La simbologia fitomorfica: l'orticultura nel mito delle origini - Parte II (di G. Acerbi)

LA SIMBOLOGIA FITOMORFICA: L'ORTICOLTURA NEL MITO DELLE ORIGINI  - PARTE II

Le antiche tradizioni maya e tolteche[1] asseriscono al riguardo che quell'atto sia stato, da una parte, il taglio degli alberi e la formazione di orti sopraelevati mediante scavo della terra vergine; vale a dire l'inizio dell'orticoltura. E, dall'altra, l'uccisione delle fiere, con conseguente inizio ipso facto della caccia. Era antica e diffusa credenza, infatti, che il sangue innocente versato sulla Terra facesse sì che ella, in qualità di pia Mater, si rifiutasse da quel momento in poi di produrre abbondanti germogli e rimanesse sterile. Sappiamo, inoltre, da altre fonti[2] che i nativi Nordamericani consideravano il taglio delle erbe e la coltivazione dei campi un torto imperdonabile verso la Terra Madre, tale da provocare ritorsioni da parte di Costei. Nella Bibbia la "Caduta" è il risultato dell'assaggio edenico del 'Frutto dell'Albero della Conoscenza' (del Bene e del Male), chiamato alternativamente "Albero della Vita" (o della Morte); giacché in origine la Morte non esisteva[3], almeno in senso spirituale. Conseguentemente alla Cacciata dall'Eden è dichiarato, in uno dei testi della vasta letteratura post-biblica, che Yahweh abbia diminuito la statura di Adamo, così da impedirgli l'ascolto dei canti melodiosi dei Cherubini (evidente allusione alla sua statura spirituale ed alle conseguenze del Libero Arbitrio). Nella leggenda persiana del Paradiso Terrestre Mashyè e Mashyànè, la coppia originaria, nascono dalla Terra sotto forma di Albero Androginico (di tipo alchemico), del quale ciascuno di essi costituisce una metà. Una volta separati, dopo che lo Spirito è penetrato in loro, avendo assunto la forma umana i due (va­le a dire l'Uomo e la Donna) vivono dapprincipio scarsamente alimentandosi e vestendosi di fronde arboree. Ma successivamente, essendo venuti alla luce altri esseri ed avendo il senso della Dualità (lett. il principio ahrimanico o demonico) corrotto le loro menti, si ge­nera tra di essi un reciproco antagonismo. Sicché cominciano a succhiare il latte degli animali selvaggi, giungendo sino ad ucciderli per alimentarsi con le loro carni. Inoltre, ispirati dagli Angeli (= Numi planetari), tagliano le piante onde adoperarle da combustibile. E' da esse, per sfregamento s'intende che traggono il fuoco. Dapprima ricopertisi con le pelli degli ammali uccisi, poi di vesti tessute in solitudine, scavano buche nel terreno; donde hanno origine l'orticoltura e la metallurgia mineraria. A questo punto la malizia ha già ottenebrato i loro animi, esortandoli a muovere malintenzionati l'uno verso l'altro, strappandosi i capelli e colpendosi a pugni, schiaffi e calci (Grande bd. - xv. 2-17). Insomma, è codesto il quadro generale in cui sorgono e si sviluppano i primi ingenui conflitti umani. Nella Bibbia invece, com'è noto, le prime schermaglie tra orticoltori e pastori sono indicate dall'opposizione tra i due mitici fratelli, Qayìn e Hebel, contendentisi i favori divini attraverso due tipi di rituale; l'uno appunto di tipo orticolo-sedentario e l'altro di tipo nomadico-pastorale. A nostro avviso, le due figure suddette rappresentano — anche etimologicamente — la versione ebraica dei due Titani ellenici Krónos e Hèlios, benché la forma Hebel si avvicini maggiormente sul piano fonetico a quella di Apóllón. Trattasi insomma, fuor di metafora, del conflitto celeste e planetario tra Saturno ed il Sole (cfr. in Egitto l'antagonismo rituale tra Seth e Horus), un rapporto numinoso dei quali con i mestieri sopra menzionati ed i relativi cerimoniali era un fatto risaputo nell'antichità. I miti amerindi parlano, viceversa, dell'epica lotta tra i r- Gemelli ' (in una versione apocrifa della "Genesi" anche Caino e Abele sono gemelli, anziché semplicemente fratelli), individuati simbolicamente dalle varie diadi cosmiche (Cielo-Terra, Sole-Luna, etc). Essi subentrano nella "Seconda Era” in luogo dei "Giganti" della "Prima Era", sorta di esseri adamici. Pure in codesta tradizione l'orticoltura inizia, infatti, proprio in età post-paradisiaca; del resto, il contrasto tra la beatitudine quieta delle origini e l'attività civilizzatrice immediatamente successiva è un tema conosciuto presso molteplici culture, per non dire (ma sarebbe più vero) in tutte le culture. Il grande storico delle religioni Mircea Eliade, scomparso qualche anno fa, riconobbe questo fatto, ipotizzando il passaggio del culto da una divinità primordiale di tipo uranico e passivo, il ed. deus otiosus, ad un nume secondario dai tratti demiurgici e più attivamente impegnato nella funzionalità cosmica. Gli dei Urano e Crono rappresenterebbero in Grecia i modelli archetipici di tali tipologie mitologiche.

Una delle conseguenze principali della "Caduta", ovvero della perdita dello stato paradisiaco, che sembrerebbe secondo alcune tradizioni (come quella induista) essere stato caratterizzato sul piano dei rapporti tra i sessi, tra l'altro, da un'estrema libertà (assai vicina a quella del mondo animale, in quanto ad innocenza) è la formazione dei primi nuclei familiari a livello tribale o di clan. Il Grande Bundahishn o Bundahishn iranico descrive tale processo sociale come l'improvvisa insorgenza del desiderio dell'amplesso in Mashyé, ossia nell'Uomo, alla vista delle "vergogne" della sua mitica compagna, ciò producendo per riflesso in lei un'agitazione compiacente. La pratica più frequente e maliziosa dei rapporti sessuali porta così alla acquisizione di figli sotto tutela familiare, insomma a nuclei sociali più stabili, ed al riconoscimento della parentela; traccia di cui rimangono i più vetusti culti degli Antenati, sia pur per via materlineare. Mashyè e Mashyanè non sono, d'altronde, che la versione pahlavica degli avestici Yima e Yimak (con alcune varianti), a loro volta corrispettivi dei vedici Yama e Yami. Alla coppia del testo pahlavico (ibid., vv. 18-24) è peraltro attribuita, quale selvaggio costume, la pratica cannibalica nei confronti dei neonati, prima che crescesse socialmente ed individualmente una forma di tenerezza nei loro riguardi. Nella coppia vedica è invece particolarmente evidenziato il ruolo cosmogonico dell'incesto paterno (ed insieme fraterno) con la '"Figlia-Sorella". Altro leggendario incesto non meno famoso, pur se meno sottolineato nei suoi caratteri più «scabrosi», è naturalmente quello di Adamo ed Eva, sull'interpretazione del quale rimandiamo all'esegesi esoterica dello Schuon[4]. Nella storia narrataci dalla Genesi (iii. 17-9) l'orticoltura è presentata come una maledizione caduta sull'Uomo in seguito al peccato di superbia:

E (Yahweh) disse ad Adamo: — Poiché hai ascoltato la voce della tua donna ed hai man­giato di quell'Albero circa il quale ti avevo dato l'ordine " Non ne devi mangiare ", la terra è maledetta per causa tua! Con pena ne trarrai nutrimento tutti i giorni della tua vita. Ed essa ti produrrà spine e triboli, e dovrai mangiare l'erba del campo. Col sudore della tua faccia mangerai il pane; finché tornerai alla terra, da cui sei stato tratto . . .

Interpretando la 'Terra' esotericamente, potremmo parimenti intendere codesta coltivazione come una nuova cultura dell'anima, non più spontanea e naturale; ma ottenuta con l'artificio del pensiero. Mettendo da parte tale interpretazione allegorica della col­tivazione del campo, sulla quale dovremo però prima o poi tornare, ad un'ulteriore analisi del testo ci accorgeremo che la stessa maledizione enunciata ad Adamo riecheggerà fatidicamente nell'episodio di Caino, una volta avvenuto il fratricidio (ibid., - iv. 12):

Quando coltiverai la terra, essa non ti re­stituirà più la sua potenza. Ramingo e fuggiasco diverrai sulla terra.

Si narra poi (ib., verso 16) che Caino se ne sia dipartito dalla presenza di Yahweh, prendendo residenza nel paese di Nod, ad oriente del Giardino. D'altra parte, è specificato altrove (Is. - xiv. 13) che la dimora di Yahweh, al pari di quella di altri dei, trovavasi su di un Monte «all'estremo limite del Settentrione». Il Salmo - xliii. 2-3, dedicato alla Civitas Dei, ribadisce che essa è collocata sul sacro Monte di Sion, allo Estremo Nord, «bello per elevazione ed esultanza di tutta la terra». Il Sion è stato tardivamente iden­tificato con il Sinai, ossia con la sua cima nerastra (lo Horeb), per aver ivi ricevuto Mosè le Tavole della Legge; ma, a nostro parere, la questione ha necessariamente a che fare con il mito della Montagna Sacra, téma assai noto agli storici delle religioni e costituente una variante del mito del Paradiso Terrestre. Il termine Sion ha d'altronde riferimento da una parte con la Luna e dall'altra con il Cielo, secondo quanto mostra la comparazione del nome con il babilonese Sin (dio lunare é forse pure ctonio, in rapporto alla vegetazione) o Shamash (dio solare e probabilmente anche celeste). Si tratta di un etimo, in definitiva, correlato in modo estremamente ramificato a designazioni di tipo luni-solare o ctonico-celeste, sparse un po' in tutta la vasta area continentale euroasiatica e rifacentisi ad un antichissimo sostrato culturale di natura shamanica. Citiamo, a titolo di esempio illustrativo[5], il fatto che anche nella cultura indiana (induista e buddhista) si parli diffusamente di un Sacro Monte (il Sumeru, var. Sineru, voce secondo noi proveniente dal scr. Suma = "Luna, Cielo"; donde abbiamo pure Soma, il nome del Dio della Luna e della Vegetazione, nonché dell'Elemento Acqua personificato), quale sede eccelsa della Divinità. Così, nel Ràm. - iv. 32 troviamo che il supremo dio Varuna dimora sulla sommità del Sumeru; in una bianca residenza, costruita da Vishvakarma (l'Architetto del Mondo) in mezzo ad una foresta incantevole, allietata dal canto degli uccelli. Cfr. il ruolo similare, in Grecia, di Urano come Ordinatore Cosmico (dal suo "fallo" caduto nelle ' Acque " nasce Afrodite, vale a dire l'Armonia Universale); ed, in Mesopotamia, di Anu quale primo e supremo dio, cui veniva dedicato un bianco palazzo sulla cima delle ziqqurat, i templi-montagne. Dato che il "Bianco" è il colore che contrassegna simbolicamente, da più parti, l'Età Aurea ovvero il Paradiso Terrestre, dobbiamo arguire da tutto ciò che la perdita da parte di Caino (di cui abbiamo già sottoli­neato le valenze saturnine quale Eroe culturale e civilizzatore, in parallelo con le funzioni del Crono greco) del "Volto" di Yahweh — cfr. con il ruolo montano e supremo di Varuna, Urano ed Anu — sia miticamente da considerare come un abbandono, non solo interiore ma effettivo, del Monte Paradisiaco; che potremmo con­siderare al modo della tradizione induista il centro polare della Terra Paradisiaca stessa, com'è per il Sumeru nei confronti della Ilavrita o "Terra Nascosta". Tale denominazione si adatta benissimo anche alla leggenda biblica; ove, infatti, due Cherubini son detti dimorare alle soglie dell'Eden, brandendo la “Fiamma della Spada Folgorante” (cioè il Fuoco del Verbo Divino), onde custodire la "Via dell'Albero della Vita". Le immagini dell’Arbor Mundi e del Móns / Phallus Dei o della Divina Urbs sono nel complesso raffigurazioni simboliche dell'Asse del Mondo, cioè dell'Unità Divina; ed, insieme, dell'Asse Polare, avente una funzione regolatrice dell'Ordine Cosmico (con la Stella Polare per perno, ma anticamente era il Dragone del Nord). In questo modo si comprende l'identificazione del Sion con la "Gerusalemme Celeste", dalle "Dodici Porte "concependo la Stella Polare come" Vetta del Mondo ' e sede superna della Divinità; nonché perno (così è astronomicamente) delle dodici costellazioni dello Zodiaco solare [6]. Alla stessa stregua si spiega la funzione cosmologica della "Bianca Dimora" di Varuna-Anu rispettivamente in India ed in Mesopotamia, o quella del " Fallo " di Urano in Grecia. Anche per gli Elleni, dopo l'evirazione di Urano subentra la civilizzazione orticola: di Crono, che però è distinto ipostaticamente attraverso la figura a lui equivalente di Céleò; avente per doppione a sua volta quella di Trittólemo. l'inventore dei Misteri Eleusini[7], dei quali è arcinoto il carattere eminentemente agrario ed arcaico[8]. Nella stessa luce possiamo intuire, fra i Latini, il vero significato del passaggio culturale da Iànus, Dio delle Origini, a Saturnus lo scopritore mitico dell'agricoltura; tenendo conto che il primo è dichiarato dai Romani aver dominato primordialmente nel Latium (voce da intendere qui come "Terra Nascosta", in relazione al vr. latère - vide supra), con implicita allusione al mito della Tellùs Hyperborea o Thylè / Thùlé[9]. Non solo, ma esaminando l'importanza che ha sempre avuto per i Latini[10] il Gianicolo (il colle dedicato al culto di Giano, alle cui falde la tradizione romana diceva fossero sepolte le spoglie di Numa; Legislatore primevo, al di là della leggenda che gli attribuisce una veste regale, non meno del Manu o del Vishva-karman in India), non si può fare a meno di reputare tale sommità una variante eziologica del Monte Paradisiaco, cui si accennava prima. L'abbandono da parte di Caino del "Volto" di Yahweh[11], ossia — abbiamo visto — del Monte di Sion o Monte del Paradiso[12], è dunque allo stesso tempo la perdita della Grazia Divina; nonché l'allontanamento forzato da quella leggendaria Terra Polare, che taluni miti avatarici indiani narrano sprofondata nell'Oceano Artico (designato dal Mahabharata come "Oceano di Latte"), a causa di cataclismi di natura ciclica[13]. Questo ultimo fatto deve aver determinato, forse, la "Fuga" di Caino verso nuove terre da colonizzare e da sfruttare economicamente; ma il nuovo adattamento geografico e climatico non può essere stato, ovviamente, senza conseguenze psichiche. Si veda al riguardo l'antica teoria cosmologica dei Quartieri, di vasta diffusione nel globo e relazionata necessariamente alla dottrina degli Ecumeni ed a quella dei Temperamenti[14]. Perduto il clima di " perpetua primavera ", che sembra aver caratterizzato dunque il Pardés o Pàradesha (Regione Estrema)[15], con conseguente disarmonizzazione a livello psichico; ecco che Caino, ovvero i primi orticoltori, ritorneranno con la mente nostalgica, da allora in poi, a quella terra ed a quel clima da loro abbandonati per maledizione divina — il che è come dire per evenienze cicliche provvidenziali, o per volere del Destino. Se noi pensiamo, poi, che il Monte Sion — esattamente come il Sumeru — è da certi testi esoterici interpretato microcosmicamente in relazione al capo umano[16], si vedrà or dunque come la genesi mitica dell'agricoltura non sia altro in fondo che l'origine stessa della civiltà; od, in altre parole, la "caduta", intendendo codesto termine ultimo in tutte le sue accezioni simboliche possibili. Dopodiché la cultura, o coltivazione interiore (concetti filologicamente apparentati nel mondo latino ed indoeuropeo in genere, dal quale derivano), prende il posto della, conoscenza naturale e spontanea dei primordi. Della sensazione di colpevolezza nei confronti di tale processo di decadenza intima (proseguito via via dopo l'abbandono del Paradiso e divenuto ancor più manifesto in tempi posteriori, seppure mascherato dalla innegabile evoluzione esteriore del comportamento sociale ed individuale) è perdurata una sia pur lieve traccia persino in tempi moderni, attraverso lo pseudomito del "Buon Selvaggio"[17]; indipendentemente dalla causa occasionale che ha prodotto tale aberrazione culturale, ovvero la scoperta dell'America. E pur dovendosi invero riconoscere che, alternativamente, l'eco leggendaria di un passato assai migliore del presente è stata romanticamente proiettata nel futuro, ovvero localizzata nell'Isola di Utopia[18]; con conseguenze indirette, tuttavia, che risulteranno disastrose su vari piani (filosofico, etico, politico, sociale, etc.). Giacché dallo sviluppo di queste idee nascerà l'altro pseudomito, ancor più deleterio, del progresso evolutivo, basato sulla concezione lineare del tempo. Le due ideologie menzionate, l'una del ' Buon Selvaggio " (che sostituirà sentimentalmente al mito veritiero del "Paradiso Perduto" le fantasie naturalistiche sul primitivo, ancora immerso come Adamo in una selva primigenia ed incontaminata, ma ormai privo della luce della Rivelazione) e l'altra dell'Utopismo egualitaristico (che, concependo un illusorio "stato di natura" originario, costituirà la ragione ideale sulla quale fondare — per ribaltamento in avanti della precedente istanza — il ed. diritto naturale), pur essendo nate entrambe dallo sfaldamento della dottrina tradizionale dei cicli cosmici, non hanno serbato ciò che essa conteneva di più importante ed essenziale; ossia, il concetto stesso di ciclicità. Donde, si può ben dire che codesti pseudomiti abbiano finito per smentirsi a vicenda, apparendo reciprocamente antitetici. Tale scissione dualistica del simbolo paradisiaco è, in ogni caso, la lontana conseguenza dell'eredità culturale trasmessaci in epoca immemorabile da Caino; colui che rappresenta, insomma, nella mitografia biblica l'antesignano orticolo dell'attuale civilizzazione ed, insieme, il prototipo umano del Grande e terribile '"Incantatore" (ebr. Shàtan - cfr. col scr. Màya) dell'universo.

 

[1] Gir., op. cit., P. I, e. II p. 46; inoltre passim.

[2] M. ELIADE, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1973 (I ed. 1967), e. IIIi, p. 89; ed. or. Le sacre et le profane, Payot, Parigi 1965.

[3] Pure sul piano fisico, corrispondentemente allo stato di un'anima immortale (cfr. J. EVOLA, Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma 1976, p. II, e. Il, n. 7, p. 230; I ed. Hoepli, Milano 1934; III ed. [riv. ed ampl.] Mediterranee, Roma 1969), si può immaginare la. tendenza da parte della prima umanità ad una certa longevità. Anche questo è un tema molto diffuso in ambito tradizionale, essendo esso reperibile persino nella mitologia australiana (EI., La CT. dello sn. e. II, [pp. 50-3). Secondo gli Aranda, infatti, gli esseri primordiali avendo una natura celestiale erano immortali; non dovendo inoltre tener conto della loro condotta, erano totalmente liberi. Ma ben presto commisero atti impuri, si da introdurre nel mondo la Morte. I loro discendenti finirono così per imbattersi in un cosmo di male, di dolore e di fatica.

[4] In un bellissimo articolo (la cui traduzione è intitolata II frutto proibito e pubblicata in Via della Tradizione, A. IX, vol. IX, n. 34, apr.-giu, 1979, pp. 91-103) F. Schuon mette in luce come Adamo ed Eva, i.e. l'Uomo e la Donna, prima della ' Caduta ' si siano amati in Dio, riconoscendosi vicendevolmente quali teofanie perfette; mentre poi, subentrando in essi un desiderio titanico insaziabile, lo stesso che li sospingerà alla conquista attiva del mondo circostante, ecco che finiscono per conoscersi ed amarsi dualisticamente (fuori dell'Unità Divina), cioè come mondi illusoriamente separati. Se la loro nudità è, alfine, ricoperta di pelli per la vergogna, ciò significa che essi non conoscono più spiritualmente; bensì razionalmente, il nuovo vestiario essendo null'altro che il loro nuovo abito mentale. La ' Caduta ' appare, così, non solo una ribellione verso la Divinità; ma pure verso la Natura, che diviene perciò apparentemente ostile.

[5] Altri se ne potranno rinvenire nel nostro studio Iconologia del Meru e fonti letterarie della Montagna Sacra, condotto in collaborazione con il dott. M. Restelli, sotto il patrocinio del prof. G.G. Filippi e per conto del Dip. di Se. stor.-arch. ed orient. dell'Univ. " Ca' Foscari " di Venezia; la pubblicazione del medesimo, ancora da ultimare, dovrebbe avvenire entro il prossimo anno.

[6] Cfr. W. SCHROEDER, Astronomia pratica, Longanesi, Milano 1967, p. 249, fig. 78) ed. or. Practical Astronomy, data e L di ediz. n.c).

[7] Vedi G. ACERBI, Le 'Caste' secondo Platone. Analisi dei paralleli nel mondo indoeuropeo, Convivium (ed. Sear), Anno II, n. 13 (apr. / giù. 1993), R. Emilia 1993, p. 24T n. 29.

[8] R. PETTAZZONI, I Misteri. Saggio di una teoria storico-religiosa, Zanichelli, Bologna 1923, e. II sgg.

[9] (30)    Ricerche sul problema della Terra Iperborea greco-latina e della sua comparazione con l’Uttarakuru indiano sono affrontate da G. ACERBI, Kàlacakra. La Ruota Celeste (e. XI), ristrutturazione ed ampliamento della I Tesi di laurea quasi omonima (Univ. " Ca' Foscari ", Venezia 1985, in 2 voli.); testo che sarà pronto per essere pubblicato, tuttavia, non prima del 1994-5.

[10] (31)   R. DEL PONTE, Dèi e miti italici, Ecig, Genova 1985, e. II, p. 67, n. 54.

[11] Codesto abbandono è equivalente allo sprofondare di Lucifero negli Inferi; giacché la tradizione rabbinica associava, com'è noto, Caino a Satana. La perdita del Paradiso Terrestre è raffigurata allegoricamente, infatti, come il trapasso di Adamo dall'Immortalità effettiva alla sola Sapienza umana. Per cui, identificando da una parte Yahweh ad Adamo (secondo gli insegnamenti esoterici della Cabala giudaica) e dall'altra

Adam a Caino (in base alle speculazioni rabbiniche ebraiche), si potrà constatare l'analogia trasparente tra le due suddette figure divine — con le loro ipostasi antropomorfiche — e quelle di altre mitologie, anche al di fuori del mondo semitico. Così, tra i Latini abbiamo rispettivamente Iànus e Sàturnus (Saviturnus), fra gli Elleni Ouranós e Krónos, fra gli Hittiti An e Kumarbi, fra gli Iranici Yima Xshaèta (con riduzione del mitico binomio ad un solo personaggio divino), fra gli Indiani Yama e Savitar (cfr. filologicamente i nomi dell'uno e dell'altro con quelli di Giano e Saturno) ovvero Varuna e Kàla (cfr. parimenti con Urano e Crono), fra i Norreni Ymir e Surtr.

[12] Da notare che anche Dante pone il Paradiso Terrestre su di un ' Monte '.

[13] Un'analisi particolareggiata dell'antica dottrina dei Diluvi (presente in tutto il mondo euroasiatico, nonché altrove), e del loro carattere periodico, è offerta in un nostro prossimo art. sul Ciclo Avatarico hindu, in attesa di essere pubblicato. Esso costituisce, inoltre, l'Introduz. al cap. X del testo cit. alla n. 30.

[14] (35)   Circa il succedersi ciclico degli Ecumeni è fatto cenno già nella Mt.U.- i. 4 (cfr. la trad. del Filippani Ronconi), ove si parla del prosciugamento dei grandi oceani, delle nuove terre emerse e dell'abbandono da parte di esseri divini delle loro antiche magioni; mentre, intanto, si sposta persino la Stella Polare, soggetta anch'essa come tutto al flusso perpetuo universale. (Si noti che per questo tipo di osservazioni cosmologiche occorre uno spazio culturale di almeno sei-sette millenni.) Ad ogni buon conto, speculazioni cosmologiche più precise sono esposte dettagliatamente solo più tardi, nel Mahabharata e nei Purana. Vedi, in proposito, Vop. cit. alla n. 26 (parte sull'Induismo, a cura del sottoscritto). Sull'interdipendenza della dottrina dei Continenti mitici con quella dei Quartieri cosmici o dei Temperamenti psichici cfr. Ac, art. cit., n° 12 (gen.-mar.), pp. 25-6.

[15] (36)   Sull'etimo di codesti vocaboli vedi la nostra Pref. a L.B.G. Tilak, Orione. A proposito dell'antichità dei Veda Ecig, GE 1991, p. 15.

[16] Così avviene, ad esempio, per il Sion nella visione apocalittica della Qabbalàh ebraica (Zoh.- ii. 81 / a) e della Gnosi cristiana (Ióh., Ap.- xiv. 1); nonché per il Sinai nella medesima fonte giudaica (Zoh.-iii. 2 / a) e nel Sufismo persiano (Rumi, Malh.- i. 25-6). Circa il Meru, dichiara la stessa cosa ancor più esplicitamente la Śiva S.- ii. sgg, ponendo (verso 10) il Sole sulla Cima di esso. Indubbiamente vi è una perfetta equivalenza tra il ' Sole-dai-Mille-Petali ', che è possibile secondo il Tantrismo contemplare nel 'Settimo Cakra' (Sahasrdra), ed il ' Sole della Mezzanotte ' ; che la tradizione vedica colloca macrocosmicamente sulla Cima della Montagna Cosmica o dell'Albero della Vita, ove raffigura la Divinità in sé e per sé. Anche nel mondo mediterraneo, parallelamente, la stessa corrispondenza è rilevabile tra l'Oro alchemico dell'Ermetismo greco-egizio, contrassegnato non per nulla dal simbolo solare ed il Sole che, ih forma di luminare, appare sulla Cima dell’Arbor Mundi nell'iconografia dell'antico Egitto. Cfr. n. 16. Egualmente nella tradizione giudaico-cristiana si può tracciare una connessione tra lo Yahweh che la Tóràh pone sulla Cima del Sion nella Divina Urbs, a mo' di ' Sole Universale ', e l'Agnello Solare giovanneo, che nel Giorno del Giudizio splenderà sul capo (o sulla fronte) degli eletti.

[17] Su di esso si veda G. COCCHIARA, Storia del folklore in Europa, Boringhieri, Torino 1971, ce. I-VII passim, con bibliografia relativa (I ed. 1952); il medesimo argomento è stato affrontato più direttamente dall'autore in altri due testi: Il mito del buon selvaggio (1948) e L'eterno selvaggio (1961).

[18] Letteralmente il termine (dal gr. Ou Tópos = il ' Non Luogo ') indica una realtà volutamente inespressa o, meglio, lasciata di proposito indeterminata. Per una breve sintesi riguardo la tematica utopica vide ENCICLOPEDIA DELLE RELIGIONI, Vallecchi, Firenze 1970, Voi. VI (s.v. UTOPIA, pp. 42-6, a cura di M. Adriani; inclusa la ricca bibliografia).

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