Pro aris et focis - parte II (di Paolo Galiano)

Il pasto sacro come rito di unione tra uomini e Dèi

PRO ARIS ET FOCIS IL PASTO: RITO DI UNIONE TRA UOMINI E DÈI Paolo Galiano PARTE II

LE PARTI DEL RITO

L’esecuzione del rito avveniva secondo una prassi che possiamo ricostruire per mezzo degli scritti degli autori romani, non essendoci giunto un vero e proprio “manuale del sacrificatore”. Possiamo distinguere le seguenti fasi: - Praeparatio Nel sacrificio pubblico il sacrificante può essere uno dei flamines o un sacerdote del Dio, in alcuni casi di sesso femminile (come nel sacrificio a Juno Covella eseguito alle Kalendae e offerto sia dal Pontifex minor che dalla moglie del rex e in epoca più tarda dalla moglie del Rex Sacrorum ); prima del rito deve eseguire una lustratio, un bagno rituale di purificazione . Può essere coadiuvato da assistenti che lo aiutano ad eseguire le operazioni in modo corretto , specie se si tratta di un magistrato o di un privato, che in tal caso sono assistiti da un sacerdote che suggerisce le formule e le azioni da eseguire. - Praefatio Invocato il silenzio con la formula “Favete linguis” (“Fate silenzio”) il rito, con l’accompagnamento del suono dei flauti dei tibicines per coprire ogni rumore estraneo e per evocare il “ritmo” dell’azione, inizia con un’invocazione alla divinità a cui si offre il sacrificio. Alcuni esempi che ci sono stati trasmessi concernono Giano , o Giano, Giove e Giunone o Vesta . L’invito al Dio o alla Dèa viene accompagnato dal sacrificio sul foculus di incenso e di vino, due sostanze confacenti alla sacralità della divinità in quanto ambedue sono il nutrimento degli Dèi, che devono essere alimentati dal profumo dell’incenso e dal potere del vino, sostituto del sangue (il quale costituisce il liquido sacrificale per eccellenza in quanto contenente l’essenza vitale ). “Secondo Teofrasto (IV-III sec. a.C.) l’unione di vino e incenso produce un effluvio persino più soave dell’incenso da solo e le virtù di questo miscuglio ne risultano accresciute” . Interessante osservare anche nell’utilizzo del vino la differenza esistente tra Romani e Greci: mentre questi ultimi avevano fatto del vino il centro del simposio “laico”, in quanto mezzo per giungere ad una condizione estatica di conoscenza del divino (si pensi alle cerimonie di Dioniso) ma anche per porsi nelle condizioni adatte all’apprezzamento di una poesia o allo scatenamento dell’eros, per i Romani al di fuori dell’atto sacro del rito sacrificale il vino era solo una bevanda come altre, alla quale non era connesso alcun particolare significato. Scrive Galasso : “ Diverso il discorso a Roma, qui non troviamo una cultura del simposio. La civiltà romana non possiede una tradizione dell'invasamento religioso, erotico, profetico o poetico che sia, e di conseguenza non dispone di nessun luogo in grado di accogliere il ‘dionisismo’ dei banchetti greci… Roma differisce dalla Grecia prima di tutto per il fatto che non costruisce nessuna forma di sacralità a partire dal bere insieme. Il banchetto romano è più affine a quello di epoca omerica, similitudine avvalorata dal fatto che il termine latino coena in Omero è daìs che ci rimanda, nuovamente, alla divisione delle carni sacrificali”. - Praecatio Dopo i preliminari il sacrificante lava le mani in un vaso disposto al suo fianco o portato da un assistente e poi parla al Dio toccando con le mani lustrate l’altare e invoca il Dio o la Dèa a cui il rito è dedicato, dichiarando il motivo del sacrificio, le offerte che saranno sacrificate e cosa si desidera ricevere in cambio dal rito FIG. 1.

Presentazione delle offerte (Tempio di Vespasiano a Pompei)
FIG.1 - Presentazione delle offerte (Tempio di Vespasiano a Pompei)

Poiché l’atto viene dichiaratamente compiuto in nome del popolo di Roma o di una sua familia o di un singolo cittadino dell’Urbe viene in questo modo affermata la “romanità” dell’offerta e dell’offerente. - Immolatio Quando l’offerta è di una creatura vivente è prima necessario scegliere con cura l’animale, che abbia, come si è detto, le caratteristiche adatte e sia consono al Dio o alla Dèa a cui va sacrificato: così per esempio la triplice offerta di un toro, di un ovino e di un suino (suovetaurilia) spettava a Marte FIG. 2 e FIG. 3. Quando viene portata verso l’altare deve dimostrare di essere consenziente al sacrificio procedendo spontaneamente, perché se dà invece segni di nervosismo si ha un omen avverso.

FIG. 2 – Il suovetaurilia da un rilievo dell’Ara Pacis di Augusto.
FIG. 2 – Il suovetaurilia da un rilievo dell’Ara Pacis di Augusto.

La vittima viene prima consacrata con il vino e con la mola salsa FIG. 4, da cui l’origine della parola immolatio ovvero “coperto dalla mola”, e poi il sacrificante passa il coltello di piatto sulla schiena dell’animale dalla testa alla coda consacrando così l’animale agli Dèi. Servio afferma che sia la mola salsa che il passaggio con il coltello sono segno della probatio dell’animale , che sarà confermata dalla litatio, cioè dalla verifica della congruità dell’offerta quando si esaminano le viscere della vittima dopo l’uccisione. L’utilizzo di farro e di sale consacrati nel tempio di Vesta a nostro avviso stabilisce la “romanità” della vittima, come nella precatio si afferma quella dell’offerente. Il vino versato sul capo dell’animale lo consacra agli Dèi e lo trasferisce nella sfera del divino: ora l’animale è sacer, non più appartenente al mondo degli uomini ma proprietà della divinità a cui è offerto, e il gesto del coltello passato sopra la bestia testimonia la separazione di essa dal piano terreno a quello celeste. Compiuta l’uccisione da parte dell’addetto (il victimarius), il corpo viene girato sul dorso e il ventre aperto per consultare le interiora e sapere se la vittima è perfetta anche “dentro” ed è quindi accettabile o meno dalla Divinità (litatio) FIG. 5, rito che diviene extispicium quando sia richiesto specificatamente un presagio. Se non vi sono difetti (in tal caso va offerta una vittima sostitutiva, la victima succidanea) vengono estratti gli exta (termine che gli antichi spiegavano come parti “eccelse” o “tagliate via”, exsecta ), che sono sacre perché considerate sede della vita, cioè il fegato con la colecisti, il cuore, i polmoni e gli organi peritoneali. - Redditio Essendo parti privilegiate, gli exta sono cosparsi di vino e mola salsa (questa volta supponiamo non per una probatio, che è già stata eseguita, ma in quanto riconoscimento della loro condizione di sacertà) e dopo bollitura (exta aulicocta, “cotti nell’olla”) unitamente con i femori, parti di grasso e pezzi di carne scelta da varie parti del corpo (questa offerta questi costituisce gli augmenta o magmenta) sono arsi sull’altare, alimentando il Dio mediante la forma immateriale del fumo del sacrificio (nel caso di Vulcano o di una divinità infera le bestie o le offerte vegetali vengono completamente arse sul fuoco, holocaustum).

Il suovetaurilia da un rilievo della Colonna Traiana.
FIG.3 - Il suovetaurilia da un rilievo della Colonna Traiana.

Il fuoco dell’altare “non solo segna la via che congiunge la terra e il cielo portando i fumi odorosi del sacrificio, ma completa anche la ripartizione che attraverso la cottura distingue ciò che spetta agli uomini da ciò che, interamente consumato dalle fiamme, spetta agli Dèi” . Dopo l’arsione degli exta in alcuni riti si offrono al Dio libamina o liba, cioè focacce o altri alimenti (vino, granaglie in forma di pani, focacce e dolci di varia composizione, in particolare strues e ferctum , ecc.; nel caso della Dèa Dia offae, polpette fatte di latte, farina e pezzi del fegato degli exta ). Un’importante differenza del rito romano rispetto a quello greco è che in quest’ultimo gli exta non venivano arsi ma cotti su di uno spiedo e consumati dai partecipanti, il che per un Romano avrebbe costituito un grave sacrilegio, come dimostra una delle tradizioni sulla fondazione di Roma, secondo cui Remo con i suoi Luperci Fabii mangiò gli exta offerti a Fauno attirando su di sé l’ira divina . - Profanatio ed Epulum Il resto delle carni (viscera, cioè “ciò che si trova tra la pelle e le ossa”, come spiega Servio), considerate come parte lasciata dalla divinità agli uomini, può essere consumato da essi nella loro qualità di ospiti del Dio. Prima il sacrificante profana ciò che è avanzato toccandolo (Iovi caste profanato sua contagione ), dopo di che si può iniziare a mangiare in un banchetto conviviale a cui a volte il Dio o gli Dèi assistono nella forma delle loro statue o di oggetti simbolici equivalenti posati su triclini (lectisternium) o su scranni (sellisternium).

Scena di immolatio: il sacrificante col capo coperto versa la mola salsa sulla testa dell’animale.
FIG.4 – Scena di immolatio: il sacrificante col capo coperto versa la mola salsa sulla testa dell’animale.

La fase finale del sacrificio, il banchetto (epulum), aveva significati diversi su più livelli: si stabilivano le gerarchie sociali attraverso la distinzione tra chi poteva prendere parte all’epulum (i participes) e che ne era escluso (gli expertes ) e l’ulteriore distinzione tra i personaggi eccellenti (i principes, primi capientes, a cui spettava la razione più grande) e quelli di rango inferiore. Ciò che è più importante è quale fosse l’oggetto di questo pasto: non una carne qualunque, comprata in macelleria e cotta sul focolare di casa, ma la carne di un animale romano offerta sull’altare da Romani a una divinità romana con un’azione rituale codificata dal mos maiorum, offerta di cui la divinità generosamente rendeva partecipi i presenti al sacrificio donando loro una parte di quella carne che non apparteneva più al mondo degli uomini ma era divenuta in qualche modo “divina”. In tal modo Dèi e uomini si riuniscono “nella solennità e nella gioia del banchetto [e si] evoca il ricordo dell'antico regime conviviale quando uomini e Dèi, mescolati tra loro, godevano di convivi senza fine” .

 

 

 

 

La litatio: il ventre dell’animale sacrificato viene aperto per osservare la congruità delle viscere (lastra del Tempio di Giove Capitolino, ora al Louvre).
FIG.5 – La litatio: il ventre dell’animale sacrificato viene aperto per osservare la congruità delle viscere (lastra del Tempio di Giove Capitolino, ora al Louvre).

 

  

Articoli simili

Image

Newsletter

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere sempre aggiornato sulle novità della Fondazione!

Mappa