IL PALAZZO FARNESE DI CAPRAROLA
NOTE SULL’AFFRESCO DELLA HERMATENA
Fig.1 De occulta philosophia
Paolo Galiano
Iniziata originariamente come una fortezza che doveva controllare il vasto territorio della Tuscia posto dai pontefici nelle mani della famiglia Farnese, la costruzione di quella che doveva essere la Rocca Farnese di Caprarola subì un radicale mutamento di utilizzo con la seconda fase dei lavori, divenendo così lo straordinario Palazzo Farnese, monumento insigne del Rinascimento ma soprattutto riassunto delle conoscenze ermetiche ed alchemiche dei due cardinali Farnese.
La costruzione venne commissionata nel 1530 dal cardinale Alessandro Farnese il Vecchio (1468-1549), divenuto pontefice col nome di Paolo III nel 1534, ad Antonio da Sangallo il giovane, ma la costruzione venne sospesa per la morte del Sangallo nel 1546 arrestandosi alla prima fase, lo scavo delle fondamenta e l’erezione del piano interrato e del primo piano. Il lavoro venne ripreso dal nipote cardinale Alessandro Farnese il Giovane (1520-1589) nel 1547, il quale affidò il compito a Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573), ma la costruzione effettiva iniziò solo a partire dal 1559 per concludersi con le ultime decorazioni delle sale sotto il nipote di Alessandro, il cardinale Odoardo.
Il Palazzo era nato come fortezza e per questo motivo il Sangallo gli dette la forma pentagonale che era entrata nell’uso delle costruzioni militari nei secoli XVI-XVII in sostituzione delle forme rotonde dei castelli medievali[1]. Se però si conosce l’interesse del cardinale Alessandro il Vecchio per l’ermetismo e l’alchimia, derivatogli dai suoi studi giovanili prima con Pomponio Leto a Roma e poi con Marsilio Ficino e gli altri componenti dell’Accademia di Firenze istituita dalla famiglia Medici, non si può escludere l’interpretazione della forma pentagonale quale riferimento all’immagine dell’uomo inscritto in questo poligono, che in quegli anni era nota per il disegno pubblicato da Cornelio Agrippa nel suo De occulta philosophia. FIG. 1
Con Alessandro il Giovane il progetto iniziale della fortezza viene sostituito dal Vignola in quello di un meraviglioso palazzo principesco, proseguendo il lavoro sulle fondamenta del Sangallo e mantenendo inalterata l’originaria forma.
Il complesso decorativo del Palazzo venne affidato ai più insigni pittori della corte farnesiana, primi fra tutti i due fratelli Taddeo[2] e Federico Zuccari, Antonio Tempesta[3] e Jacopo Zanguidi detto il Bertoja[4], alcuni dei quali avevano lavorato negli anni immediatamente precedenti il loro arrivo a Caprarola con Prospero Fontana, che era stato pittore di Achille Bocchi nel suo palazzo sede dell’Accademia Hermatena di cui si dirà più avanti.
Una parte rilevante ebbero nella progettazione degli affreschi e degli stucchi alcuni tra i più noti studiosi dell’epoca, in particolare Annibal Caro[5], Fulvio Orsini[6], Scipione Orsini[7] e Onofrio Panvinio[8], protetti dei cardinali Alessandro e Marcello Cervini[9], i quali, in particolare il Caro, descrissero minutamente nelle lettere inviate ai pittori gli argomenti da trattare nelle loro opere e perfino i colori da adoperare.
Architetti e intellettuali, pittori e decoratori sembra fossero tutti parte di una sorta di “rete” che i due Farnese avevano creato intorno a sé anche con rapporti personali, in quanto alcuni di essi erano familiari dei Farnese in qualità di segretari o di precettori; molti di essi facevano parte, come era uso nel Rinascimento, di “accademie”, luoghi d’incontro nei quali si realizzavano scambi di conoscenze e di studi tra eruditi di diversa estrazione. Queste Accademie erano a loro volta connesse tra di loro grazie ai frequenti viaggi di molti studiosi nelle città italiane ove esse si trovavano.
In particolare, per quanto concerne il Palazzo Farnese, si realizzò una sorta di “triangolazione” tra tre di esse, non a caso poste sotto la protezione del papa Paolo III Farnese e di suo nipote Alessandro: l’Accademia dei Virtuosi a Roma, l’Accademia di Hermatena a Bologna e un cenacolo di Genova che, non osante la sua breve durata, si può ritenere che abbia avuto una notevole influenza nel dare un’impronta ermetica e alchemica ad esse.
Alla romana Accademia dei Virtuosi o della Virtù[10] appartenevano, oltre ai già citati Marcello Cervini e Annibal Caro, il Vignola, Claudio Tolomei[11], Giovanni Francesco Bini[12], Francesco Maria Molza[13], Marcantonio Flaminio[14] e molti altri: vi si studiava la trasposizione nel volgare italiano della metrica latina ma anche le antichità romane con una specifica attenzione per l’opera di Vitruvio; alcuni dei suoi soci erano di certo conoscitori di Ermetismo e di Alchimia, in particolare il Cervini e molto probabilmente il Flaminio, che grazie alle sue conoscenze fu il punto d’incontro fra Roma, Bologna e Genova.
La seconda Accademia aveva sede a Bologna, allora città dello Stato pontificio: l’Accademia di Hermatena[15], che godeva della protezione prima di Paolo III Farnese e poi del nipote Alessandro[16], fondata intorno al 1546 da Achille Bocchi: questo poco noto personaggio del ‘600 fu dal 1514 al 1562 insegnante allo Studium bolognese di retorica e poesia e di "umanità", che ora definiremmo discipline umanistiche, fu dal 1526 segretario di Guido Ascanio Sforza, legato papale a Bologna e nipote di Paolo III, e venne nominato dall’Imperatore Cavaliere Aurato e Conte Palatino[17]. All’Accademia bolognese, come per quella di Roma, non erano estranei interessi, oltre che letterari e intellettuali, anche ermetici e cabalistici come dimostra non solo la scelta dell’insegna ma anche il testo delle Symbolicarum quaestionum[18] pubblicato dal Bocchi nel 1555, un testo di simbologia la cui idea era forse derivata dall’opera di Andrea Alciato Emblemata che il Bocchi aveva probabilmente conosciuto all’Università di Bologna tra il 1537 e il 1541, quando l’Alciato aveva insegnato in quella Università[19].
I rapporti fra le due Accademie possono essere considerati certi per la conoscenza che il Bocchi dimostra di avere con personaggi sia dell’ambiente romano che di quello genovese, a sua volta collegato con quello romano: il Bocchi conosceva sicuramente alcuni dei soci di quella romana, in particolare Marcantonio Flaminio, il quale aveva dedicato un suo libro di poesie latine al Bocchi, cos’ come era conoscente e amico di Stefano Sauli, un personaggio di spicco dell’ambiente erudito di Genova, e Marcello Cervini; ambedue sono presenti nelle sue Symbolicarum quaestionum nelle quali sono ricordati con una “impresa” e una breve composizione poetica in latino.
Il sonetto[20] dedicato a Marcello Cervini, “Re”, cioè presidente, dell’Accademia dei Virtuosi, probabilmente alchimista come testimonia la composizione poetica di cui si è detto in una precedente nota, lo pone in correlazione con la “fiamma” che si ottiene concentrando i raggi solari con uno specchio concavo in modo da cogliere il fuoco dell’etere (ipsi arcana libens fidi penetralia cordis / dedicat, atque igni carpitur aetherio).
Il secondo[21] è dedicato all’erudito genovese Stefano Sauli, che Marcantonio Flaminio, membro dell’Accademia romana, esalta in una sua ode scrivendo occultas rerum causas coelique meatus, / quid deceat, quae sint fugienda sequendaque tractas[22] (“le occulte cause delle cose e il cammino del cielo, / ciò che conviene, tratti quello che si deve fuggire o seguire”), parole che potrebbero indicare un insegnamento non solo erudito impartito dal Sauli ai suoi amici.
Stefano Sauli[23] fu anziano della Repubblica, protonotaro apostolico e membro di una famiglia altolocata di Genova (un fratello era cardinale, implicato in un complotto contro il papa Leone X), autore di un opera perduta intitolata De homine christiano a cui Agostino Giustiniani dedica la Precatio, un’opera suglii attributi ebraici di Dio, fu uno degli studiosi più stimati del suo tempo ed ebbe rapporti di amicizia con numerosi esponenti della cultura rinascimentale, tra cui Galeazzo Alessi[24], Reginald Pole e Gregorio Cortese[25] e il francese Longolio (nome italianizzato di Cristophe de Longueil), tutti e tre in diverso grado vicini alle tesi protestanti e accusatori della Curia romana per il comportamento scandaloso dei suoi prelati, Pietro Bembo e Lazzaro Bonamico, ambedue membri dell’Accademia degli Infiammati di Padova[26], Marcantonio Flaminio e Giulio Camillo dell’Accademia dei Virtuosi di Roma, Sebastiano Delio[27]; molti di essi furono suoi ospiti in Genova e nella villa “alla Bagnara” di Quarto, villa che gli fu molto cara se nel suo Testamento del 1568 fa scrivere “desidero che la villa sia chiamata villa di Stefano Sauli”[28].
Sappiamo dal Tiraboschi che era stato insieme con Marcantonio Flaminio in molte città italiane, tra cui Roma, Bologna e Napoli, e che con questi, Giulio Camillo e Sebastiano Delio aveva costituito nel 1522[29] (quindi più di vent’anni prima della fondazione dell’Accademia bocchiana nel 1546) un cenacolo durato un solo anno, che aveva avuto sede nella sua villa di Genova.
Il suo ruolo nell’àmbito dell’Ermetismo italiano sembra deducibile dalla composizione a lui dedicata dal Bocchi, che lo chiama pater Stephanus Saulius: Iam pater en STEPHANUS te SAULIUS ille bonorum / Praesidium, atque decus, macte animo esse iubet (“Ecco, il padre Stefano Sauli ti prescrive quale sia il presidio e decoro di ciò che è bene con animo onorato”).
La composizione, oggetto di un approfondito commento di Gavino Sambigucci nell’In Hermatenam, e soprattutto il fatto che la “insegna” che accompagnava il testo era proprio il simbolo dell’Accademia bolognese FIG. 2, possono far ipotizzare che dal Sauli fosse venuto l’impulso alla costituzione dell’Accademia bolognese.
Fig. 2 – Il Symbolum CII in onore di Stefano Sauli (Gavino Sambiguccio, In Hermatenam Bocchiam interpretatio, Bononiae apud Antonium Manutium Aldi filium MDLXVI, pp. 22-23).
Questo il componimento integrale scritto da Bocchi in onore del Sauli:
Quis tibi sancte puer, vires animumque ministrat,
Maximum ut exiguo monstrum adamante regas.
Nonne vides summi eductam de vertice patris,
Auspice facundo Pallade Atlantiade?
Hanc cole totius mentis penetralibus ardens,
Sic animo poteris quicquid ex ore voles.
Incipe age, en virga te iam Deus evocat orco
Me duce proficies; tu modo progredere.
Iam pater en STEPHANUS te SAULIUS[30] ille bonorum
Praesidium, atque decus, macte animo esse iubet.
Da notare che la frase Me duce proficies; tu modo progredere compare nel disegno che accompagna il Symbolum della statua dell’Hermatena dedicato al Sauli.
Bocchi e Sambigucci nei loro testi hanno lasciato l’unica testimonianza del simbolo dell’Accademia bolognese[31] che si vedeva su di un angolo del palazzo che ne era sede e che, essendo in pietra arenaria, è andato completamente distrutta salvo la testa del leone: Atena ed Hermes raffigurati insieme a un putto, forse Cupido, che imprigiona con un laccio la testa di un leone. La scultura era accompagnata da due scritte in latino: Sic monstra domantur (“Così si domano i mostri”, ma monstrum in latino significa anche “prodigio, portento”) e Me duce perficies tu modo progredere (“Solo con la mia guida tu riesci a progredire”).
A Caprarola, nello studiolo del cardinale Alessandro posto alla fine dell’Appartamento d’Inverno, si trova un affresco di analogo argomento iniziato da Taddeo Zuccari e completato a causa della morte di Taddeo dal fratello Federico nel 1566, quindi posteriore alla scultura dell’Accademia del Bocchi, in quanto questa, fondata vent’anni prima nel 1546, era stata chiusa definitivamente nel 1560.
Ciò non ostante, la rappresentazione di Atena e di Hermes viene ripresa a Caprarola forse per la conoscenza del più antico modello, considerato che Alessandro Farnese quasi certamente aveva avuto rapporti con Achille Bocchi essendo il protettore della sua Accademia, ma più probabilmente per il significato di essa, essendo l’Hermathena una rappresentazione visiva del significato più profondo del percorso ermetico-alchemico.
Fig. 3 – Hermathena: affresco della volta dello Studiolo del cardinale, opera di Taddeo e Federico Zuccari
Le differenze tra le due raffigurazioni sono però significative: l’impostazione dei personaggi nelle due raffigurazioni è opposta, nella scultura bolognese Atena è a destra ed Hermes a sinistra, nell’affresco dei fratelli Zuccari le posizioni sono invertite, e il Cupido e la testa di leone presenti nella prima sono sostituiti dallo scudo con la testa della Medusa, dalla civetta e dalla tartaruga. Inoltre le due figure sono così strettamente accostate per i fianchi da sembrare fuse in un solo essere FIG. 3 e infatti si vedono solo due piedi e due braccia, come nelle miniature dell’Androgine del Buch der Heiligen Dreifaltigkeit di frate Ulmanno FIG. 4, e un manoscritto di questo trattato, il Pal. Lat. 1885 della Biblioteca Apostolica del Vaticano (sec. XVI), poteva forse essere conosciuto nella cerchia degli accademici romani, visto che il cardinale Marcello Cervini era stato posto alla direzione della Bbiblioteca dal 1550 e Onofrio Panvinio fu nominato nel 1565 corrector e revisor presso la Biblioteca Vaticana[32]. Differente è invece l’immagine dell’Androgine nell’Aurora consurgens dello pseudo Tommaso, la quale ha quattro braccia e tre gambe FIG. 5.
Fig. 4 – Androgine. Frate Ulmanno: Buch der Heiligen Dreifaltigkeit, ms Guelf. 433 Helmst., secondo terzo del sec. XV (Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, https://diglib.hab.de).
Non vi è quindi una dipendenza diretta tra l’immagine di Bologna e quella di Caprarola ma il significato è identico: il compimento della via ermetica conduce all’unione della sapienza ottenuta con la forza su se stessi, rappresentata da Atena, insieme Dèa guerriera e protettrice delle arti umane, con l’influsso divino simboleggiato da Hermes, il messaggero di Zeus, o anche, volendo leggere il simbolo in chiave alchemica, l’unione dell’elemento femminile con quello maschile, del Solfo e dell’Argento vivo da cui si può ottenere l’Oro filosofale. Il lettore attento potrà trovare da sé gli ulteriori significati di questo simbolo.
Fig. 5 – Androgine. Pseudo Tommaso: Aurora consurgens, ms. Rh. 172, guardia anteriore, sec. XV (Zürich, Zentralbibliothek, https://www.e-codices.unifr.ch/en/list/one/zbz/Ms-Rh-0172).
[1] Il più antico castello a forma irregolarmente pentagonale è forse quello di Castiglion del Lago, esistente nel primo Medioevo e fatto ricostruire da Federico II e poi da Ascanio Della Corgna. Nel XVI secolo l’architetto Francesco Paciotto costruì tre fortezze pentagonali, la prima a Parma nel 1546 per volere di Pierluigi Farnese, legittimato come figlio da Paolo III Farnese e padre di Alessandro il Giovane, la seconda per i Savoia a Torino nel 1564 e la terza ad Anversa su ordine del nipote di Pierluigi, Alessandro governatore dei Paesi Bassi (omonimo del cardinale). Una quarta fu quella di Modena voluta da Francesco I d’Este nel 1635 e una quinta, opera del Vauban, a Strasburgo nel 1682 (Franco Ressa, Fortezze a pentagono, in “Informazioni della Difesa”, 6, 2005).
[2] Taddeo Zuccari (1529-1566) lavorò per i Farnese prima negli appartamenti di Paolo III Farnese a Castel Sant’Angelo alle dipendenze di Perin del Vaga, non estraneo alle conoscenze ermetiche che possedeva il suo committente e poi a Caprarola; fra il 1553 e il 1555 collaborò nel cantiere di Villa Giulia con Prospero Fontana, il quale era conoscente di Achille Bocchi in quanto nel 1555 affrescò per la sua Accademia di Bologna il soffitto della sala al piano terra con una scena di “Divinità e Virtù”, ricca di riferimenti simbolici ed esoterici. È quindi possibile che il Fontana sia stato tra gli iniziatori dello Zuccari alla conoscenza delle tematiche ermetiche.
[3] Antonio Tempesta (1555-1630) lavorò sia al Palazzo Farnese, affrescando la Scala a Chiocciola, sia a Bagnaia nella villa del cardinale Gàmbara.
[4] Jacopo Zanguidi detto il Bertoja (1544-1574) aveva lavorato con Prospero Fontana, a cui si è accennato in una nota precedente, negli anni 1566-1568, poi al servizio del cardinale Alessandro dal 1568. Lavorò al Palazzo di Caprarola in alcune sale del piano nobile tra cui la Sala degli Angeli: il pittore, o chi progettò il lavoro, dimostrò di avere una buona conoscenza delle dottrine ebraiche talmudiche o non canoniche come il Libro di Enoch, in quanto sulle pareti sono affrescate le immagini di sei Angeli, i Protoctisti o “Priminati”, posti da Clemente Alessandrino come primo ordine angelico a precedere tutti i successivi, probabilmente identificabili come Raphael, Michael, Gabriel, Renel (l’Angelo con l’incensiere in mano, forse dall’ebraico ren-el, “il piede di Dio”, cioè “Dio che cammina”), Uriel (Angelo del Fuoco, con le fiaccole in mano) e Azrael (l’Angelo della Morte, probabilmente, da identificarsi con Samael, “il veleno di Dio”, Angelo della distruzione).
[5] Per Annibal Caro (1507-1566) si rimanda all’articolo di Paolo Galiano, Le “Dimore Filosofali” della Tuscia del XVI secolo, parte prima, pubblicato online sul sito del Simmetria Institute - Fondazione Lanzi il 13 Luglio 2014.
[6] Fulvio Orsini (1529-1600) fu bibliotecario di Alessandro il Giovane, con il quale frequentò spesso il Palazzo di Caprarola, e in seguito precettore del nipote cardinal Odoardo; filologo latino e greco, grande appassionato raccoglitore di antichità fino a divenire uno specialista molto ricercato dalla nobiltà italiana e non solo, fu amico del Caro non solo come accademico ma anche per il comune interesse per la numismatica.
[7] Scipione Orsini, figlio di Aldobrandino conte di Pitigliano, era un “familiare” stipendiato di Paolo III, militare ma anche poeta.
[8] Onofrio Panvinio, protetto prima dal cardinale Cervini e in seguito da Alessandro Farnese di cui fu il confessore, ebbe grande notorietà per le sue pubblicazioni sui Fasti romani e sulle vite dei papi, opere per le qual è tutt’ora apprezzato dagli studiosi moderni. Venne chiamato a lavorare nella Biblioteca Vaticana come curatore dei manoscritti nel 1565.
[9] Marcello Cervini (1501-1555) fu cardinale e poi pontefice con il nome di Marcello II. Precettore e segretario di Alessandro il Giovane e quarto “Re” dell’Accademia dei Virtuosi, nel 1550 fu nominato cardinale bibliotecario della Biblioteca Vaticana e forse fu lui a chiamare nella Biblioteca l’amico Onofrio Panvinio. Al suo tempo era conosciuto come alchimista, così almeno sembra di poter desumere da un suo sonetto dedicato a un “Re” dell’Accademia dei Virtuosi non specificato; è possibile che avesse conoscenza delle dottrine ermetiche e alchemiche in quanto il padre, Ricciardo, era stato a Firenze presso la corte medicea alla fine del Quatttrocento probabilmente al tempo in cui la frequentava anche Alessandro Farnese il Vecchio, con il quale strinse rapporti di amicizia (Dizionario biografico degli Italiani della Treccani, s. v. Cervini, Marcello).
Questo il sonetto a suo nome che si legge nel ms MM 693 della Biblioteca Comunale “Angelo Mai” di Bergamo c. 1v (in Enrico Garavelli, «L’erudita bottega di messer Claudio». Nuovi testi per il Reame della Virtù (Roma 1538), in “Italique online”, XVI, 2013, online dall’1 Dicembre 2016, consultato 25 Febbraio 2023, p. 130):
“Questa ti dono o Re de gli altri Illustri
più pretiosa assai d’ogni diamante
che in molte parti per molt’anni e lustri
cercat’ho per reccarla a te davante.
Ben che d’ogni vertù risplenda et lustri
quest’una ti vò dir fra tante et tante
che con essa potrai senz’altro augurio
far di ramo [rame] oro et congelar Mercurio.”
[10] La prima fase dell’Accademia era conosciuta come Accademia dei Vignaiuoli, nome attribuito più tardi, e si trattava più che altro di un consesso burlesco e sboccato ben diverso dalla successiva Accademia dei Virtuosi.
[11] Claudio Tolomei (1491-1556) fu un importante letterato del ‘500, in contatto con l’Ariosto, il Vasari e Paolo Giovio e ovviamente in eccellenti rapporti con gli amici che facevano parte dell’Accademia, infatti il Caro lo ricorda più volte nelle sue lettere. Fu dal 1535 al servizio di Pier Luigi Farnese, legittimato come figlio dal papa Paolo III Farnese e padre del cardinale Alessandro, signore tra gli altri possedimenti di Caprarola e primo duca di Parma e Piacenza.
[12] Giovanni Francesco Bini (fine ‘400-1556) poeta burlesco intimo del Berni, fu autore di scritti di non grande rilievo tra cui La Cotognata, tributo di messer Bino a C. Tolomei, terzo Re della Virtù, un modesto poemetto conviviale in onore di Claudio Tolomei. Pur essendo amico del Carnesecchi, del Sadoleto e di altri personaggi che partecipavano al cenacolo della duchessa Giulia Gonzaga (come Vittoria Colonna), uno dei centri del sentimento protestante e anticuriale, non ne prese mai parte a differenza del collega di Accademia Marcantonio Flaminio.
[13] Francesco Maria Molza (1489-1544) fu tra i familiari di Alessandro Farnese, poeta di buon livello ma anche autore di uno scritto con lo pseudonimo di “Padre Siceo” dal titolo di chiaro significato, La Ficheide, al quale il Caro rispose con componimenti di eguale genere (La ficheide. Commento di Ser Agreste da Ficaruolo sopra la prima ficata del Padre Siceo, stampata nel 1539). Il Molza era considerato da Pietro Bembo un esempio nello scrivere in italiano e in latino. A causa della vita dissoluta morì di sifilide a Modena nel 1544.
[14] Marcantonio Flaminio (1498-1550) è un personaggio di rilievo ai fini di questo articolo per la sua amicizia con il patrizio genovese Stefano Sauli. Fin da giovane il Flaminio venne riconosciuto come un eccellente autore di sonetti e di opere in lingua latina, elogiato anche dal pontefice Leone X. Fu a Roma, dove prese parte ai lavori dell’Accademia dei Virtuosi, a Bologna e a Napoli, dove entrò in contatto intorno al 1514 con Jacopo Sannazzaro e nel 1540 con il cenacolo napoletano di Valdès; amico almeno fin dal 1521 del cardinale Reginald Pole, creatore di quella Ecclesia Viterbiensis che, per eresia in seguito fu soppressa dal cardinal Gàmbara, amico di Alessandro Farnese il Giovane e ideatore di quella che ora è conosciuta come Villa Lante a Bagnaia, altra “dimora ermetica” della Tuscia laziale. Sospettato di essere portatore di idee protestanti e quindi pericolose, gli scritti del Flaminio nel 1559 vennero messi all’indice ma successivamente liberati dalla censura ecclesiastica (Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo VII parte III, pp. 231-242, in particolare p. 238 per la condanna dei lavori del Flaminio).
[15] Il nome hermathena costituiva una sorta di gioco di parole, visto che nel latino classico, com’è attestato in una lettera di Cicerone ad Attico (I, 4, 3), hermatena indicava solamente un’erma, un busto di Atena posto su di una colonna.
[16] Gavino Sambiguccio, In Hermatenam Bocchiam interpretatio, Bononiae apud Antonium Manutium Aldi filium MDLXVI, p. 14.
[17] Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, s. v. Bocchi, Achille
[18] Achille Bocchi, Achillis Bocchii Symbolicarum quaestionum de universo genere, quas serio ludebat, libri quinque… Bononiae 1555.
[19] Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, s. v. Alciato, Andrea
[20] Achillis Bocchii Symbolicarum quaestionum, Symb. LX, pp. CXXII-CXXIII
[21] Achillis Bocchii Symbolicarum quaestionum, Symb. CII, pp. CCX-CCXI.
[22] Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, tomo VII parte I p. 158.
[23] Le notizie sul Sauli sono tratte da: Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana (tomo VII parte I pp. 156 ss. e parte III, in particolare p. 234); Marco Bologna (a cura di), L’Archivio della famiglia Sauli di Genova, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria, Nuova Serie”, vol. XL (CXIV), fasc. II, 2000; Andrea Walter Ghia, “Casa con villa delli signori Sauli”. Piante e disegni dell’Archivio Sauli: Catalogo, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria, Nuova Serie”, vol. XLIX (CXXIII), fasc. II, 2009; Andrea Fara, Banca, credito e cittadinanza: i Sauli di Genova tra Roma e Perugia nella prima metà del Cinquecento, in “Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge” online, 125-2, 2013, messo in linea 27 Novembre 2013, consultato 6 Marzo 2023.
[24] L’architetto Alessi collaborò alla costruzione del Palazzo Della Corgna di Bolsena, e il Sauli “stringe un rapporto con l’Alessi che va ben al di là di quello usuale tra committente e artista: la corrispondenza che ci è pervenuta conferma comunione di interessi culturali, intesa spirituale” (Fara, Banca, credito e cittadinanza, punto 18).
[25] Gregorio Cortese, monaco e poi cardinale, considerato al suo tempo tra gli uomini più colti d’Italia, era probabilmente parente di Francesco Maria Molza, essendo come lui di Modena e figlio di Sigismonda Molza. Tra i fatti più importanti della sua vita occorre ricordare che dal 1532 intrattenne rapporti con personaggi sospetti di eresia protestante come il cardinale Reginald Pole e Jacopo Sadoleto, conosciuti a Venezia, con i quali condivideva l’idea della necessità di riformare la Chiesa cattolica e soprattutto la Curia romana.
[26] L’Accademia degli Infiammati aveva per insegna Ercole arso dalle fiamme e il motto Arso il mortale, al ciel n'andrà l'eterno, un’insegna derivante dal mito di Ercole e della camicia di Nesso, ma che potrebbe avere un significato ermetico.
[27] Il francescano Sebastiano Delio detto il Durantino (dal nome di Castel Durante, suo paese natale), inquisitore di Adria nel 1559 e poi procuratore del suo Ordine a Bologna dal 1563, fu molto stimato dai suoi contemporanei per la vasta erudizione. Forse grazie al suo omonimo cugino o zio (lo Sbaraglia lo dice nepos, Giovanni Giacinto Sbaraglia, Sbaraleae Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos, Roma 1806, p. 653) che fu insegnante di greco di Alessandro Farnese il Giovane tra il 1531 e il 1534, conobbe Sauli, Flaminio e Giulio Camillo con i quali partecipò alla breve esperienza del cenacolo genovese.
[28] Ghia, “Casa con villa delli signori Sauli”, nota 27 p 113.
[29] Dizionario Biografico degli Italiani s. v.
[30] Maiuscolo nel testo.
[31] Il disegno di questa scultura ci è arrivato sia nelle Symbolicarum quaestionum p. CCX dello stesso Bocchi, pubblicate nel 1555, sia nell’In Hermatenam Bocchiam del Sambiguccio del 1556 a p. 22, il quale riprende la stessa pagina dell’opera del Bocchi: essendo i due testi contemporanei all’esistenza dell’Accademia si può essere certi che i disegni corrispondano all’originale.
[32] Dizionario Biografico degli Italiani s. v.