IL MITO NASCE DAL CIELO O IL CIELO NASCE DAL MITO?
“L’origine divina e il valore sacro della conoscenza non si scorge in nessun luogo così pienamente come davanti al cielo diurno o alla volta stellata. Per l’uomo primitivo il sapere, la conoscenza erano – e sono ancora tra gli aborigeni – epifanie della potenza, della forza sacra. Lì risiede colui che tutto vede e tutto comprende. Simili esseri supremi, di origine uranica, diventano fondamento dell’Universo, autori e dominatori dei ritmi cosmici, e tendono a coincidere sia col Principio o sostanza metafisica dell’Universo, sia con la Legge, con quello che è eterno e universale nei fenomeni transitori, nel loro divenire. Legge che gli dèi stessi non possono abolire”.[1]
Quando gli uomini antichi guardavano il cielo notturno cosparso di stelle innumerevoli, presi dallo stupore e dall’emozione ebbero l’istinto di collegare le stelle tra loro come per dare un senso e mettere ordine a tutto ciò che contemplavano. Formarono così figure geometriche, le costellazioni, chiamate dagli astronomi asterismi. A queste figure furono attribuiti nomi che, in genere, erano divinità (pareidolia): sono nomi spesso legati ai miti e sono anche espressione del desiderio dell’uomo di immortalare nel cielo i suoi eroi.
Nei secoli si è formato il sistema delle costellazioni che ancora oggi usiamo, corrispondente alle 48 costellazioni indicate da Tolomeo nell’Almagesto intorno al 150 d.C. e i cui nomi sono associati a personaggi della mitologia greca.
Omero ed Esiodo (circa 700 a.C.) nelle loro opere citarono raggruppamenti stellari come l’Orsa Maggiore, Orione, le Pleiadi, ma già gli abitanti della regione tra il Tigri e l’Eufrate, i Sumeri, vissuti nella stessa zona già dal quarto millennio a.C., e poi gli Assiro-Babilonesi, avevano un sistema di costellazioni dello Zodiaco molto ben organizzato. Forse fu Eudosso a introdurre in Grecia un sistema di costellazioni che si pensa possa aver acquisito dai sacerdoti egiziani, i quali avevano conoscenze di astronomia molto precise, derivate dalla plurimillenaria osservazione della volta del cielo.
Naturalmente i raggruppamenti di stelle in costellazioni sono un’operazione del tutto casuale: ciò che però è strano è che ciascuna cultura ha composto i medesimi asterismi, a cui ha dato un nome secondo la propria fantasia. L’Orsa dei Greci ad esempio era un Carro per i Romani, una Pentola per i Cinesi, un Ippopotamo per gli Egizi e un Ventilabro per gli Ebrei. Ma l’asterismo è sempre lo stesso, soprattutto quello di base che si originava da sette stelle fondamentali. Il numero sette ricorre in modo impressionante nella simbologia antica: i sette giorni della creazione biblica, le sette note, i sette re di Roma, i sette colli, ecc.
Ciò non toglie che gli uomini, in epoche e continenti distantissimi tra loro, avessero collegato le stelle diffuse nella volta del cielo nella maggior parte dei casi con le medesime figure geometriche. Così, ad esempio, presso i popoli originari delle Americhe l’Orsa Maggiore era per i Maya l’Uccello cosmico e per i Pellerossa La tazza con tre lupi per manico, ma l’asterismo era lo stesso in uso presso gli egiziani, i babilonesi o i greci, e l’Orsa Minore era denominata dagli Aztechi Piede contorto di un dio malato e povero e dai Maya Quelle che ruotano intorno al Nord. Orione e la sua cintura hanno la stessa forma, ovvero lo stesso asterismo, messo insieme dai popoli antichi dell’Asia o dell’Europa: gli Aztechi lo chiamavano Mamalhuaztli, La cintura del guerriero, e i pellerossa Grande capo Lunga fascia, e così anche le Pleiadi dette dagli Aztechi Mercato e dai Maya Sonagli del serpente; lo stesso si può dire per i Gemelli, lo Scorpione e tante altre costellazioni.
I raggruppamenti o asterismi così formati sono entità esclusivamente prospettiche, a cui la moderna astronomia non riconosce alcun reale significato. Infatti nello spazio tridimensionale le stelle che formano una costellazione possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le loro dimensioni e luminosità, e, ancora di più, ogni stella o corpo celeste ci appaiono non sincronicamente ma come erano in tempi e luoghi diversi. Ma proprio per questo la loro iconicità trascende spazio e tempo, in una rappresentazione, per chi guarda, sempre eterna, sempre unica, sovraspaziale e sovratemporale.
Mitologia e astronomia
Riportiamo di seguito le costellazioni che presero il nome dal mito di Andromeda con qualche breve cenno al tardo mito greco che le descrive: per la comprensione dei loro asterismi a noi sembra di rilevare due livelli di interpretazione, uno iconografico e uno ideografico, che si succedono e si alternano nei tempi in maniera non sempre chiara o cronologica. Se più accessibile è l’interpretazione iconografica, complessa e controversa appare quella ideografica. È facile capire, ad esempio che l’asterisco, in cuneiforme, significa stella, ma altri segni sono così complessi da richiedere una cauta e documentata interpretazione.
- Andromeda
Il nome della fanciulla, “Andromeda”, come abbiamo detto, in genere è stato tradotto dal greco con Colei che signoreggia gli uomini, altri traducono dal sanscrito La fanciulla incatenata (per essere sacrificata). Questo significato del suo nome ha un riscontro indiretto nel poeta Manilio (I sec a.C.): “Il vincitore di Medusa fu vinto alla vista di Andromeda”, a significare che Andromeda è una “potenza di amore”. Forse la principessa di Etiopia non era una figura femminile passiva e debole, come inizialmente si voleva far credere, quanto piuttosto affine a tutte quelle divinità femminili che l’hanno preceduta (e a lei imparentate), quale espressione del desiderio, specie sessuale. Del resto, le radici mesopotamiche del Mito lo confermerebbero, perché in tempi remoti la Costellazione era dedicata all’egizia dèa dell’Amore e della Guerra, Hathor, che i Babilonesi chiamavano Ishtar, rappresentata come divinità sensuale, adorata in templi lungo le coste dell’attuale Palestina, proprio i luoghi del mancato sacrificio di Andromeda. Queste caratteristiche, in epoca storica passarono ad Afrodite.
- Cefèo
La costellazione di Cefèo è essenzialmente un quadrato sormontato da un triangolo. La figura geometrica che ne deriva rappresenta l’unione tra la trinità e i quattro elementi naturali, e dà luogo al sette, che rappresenta l’uomo e la completezza. Come icona Cefèo è immaginato con un triangolo o un cono sul capo simile alla corona dei re mesopotamici o egizi. Con una mano regge il lembo del mantello e con l’altra lo scettro. È situato fra la Via Lattea e il polo Nord, al quale è così vicino che il suo piede tocca quasi la stella polare. D’altronde, circa ventimila anni fa, il Polo si trovava proprio nella costellazione di Cefèo.
- Cassiopea
Cassiopea, il cui nome significa Colei che splende allo sguardo (o per lo sguardo) ha la forma di una grande W. Nel mito era la vanitosa moglie di Cefèo: e infatti nel cielo le due costellazioni corrispondenti sono vicine, l'unica coppia di coniugi presenti nel firmamento. Cassiopea fu condannata a girare in eterno intorno al polo celeste, costretta in alcuni periodi a farlo a testa in giù e quindi apparire come una M. Come segno iconografico la regina è seduta su un trono, mentre con una mano gioca con i lunghi capelli e con l’altra tiene in mano un ramo di palma. Il significato ideografico cambia a seconda della sua rotazione intorno al Polo: una W, una Σ, una ϟ oppure una M. Sono tutti segni rappresentati nelle scritture dell’area mediorientale.
- Persèo
Persèo è rappresentato nel cielo come un guerriero che porta in testa l’elmo capace di renderlo invisibile, i calzari alati ai piedi, che gli permettevano di volare, e il falcetto affilatissimo datogli da Hermes. Talvolta ha lo scudo-specchio, che gli permise di vedere il mostro Medusa di riflesso senza essere pietrificato dal suo sguardo, e la sacca magica dove posò la testa del mostro. Con una mano impugna l’arma, che spesso si trasforma in una spada, mentre con l’altra afferra la testa della Medusa su cui brilla la stella più diabolica e nefasta del cielo, Al-gol ovvero Medusa.
- Ceto (o Balena)
Ceto (in greco Κήτος, che significa "grande pesce", "balena", "mostro del mare"), è una divinità minore della mitologia greca, figlia di Ponto (il mare) e di Gea (la terra). Ceto è la sorella di Nereo, Taumante, Forco e di altre divinità del mare. Sposò il proprio fratello Forco e gli diede numerosi figli: Echidna, Scilla, le Graie, le Gorgoni (Medusa, Steno ed Euriale), le Esperidi e il drago Ladone, custode dei pomi delle Esperidi. Come indica lo stesso nome (si pensi alla parola cetaceo), Ceto era raffigurata spesso con aspetti "mostruosi" assimilabili a quelli di un pesce enorme o di una balena.
- Pegaso
Ho messo volutamente alla fine la costellazione di Pegaso, il cavallo alato partorito dalla testa mozzata di Medusa cavalcato da Persèo. È una costellazione situata sopra i segni dei Pesci e dell’Acquario e rappresenta soltanto la metà anteriore di un cavallo, ma nonostante questa “mutilazione” è la settima costellazione per dimensioni. Una delle sue caratteristiche è il suo mezzo corpo, detto il Quadrato di Pegaso (già conosciuto dall’astronomia babilonese come “il Campo”, raffigurato nel “sigillo di Adda”[2], mentre la “testa di Pegaso” era già identificata tra il 4000 e il 2200 a.C.[3]), in realtà un trapezio formato da quattro stelle luminose.

Corrispondenze tra le costellazioni e il mito
Se si esaminano i rapporti tra il mito di Andromeda e le costellazioni come espressione di un mito cosmogonico si possono trovare numerosi elementi di interesse ai quali qui possiamo solo accennare.
Occorre notare per primo che i personaggi del mito sono tutti riuniti in un settore del cielo situato in prossimità della fascia zodiacale in corrispondenza del segno dei Pesci: Andromeda si trova fra Persèo e Pegaso mentre ai suoi piedi si trovano Cassiopea e Cefèo.
Ad accentuare il particolare significato di Andromeda vi è il rapporto tra la sua costellazione e quella di Pegaso, avendo esse in comune una stella, Sirrah o Al-pheraz, che segnava contemporaneamente sia l’ombelico del cavallo (questo è il significato di Sirrah in arabo) sia la testa di Andromeda, sottolineando l’intima unione tra le due costellazioni.
Le quattro stelle che compongono Pegaso costituiscono un quadrato che nell’astronomia babilonese era chiamato “il Campo” (ASH-IKU) e in un testo sui riti del Capodanno babilonese “Stella-iku, immagine del Cielo e della Terra”[4]: il 1-iku era l’unità di misura fondamentale di superficie agraria (equivalente a circa 3600 m²) ma questo termine denominava quindi anche il quadrato del Pegaso, era l’unità di misura sumera, quella con la quale Utnapishtim (il Noè dei Sumeri) costruì l’Arca del Diluvio in forma di cubo[5], proiezione tridimensionale del quadrato.
Come il 1-iku del Quadrato di Pegaso è la proiezione in terra della perfezione celeste, così nel mito greco il cavallo alato, nato dalla materia infera della testa di Medusa, con un calcio genera la fonte Ippocrene, la fonte a cui bevono le Muse, ovvero dà l’alimento necessario perché possano esistere le arti e le attività dello spirito dell’uomo che le Muse rappresentano.
Pegaso raffigura quindi ciò che contiene la trasmutazione della materia e dal suo ombelico si genera Andromeda, il cui nome può essere tradotto come “fanciulla incatenata”: infatti essa è raffigurata come una fanciulla in catene nelle antiche mappe celesti[6] e potrebbe anche essere vista come la materia che per mezzo dell’azione dell’Eroe viene trasformata in forza generatrice nei loro figli simboli di potere (Tindaro) e di bellezza (Elena).

La scelta di porre le costellazioni del mito di Andromeda in corrispondenza dei Pesci e in contrapposizione con la Vergine a nostro avviso non fu del tutto casuale: la coppia costituita da Cassiopea, la Madre, e Andromeda, la Figlia, le identifica con la coppia Demetra-Persefone; ed infatti nel mondo latino come anche in quello greco Andromeda era spesso identificata con Persefone, quindi le collega al ciclo della morte e rinascita della natura che ha inizio nel Solstizio d’Inverno (nel segno dei Pesci, a causa della precessione degli Equinozi, cadeva il Solstizio d’Inverno tra il 4.400 e il 2.200 a.C., cioè al tempo dei Sumeri) mentre al capo opposto del circolo zodiacale la Vergine, che come dice il suo nome non ha figli cioè non “produce”, dà inizio alla morte del Sole e quindi della natura nel periodo estivo-autunnale.
Alla sterilità della Vergine corrisponde al capo opposto dello Zodiaco la fertilità di Cassiopea e Andromeda.
Il mito sotteso alla costellazione di Andromeda racconta il mistero della nascita della vita: non della creazione della vita ma l’inizio della vita consapevole, cosciente, e della quale l’uomo è il punto di arrivo e di partenza. È ciò che ha inteso rappresentare Michelangelo nella creazione dell’uomo nella volta della Cappella Sistina rappresentando Dio dentro l’emisfero destro del cervello, raffigurato con i contorni del suo manto[7]: Dio, con un tocco del suo indice che si unisce con l’indice di Adamo rende cosciente l’animale uomo e l’Adamah diventa l’Adam.
La materia, Andromeda incatenata alla roccia e poi liberata da Persèo, si affranca dalla necessità del divenire (l’essere divorata dal mostro marino) attraverso una palingenesi, una nuova nascita, che la porta alla realizzazione del suo essere nel mito (Andromeda da potenza di essere si realizza – secondo il pensiero antico - generando i figli con l’unione a Perseo, e le due costellazioni nel cielo sono poste l’una al fianco dell’altro).
Conclusione
Concludo con queste parole di Joseph Campbell:
“Ma… gli dei sono oggi tutti morti. I legami con la tradizione sono stati sciolti. La struttura di sogno del mito è svanita: la mente dell’uomo moderno sembra aprirsi ad altri interessi. Crediamo di emergere dall’ignoranza antica come il sole esce dal grembo della madre notte. Gli dèi non possono più sottrarsi alla lente del telescopio e del microscopio. L’unità sociale non ha più un contenuto religioso ma è un’organizzazione politico-economica. Gli ideali non sono più quelli di rendere visibili sulla terra le forme del cielo, bensì quelli dello Stato secolare che lotta disperatamente per la supremazia materiale. La società del progresso tecnologicamente avanzata nulla ha più dell’antica eredità umana del rito, della moralità e dell’arte. Nessuno sa più verso quale direzione ci si muove e perché ci muoviamo. Si è spezzata la linea di comunicazione tra conscio e inconscio e siamo divisi in tanti frammenti scomposti. La coscienza non sa più inventare, non sa predire, non sa ricordare, non riconosce più il linguaggio segreto dei simboli ed ha dimenticato i miti, creando modelli di imitazione. Forse ci sarà ancora qualcuno – chissà dove o quando – che cerca di ricordare che l’uomo era stato collocato nel giardino dell’Eden per “coltivarlo”, cioè per fare della sua vita un culto spirituale. Qualcuno forse crede ancora che sia necessario un movimento di conversione, affinché l’uomo ritrovi la sua vera natura che è di essere preghiera, per ridiventare l’uomo nuovo, uscito dalle mani del Creatore, per ritrovare la sua primitiva vocazione di sacerdote della creazione universale, e non quella di padrone”.
Note Parte II
[1] Eliade, Trattato di storia delle religioni, p. 65.
[2] Il sigillo di Adda, risalente a circa il 2300 a. C., prende il nome dallo scriba che ne era il proprietario e raffigura alcune divinità con i simboli ad esse connessi: un dio cacciatore con un leone, una dèa alata su di un monte con le sue armi dietro le spalle e accompagnata da un albero con quattro fiori o frutti disposti a trapezio, una divinità maschile emergente dalla terra e una seconda divinità dalle cui spalle fuoriescono due fiumi con accanto un’aquila e sotto un toro. Queste immagini sono considerate le prime raffigurazioni di costellazioni: Leone, Sagittario, Quadrato di Pegaso, Acquario, Toro (A. Galegati, La nascita delle costellazioni antiche, sul sito del Planetario di Ravenna http://planet.racine.ra.it/testi/costel.htm).
[3] Galegati, La nascita delle costellazioni antiche.
[4] “Tavoletta del Capodanno babilonese” K3476.
[5] A. Cattabiani, Planetario, Mondadori, Milano 1999, p. 283. Questa era anche l’unità di misura della pianta del tempio del dio Marduk in Babilonia e l’unità di misura per la costruzione del tempio ebraico a Gerusalemme.
[6] Si veda ad esempio il planetario disegnato dal Dürer nel 1515.
[7] Questa interpretazione, derivante dalla fisiologia della Kabbalah, viene analizzata in B. BLECH e R. DOLINER, The Sistine secrets (trad. italiana I segreti della Sistina, Mondadori, Milano 2008).