II. Alle origini: una "paleo-scimmia" in tutti noi ?
Tutto l’animale è nell’uomo,
ma non tutto l’uomo è
nell’animale (Lao Tze)
Le scimmie antropomorfe viventi, già note come le scimmie più simili all'uomo, sono state suddivise, per convenzione scientifica, in "superiori" ed "inferiori". Mentre queste ultime, - tipo il gibbone e il siamango - hanno come peculiarità la brachiazione, si dondolano, ossia praticano lo spostamento aereo per mezzo dei lunghi arti superiori, le prime - come l'orango asiatico, gli scimpanzè e i gorilla africani - non sono dei veri brachiatori, sebbene abbiano anch'essi arti superiori relativamente lunghi. Difatti scimpanzè e gorilla, come noto, sono «quadrumani», svolgono una vita prevalentemente terrestre, mentre l'orango, arboricola. Tutte queste grandi scimmie però, occasionalmente, sono anche bipedi, ossia utilizzano sia il margine esterno delle mani, sia le nocche - knuckle-walking - come supporto per la deambulazione.
L'assenza di una coda esterna, la presenza di arti altamente flessibili, la maggior capienza del volume cerebrale rispetto a quella di tutti gli altri primati e l'uso intenzionale di strumenti, sono, per gli studiosi, alcuni di quei tratti fondamentali che accomunano all'uomo appunto le scimmie antropomorfe viventi ed estinte, nella grande "superfamiglia" degli "ominoidi/ominoidei". Questo termine quindi, comprende tutte le scimmie antropomorfe, compresi gibboni e siamanghi, nonché l'uomo ed ovviamente i suoi antenati fossili.
Il termine "ominidi" dunque, più specifico, in passato riguardava una "famiglia" tradizionalmente riservata all'uomo ed ai suoi progenitori fossili ritenuti "protoumani" 11). Diversamente, oggi, in questa suddivisione si tende sempre più ad includere anche parte delle grandi scimmie antropomorfe. Per molti studiosi infatti, attualmente, sia il gorilla che lo scimpanzè sono a tutti gli effetti da includere nella famiglia degli "ominidi". Il nuovo termine "ominini" invece, di più recente uso, indicherebbe pertanto una "sottofamiglia" che dovrebbe riferirsi alla "linea di discendenza umana in senso stretto", ossia il solo "genere" Homo 12). Pertanto, proprio perché una presunta chiarezza sul livello tassonomico del clade umano non è mai stata raggiunta, il lettore, a questo punto, non ce ne voglia se non tralasciamo di far presente che di recente, altri studiosi, si sono spinti addirittura oltre questo dibattito, fino a considerare le scimmie antropomorfe africane parte appunto del nostro stesso «genere» Homo…
La sovrana confusione che regna quindi circa il modo di classificare la linea umana, ha da poco indotto la comunità scientifica mondiale dei paleoantropologi a tentar di rivedere quindi l’ardua impresa di classificazione dell'umanità...
A tal uopo, ci sembra opportuno non dimenticare alcune preziose parole di Messeri, 13) già docente di Paleontologia umana a Firenze, in merito al "primo ed imperdonabile errore degli antropologi fisici nell'interpretare l'aspetto naturalistico dell'uomo": ossia "quello di studiarlo con deliberato proposito alla stregua degli altri animali, trascurando il fatto determinante che l'uomo è un animale particolarissimo ed eterogeneo fra gli altri che implica una quantità di problemi specifici e collaterali che bisogna affrontare […]", così dimenticando che i soli "resti fossili fisici […] non portano che un aiuto ben misero alla conoscenza".