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Wolfram von Eschenbach, la "pietra magnetica" del Graal e le altre "pietre" d'Oriente 3° parte (di A. Bonifacio)

Wolfram von Eschenbach, la “pietra magnetica” del Graal e le altre “pietre” d’Oriente

 

Antonio Bonifacio

 

Terza Parte

IMMAGINE DI TESTA

 

 Matreya e il kalachakra

"La vera filosofia consiste nell'imparare a morire. Non intendo dire che dobbiamo preoccuparci della morte fisica, ma che dobbiamo imparare a morire alle cose terrene, alle passioni e alle illusioni, per poter vivere veramente. Solo quando siamo pronti a morire alle cose di questo mondo, possiamo vivere veramente, poiché solo allora siamo liberi dalle catene del desiderio e dell'attaccamento. La vera filosofia è quindi una pratica di morte, che ci libera dalle illusioni e ci conduce alla vera vita".

(Platone, Fedone)

Il viaggio in Tibet dei Roerich, conosciuto appunto anche come “missione”, è piuttosto noto nei sui contorni, soprattutto in relazione ai risultati scientifici conseguiti all’esplorazione di lande himalayane, finora praticamente inaccessibili. Furono quei paesaggi e la singolare luce che li pervadeva a stimolare la cospicua produzione pittorica di Roerich.

È bene, fin da subito, precisare che i Roerich avevano aderito alla società teosofica e sono stati quindi divulgatori di quelle dottrine che il Guénon condannerà nettamente con grande asprezza espositiva perché ritenute antitradizionali, tuttavia è parimenti da evidenziare che Nikolaj partiva in questa esplorazione già con un bagaglio di conoscenze archeologiche di straordinaria vastità, maturate dopo un lungo insegnamento accademico durante il quale avrebbe ricevuto “un’iniziazione” dal suo insegnante di pittura il notevole artista Archip Ivanovič Kuindži . Per questi motivi le sue scelte esplorative si erano indirizzate con precisione verso uno scopo connesso alla circostanza descritta. Parimenti il figlio Jiuri George, stimato tibetologo, fu anch’egli erudito davvero proteiforme di spessissima cultura accademica, una cultura maturata, assai precocemente, in ambito assolutamente internazionale. 1

Dal momento che si è parlato di “missione”, ci si domanda quale fosse “veramente” lo scopo di essa? Questa “missione”, difatti, accanto alla dimensione scientifica, era caratterizzata da tratti davvero “enigmatici” in cui si intersecano alcune delle problematiche relative al tema della pace universale, pace da intendersi nel suo senso spirituale più profondo, un tema che all’epoca aveva assunto una statura davvero gigantesca considerando che il secolo da poco trascorso è stato contrassegnato da guerre e rivoluzioni davvero sanguinose accompagnate da decisivi mutamenti sociali, eventi che complessivamente hanno determinato il totale riassetto del mondo sia dal punto di vista spirituale, sia dal punto di vista politico, oltreché pratico e “materiale”2

Per conseguenza, secondo l’angolo visuale del buddismo tibetano, la “pace” non poteva che discendere sul mondo che con l’avvento escatologico del “Budda futuro”, Matreya, del cui imminente rivelarsi i Roerich credevano di aver trovato molti indizi in quei luoghi remotissimi.

Per parlare ulteriormente di Roerich e della concezione del “Graal buddista”, che accompagna i suoi appunti, si prenderà quindi spunto da quella sorta di Diario illustrato della Missione costituito dalla immensa produzione artistica di questo intrepido esploratore e “pittore spirituale”, una vasta iconografia che mostra quanti riferimenti simbolici si possono cogliere nel periglioso itinerario asiatico compiuto dalla famiglia Roerich, diario che, presenta aspetti sovente spinosi la cui accettabilità è, per chi qui scrive, alquanto difficoltosa, per la dichiarata influenza che esercitarono sui Roerich le controverse dottrine del “Teosofismo” della citata M.me Blawatsky.

Alla fondatrice della Teosofia non vorremmo difatti ricorrere per spiegare il “mito” di Shambala (e il conseguente ‘mito moderno’ di Agarthi, accezione del centro nascosto accolta da Ossendowsky forse per meri interessi editoriali).3 Alla complessa (pseudo) mitografia razziale della Blawansky ci appare opportuno sostituire l’approccio di Henry Corbin, a chi scrive più familiare, che, in un capitolo del suo testo dedicato all’Islam iranico, ha accostato la tradizione dell’Isola Verde posta nel Mar Bianco - di cui si è fatto cenno in precedenza e al cui centro è presente un’alta montagna, sede del dodicesimo Imam - ai contenuti delle vicende graaliane estrapolando questo pattern, per esplicita indicazione del Corbin, nel lontano Oriente. Questo luogo inequivocabilmente rimanda difatti al tema principale della sede polare invisibile agli occhi dei profani ma supposta sede originaria dell’umanità la cui geosophia reca tante similitudini con Shambala che ne sarebbe una delle diverse espressioni.

Le conclusioni della Blawatsky potrebbero presentare aspetti problematici, non solo per il mondo accademico, che già di suo è aprioristicamente diffidente rispetto a qualsiasi soluzione che non si risolva in accertamenti tangibili, ma anche per gli studiosi “tradizionali”, con René Guénon in testa, che ha manifestato una estrema diffidenza (eufemismo) per le dottrine esposte dalla fondatrice della Teosofia, seppur, tuttavia, abbia in buona parte condiviso i contenuti del testo dell’Ossendowsky Bestie uomini e dèi, dedicato in particolar modo ad Agarthi (altrimenti: Aghartha, Agartha o Agartta).

Singolare, a tal proposito, ma documentata in modo eccezionalmente accurato, la posizione critica verso il metafisico di Blois, presente nell’articolo di Marco Baistrocchi la cui dissidenza dalle conclusioni del Guénon è già esplicitata radicalmente dal titolo del suo intervento: Agarttha una invenzione guénoniana?

Con questo denso scritto il Baistocchi ha occasione di prendere le difese di M.me Blawatsky, ovvero l’aristocratica russa (o ucraina? È nata a Dnipro in Ucraina) Helena Von Hahn, presentando, nella lunga nota n.146 del predetto articolo, una serie di attestazioni, provenienti da varie e riconosciute autorità spirituali del mondo buddista (tra cui D. T. Suzuki, nonché il Panchen Lama dell’epoca), tutte documentate nell’articolo, inerenti la correttezza degli affermazioni dottrinali presenti negli scritti di questa esploratrice, come, parimenti, questo ricercatore ha difeso l’autorità delle fonti da lei citate.

Nella successiva nota (n. 147), con indicazioni identicamente accurate, lo stesso autore richiamava la giustezza dell’impiego del termine “reincarnazione” da parte della Blawatsky, avverso il deciso diniego guénoniano di considerare questo lemma espressione di una dottrina tradizionale. A ciò si aggiunge la circostanza che lo stesso direttore della Rivista, Pietro Fenili, dedicò alla esploratrice un devoto articolo dal significativo titolo Rendiamo giustizia ad Helena Blavatsky, proprio nello stesso numero (Politica Romana, vol.2/1995) nel quale l’autore, non solo difendeva a oltranza la suindicata dai suoi detrattori, ma la omaggiava significativamente definendola, tra le altre cose, “sapiente aristocratica russa”.

Premesse queste brevi puntualizzazioni in ordine al controverso tema, che denotano la complessità della figura della fondatrice della Theosophia, con cui personalmente non siamo affatto in sintonia spirituale, in quanto assolutamente estranei al concetto dell’evoluzionismo spiritualista da lei prospettato sfociato poi nella New Age, qui ci limitiamo a evidenziale alcuni passaggi del viaggio - missione dei Roerich in queste lontane lande mettendo in evidenza le osservazioni presenti del diario riguardo le similitudini riscontare con i personaggi del ciclo graaliano, e, segnatamente, con Wolfram Von Eschenbach, con alcuni aspetti e testimonianze del locale buddismo.

Di questi suggerimenti offre, come già detto, ampia documentazione la specifica arte pittorica di Nikolaj K. Roerich, di natura estremamente evocativa, che, in luogo di fotografie, dipinse paesaggi e personaggi, trasfigurandoli attraverso una peculiare “luce mistica” caratteristica della sua produzione; si tratta di immagini la cui attrattività, dal momento che sono insieme documento reale e suggerimento simbolico, è conseguenza anche del comunicativo uso del colore.

E proprio di alcune sue realizzazioni artistiche andiamo ora a interessarci in quanto esse rappresentano anche dei documenti oggettivi che testimoniano delle vicende che qui si narrano.

  
1391 11 N ROERICHGUARDIANODELDESERTOEDELCALICE

Fig. 11

Nikolaj K. Roerich: Guardiano con un Calice ornato da fuoco posto nella sua mano sinistra, visto da Roerich in Mongolia nel deserto del Gobi. (Fonte) 

Nel 1935 Roerich, dipinse ciò che vide nel Deserto del Gobi, in Mongolia, davanti a dei piccoli menhir e quindi rappresentò una scultura, che raffigura un Guardiano, con un Calice ornato da fuoco posto nella sua mano sinistra. Per il Roerich tale rappresentazione lo orientava a ritenere come tale calice fosse collegato al Graal e alla pietra del cielo Chintamani, (rimandiamo indietro al Corbin per comprendere il senso di questa ambivalenza, così come alla rappresentazione di Melkitsedek a Chartres della fig. 1), pertanto la scultura del “Guardiano con il calice” costituirebbe un’indicazione e un avvertimento circa la circostanza che ci si trova in prossimità di un luogo sacro ben protetto. 4

Veniamo ora a un punto che, per l’interesse intrinseco di cui è portatore, è prioritario focalizzare e che riguarda esattamente la possibile comparazione tra le “pietre magnetica” citate, tema su cui poi è fulcrata questa nostra esposizione.

Questa sorprendente rivelazione ci riporta ovviamente al Wolfram, citato in precedenza, e alla speculazione proposta dal Corbin circa il carattere “magnetico” dell’oggetto, da intendere ciò come espressione simbolica di “attrattore spirituale”.

In Roerich l’immagine differirebbe, e non di poco, da tutto ciò assumendo, la citata “pietra”, dei contorni problematicamente “fisici” sulla cui accettazione pare debba imporsi una necessaria cautela. In questo caso, diversamente dal Corbin, la pietra che egli ha portato con sé nella missione non ha apparentemente una capacità attrattiva di ordine strettamente “spirituale”, essa piuttosto è tale perché frammento di una pietra principale da cui si è staccata e ambisce ad essa ricongiungersi, somigliando assai al meccanismo narrativo che descrive l’anello di Frodo descritto nel Signore degli Anelli tolkieniano che brama di ritornare in possesso del suo “padrone” (Sauron).

Tuttavia, anche questo tema non è affatto esente da profonde suggestioni spirituali dal momento che la “nostalgia” minerale non è argomento affatto peregrino alla Tradizione, anzi tutt’altro, e, per questo, sfiorando il tema, non si può che constatare come sia difatti diffusa la convinzione che le pietre preziose abbiamo “nostalgia” della miniera da cui sono state estratte. Di questo tema il Corbin parla con precisi accenni operativi presentandolo come una delle espressioni più criptiche della progressione iniziatica che consegue alla circostanza secondo la quale certe pietre hanno una relazione, per così dire, fisiologica, con certe parti del corpo umano.

Un testo fondamentale di questa linea, speculativa ma anche, anzi soprattutto, operativa, può essere senz’altro considerato quello di André Benzimra Hermétisme et alchimie dans la Kabbale che tratta appunto delle gemme dal punto di vista operativo alchemico, tuttavia significativi interventi sul tema si possono facilmente rinvenire nel testo di Mircea Eliade Forgerons et alchimistes ed in Elemire Zolla ne Le Meraviglie della Natura 5

Su questo argomento di estensione assai vasta e di complessa interpretazione, nonché di natura appunto alchimica, non ci si intrattiene ulteriormente, piuttosto, appena dopo, si riproduce, un brano del Roerich, che appare connesso alla circostanza, perché esso reca degli spunti piuttosto interessanti soprattutto ricordando che la pietra di cui questi parla non è stata estratta dalla terra, come un embrione dalla sua matrice, piuttosto essa ha la sua “miniera” in una “pietra-madre” che viene dal“cielo”.

Tale pietra sarebbe conosciuta nell’area tibetana come “dono di Orione”. Essa è caduta da un tempo immemore sulla Terra, ma non è da dimenticare che anche la pietra di Wolfram è stata portata in terra ai primordi del tempo e, come detto, ciò richiama, nella dinamica degli eventi, il più famoso dei “betili sacri” (ma non l’unico), ovvero la pietra nera della Ka’ba collocata a La Mecca, parimenti legata alla specifica angelologia di questa religione.6

Il parallelo di tale pietra con i racconti di Wolfram non è escogitazione o speculazione personale, piuttosto esso è proposto dallo stesso Roerich.

Molta attenzione è stata dedicata alla meravigliosa pietra, caduta da una stella lontana che appare in vari paesi prima di un grande evento. Il Grande Timur, possedeva una pietra. Pietra di solito giunge alle persone in modo inaspettato completamente sconosciuto. Allo stesso modo inaspettato a tempo debito la pietra scompare, per apparire ancora una volta nel periodo di giudizio in un paese completamente diverso. La parte principale di questa pietra è in Shambhala. Solo sua una piccola parte e vaga tutta la terra, mantenendo l'accoppiamento magnetico con la pietra principale … Si dice anche che il re Salomone e l'imperatore Akbar di proprietà di esso. Queste leggende involontariamente ricordano la Lapis exilis, la pietra cantata famoso Poeta Wolfram von Eschenbach, ha terminato il suo poema con le parole: “E questa pietra si chiama il Graal“ (Vincenzo Pisciuneri: Chintamani la Pietra di Orione [riferimento fonte originale Nikolaj K. Roerich, Shambala: 10, p. 241]).7

Si hanno così due pietre. Una pietra celeste caduta sulla terra e portatrice e datrice di virtù simboliche, e questo sarebbe l’aerolito “principale” che si trova in Shambhala, cui si accompagna un frammento, o più frammenti di esso, che “compaiono” periodicamente in vari luoghi della terra, mantenendo costantemente il collegamento “magnetico” con la pietra madre. Questi spezzoni possiederebbero insolite qualità fisiche ma, surrettiziamente, anche iperfisiche.

Questo è un punto del tema su cui è necessario gettare un fascio di luce, per così dire, disinfettante, dal momento che la lettura meramente empirica della realtà - che sottende la sua conoscenza scientifica – si confronta con la percezione “mistica” (se non esoterica) della stessa. Questi due approcci, coniugati tra loro, si compongono così in un cospirante amalgama, una ordinata commistione che ha assunto una dimensione pervadente nell’anima russa.8

Non per nulla ciò ha trovato sintesi in quel movimento che annovera tanti pensatori e scienziati di peso denominato “cosmismo”, movimento di cui fece parte in maniera attiva anche il Roerich.

Quanto suggerito può appieno sposarsi con la prospettiva evolutiva della spiritualità indicata da Pavel Florenskij il quale giunse a parlare di pneumatosfera, indicando con ciò un ambiente trasformato non solo dalla scienza, dalla tecnica, dall’arte o dalla letteratura, ma anche dalla religione.9 I valori spirituali veicolati dall’uomo sono infatti in grado, secondo Florenskij, di penetrare la materia, al punto da caratterizzarla sempre più: così l’evoluzione naturale, che per Florenskij non è da intendersi quale mero processo biologico e neppure solo culturale, assumerebbe anche le vesti di un processo spirituale, di evoluzione/completamento. L’uomo sarebbe perciò il delegato creaturale prescelto (in virtù della sua immagine e somiglianza) per portare a termine tale lascito subcreativo. Non per nulla, di recente, uno specialista nello studio dei temi del cosmismo, George M. Young, pone allo zenit spirituale del cosmismo proprio la stella di Pavel Aleksandrovič Florenskij, il ‘Leonardo russo’, ambizioso fautore, come questi scrive, di «una visione globale del mondo che concilia scienza, religione e arte, ragione e fede, tradizione ortodossa e taumaturgia avveniristica».

A rinforzo di ciò si può ricordare che Florenskij amava tanto la matematica da considerarla uno strumento con cui, secondo il suo pensiero, si sarebbe potuta costituire una nuova mistica all’altezza dei tempi.

Sia come sia e detto tutto ciò, è comunque evidente che l’esplicito richiamo del russo Roerich al Parzifal del tedesco Wolfram assume un grande peso in questa trattazione perché non può seriamente pensarsi che questo straordinario “esploratore spirituale” associ con leggerezza, o superficialità sensazionalistica, la tradizione buddista (o comunque dell’estremo Oriente) al testo del Wolfram che, come detto, e lo si sottolinea con forza, raccoglie tradizioni molto antiche e il cui fondamento narrativo non ha radici su questa terra (H.Corbin) quanto nel “mesocosmo immaginale” (è evidente che nel 1920, epoca della missione in Tibet, il tema dell’imaginale era del tutto sconosciuto e/o misconosciuto nel campo degli studi storico-religiosi).

Nella narrazione del Roerich si innestano elementi leggendari, certamente fascinosi, ma da condividere con prudente cautela non essendo esattamente determinabile il confine esistente tra una tradizione spirituale e la leggenda e/o le leggende che fioriscono intorno a essa, storie che certamente contengono elementi di verità ma che, purtuttavia, possono fuorviare le rette intenzioni di alcuni ricercatori. Alcune di queste leggende affermano che la pietra può agire anche come “bussola”, per guidare verso la “Città degli Immortali”, il che evidentemente discenderebbe da quel magnetismo “nostalgico” prima evidenziato.

Riprendendo le fila del discorso si è detto che la spedizione scientifica in Asia centrale del Roerich parrebbe aver avuto come scopo “segreto” quello di completare una “operazione” conosciuta come “Seconda Venuta” che consisteva sostanzialmente nel restituire, e quindi riportare a Shambala, la parte separata della sacra “Pietra Chintamani”, in considerazione della profetizzata manifestazione di Maitreya (il Budda futuro), un parusiaco de reditu suo con finalità “escatologica” testimoniato anche, nella sua oggettività iconografica, dallo stesso Roerich che ha dipinto un “quadro-fotografia” rappresentante l’immagine di Maitreya scolpita su una roccia, in atto di avviarsi per il cammino che lo condurrà a principiare un nuovo ciclo di manifestazione.

Nei quadri di Roerich questa vicenda, che fa, problematicamente, molto ambientazione alla “Indiana Jones”, è iconograficamente mostrata in più circostanze e la si può considerare la testimonianza, seppur di parte, di eventi vissuti da questo autore e dalla sua cerchia di carattere davvero straordinario.

 1391 12 bis ROERICHOSCURITARDENTE

Fig. 12

Due quadri di Nicholas Roerich di grande suggestione estetica in cui le rappresentazioni narrano per immagini la restituzione della pietra alla sede originale (Fonte)

Ne riportiamo i commenti riprendendoli dallo scritto La missione di N. Roerich in Asia Centrale

Lo scrittore australiano A. Tomas, riferisce che un giorno, N. Roerich volle addentrarsi da solo nel territorio himalaiano a dorso di un pony. A. Tomas non riferisce che anche Helena Roerich si allontanò col marito, com’è affermato dal dottor Ryabinin medico della spedizione. È il pony che nella carovana portava un cofanetto contenente un frammento della pietra Chintamani, un meteorite nero proveniente dalla costellazione di Orione, da Sirio, e conservato in cima alla Torre di Giada in Shamballa, A. Tomas scrive che N. Roerich si assentò con il pony, per alcuni giorni e, al ritorno, gli Asiatici si prostrarono ai suoi piedi, perché nessun uomo poteva aver oltrepassato la frontiera di Shamballa senza credenziali divine. I coniugi Roerich probabilmente non entrarono nel cuore di Shamballa, ma certamente in uno dei suoi ingressi sotterranei. In un dipinto di N. Roerich, si vede il pony che scende su un ripido sentiero vigilato da guardiani di pietra. Il cofanetto emette una “luce blu”, la stessa luce che impregna il quadro “Oscurità ardente”.

 

1391 12 bis ROERICHOSCURITARDENTE

Fig. 12bis

Il dipinto “Oscurità Ardente” del Roerich mostra un ghiacciaio vicino al monte Everest. Le prime figure con abito bianco e aureola blu sarebbero tre Mahatma. Il cofanetto lo tiene nelle mani chi procede davanti a un gruppo di figure enigmatiche che appaiono nel buio mentre scendono dal versante roccioso dell’Everest (Fonte)

Roerich dipinge se stesso, e sua moglie, Helena, in piedi dietro a tre Maestri che portano il cofanetto che conterrebbe la pietra Chintamani che emette luce radiante. A destra, in alto, sono visibili le tre stelle, rappresenterebbero i tre astri caratteristici della costellazione di Orione, da dove sarebbe giunto sulla terra il “meteorite” Chintamani. I Maestri, scendono dal versante roccioso dell’Everest muovendosi in senso antiorario, perché si calano nella materia più densa, per combattere contro il male, l’oscurità.

 

La prospettiva estremo-orientale, intesa come luogo di consegna e conservazione di un “oggetto” che l’”Occidente” non è più degno di detenere, non era comunque affatto ignota ad altri studiosi del Graal che si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. Così, tornando a Jean Markale, si riprende qui la sua esposizione sui rapporti che si intravedevano tra il Parzival e questa area geografica.

1391 13 IHSFig. 13

Una fotografia scattata del 1923 alla consegna del cofanetto a Parigi, mostra la Pietra su un drappo quadrato ricamato, identificabile come quello che ricopre il cofanetto che tiene in mano Nicholas Roerich nel ritratto famoso dipinto dall’altro suo figlio Svetoslav. La tela ricamata è quella in cui la pietra è stata avvolta nel cofanetto. Una recente fotografia mostra il drappo senza la Pietra al cui centro vi è l’immagine del sole con 24 raggi e con le lettere IHS. (da Vincenzo Pisciuneri: Il Graal il dono di Orione).

 

Markale dispiega diverse informazioni circostanziate atte a fornire utili comparazioni affermando anch’egli che il Graal (come Guénon e D’Anna), quale Pietra descritta dal Wolfram, “somiglia” fortemente a padma mani buddista gioiello che si trova nel cuore del loto e che è simbolo solare della Liberazione incontrato anche nelle tradizioni indiane che riguardano l’albero della vita (:1999, 202) Altro paragone di Markale è con lo Chwarna (Khvarenah) avestico responsabile dei “moti della vita” nel mondo, il che, ci sembra, possa anche accostarsi al concetto di Viriditas di Hildegarda di Bingen.10

 1391 14 A Croce nestoriana XIII sec circa Inner Mongolia Museum

  Fig. 14A1345 14 B lanzi

Fig. 14B

   

 1391 14 C Lanzi

  

Fig. 14C

Singolare parallelo, forse solo suggestivo, tra le presenze floreali presenti nel simbolo della croce nestoriana, dove è raffigurato il loto, e in quella dei Rosacroce, dove all’incrocio degli assi fiorisce appunto una rosa (di passata qui ricordiamo il libro di Marcos Pallis Il loto e la Croce, nel quale le due religioni sono accostate senza equivoci sincretismi). I Rosacroce si ritirarono in “Oriente” dopo la pace di Westfalia del 1648 che, si ricorda, introdusse la visione immanente della politica e quella fu una delle conseguenze della Rivoluzione protestante. In un passaggio del suo Il Mistero del Graal J Evola così descrive l’intelaiatura di una parte della dottrina Rosacroce: “Le immagini della sede dei Rosacroce e del loro Imperatore corrispondono di nuovo a quella del ‘Centro Supremo’ o ‘centro polare’. È la ‘cittadella solare’, la montagna al centro del mondo, ad un tempo ‘lontana e vicina’, Il ‘Palazzo dello Spirito alla fine del mondo’, al sommo di un’alta montagna, circondata da nubi, fac simile, quasi, del Montsalvatche”. Come ognun vede tale descrizione è assai simile a quella proposta da J. M. Rivière su Shambala riferita a una immagine iconica precedentemente proposta. Si ricorda che questo autore fu un neo-rosacroce del XX sec., come del resto lo fu Roerich che fu nominato ‘Legato dell'AMORC (Antico e Mistico Ordine Rosae Crucis) per il Tibet’. L'insegnamento odierno dell'AMORC sarebbe tuttora ereditiere di alcune tecniche tibetane svelate da Roerich. La caratteristica che emerge da questa descrizione è il fatto che la collocazione polare indica un luogo dove cessa ogni antinomia oppositiva, tra cui, conseguentemente, anche quella spaziale perdendo senso l’aggettivazione “vicino e lontano” qualora essa sia riferita al “Polo”. Ebbene tra le croci nestoriane, che qui si riproducono, la A assume esattamente, con la rappresentazione dello swastika, l’indicazione di questa funzione polare. Ad essa aggiungiamo la B e C contraddistinte dalle accennate presenze floreali.

In generale delle croci nestoriane può darsi questa definizione tratta da Wikipedia: “La croce nestoriana è un tipo particolare di croce fioronata similmente alla croce ugonotta; è anche molto simile alla croce di Malta. Questo simbolo veniva usato dalla chiesa nestoriana, ed è presente nei territori asiatici in cui questa chiesa è stata o e tuttora presente, quindi dalla Siria alla Cina. Si ritrova spesso riprodotta sormontata da una colomba (simbolo dello Spirito Santo) e con un fiore di loto nella parte inferiore”. L’accurato approfondimento simbolico della croce nestoriana può trovarsi nel volume di D’Anna. Wolfram von Eschenbach e i custodi del Graal. il quale D’Anna dubita che il nestorianesimo sia una semplice eresia cristiana, e sembra ritenere piuttosto che esso costituisca una religione a se stante.
(Licenza Fig. 14A: creative commons - Autore: babelstone)

 

A questo punto, avendone accennato in precedenza, andiamo nuovamente a riconnetterci con H. Corbin e con il racconto da questi proposto, e di cui si è fatto cenno più volte nel corso dell’esposizione, riguardante un “reale” viaggio mistico velato dalle forme di una narrazione dal carattere “avventuroso-esplorativo”.

Il protagonista del viaggio è invitato a visitare un luogo assai “lontano” del quale lo stesso personaggio ha all’inizio una rappresentazione interiore del tutto “fisica”, ma, inoltratosi in questo percorso, apparentemente compiuto per mare e per terra e accompagnato in ciò da sapienti mentori, constaterà l’esistenza di altri livelli di realtà retrostanti alla comune percezione puramente empirica, una vicenda questa che richiama piuttosto sorprendentemente, ma poi non troppo, quanto narrato da René Daumal nel suo, purtroppo interrotto, capolavoro: Il Monte Analogo. 11

Egli, difatti, alla partenza non sa ancora che parteciperà a una “esplorazione” mistica, sentendosi nell’occasione solo istintivamente e “magneticamente” attratto dal richiamo (spirituale) esercitato dalla descrizione di una sperduta Isola sconosciuta che gli è stato proposto di visitare. Dopo una lunga traversata giungerà a un’isola “verde” (il colore dello shi’iti, l’ambientazione dell’opera è evidentemente iranica) ai cui lidi si perviene navigando per un vasto tratto di mare che, con l’avvicinarsi al luogo di destinazione, assumerà un insolito color bianco segno dell’avvenuto trapasso a un “altro ordine di realtà”.

Il Nostro viator in questa lasso di tempo uscirà progressivamente “dall’inferno delle percezioni sensibili” e, procedendo, osserverà una realtà trasfigurata, propria della dimensione immaginale, un mondo evidentemente che non è affatto privo di sostanza ma che piuttosto ha sostanza propria.

Questo allentamento delle sopraffacenti facoltà percettive ordinarie richiama questa espressione di Giordano Bruno: “Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi. Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”.

Afferma Corbin: “L’Isola Verde forma, come il dominio del Graal, un intermondo immediatamente collegato agli universi superiori, autosufficiente.”. Non è poi da dimenticare questo ulteriore passaggio ”Come il Mont Salvat dove ha avvio la Cerca del Graal, l’Isola Verde inviolabile è il luogo in cui i fedeli si avvicinano al Polo mistico del mondo, l’Imam nascosto, regnante invisibilmente in questo tempo e gioiello della fede shi’ita” (H. Corbin: 2020, 415).

Ecco, quindi, che torna in campo la parola “Graal” con tutto il peso del suo significato “trasversale” e ciò accade in un contesto in cui ierognosi e ierostoria si sommano e si esaltano a vicenda.

Come si vede il viaggio, preso a modello dal Corbin e “misticamente” interpretato, mostra la stessa tessitura del viaggio dello Roerich verso Shambala. Qui, in luogo delle nevi perenni, v’ è un enigmatico “Mar bianco”, che si traversa per infine approdare in un luogo inaccessibile, posto tra questa terra e il mondo spirituale, dove v’è “qualcuno” che attende di “ricomparire” nel “mondo”, una volta che le condizioni del suo manifestarsi saranno oggettivamente propizie e, quindi, può conclusivamente affermarsi che ci ritrova di fronte a un pattern narrativo assai diffuso in quanto non si colgono particolari differenze con quei personaggi del ciclo graalico (e non solo) che dovranno ricomparire alla “fine del tempo”, dopo un periodo di latenza più o meno lungo.

Shambala, quindi, anche per le descrizioni di essa che punteggiamo le pagine di questo scritto, oltre ad avere delle evidenti similitudini “strutturali” con l’Isola Verde, in cui è occultamente ospitato il dodicesimo Imam, parificabile a Matreya, è, parimenti, esplicitamente collegata al tema occidentale dell’occultamento graalico. Ritornando perciò a Roerich, può notarsi che le sue riflessioni non si esauriscono affatto in una semplice dichiarazione della natura celeste di questa pietra ma vanno oltre. Il viandante himalayano nei suoi scritti, indicando la precisa e significativa ubicazione uranica della pietra magnetica, precisa:

La Pietra venuta dai mondi lontani (da Sirio) è un grande talismano … La chiamano “Graal”. Un suo frammento serve da messaggero per tutto il mondo, portato da mani elette allo scopo … serve in modo analogo per i contatti con la Fratellanza … Le meteoriti non sono mai state studiate per le loro vibrazioni il sito, dove fu rivelata divenne la base di Shamballa, e la sua presenza migliorò le qualità chimiche del luogo. La teniamo in un sito speciale della Nostra Sede a salvaguardia del potere originario delle sue vibrazioni …” 12

Qui parrebbe emergere il pesante scivolamento del Roerich verso una comprensione totalmente materialistica della funzione della ”pietra”, tuttavia, torniamo a dire, i termini adoperati potrebbero non essere riferiti a una concezione strettamente fisica della predetta pietra. Si prospetta infatti la possibilità di cogliere una concezione secondo la quale tale oggetto d’origine celeste, proprio per questa sua provenienza uranica, possa quasi fungere da “pietra filosofale” (la parificazione non è del tutto peregrina) in grado di integrare l’incompletezza della natura ancora imperfetta che dev’essere “aurificata”, com’è appunto nell’orizzonte del cosmismo.

Un esempio che può adiuvare a comprendere ciò è la “complessa” (e incompiuta) opera musicale Mysterium di Aleksandr Nikolaevi Skrjabin, anch’egli profondamente influenzato dal cosmismo tanto da determinare il contenuto ideologico di alcune delle sue composizioni.

Mysterium può essere davvero considerata come il perfetto esempio di “arte totale” in quanto opera concepita in modalità esecutiva totalmente sinestetica e quindi come un vero e proprio rito musicale trasformativo. Non a caso essa si sarebbe dovuta eseguire ai piedi dell’Himalaya in un palcoscenico aperto in cui i partecipanti (“Non ci sarà alcuno spettatore. Tutti saranno partecipanti. Il lavoro richiede persone speciali, artisti speciali e una cultura completamente nuova”) erano anche gli esecutori della stessa. Skrjabin progettò un lavoro in cui dovevanoerano coinvolti tutti i sensi e quindi l’olfatto (si era fatto venire profumi dalla Francia) il tatto, e, ovviamente, l'udito. Una esecuzione di tal fatta era programmata per impegnare, per ben una settimana, i partecipanti. Secondo il compositore Il cast di artisti avrebbe dovuto comprende un'orchestra, un grande coro misto, uno strumento con effetti visivi, ballerini, una processione, incenso e un'articolazione strutturale ritmica. Brevemente. in questa sede, si può solo aggiungere che l’opera era divisa in tre parti che sono: Parte 1 "Universo", Parte 2 "Il genere umano", e Parte 3 "Trasfigurazione". In questa terza sezione la finalità cosmista della realizzazione si palesa evidente in quanto, dopo vari passaggi, si arriverebbe al dissolvimento dell’universo materiale mentre, di converso, si assisterebbe alla completa purificazione e trasmutazione del genere umano ricondotto così alla sua finale destinazione spirituale.

Al termine di questa esposizione, certamente parziale e sommaria ci si domanda: Può ritenersi che la “Pietra delle stelle” di Roerich possa coincidere con il Graal del Parzival di Wolfram von Eschenbach? Come si è visto molti indizi supportano questa parificazione e pertanto, per concludere l’indagine, raccogliamo nel carniere un’altra suggestiva circostanza, comunque collaterale a quanto finora enunciato. Nel contesto della testimonianza del Roerich difatti si legge: “I cavalieri godevano colà di una festa speciale ogni 14 marzo. Nel corso della Cerimonia del Sole, una giovane donna portava il Graal su un cuscino verde.

In parallelo Nicholas Roerich nelle circostanze sopra descritte ha sempre accanto a sé la sua consorte Helena Roerich ed ella è stata appunto raffigurata come portatrice del cofanetto con la Pietra, il che potrebbe suggerire che questa coppia fosse operativamente “binomiale”...ma non andiamo oltre con l’illazione che potrebbe rivelarsi ben fallace.

Conclusione

1391 15 Roerich

Fig. 15

Nicholas Roerich: "Pietra bianca" con petroglifi scolpiti sulla pietra: ove è raffigurato un cavallo con tre sfere fiammeggianti adagiate sulla schiena: il simbolo della Pietra Chintamani. Nel dipinto in basso a destra si trova un apietra in inciso il mantra tibetano Om Ma Ni Pad Me Hum composto don sei sillabe. In alto, ai lati dell'equino, sono rappresentati il Sole e la Luna. (Fonte)

 

1391 16 Fisiologiaocculta1

Fig. 15 bis

Nel Buddismo il Chintamani è detto essere una delle quattro reliquie cadute dal cielo in una cassa (molti Terma sono caduti dal cielo in cofanetti) durante il regno di re Lha Thotori Nyantsen del Tibet. Anche se il re non comprese lo scopo degli oggetti, li tenne con grande riverenza. Diversi anni dopo, due stranieri misteriosi giunti alla corte del re, spiegarono che le quattro reliquie comprendevano la ciotola del Buddha e una pietra Mani con il mantra Om mani padme Hum inciso su di essa. Questi pochi oggetti furono i portatori del Dharma in Tibet. Le copie della pietra-mani sono considerate oggetti devozionali e sono assai diffusi tra la popolazione, in quanto considerate copie efficaci della cintamani di cui riflettono qualche proprietà salutare se non salvifica. (Fonte - copyright term)

 

1391 15terOmmanipadmehum 02

Fig. 15 ter
Le sei sillabe sacre con i loro colori simbolici (Fonte - Autore: Christopher J. Fynn)
 

Siamo partiti dalla mai bene esaminata “pietra magnetica” (magnetis lithos), oggetto che rappresenta il fuoco narrativo del Parzival di Wolfram e che rappresenterebbe un oggetto precipitato dal cielo e portato dagli angeli sulla terra. Tale pietra, dopo vari passaggi, giungerebbe nel profondo Oriente per essere ivi occultata concludendosi con ciò così il ciclo del Graal. Per alcuni tale pietra coinciderebbe (o sarebbe simile) alla pietra che sarebbe inaccessibilmente conservata in una delle innumerevoli valli hymaliane e quindi nel Regno “imaginale” del “Salvatore atteso” (Budda Maitreya), ossia Shambala.

Questi, lo ripetiamo, è rappresentato in un bassorilievo himalayano con il piede già in movimento e quindi in procinto di “rientrare” nella manifestazione. Matreya sarà colui che ristabilirà il Dharma per il nuovo ciclo che si avvicina, essendo il presente giunto alla sua conclusione.

In Shambala sarebbe quindi conservata la pietra celeste, portata illo tempore, sulla terra da quel Cavallo il cui basto è rappresentato da tre sfere luminose (interpretate come le tre stelle della Cintura della costellazione di Orione) provenienti dal profondo cielo, esse sono appunto il simbolo della “madre” lapidea cosmica: la pietra Chintamani.

Uno, o più frammenti di essa, sono, non occasionalmente, distribuiti sulla Terra per essere consegnati ai rispettivi incaricati affinché, giunto il tempo, essi possano essere ricongiunti all’aerolito primordiale.

Se questo è davvero “accaduto” ciò significherebbe che il ciclo è in via di conclusione e quindi altro non resterebbe da fare se non aspettare il riapparire del “Salvatore atteso.” nelle varie forme in cui questi è stato rappresentato nell’escatologia delle differenti religioni.

* le evidenziazioni dello scritto, ove non altrimenti indicato, sono dell’autore di questo intervento-

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Bibliografia

Ibn Arabi : Il mistero dei custodi del mondo, Il leone verde, Torino, 2001

André Benzimra: Hermétisme et alchimie dans la Kabbale. Arché. Milano, 2019

Giulia Baldassarri; Il simbolismo del Graal, un'analisi comparata dei testi del Ciclo Graaliano con un approfondimento finale su Le roman du Graal di Robert De Boron,.tesi di laurea pubblicata in rete

Henry Corbin: Nell’ islam iranico, Mimesis, Milano – Udine, 2012

Henry Corbin: Nell’ islam iranico, Mimesis, Milano – Udine, 2015

Henry Corbin: Nell’ islam iranico, Mimesis, Milano – Udine, 2017

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Henry Corbin: L’ immagine del Tempio, Boringhieri. Torino 1981

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Nuccio D’Anna: Il santo Graal, Arché edizoni Pizeta, Milano, 2009

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Julius Evola: Il mistero del Graal, Ceschina, Firenze, 1962

Julius Evola: Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo. Edizioni Mediterranee, Roma, 2008

Julius Evola: Meditazioni sulle vette, SeaR, Borzano, RE,1997

René Guénon: Il re del Mondo, Atanor, Roma, 1952

René Guénon: Simboli della scienza sacra, Adephi, Milano, 1980

René Guénon: il teosofismo storia di una pseudo religione, Arktos, Carmagnola, 1987

Jean Markale: Il Graal, Oscar Mondadori, Milano, 1999

Hanry e Renée. Kahane, THE KRATER AND THE GRAIL HERMETIC SOURCES OF THE PARZIVAL ‎ University of Illinois Press, 1985

Marcos Pallis: Il Loto e la Croce, Rusconi, Milano, 1976

Nikolaj K. Roerich: In excelsis. I valichi del cielo. Edizioni AR, Padova 2011

Nikolaj K. Roerich: Shambhala, Roerich Museum, New York, 2017

Domenico Rudatis: Montagne esoteriche pratiche di liberazione nell’esperienza alpinistica Res Gestae, 2021, Milano

Silvano Tagliagambe: Dal caos al cosmo. Introduzione al cosmismo russo, SandroTeti editore, Roma, 2021

George M. Young: I cosmisti russi futurismo esoterico di Nikolaj Fedorov e dei suoi seguaci, Tre editori, Roma 2017

Zam Bothiva: Asia mysteriosa. La Confraternita dei Polari e l'oracolo della forza astrale, Mediteranee, Roma, 2013

Mostre

Nikolaj K. Roerich: Alla ricerca di Shambhala 12 novembre 2020 − 8 marzo 2021 Leningrado.

Sitografia

Vincenzo Pisciuneri: Chintamani la Pietra di Orione

https://www.sapienzamisterica.it/chintamani-la-pietra-di-orione.html

Vincenzo Pisciuneri: La missione di N. Roerich in Asia Centrale

    1. https://www.sapienzamisterica.it/la-missione-di-n.-roerich-in-asia-centrale.html

Riviste

AA.VV. Politica Romana. Vol. 2 1995, Associazione di studi tradizionali Senatus, Roma

 


1 Tra le diverse decostruzioni del pensiero teosofista dal punto di vista dell’ortodossia spirituale può leggersi la puntuale analisi di Massimo Marra contenuta nell’articolo Positivismo scientista, darwinismo ed utopia sociale nello spiritualismo evoluzionista di matrice teosofica, in Atrium n. 1 anno IX.

2Gli scopi della missione non erano evidentemente solo scientifici e culturali e nemmeno solo politici come fu portato avanti da una campagna stampa, iniziata fin dai tempi della seconda missione in Asia, che ha tentato con ogni mezzo di infangare la figura di N. K. Roerich. Certamente lo scopo scientifico velava quello “spirituale”, da portare avanti in forma riservata e quindi ci si trova di fronte a:. 

  1. Lo scopo culturale e scientifico;
  2. Il viaggio alle Porte di Shamballa per restituire la pietra Chintamani, un frammento di un meteorite proveniente dalla costellazione di Orione.

Nel Buddismo si dice che Chintamani sia una delle quattro reliquie cadute in uno scrigno dal cielo. La leggenda afferma che la Pietra, un aereolito, entrò in collisione con la superficie terrestre molti milioni di anni fa. Secondo la leggenda tibetana, un cavallo volante, al galoppo attraverso l’universo, ha portato sulla Terra il cofanetto con i quattro oggetti sacri, tra i quali vi era la pietra Chintamani. Si racconta che la Pietra abbia avuto origine dalla costellazione di Orione, precisamente dal sistema stellare di Sirio, la Pietra sarebbe “altamente magnetizzata” e quindi avrebbe molte importanti proprietà,cosèsecondo la concezione in voga nei tempi.

Roerich dipinse più volte il monte sacro Belukha il più alto della Siberia, visto come la controparte, quasi il gemello del Monte Kailash, il più sacro dei picchi dell’Himalaya in Tibet. Lo stesso Roerich definisce Altai-Himalaya - due magneti, due pressioni, due pilastri. Così scrisse Roerich. “Il monte Belukha è chiamato Uch-Syure, Uch-Orion, Syure - dimora degli dei, chiamata Sumer in Mongolia e SuMeru in India. Uch significa tre, Uch-Orion è associato alle tre stelle della cintura di Orione. Le leggende indicano tre specifiche stelle, che hanno inviato la pietra per la pace, Chintamani. Queste sono le stelle della cintura di Orione”. Questo passaggio lo giriamo al lettore senza commento.

Inoltre, non troviamo superfluo approfondire con un ulteriore passaggio da Il re del Mondo il tema della pietra Chintamani: “Quello che forse mostra più nettamente il significato essenziale del Graal, è quanto è detto della sua origine: questa coppa sarebbe stata intagliata dagli Angeli (‘neutrali’ n.d.r.) in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero (non dalla corona di questi confusione creata dal fatto che Lucifero è l’Angelo della corona n.d.r.) al memento della sua caduta. Questo smeraldo ricorda in modo netto e significativo, l’urna la perla frontale che nel simbolismo hindu (da cui è passata nel Buddismo) , tiene spesso il posto del terzo occhio di Shiva, rappresentando quello che può essere chiamato il senso dell’eternità” (:1950, p. 40).

3 Paolo Urizzi, noto e competente islamologo, già fondatore della rivista Perennia Verba, nella prefazione dello scritto di Ibn Arabi Il mistero dei custodi del mondo, titolo che ha evidenti riferimenti con il nostro tema, ha scritto questo rilevante passaggio: “È da questo centro supremo della Tradizione immutabile che, più o meno direttamente emanano e dipendono i diversi centri particolari di ciascuna delle forme tradizionali esistenti. La maggior parte dei miti delle origini conserva tracce di questo Centro primordiale: è la Tula iperborea, l’Airyanamen Vaejah iraniniano, il Paradesha indù che, in epoca più recente, dopo il suo occultamento sarebbe stato chiamato Agarttha. Esso non è altro che la “Terra dei viventi” o “Terra di luce”, “Terra d’immortalità” che non è stata toccata dalle vicissitudini della “caduta” della razza originale dell’umanità”. (:2001; 9-10)

4N. K. Roerich dipinse in alcuni suoi quadri l’ingresso a Shambala, che identificava con Agarthi, assimilando il toponimo da Ossendowsky e da H. P. Blavansky, come, allo stesso modo, dichiarò di essere entrato in possesso per conto di un “cenacolo” che definisce fratellanza bianca (che nulla a che vedere con un ipotetico Ku Klux Klan planetario, quanto piuttosto allude alla fratellanza stabilita tra più esponenti di varie dottrine contro le “forze oscure”) di un frammento di un meteorite o, comunque, di un aerolito proveniente da Orione o da Sinio che si identificherebbe con la pietra Chintamani o Chintamani del buddismo, che è propria dell’escatologia del Maitreya. Francamente tutto ciò appare un poco troppo immaginifico, tuttavia non si può non tenere conto del fatto che ciò scaturirebbe anche dalle dichiarazione dei lama tibetani dell’epoca, espressioni che appaiono davvero contraddittorie sul tema, magari lo sono per essere volutamente fuorvianti. L’esistenza di una contrada sotterranea in cui regnerebbe il “Re del Mondo” che, comunque, tante similitudini sembra rivestire con la figura del Prete Gianni, ci sembra materia che richiede la massima attenzione per non cadere in un misteriosofico complottismo alla Dan Brown del Codice da Vinci.

È bene ricordare sul punto quanto lo stesso Dalai lama, una volta investito della questione, ha negato l’esistenza di questo regno sotterraneo (che poi è un aspetto del diffuso mito universale della “terra cava”) disconoscendo totalmente l’Agarthi come regno o località presente in Asia centrale e specificando, altresì, il carattere spirituale di Shambala che davvero non sarebbe raggiungibile “né per terra né per mare”, essendo al di là della dimensione sensibile. In ogni caso, del tutto di passata, varrà la pena di ricordare che nel misticismo ebraico è presente la bizzarra locuzione “salire scendendo”, e ciò invita a non prendere troppo alla lettera espressioni tipo “dimora sotterranea” nelle localizzazioni dell’oltremodo, basti pensare, per converso, a San Paolo e alla sua espressione “i demoni vivono nell’aria” che ovviamente va recepita “cum grano salis”.

5 Dalla presentazione del citato libro di Mircea Eliade: “L'alchimia affonda le sue radici nelle credenze delle società tradizionali, dove le sostanze minerali assumono un carattere sacro. I minerali, come gli embrioni, "crescono" nel grembo della Terra; il ferro dei meteoriti ha una dimensione magica perché proviene dal cielo... Lavorando la materia, il fabbro, come l'alchimista, collabora al disegno segreto della Natura: compie un rituale che svela il significato nascosto dell'universo.

6 Secondo la leggenda tibetana un Cavallo Volante, al galoppo attraverso l’Universo, ha portato sulla Terra un cofanetto con i quattro oggetti sacri, tra i quali vi era la pietra Chintamani. La presenza di questo cavallo (personaggio “mitico” presente non solo nel buddismo ma anche nell’induismo) è attestata iconograficamente in diverse circostanze nel Tibet e lo stesso Roerich ne ha documentato la diffusione in alcune delle sue splendide immagini. Una di queste, che si porta ad esempio, è denominata Il Cavallo della felicità, un’altra rappresentazione, ancor più ricca di simboli, è il quadro denominato Pietra bianca - Segno di Chintamani o Cavallo della felicità (1933). In essa compaiono I tre cerchi o sfere all’interno della fiamma, simboleggerebbero i “Tre Re” della cintura di Orione. “L’antico nome di Orione era “I Tre Re”, per le tre bellissime stelle che si trovano nella Cintura di Orione, che ancora oggi sono chiamate “I Tre Re”, cioè i Re Magi che onorarono l’Avvento del Bodhisattva-Cristo sulla Terra. I Tre Re, le stelle Alnitak, Alnilam e Mintaka, (ζ, ε e δ Orionis), portano ciascuno un dono. Nella tradizione cinese, la cintura di Orione è chiamata San Xing, letteralmente “i tre astri”, i cui nomi sono: Lu Xing (astro della prosperità), Fu Xing (astro della buona sorte) e Shou Xing (astro della longevità). I Tre Re rappresentano i tre divini aspetti della Volontà, dell’Amore e dell’Intelligenza e Orione quindi simboleggia lo Spirito. Il nome Orione significa letteralmente “l’esplosione della luce”. Il cavallo porta quella che è la forma tibetana o simbolo dei Tre Gioielli. La costellazione di Orione è chiamata “I Tre Re” dagli astronomi orientali, simboleggiati dalle tre stelle della cintura d’Orione.” (brano tratto da: Chintamani la Pietra di Orione si veda anche di Vincenzo Pisciuneri: Il Graal il dono di Orione)

7 Ci serviamo del materiale messo a disposizione dal Pisciuneri perché questo autore collega, per noi comodamente, i passaggi degli scritti di Roerich alla sua relativa produzione pittorica che traduce in immagini i punti topici del suo percorso.

8Questo “amalgama” è ben descritto da Andrea Scarabelli con queste parole:””Un atteggiamento più che una corrente vera e propria, un crocevia di esperienze e ricerche che spaziano dal futurismo esoterico al pragmatismo trascendentale, dal realismo magico al materialismo idealistico, dall’umanesimo al transumanesimo. Una scuola di pensiero che si oppone all’occidentalizzazione mondiale e alla colonizzazione delle coscienze” (evidenziazione nostra).

Assai avverso al cosmisno è il filosofo “conservatore” Aleksandr Dugin che, tuttavia, ben caratterizza la profondità che questa visione del mondo ha assunto per il popolo russo scrivendo: “Ma ci sono milioni di sovietici che non sentono che il Progetto sia stato raggiunto o che sia solo un'allucinazione. Questa ideologia è troppo profonda e interiorizzata perché possa scomparire senza lotte violente”.

9 Il termine è una sorta di “correttivo spirituale” di “noosfera” coniato Vladimir Ivanovič Vernadskij. Esso starebbe a indicare una terza età geologica successiva alla geosfera (materia inanimata) e biosfera (vita biologica). Il termine noosfera in Teihard de Chardin invece indica il raggiungimento evolutivo della “mente collettiva” quale risultato dell’interazione della totalità delle menti umane che supera la loro separatività. Verosimilmente il concetto di pneumatosfera può accostarsi alla Terza età dello Spirito del monaco calabrese Gioacchino da Fiore.

10 Ricordiamo, di passata, che il loto, frequentemente impiegato nell’iconografia buddista per il suo ricco simbolismo, è utilizzato nella rappresentazione delle croci nestoriane dove esso è posto alla base della predetta croce. D’altronde è da dire che la Pietra di Wolfram somiglia altresì al “gioiello manicheo” (e l’opera di Wolfram ha un impianto sicuramente manicheo e qui potrebbe riprendere vigore l’ipotesi di un Graal pirenaico “cataro”), su cui si posa la colomba che viene a collocarvi il seme di Hanna. Sulla particolare croce nestoriana uncinata si ritiene opportuno proporre un brano asai esteso ma parimente ricco di preziose informazioni su questo simbolo di straordinaria diffusione: “Visitiamo l'antica Cina oggi con ‘L'antico custode - Seimila anni di sigilli da tutto il mondo’. Il sigillo di bronzo ornato dalla swastika è del tipo denominato a “croce nestoriana” e risale alla dinastia Yuan (1272-1368), periodo nel quale il veneziano Marco Polo fu ospitato alla corte dell’imperatore Kublai Khan. Il tipo di matrice è caratteristica della produzione bronzea a cera persa dell’altopiano dell’Ordos, attualmente parte della regione autonoma della Mongolia Interna, situata nella Cina settentrionale.

La particolare dottrina cristologica nestoriana raggiunse la Mongolia attraverso le carovaniere che percorrevano la Via della Seta, tra il VII ed il XIV secolo; caricato di suggestioni manichee e - soprattutto - buddhiste, il nestorianesimo si espanse in Cina, dove fu chiamato Jing Jao, letteralmente “religione luminosa”. Anche Soyorgatani Baiqi, una delle mogli di Gengis Khan e madre di Kublai, era di fede nestoriana ed instillò nella corte il rispetto per questa nuova religione, favorendone la diffusione. L’inserimento in una croce della swastika buddhista (con bracci orientati sia in senso orario, sia in senso antiorario) è testimonianza del sincretismo tra diverse religioni praticate in Asia centrale ed Estremo Oriente. Si può dedurre l’utilizzo delle croci come sigilli grazie alla frequente osservazione, nelle rientranze delle decorazioni, di tracce di un inchiostro rosso identificato come “pasta degli otto tesori” (babao yinni), utilizzato ancor oggi in tutto l’Estremo Oriente per effettuare timbri; la yinni è un composto di numerosi ingredienti (talvolta molto preziosi come corallo, perle macinate e cascame di seta), sospesi in un medium di olio di ricino o altri semi; se di buona qualità può contenere una certa percentuale di polvere d’oro ed essenze profumate che ne mitighino l’aroma un poco asprigno. Il brillante rosso era un tempo ottenuto caricando l’impasto con il velenosissimo solfuro di mercurio, lo stesso cinabro che, per l’alchimia taoista era considerato un vero e proprio elisir d’immortalità e che spesso perciò veniva ingerito, con conseguenze letali. (Fonte: http://sigillo.museilaspezia.it/.)

11 In relazione all’abrogazione del setto separatore che divide la realtà fisica da quella iperfisica può essere corroborante proporre una riflessione sul tema generatasi dal libro di Roerich intitolato In Exelsis i valichi del cielo, in ordine alla prospettata esistenza di una Shambala visibile e di una invisibile Questo “passaggio” (valico) attraverso le montagne invisibili ai sensi grossolani, tuttavia accessibile a quelli sottili (secondo un linguaggio ormai pressoché convenzionale che si impiega per indicare il piano di realtà che è dietro l’apparenza della realtà) è stato ben narrato in un brano di un testo frutto della penna del celebre scalatore Domenico Rudatis. Questo autore propone quanto scrive come frutto di una vera e propria personale esperienza ‘mistica’ di montagna. Il predetto passaggio si trova nel libro Montagne esoteriche, libro che reca significativamente come sottotitolo, pratiche di liberazione nell’esperienza alpinistica, nel capitolo il Bivacco incantato Degno di nota il fatto che egli confronti questa sua esperienza “spontanea” con l’esperienza iniziatica dell’accesso alla “felice regione dei liberati” che viene raggiunta “attraverso un’apertura tra le montagne” (ivi p.185) così come descritto nel Libro dei Morti egizio nella traduzione di E.A. Wallis Budge. In ordine a questa prospettiva è senz’altro da leggere un altro capitolo dello stesso volume dal titolo: Un aiuto esoterico entrando nella città incantata. (evidenziazioni nostre)

12Solo per “curiosità” non ci tratteniamo dall’esporre un accenno a una possibile lettura “interiorizzata” della Chintamani che appare rappresentata, nel celebre quadro di Roerich Il cavallo dalla felicità (si veda fig 15 di questo testo), da tre sfere che, a propria volta, sono presenti nel ciclo pittorico della “bandiera della pace” associate a vari protagonisti della Storia sacra cui esse si accompagnano quasi come signaculum.

Il disegno dei tre globi, rappresentato in modo assolutamente identico, è presentato a commento del testo Tecniche della Concentrazione Interiore di Massimo Scaligero. In questo disegno si individuano nelle tre sferette tre organi fisiologici “grossolani” epifisi, ipofisi e ipotalamo sui quali si concentrano diverse tecniche proprie della sua linea operativa. Si può quindi ragionevolmente pensare che anche il Roerich nasconda, sotto le spoglie di un racconto d’esplorazione, una indicazione operativa destinata ad agire in interiore homine e quindi il suo narrare celi qualcosa di ben più profondo di quanto possa apparire in superficie.

 

 

 

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