivo, cronologicamente ascrivibile al XII secolo … Ciò, di conseguenza, ha portato ad ipotizzare la presenza di un gruppo non particolarmente numeroso di maestranze (quattro, cinque operatori), a cui però fu anche richiesto di organizzare la generale ristrutturazione”.

La presenza dei Maestri Comacini in Toscana, e nel Volterrano in particolare, risulta quindi certa, ma se furono essi a mettere la loro maestria al servizio del committente della chiesa di Montieri, il modello utilizzato non è certo tipico dei Comacini, poiché tra le opere da loro edificate in Italia non esistono strutture a pianta esapetale simili a San Niccolò.

Sappiamo però che i Maestri Comacini si diffusero in Europa: “Sembra che nel loro pellegrinaggio i Comacini seguissero vie diverse a seconda del paese di origine. Da Como e dalla Valtellina movevano verso il Veneto, la Dalmazia e di là verso Roma; dal lago Maggiore verso il Piemonte e la Liguria e verso Milano[60] ed elementi caratteristici delle botteghe lapidarie comacine si trovano in edifici religiosi costruiti tra il X e il XII secolo[61]. In Dalmazia operarono nella Cattedrale di Zara, il cui battistero costituisce il primo esempio di struttura a sei absidi in Croazia, e a Spalato, città nella quale si trovano due chiese esapetali, e da qui essi avrebbero potuto portare a Montieri il particolare modello che venne proposto al committente per costruire San Niccolò.

In alternativa si potrebbe quindi pensare che la pianta esapetale sia stata specificatamente voluta dal committente della Canonica di Montieri, qualunque possano essere state le maestranze che l’hanno costruita. Questo pone un’altra domanda: era forse questo committente originario della Dalmazia o comunque da una delle nazioni dell’Europa dell’est nelle quali la chiesa a sei absidi è (relativamente) frequente? È ovvio che non vi sono risposte certe alla domanda, ma in ogni caso l’ipotesi va posta.

La pianta di San Niccolò potrebbe avere il suo precedente in una costruzione di analoga forma che si trova a soli 50 km da Montieri in Val d’Elsa, a sud di San Gimignano in località Torraccia di Chiusi, ma il collegamento fra le due costruzioni è molto difficile considerata la distanza temporale tra le due costruzioni, e il fatto che si tratta non di un edificio ecclesiastico ma di una villa di epoca tardoromana del III secolo successivamente ricostruita con una pianta differente.

Gli scavi della villa di Torraccia di Chiusi[62], riportata alla luce dall’équipe diretta dal Prof. Marco Cavalieri in collaborazione con le Università di Lovanio e di Firenze, ha rivelato l’esistenza di una struttura di cui rimangono solo le fondamenta perché incompiuta, costituita da un ambiente a sei absidi circondato da un ambulacro anch’esso esalobato, con un vestibolo rettangolare in sostituzione del sesto abside. La struttura viene fatta risalire al IV sec. e i lavori vennero sospesi per motivi sconosciuti, sostituiti tra fine IV - inizio V sec. da un differente edificio, con tre absidi alternate a tre ambienti rettangolari. La ragione del cambiamento del piano costruttivo sarebbe stata motivata, secondo gli archeologi che hanno lavorato sul sito, dal fatto che la seconda opera era più semplice e meno costosa, realizzata quindi in tal modo forse per un iniziale decadimento economico dei possessori della villa, che in seguito venne trasformata in una fabbrica di metalli (ferro, rame e oro), vetro e forse laterizi; alcuni dati rilevati dai ricercatori fanno pensare a un insediamento di genti germaniche, forse di etnia gota.

Se estendiamo la ricerca sulla pianta esapetale nella sua funzione religiosa, essa potrebbe essere giunta in Toscana da tre centri principali: da Roma, da Costantinopoli o dall’Illiria.

Le strutture della Roma tardoimperiale erano conosciute da molti architetti, e primi fra di essi i Maestri Comacini, il cui interesse per la civiltà romana persistette a lungo come rileva il Lazzati: “L’alto livello culturale della regione lariana, dovuto anche al persistervi più a lungo della successiva dominazione bizantina, sembra attestato anche … dai reperti di età longobarda rinvenuti tra Lario e Verbano, [i quali] paiono indicare una persistenza di ‘romanità’ più accentuata rispetto a coevi siti di pianura[63].

Anche Bisanzio conobbe già dall’epoca costantiniana la pianta pluriabsidata rapportata all’esagono (ma più spesso all’ottagono), utilizzata in edifici religiosi e laici sia a Costantinopoli e a Tessalonica, sia nelle regioni periferiche dell’Impero e in particolare nell’Illiria, ma per quanto riguarda la Toscana il controllo di Bisanzio si limitò alla regione di Roselle e alla Lunigiana, e sembra che la penetrazione non sia andata oltre[64], per cui la trasmissione della pianta esapetale da Bisanzio alla Toscana di questa forma di costruzione sembra difficile.

Va infine considerata una possibile influenza diretta delle costruzioni illiriche sulla Canonica di Montieri, dato che in questa regione le chiese esapetali erano ben conosciute e che maestranze italiane avevano lavorato in Illiria, tra cui, come si è detto, i Maestri Comacini. Anche in questo caso però, dati gli stretti rapporti di vicinanza tra la costa illirica e quella adriatica italiana, non si spiega perché un tipo di chiesa così diffuso nell’attuale Croazia non sia mai stato riprodotto sull’altra sponda dell’Adriatico, che pur fu sottoposta per molti secoli al dominio di Bisanzio.

Pertanto anche il collegamento tra la Canonica di San Niccolò e precedenti tradizioni architettoniche rimane al momento un mistero.

 

DIDASCALIE

Fig. 1 – Montieri (Grosseto): il sito della Canonica di San Niccolò, a destra (sudest) la chiesa esapetale, davanti alla quale si trova il cimitero, a sinistra (nordovest) gli annessi costruiti in epoca posteriore (www.turismomontieri.it, modificata; autorizzazione dell’Ente per il Turismo di Montieri).

Fig. 2 – Montieri (Grosseto): la chiesa di San Niccolò. A sinistra l’accesso alla chiesa preceduto da tre scalini, a destra l’accesso al vano rettangolare nel quale era custodito il corpo di un personaggio ignoto (www.turismomontieri.it, modificata; autorizzazione dell’Ente per il Turismo di Montieri).

Fig. 3 – La Tulenhauptfenster della Cattedrale di Friburgo: nel tondo in alto immagine di San Niccolò (© (Joergens.mi/Wikipedia, CC BY-SA 3.0, //commons.wikimedia.org/wiki/File:Tulenhauptfenster_(M%C3%BCnster_Freiburg)_jm2359.jpg, Uniform Resource Identifier: https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/legalcode).

Fig. 4 – La Rotonda di Montesiepi dedicata a San Galgano Guidotti nel 1987: al centro della chiesa è tutt’ora conservata la spada che Galgano infisse nella roccia quando da cavaliere della Cavalleria terrena passò alla Cavalleria celeste (© Paolo Galiano).

Fig. 5 – Pianta costruttiva della chiesa esapetale: sulla sua interpretazione si veda l’articolo di Paolo Galiano pubblicato sul sito www.simmetriainstitute.com “Il simbolismo della chiesa a sei absidi”, parte II (©Fabio Agostini, disegno per l’articolo di Galiano).

Fig. 6 – La fibula d’oro ritrovata sepolta nella pavimentazione della chiesa con altri reperti e tracce di carbone che farebbero ipotizzare la connessione con una cerimonia di consacrazione e non una semplice donazione (www.turismomontieri.it, modificata; autorizzazione dell’Ente per il Turismo di Montieri).

Fig. 7 – I resti del personaggio ignoto al momento del ritrovamento (da: Giovanna Bianchi, Recenti ricerche nelle Colline Metallifere ed alcune riflessioni sul modello toscano, in “Archeologia medievale”, XLII (2015)

Fig. 8 – La giunzione tra la parete della chiesa e la cappella nella quale era stato sepolto loo sconosciuto personaggio venerato nel sito: evidente la diversità di costruzione fra le due strutture (© Paolo Galiano).

Fig. 9 – Lo stemma della famiglia comitale dei Pannocchieschi, con l’aquila imperiale bicefala (autore: Sailko, licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported, non modificata).

Fig. 10 – Bribirska Glavica (Dalmazia): al di sotto dell’attuale chiesa sono state riportate alla luce tre delle sei (o otto) absidi della chiesa originaria a pianta centrale. Come la Canonica di Montieri, anche la chiesa di Bribirska Glavica sorge all’interno di un’area cimiteriale (da: Nicola Jakšić, Varvarina praeromanica, in “Studia Varvarina”, Zagreb-Motovun, 2009)

 

Note  & Riferimenti

[1] Oriano Negrin, La leggenda del Re Minatore, Arcidosso (GR) 2014, descrive il ritrovamento della Canonica di San Niccolò; il testo non è di indirizzo scientifico ma si rivela utile perché si tratta della prima diffusione della notizia di questa scoperta.

[2] Paolo Galiano, Il simbolismo della chiesa a sei absidi, pubblicato il 6 Novembre 2016 sul sito della Fondazione Lanzi Library and Museum.

[3] Paolo Galiano, Galgano e la Spada nella roccia, Roma 20152.

[4] Il saggio scientifico più recente sulla Canonica di San Niccolò finora pubblicato è una trattazione parziale dei ritrovamenti di cui è autrice la Direttrice delle ricerche sul sito: Giovanna Bianchi, Recenti ricerche nelle Colline Metallifere ed alcune riflessioni sul modello toscano, in “Archeologia medievale”, XLII (2015) pp. 9-26 (altri articoli sono stati pubblicati in precedenza ma, essendo in corso di scavo, sono incompleti). Il gioiello d’oro ritrovato nella pavimentazione della chiesa è stato studiato da Giovanna Bianchi, John Mitchell, Juri Agresti, Isabella Memmi Turbanti, Iacopo Osticioli, Salvatore Siano, Alessandro Pacini, La fibula di Montieri. Indagini archeologiche alla Canonica di S. Niccolò e la scoperta di un gioiello medievale, in “Prospettive”, 155-156 (2014), pp. 100-113 (il gioiello è oggi esposto alla Pinacoteca di Siena dal Gennaio 2015).

[5] Sono stati portati alla luce finora i resti di almeno trecento individui.

[6] Marco Benvenuti, Giovanna Bianchi, Jacopo Bruttini, Mauro Paolo Buonincontri, Studying the Colline Metallifere mining area in Tuscany: an interdisciplinary approach, in “IES yearbook”, 2014, pp. 261-287.

[7] Bianchi et al., La fibula di Montieri, p. 100.

[8] Giovanna Bianchi (a cura di), Archeologia dei beni pubblici. Alle origini della crescita economica in una regione mediterranea (secc. IX-XI), Edizioni All’Insegna del Giglio, Sesto Fiorentino 2022, p.123.

[9] Gli scavi in via delle Fonderie a Montieri hanno portato alla luce un edificio utilizzato come fonderia, ma non vi è certezza che in questo luogo si lavorasse l’argento per la monetazione (Bianca Maria Aranguren, Giovanna Bianchi, Jacopo Bruttini, Montieri (GR). Archeologia urbana: l’intervento in via delle Fonderie, in ‘Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana’, 32 (2007), pp. 435-441).

[10] Benvenuti et al., Studying the Colline Metallifere mining area in Tuscany. Contro BIANCHI et al., La fibula di Montieri, p. 100, secondo cui, in base alle recenti ricerche, Montieri rappresenterebbe uno dei rari casi in cui nel Medioevo l’intero ciclo produttivo della monetazione avveniva in un solo luogo.

[11] Daniele Ferdani, Giovanna Bianchi, 3D survey and documentation in building archaelogy, in A. C. Edison, G. Guidi, S. Pescarin, A. De Luca (a cura di), Proceeding of the 2013 Digital Heritage International Congress, Ottobre 2013.

[12] Federica Falleri, Archeologia delle architetture del complesso ecclesiastico medievale della Canonica San Niccolò: analisi degli elementi architettonici, Università di Siena, tesi di Dottorato anno accademico 2010-2011. p. 30.

[13] Falleri, Archeologia delle architetture, p. 23.

[14] Benvenuti et al., Studying the Colline Metallifere mining area in Tuscany.

[15] Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, pp. 113-114.

[16] Benvenuti et al., Studying the Colline Metallifere mining area in Tuscany.

[17] Falleri, Archeologia delle architetture, Fig. 65.

[18] Bianchi et al., La fibula di Montieri, p. 108.

[19] Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, p. 115. Un oggetto di vetro è spesso presente nel corredo funebre delle più antiche tombe longobarde e costituisce “un elemento di distinzione sociale” (Lidia Paroli, La necropoli di Castel Trosino: un laboratorio archeologico, in L’Italia centro-settentrionale in età longobarda, Atti del Convegno di Ascoli Piceno, 6-7 Ottobre 1995, Firenze 1997). Nella necropoli di Castel Trosino sono stati trovati alcuni esemplari di calici in vetro, anche in buone condizioni, “confrontabili con gli esemplari di VIII sec. di Roma”. Il calice costituisce una forma ben conosciuta nella produzione delle botteghe romane: “Il calice di vetro è la forma tipica del VI secolo, del periodo delle invasioni, … ma diviene ancora più tipica nell’VIII secolo, almeno a Roma”, dove il colore di base è il verdeazzurro (Lucia Saguì, Produzioni vetrarie a Roma tra tardo-antico e altomedioevo, in La storia economica di Roma alla luce dei recenti scavi archeologici, Atti del seminario Roma 2-3 Aprile 1992, a cura di Lidia Paroli e Paolo Delogu, Edizioni All’Insegna del Giglio, Sesto Fiorentino 1993 pp. 115-116 e p. 118).

[20] Bianchi et al., La fibula di Montieri, p. 101; la datazione al C14 delle ceneri rinvenute al di sopra della fibula hanno dato un valore molto ampio, “tra fine X e primo quarantennio del XII secolo”, come riferisce la Bianchi (Bianchi et al., La fibula di Montieri, ibidem), per la precisione tra il 964 e il 1041, con un massimo tra 983 e 1053 (Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, p. 115 nota 13).

[21] Bianchi et al., La fibula di Montieri, pp. 105-106.

[22] Mauro Buonincontri, Paola Ricci, Carmine Lubritto, Giovanna Bianchi, John Mitchell, Gaetano Di Pasquale, A burial, a brooch and a church: anthracological analyses and radiocarbon measurements of a Medieval religious foundation in southern Tuscany, in Proceedings of the 1st International Conference on Metrology for Archaeology, 22-23 Ottobre 2015, Benevento 2016.

[23] Per Bianchi et al., La fibula di Montieri, p. 101, la costruzione della chiesa avvenne “in anni non troppo successivi alla morte di quest’ultimo”.

[24] Falleri, Archeologia delle architetture, p. 32.

[25] Valori massimi 947-1049 (Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, p. 113 nota 10).

[26] Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, p. 113.

[27] Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, pp. 122-1123.

[28] Benvenuti et al. Studying the Colline Metallifere mining area in Tuscany.

[29] Comunicazione personale della Prof.ssa Giovanna Bianchi.

[30] Sui documenti si veda Falleri, Archeologia delle architetture pp. 12-20, con rimando a Alessia Zombardo, Il Diplomatico del comune di Montieri nell’Archivio di Stato di Siena 1236-1578, Siena 2008.

[31] Gioacchino Volpe, Montieri: costituzione politica, struttura sociale e attività economica d'una terra mineraria toscana nel sec. XIII, in Id., Medio Evo italiano, Firenze 1961, p. 46.

[32] Simone Collavini, I conti Aldobrandeschi nel contesto storico generale e locale, in Gli Aldobrandeschi. La grande famiglia feudale della Maremma toscana (a cura di M. Ascheri), Atti del convegno di S. Fiora, 2001, pp.21-36.

[33] In questo atto il conte Gherardo cedeva al vescovo Crescenzio i suoi diritti sul castello e sul territorio di Montieri (Falleri, Archeologia delle architetture, p. 13). Sono considerati falsi gli atti dell’896 e del 939 riguardanti la vendita di possedimenti nell’area di Montieri, con cui il marchese di Toscana Adalberto cedeva il distretto di Montieri e le sue miniere ad Alboino vescovo di Volterra, e forse anche quello del 973, in cui si parla di una vendita di proprietà in Montieri fatta da Lamberto Aldobrandeschi al prete Ropprando della mensa vescovile di Volterra (Falleri, Archeologia delle architetture, p. 12).

[34] Nel periodo in cui viene supposta la costruzione della Canonica e i suoi successivi sviluppi i Vescovi furono Rogerio Ghisalbertini (1103-1132), Crescenzio Marchesi (1133-1136), Odalmaro Adimari (1137-1148), Galgano Pannocchieschi (1150-1170) e Sant’Ugo Saladini (1171-1184),

[35] Giuseppe Vatti, Montieri. Notizie storiche, Sarno 1970 (rist. anast. a cura del Comune di Montieri, Firenze 1983).

[36] Simone Collavini, “Honorabilis domus et spetiosissimus comitatus”. Gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali” (secoli IX-XIII), Pisa 1998, p. 71.

[37] Negrini, La leggenda del Re-Minatore, p. 36 nota 1.

[38] Tra questi le famiglie dei Cadoletto e degli Ugorazzi, citati come custodi del castello di Montieri in un atto del 1151 (Vatti, Montieri. Notizie storiche).

[39] Volpe, Montieri: costituzione politica, pp. 41-42.

[40] Il testamento, presente nell’Archivio di Stato di Siena, è pubblicato in Gaetano Milanesi, Documenti intorno alla Pia de' Tolomei ed a Nello del Pannocchieschi suo marito, in "Giornale storico degli Archivi Toscani che si pubblica dalla Soprintendenza Generale agli Archivi del Granducato" vol. III (1859).

[41] Volpe, Montieri: costituzione politica, p. 55 e nota corrispondente.

[42] Volpe, Montieri: costituzione politica, p. 57. Vedi anche Vatti, Montieri. Notizie storiche, pp. 22-23.

[43] A Montieri è tuttora esistente la “casa dei Lambardi”, costruzione di epoca medievale situata nella parte alta della città antica, che fu sede della consorteria dei Lambardi montierini, e ancora oggi Lambardi è un cognome presente nella cittadina.

[44] Gioacchino Volpe, Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Pisa 1902, pp. 25-32; Id., Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città, in Id. Origine e primo svolgimento dei Comuni nell’Italia longobarda, Roma 1986.

[45] Volpe, Montieri, p. 58.

[46] Bianchi, Archeologia dei beni pubblici, pp. 118-121.

[47] La tesi dell’identificazione dei due monaci, ripresa in via di ipotesi dalla Bianchi, è stata avanzata nel 2016 da Paolo Tomei, Da Cassino alla Tuscia: disegni politici, idee in movimento. Sulla politica monastica dell'ultima età ottoniana, in “Quaderni storici”, 152, 2 (2016), pp. 355-382, p. 377 nota 39.

[48] Nel corso degli scavi della pavimentazione della chiesa dei Santi Gioacchino e Anna di Bribirska Glavica in Dalmazia sono emerse le fondamenta di tre absidi riferibili a un edificio a pianta circolare con un diametro di 14 metri, che è stato ricostruito come una chiesa rotonda a sei o a otto absidi, ipotesi questa meno probabile data la curvatura di esse (Nicola Jakšić, Varvarina praeromanica, in “Studia Varvarina”, Zagreb-Motovun, 2009).

[49] Falleri, Archeologia delle architetture, pp. 88-97 e 158-160. Più recentemente Bianchi, Archeologia dei luoghi pubblici, pp. 108-118, che apporta qualche ulteriore notizia a quelle qui descritte.

[50] Falleri, Archeologia delle architetture, p. 156.

[51] Giuseppe Merzario, I Maestri Comacini , Milano 1893, vol. I, p. 187.

[52] Merzario,  I Maestri Comacini, p. 182.

[53] Clara Baracchini, Antonino Caleca, Maria Teresa Filieri, Problemi di architettura e scultura medievale in Lucchesia, in “Actum Luce”, 7 (1978), pp. 7-26.

[54] Baracchini, Caleca, Filieri, Problemi di architettura.

[55] Saverio Lomartire, Comacini, Campionesi, Antelami, “Lombardi”. Problemi terminologici e storiografici, p. 17, in Els Comacini y l’arquitectura romànica a Catalunya, Atti del Simposio internazionale 25-26 Novembre 2005, Barcellona 2010. Merzario, I Maestri Comacini, pp. 190 ss.

[56] Merzario, I Maestri Comacini, p. 193.

[57] Giovanna Bianchi, Maestri costruttori lombardi nella Toscana centro-meridionale (secoli XII-XV). Indizi documentari ed evidenze materiali, in Magistri d’Europa. Eventi, relazioni, strutture della migrazione di artisti e costruttori dei laghi lombardi, Atti convegno di Como 23-26 Ottobre 1996, Como 1997, pp. 155-166.

[58] Bianchi, Maestri costruttori lombardi.

[59] Bianchi, Maestri costruttori lombardi.

[60] Giovanni Battista Reggiori, Bernardino Luini. Cenni biografici preceduti da una Introduzione sui Magistri Comacini, Milano 1912, p. 26 (ristampa anastatica: Forgotten Books, 2018).

[61] Si veda per esempio Marco Lazzati, I Maestri Comacini tra mito e storia, conoscenze e ipotesi sulle origini delle maestranze dei laghi lombardi, Quaderno n° 8  dell'Ass. Protezione Patrimonio Artistico Culturale della Val d’Intelvi 2003 (rivisto e ampliato nel 2012): “Interessante è anche il problema del cosiddetto ‘nodo comacino’, cioè delle colonne ‘annodate’ presenti in edifici religiosi e civili di Ferrara, Lucca, Modena, Como, Trento, Arezzo, Spalato, Bamberga, Würzburg (per citare solo alcuni esempi), comparse tra XII e XIII secolo, che alcuni autori attribuiscono a maestranze comacine, effettivamente documentate presso molti dei suddetti cantieri”.

[62] La documentazione disponibile sulla domus di Torraccia di Chiusi è ampia: segnaliamo in particolare Marco Cavalieri, Andrea Arrighetti, Giacomo Baldini, Enrica Boldrini, Paola De Idonè, Sara Faralli, Sara Lenzi, Nadia Montevecchi, Sofia Ragazzini, Federica Salvucci, San Gimignano (SI) Aiano - Torraccia di Chiusi, nuovi dati dalla VI campagna di scavi alla villa tardo-antica, inNotiziario Soprintendenza Beni Archeologici della Toscana”, 6 (2011), pp. 376-379; Marco Cavalieri, Enrica Boldrini, Charles Bossu, Paola De Idonè, Antonia Fumo, Aspetti della cultura materiale nelle fasi di riutilizzo (V – inizio VII sec. d.C.) della villa romana di Aiano - Torraccia di Chiusi (San Gimignano, Siena/Italy), in “Rei cretariæ romanæ fautorum”, acta 42, Bonn 2012, pp. 169-180; Giovanna Montevecchi, La struttura architettonica della villa, dal sito “La villa romana di Aiano - Torraccia di Chiusi” http://villaromaine-torracciadichiusi.be/index.php/it/, consultato 25/10/2015; Enrica Boldrini, Marco Cavalieri, Paola De Idonè, Beatrice Magni, Gloriana Pace, Aspetti della “transizione” nei contesti ceramici dal sito di Aiano - Torraccia di Chiusi (San Gimignano, Siena), in Produzioni ceramiche e commerci nell’Italia centrale tra Romani e Longobardi (III-VIII sec. d.C.), Atti del Convegno Spoleto - Campello sul Clitumno 5-7 Ottobre 2012 (a cura di Enrico Cirelli, Francesca Diosono, Helen Patterson), Bologna 2015.

[63] Lazzati, I Maestri Comacini.

[64] Carlo Citter, Il rapporto fra Bizantini, Germani e Romani nella Maremma toscana attraverso lo studio della dinamica del popolamento. Il caso rosellano, in Acculturazione e mutamenti. Prospettive nell’archeologia medievale del Mediterraneo (a cura di Boldrini e Francovich), Atti del Congresso italo-spagnolo di archeologia medievale, Certosa di Pontignano (Siena) 1993, Firenze 1995.

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