Arcana Naturae (di M.Giannitrapani)

 

V. Gli "ominini" più arcaici del Pliocene: gli Australopitechi.

“Mille sentieri vi sono non ancor percorsi;
mille salvezze e isole nascoste della vita.
Inesaurito e non scoperto è ancor sempre
l’uomo e la terra dell’uomo
. (Zarathustra, Della virtù che dona)                                         

A partire da 4 milioni d'anni, per alcuni, i dati sembrano quindi un po’ più precisarsi: si ritiene infatti che tre specie del genere Australopithecus "rivaleggiano" per antichità: A.anamensis (4,2-3,9 milioni), A.afarensis (4,1-3 milioni) e A.bahrelghazali (4-3,5 milioni).

Il primo, A. anamensis (da anam = lago, in lingua turkana), presenta tratti "primitivi", come la sinfisi mandibolare che ha la stessa forma ad U dello scimpanzè - ossia con i due rami ravvicinati e paralleli anziché allargarsi posteriormente come in altri ominidi successivi - e i denti con smalto più spesso per cibi probabilmente più coriacei, nonchè il meato uditivo esterno (canale auricolare) ridotto; manifesta invece tratti più "evoluti" nella tibia, molto simile a quella umana, in cui l'estremità superiore è allargata per una più alta quantità di tessuto osseo spugnoso, atto ad assorbire appunto le sollecitazioni tipiche di un'andatura bipede. A.anamensis quindi - per Meave Leakey 24), presunto antenato di A.afarensis, cui è molto simile "dal collo in giù" - dopo una meticolosa collazione ossea (Kanapoi, Allia Bay, Turkwel) trentennale, è diveunto una vera e propria "mistura di caratteri"; alcuni assolutamente originali, altri condivisi con lo scimpanzè, come per esempio la testa.

Il secondo ominide invece, è stato identificato in base ai resti più noti provenienti dai siti di Hadar, Middle Awash/Aramis, Omo, West Turkana, Koobi Fora, Lothagam e Laetoli. A.afarensis si distingue infatti per una cresta sagittale (escrescenza ossea mediana del cranio), un peso tra i 25-50 kg., i canini con corona bassa e non più proiettati in avanti come nelle scimmie, nonché per i molari con smalto spesso, idonei per triturare frutti, semi, baccelli, radici e tuberi. A.afarensis ha una scatola cranica di 400 cc (AL 444-2, Hadar) ed è caratterizzato da una forte differenza di statura (femmine, h. 110 cm., maschi, h. 150 cm.) e da grande variabilità morfologica "interspecifica." Nonostante risulti essere la specie "meglio studiata" di tutti gli australopitechi, tra cui AL 288-1, più celebre come "Lucy" 25), presenta tuttora profonde controversie.

Non si capisce ancora infatti se i reperti di quest'ominide debbano essere ascritti a più specie o ad una sola, come per lo studioso Walker appunto. C'è chi ritiene plausibile, come per il successivo Australopithecus boisei, l'ipotesi di un polimorfismo della specie. Il dibattito che ha più logorato tuttavia gli specialisti su A.afarensis, è la sua propensione, da sicuro bipede, anche alla presunta arrampicata arboricola: ossia dovrebbe avere determinate strutture articolari tipiche anche per quest'altro tipo di locomozione occasionale da folta boscaglia; per alcuni, una semplice permanenza evolutiva…, un ovvio retaggio di antenati arboricoli.

Quindi A.afarensis aveva braccia lunghe, gambe corte e mani con forte presa. Il terzo ominide, A.bahrelghazali (= fiume delle gazzelle), diversamente, è riconducibile ad una mandibola, proveniente dal Ciad (KT 12), con 7 denti molto robusti, tra cui alcuni premolari che hanno tre radici invece di due; è stato ritenuto un ritrovamento decisivo che dimostra la presenza di ominidi molto antichi a ovest della Rift Valley, in Africa centrale. In virtù di questa nuova evidenza fossile è venuta meno infatti anche la ben nota e consolidata teoria del paleoantropologo Y. Coppens 26), per il quale la formazione geologica della Rift Valley aveva determinato appunto un presunto isolamento degli antenati ominidi, sul lato orientale, dagli antenati delle scimmie antropomorfe, sul lato occidentale.

Ancor da classificare poi, i resti scheletrici di un altro ominide (4-3,8 milioni d'anni) da poco scoperti nel sito di Mille in Etiopia, dai paleontologi Hailè Selassiè e Latimer; in particolare sono sia la tibia che un osso della caviglia ad indicare la locomozione eretta. A questo punto il cranio di Kenyanthropus platyops (= "faccia piatta") identificato a Lomekwi in Kenia (3,5 milioni d'anni), dovrebbe rappresentare un'interessante ed elegante scappatoia al problema di quando "realmente" cominciò la presunta divergenza tra il "genere" Australopiteco ed il "genere" Homo. Il nuovo "genere" K. platyops infatti possiede una struttura facciale priva di prognatismo, detta “ortognata”, ossia un viso né proiettato in avanti né flesso all'indietro 27). La capacità cranica di quest'ominide, sebbene sia ancora troppo piccola per poter esser accostata a quella di Homo, richiama fortemente, per Meave Leakey, quella del ben noto cranio KNM ER 1470, di Homo rudolfensis (1,9 milioni d'anni), che dovrebbe rappresentare appunto la prova fossile della nostra non più diretta discendenza dal genere Australopithecus. Tuttavia, può esser stato anche probabile, per gli studiosi, che Kenyantropus (né australopiteco o parantropo, né homo), non abbia necessariamente dato esito a discendenza. Australopithecus africanus (3,5-2,3 milioni d'anni), caratteristico del Sudafrica (il cranio di Taung e Sts 5, Sterkfontein), fin dai tempi della sua scoperta - come tuttora per P. Tobias - era considerato essere un sicuro precursore dell'uomo. Quest'ominide infatti, che si nutriva di frutti e foglie, con un volume cerebrale di 405-415 cc ed un'altezza tra i 140 e 115 cm. per i due sessi, per alcuni studiosi, era stato sicuramente "più bipede" di A.afarensis. Di recente, proprio la scoperta di un intero scheletro (StW 573) nella grotta di Silberberg in Sudafrica (3,5 milioni d'anni), è stata particolarmente sensazionale non solo per la retrodatazione di 700 mila anni di A.africanus, ma anche per l'anatomia del piede e della caviglia, dette appunto "metà umane metà antropomorfe". Queste ossa infatti sembrano, per il paleoantropologo R. Clarke 28), conformate per una perfetta andatura bipede, con l'alluce divaricato idoneo per l'arrampicata sugli alberi. E' stata così rilanciata la South Side Story, ossia una sorta di "progenitura", per il paleoantropologo Berger, di A.africanus sugli ominidi successivi; ossia dopo uno studio specifico dell'articolazione del ginocchio, più primitivo di A.afarensis, lo studioso ha sostenuto un'eventuale "doppia origine" indipendente del bipedismo. Australopithecus Aethiopicus (2,8-2,5 milioni d'anni) invece, per taluni scienziati forse un precursore delle forme "robuste" dei parantropi, è una forma nota per lo più dal cranio (KNM-WT 17.000, West Turkana) del Kenya settentrionale; definito il "vegetariano d'oriente" per la sua dieta, circa 410 cc di volume cerebrale, con spiccata cresta sagittale, è noto anche per la forma a V della mandibola di Sahungura in Etiopia. Australopithecus robustus (2,6-1,4 milioni d'anni), simile ad A.boisei, sui 50 kg., di altezza 1,50 m, è diversamente noto per lo più dai resti sudafricani provenienti da Drimolen, Kromdraai e Swartkrans; quest'ominide si nutriva appunto, come il "predecessore," di tuberi, radici, bulbi e semi, grazie soprattutto ai potenti muscoli masticatori ed ai grandi denti molari (SK 6, Swartkrans).

Australopithecus garhi (= "sorpresa," in lingua afar) infine, una nuova "sorprendente scimmia australe" da poco ritrovata in Etiopia (2,5 milioni d'anni), misura appena 450 cc cerebrali e potrebbe essere stato il primo degli australopiteci ad aver fatto uso di strumenti in pietra e ad essersi nutrito di carne; quindi, per alcuni studiosi, il primo che volontariamente modificò materie prime. Distante da A.africanus ed A.aethiopicus per l'anatomia del cranio, vicino ad A.afarensis per la robustezza dei denti, per T. White A.ghari è il giusto e diretto antenato di Homo che, guarda caso, viene proprio a sopperire in quel "passaggio" da Australopithecus ad Homo così "provocatoriamente" poco documentato.

L'Australopithecus boisei (2,3-1,4 milioni d'anni) inoltre, dotato di cresta sagittale con zigomi massicci, è divenuto celebre per il suo possente e specializzato apparato masticatorio, dotato di quei molari enormi (quattro volte più grandi dei nostri) con smalto spesso, per i quali è stato definito un "rosicchiatore di noci" ed un consumatore di vegetali fibrosi e coriacei. Le molteplici scoperte hanno tuttavia complicato e rafforzato l'ipotesi di un "polimorfismo della specie", ossia di una variabilità dei caratteri scheletrici, cranici in particolare, in funzione dell'origine geografica: il suo volume cerebrale oscilla infatti tra i 500 ed i 550 cc. Tale variabilità, relativa al tracciato delle suture temporali, alla presenza-assenza di cresta sagittale sulla sommità del cranio (KNM ER 406, Koobi Fora) o di creste alla giunzione temporo-nucale, sono, per alcuni studiosi, indizi di tassonomie e quindi di «specie» diverse, per altri, espressione invece di un marcato dimorfismo sessuale; anche qui non uno, ma più dilemmi…

Ad ogni modo, in queste forme "robuste", risultano caratteristici sia una costrizione marcata nella regione retrorbitale, sia il profilo concavo della faccia, dovuto alla proiezione delle ossa zigomatiche davanti all'apertura nasale.

L'alimentazione stessa, diversamente da quella delle più arcaiche forme "gracili" - sebbene tale distinzione in forme gracili e robuste sia stata da poco abbandonata - era essenzialmente fatta di cibi duri e abrasivi, come risultato dall'esame delle strie di usura dei denti; per lo più quindi noci, grani e radici, attraverso una masticazione lunga e ripetitiva.

Come già accennato quindi, mentre in passato si riteneva probabile, sulla base di caratteristiche cranio-dentali comuni, l'origine monofiletica (discendenza da uno stesso antenato comune) delle tre specie A. robustus, A. aethiopicus e A. boisei, definite appunto Paranthropus, recenti analisi cladistiche (dal greco klados = ramo: ossia studio del cladogramma, albero senza antenati) di McCollum, hanno scoperto diversamente che i "caratteri condivisi non sono indipendenti ma appartengono ad un unico modellamento naso-mascellare determinato dalle grandi dimensioni dei denti".

Un nuovo dubbio pertanto, sulla tesi "classica" dell'origine comune delle tre specie: A.aethiopicus infatti, la più arcaica delle tre forme, sarebbe una linea indipendente. Questa sintesi "radiografica" degli australopitechi 29), solo apparentemente esaustiva, non deve indurci però a dimenticare che le diverse "specie" considerate, possono tuttora rappresentare una "stima minima"; fa notare infatti I. Tattersall che "non solo la documentazione fossile nota è piena di indicazioni morfologiche di diversità in gran parte sottovalutate," ma, cosa ancor più siginificativa, "sarebbe avventato sostenere che di ogni specie di ominidi esistita si possiedano testimonianze fossili" 30).

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