Dalla matematica babilonese alla Congettura di Beal, passando da Pitagora, Euclide, Diofanto, Fibonacci e soprattutto Fermat.
Introduzione
Proverò ad introdurre un lungo articolo di matematica per il pubblico di Simmetria, attraverso una serie di concatenazioni storiche che ci portano dalla matematica babilonese a quella dei pitagorici, a Euclide, a Diofanto, a Fibonacci, a Fermat ed infine a Beal. Beal è un ricco americano che chiede di risolvere questa congettura:
\[y^n\neq x^w+z^j, (n,j,w \neq 1,2)\]
che potrete facilmente notare richiama una congettura molto ben nota: l’ultimo Teorema di Fermat: \[y^{n}\neq z^{n}+x^{n}, \left (n,\neq 1,2 \right)\] risolto dopo circa quattro secoli da Wiles con l’uso di una matematica molto moderna e per pochi; matematica a cui Fermat non poteva certo avere accesso, per cui secondo la gran maggioranza dei matematici contemporanei: Fermat aveva avuto una grossa intuizione, ma non poteva sicuramente dimostrare la sua congettura. In questo articolo cercheremo di comprendere l’arte matematica del giudice francese, partendo da quello che nella sua prima osservazione chiama Porisma di Bachet (A) (Bachet era uomo coltissimo in vari settori ed aveva tradotto Diofanto in Francia all’inizio del diciassettesimo secolo); ma gli stessi storici della matematica (Neugebauer per primo) trovano le sue radici (A) nella matematica babilonese, cioè almeno 2.000 anni prima che Diofanto lo presentasse, e ci dicono che nel mondo ellenico in quel periodo molti erano gli scambi anche culturali con la Mesopotamia. Cosa certamente vera, però poi scopriamo che già Euclide aveva definito quello che Fermat poi chiamerà Porisma di Bachet, in una zona degli Elementi legata ai numeri e alle arti pitagoriche (Fibonacci poi ne prese vari spunti). Quindi arriviamo a Pitagora che Giamblico ci racconta che dopo oltre vent’anni di scuole iniziatiche sacerdotali in Egitto (non prive certo di matematica) passò un periodo di circa un anno o due a Babilonia e ne apprese varie arti. Quindi una possibile ipotesi storica è che questa conoscenza sia giunta prima di Diofanto nel bacino del Mediterraneo ed inglobata nell’arte matematica dei pitagorici, che sappiamo erano più interessati al numero che alla geometria, in quanto il numero più sacro da cui tutto discende. D’altronde la stessa parola geo-metria (lasciamo per un attimo da parte la geometria sacra), ci fa intendere che stiamo su un piano inferiore, rispetto al piano dell’iperuranio platonico.
Se leggiamo in quest’ottica la nota affermazione di Plutarco rispetto al sacrificio che Pitagora fece, o per il Teorema di Pitagora (teorema degli sposi) o per l’applicazione delle aeree (“più degna del favore delle Muse”), ci sorge una domanda: perché le Muse avrebbero gradito più l’applicazione delle aeree? Secondo noi già ai tempi di Plutarco poteva essere difficile rispondere, poiché l’applicazione delle aeree che già da secoli si poteva conoscere era quella di Euclide. L’autore degli Elementi poteva giustamente essere preoccupato che la sua geometria non presentasse inconvenienti, ancora oggi l’applicazione delle aeree è quella di Euclide. Però oggi abbiamo tante documentazioni e studi sulla matematica babilonese che ci possono far riflettere sul fatto che l’apparente aritmogeometria sumera e mesopotamica in genere avesse più una valenza algebrica che geometrica (anche se allora non esistevano né l’algebra né la geometria), successivamente Diofanto andò ad occupare quel settore, facendo a meno di immagini aritmogeometriche, creando i primordi occidentali dell’algebra degli arabi, ma non è detto che non fosse un settore noto dapprima ai pitagorici, settore che, precedentemente a Diofanto, Euclide non sviluppò perché, vedremo, può creare confusione in senso geometrico,in quanto può trattare le aeree, come aree numeriche e non figure piane (secondo alcuni autori era segreto perché sacro, ma è solo una delle possibili ipotesi).
D'altronde Euclide che fu allievo di Platone, come Aristotele, pur abbracciando ad es. i solidi platonici, allo stesso tempo sembra più interessato alla logica aristotelica ed alla misura delle cose (Aristotele allontanandosi dal mondo delle idee di Platone ci porta ad indagare la realtà che ci circonda: perdono forza i numeri di qualità e ne acquistano quelli di quantità). Tornando alla frase di Plutarco una possibile spiegazione è che il racconto a lui pervenuto parlasse della applicazione delle aeree più in senso, oggi diremmo, algebrico, cioè dei numeri in se, ed in quanto tali sacri, e quindi più graditi alle Muse. E forse il sacrificio era per l’uno e per l’altro. La stessa parola Teorema, coniata dal Pitagora anche sacerdote, ci porta alla contemplazione, di cosa? Della forma in relazione agli archetipi che l’hanno creata theo-rema. In questo senso Pitagora aveva trovato una strada per connettere il mondo materiale che ci circonda ed in cui siamo immersi, con il piano celeste dove potevamo cogliere gli archetipi, in questo senso la geometria si fa sacra. Proprio per questo la matematica era così importante nella scuola pitagorica, perché era anche un’arte per un elevazione spirituale al fine dell’homoiosis, una sorta di scienza pontifex . Vedremo che questa antica arte ci permette di lavorare con le terne e con le potenze in maniera così antica che per noi oggi è completamente nuova. Allo stesso tempo, pur non essendo neanche io un matematico, vi invito a provare a leggere un articolo certo meno discorsivo di questa introduzione, ricco di lettere, figure, numeri e formulette varie, cercherò comunque di alleggerire e sintetizzare l’articolo pubblicato su una rivista (Scienza e Tecnica, che chi fosse interessato troverà in bibliografia), per un pubblico meno disposto agli algoritmi, ma, mi auguro, con elasticità di vedute, cercando di dare un impostazione più di tipo storico e filosofico su un antico metodo matematico, che usa una matematica elementare, che mette però in relazione più cose, osservando il mondo dei numeri e delle terne come un sistema complesso.
Per fare contenti tutti partiremo proprio dagli Elementi di Euclide, e precisamente da Lemma 1, Prop. X, 29; degli Elementi: che ci dice che in una terna pitagorica avremo sempre:
\[a=(m^{2}-n^{2}), ..b=2nm, ..c=\left(n^{2}+m^{2}\right)\]
- se m ed n, pari e dispari e non multipli tra loro, avremo sempre una terna primaria. Prenderemo in considerazione quasi sempre la classica 3, 4, 5, per non andare su calcoli ardui, ma va detto che tale sistema, funziona per qualsiasi numero. Dobbiamo dire che né Euclide, né quasi tutto il mondo matematico, ha preso sotto esame in maniera profonda queste tre equazioni. Salvo il pre-algebra di Diofanto circa sei secoli dopo, alcuni matematici arabi ed italiani tra cui Fibonacci (credo fosse il metodo che gli permise a Pisa di risolvere il problema posto da Giovanni da Palermo, matematico delle corte di Federico II) e poi Pierre Fermat, mille e più anni dopo Diofanto, che li annotò nella prima delle sue famose osservazioni su Diofanto, come Porisma di Bachet (è anche possibile che né Bachet, né lo stesso Fermat avessero il volume completo della traduzione degli Elementi, ne giravano da secoli delle riduzioni, sulle parti ritenute più importanti), vedremo che sarà fondamento di molte delle sue osservazioni. Sappiamo che i libri sui numeri razionali di Euclide negli Elementi erano senz’altro un retaggio della matematica delle scuole del Mediterraneo e quindi in gran parte dei pitagorici. Oggi sappiamo che era di origine babilonese e da lì si diramò in occidente, ma anche in oriente (Chou pei, in Cina, circa 500 anni prima di Pitagora ed in India: Baskara, molto più tardi, almeno per i documenti oggi in nostro possesso). Va detto che Babilonesi, Chou pei cinese, Baskara e Pitagora stesso, erano tutti interessati soprattutto di astronomia, tema che riprenderà Keplero).
- Il tutto algebricamente si spiega con:
\[(m^{2}+n^{2})^{2}=(m^{2}-n^{2})^{2}+(2nm)^{2}\]
che tradotto ci da:
\[c^{2}= a^{2}+b^{2}\]
Chiaramente da qui chiameremo sempre a cateto di ordine dispari e b pari, e si evince anche perché nelle classiche terne primarie c sia sempre della serie 4n+1 e b sempre divisibile per 4.
Comunque per evitare troppi voli pindarici torniamo a Euclide ed al Teorema di Pitagora: nei suoi Elementi Euclide ci presenta oltre alla nota dimostrazione geometrica, un'altra dimostrazione aritmogeometrica, ritenuta da tutti gli storici la più antica, presente nel libro primo degli Elementi e comunemente denominata dimostrazione del Teorema di Pitagora per equivalenza delle aree:
La somma del quadrato di a con il quadrato di b (quindi dei quadrati due cateti) della prima figura, equivalgono al quadrato dell’ipotenusa (che sarà c²) della seconda figura. I due quadrati bianchi sommati di fig. 1 equivalgono al quadrato bianco di fig. 2, facilmente osservabile dall’eguaglianza dei 4 triangoli rettangoli grigi di fig. 1 e di fig. 2.
Ma se proviamo a connettere questi due punti di matematica antica: A e B, possiamo scoprire l’inizio del metodo che andiamo ad illustrare. Mentre l’aritmogeometria dell’equivalenza delle aeree B) apre le porte a quella che sarò poi la geometria euclidea, la sua origine era anche aritmetica.
Proviamo ad osservare le stesse figure, ma per A:
Usando le tre formulette di Euclide possiamo vedere che le aeree numeriche nere di fig. 1 e 2, sommate ci danno b=2mn
mentre quelle bianche delle stesse figure ci danno
\[c=m^2+n^2\]
quindi nelle due fig, 3, abbiamo
\[{a=m}^2-n^2 \] (nella prima) ed \[a=\left(n+m\right)\left(n-m\right)\]
nella seconda, in grigio. Infine in fig 4 A, avremo che il quadratino nero rappresenta la differenza tra c e b:
\[c-b=\left(m-n\right)^2=d^2\]
mentre tutto il quadrato, cioè n+m al quadrato, sarà eguale a
\[c+b=\left(m+n\right)^2=s^2\]
Tutto ciò è molto diverso da quello che ci hanno insegnato , ma se pensiamo alle figure (che infatti in passato erano tassellate) come tavole numeriche, tipo tabelline, avremo una primitiva forma di algebra. Sono aree numeriche, che in questa ottica non vanno considerate dal punto di vista geometrico.
- Superato questo primo scalino ne consegue necessariamente un altro. Se ripartiamo dalla classica terna 3, 4, 5, vediamo che la a e la b della medesima (ma vale per tutte le terne), andranno a costruire con questo stesso metodo una nuove terna che avrà per ipotenusa il quadrato dell’ipotenusa precedente (cioè 5 al quadrato), useremo i colori: il rosso per le aeree numeriche del nuovo cateto di ordine pari, il blu per quelle del dispari ed il verde per quelle del nuovo ipotenusa.
Infatti: la nuova terna a, b, c, che si andrà a formare sarà a=16-9=7, b=2(3x4)=24 e c=16+9=25
Tutto ciò per noi è molto strano (abituati alla figura B dove il quadrato è effettivamente il quadrato delll'ipotenusa) perché in A una figura quadrata corrisponde ad un ipotenusa, mentre in C lo stesso quadrato è ipotenusa, ma il quadrato dell’ipotenusa stesso è una quarta potenza. Non desistete perché vedremo che quel quadrato potrà equivalere a numeri cubici o di qualsivoglia potenza e risolvere ipotenusa di potenze qualsiasi sotto radice quadrata, la strada ce la indicava sempre Fermat. La progressione delle potenze, in quest’ottica, è una sorta di caleidoscopio pitagorico.
Da un’altra fondamentale osservazione di Fermat su Diofanto, circa la questione 22, libro 3, in sintesi Fermat afferma infatti:
- In Algebra: \[y^n=c^2=a^2+b^2 ; c=\sqrt{y^n} \] n = qualsiasi potenza pari o dispari (non è la n della formula di Euclide).
Tradotto in Geometria ci dice che per y (y=4n+1) esiste sempre un triangolo rettangolo tale che:
\[a=\sqrt{z^n} ;e... b= \sqrt{x^n} \]
Il modo migliore per comprendere ciò lo abbiamo osservando degli esempi. La terna da cui partiamo l’abbiamo chiamata terna radice:
\[ n, m, \sqrt c \]
sia perché ci presenta l’ipotenusa come un radicale, sia perché da questa terna si vanno a configurare tutte le terne :
es. terna radice: \[ 1, 2, \sqrt5 \]
da questa abbiamo, seguendo il metodo, la classica terna primaria 3, 4, 5.
Ora noi potremo costruire tutte le terne con potenze (di 5) a quadrato dell’ipotenusa e quindi con ipotenusa, sua radice quadrata, e lo stesso per le terne con potenze (di 3) a quadrato del cateto dispari e di 4 per il pari. Vediamo prima l’ipotenusa \[ y^n=c^2=a^2+b^2 \]
terne: \[ a, b, \sqrt{y^n} \]
\[ z^n=a^2=c^2-b^2 ; terna: \sqrt{z^n} , b, c \]
\[ x^n=b^2=c^2-a^2 ; terna: a, \sqrt{x^n}, c \]
Le soluzioni effettivamente crescono al crescere dell’esponente: se n pari = n/2, se dispari =(n+1)/2, come affermava Fermat, ma le altre soluzioni sono tutte terne secondarie. Per cui in questo senso abbiamo le terne primarie comunemente dette e le terne primarie con un radicale, che fanno parte dello stesso sistema. Le terne secondarie, al momento, le tralasciamo perché non hanno nulla da aggiungere alla comprensione del metodo. Ora qualsiasi numero su qualsiasi ipotetica terna per qualsiasi esponente si voglia, farà sempre riferimento a questo schema di base, che parte da n ,m, il che ci fa capire che non può per assurdo esistere un qualsiasi
\[ y^n=x^n+z^n \]
perché non potrebbero avere origine dagli stessi n, m. Ma al contempo se y, x e z, avessero origine da n e m differenti, non li troveremmo tutti e tre su una stessa terna, tantomeno ad esponente n. La stessa cosa vale per la congettura di Beal. (chi fosse interessato a verificare le formule generali lo rimando all’articolo summenzionato).
Ciò potrebbe già essere sufficiente per dimostrare in maniera molto semplice sia il Teorema di Fermat che la Congettura di Beal. Ma crediamo che il mondo accademico potrebbe attaccare facilmente questo metodo; per cui seguiamo il consiglio del giudice francese, il quale, nella sua precedente reductio ad infinitum:
\[ y^4-x^4\neq z^2 \]
ci indicava quella che secondo lui era la strada per risolvere l’ultimo teorema.
Il maestro indica la luna e noi tutti guardiamo il dito, così si è pensato che questa fosse la soluzione solo per n=4 o al massimo per tutti gli n doppiamente pari. Ma Fermat ci ha detto anche un’altra cosa, diremmo un corollario del Teorema di Pitagora e cioè se a, b e c sono una terna primaria, non ne può esistere un'altra con due dei segmenti della predetta, perché cadrebbero nella forma
\[ y^4-x^4=z^2 \]
che lui aveva già dimostrato impossibile. Quindi il giudice francese ci dimostra, con
\[ y^4-x^4\neq z^2 \]
una cosa che già sapevamo tutti: se esiste una terna a b c non può esistere una terna a, c, g oppure b, c, g oppure g, a, c o anche g, b, c, come pure g, b, a o anche a, g, b.. Altrimenti si scontrerebbero con la reductio ad infinitum.
(Esempio se esiste
\[ c^2-b^2=a^2 \]
allora non può esistere
\[ c^2+b^2=g^2 \]
altrimenti, per assurdo, avremmo:
\[ c^4-b^4=a^2g^2=z^2 \]
che proprio per la reductio ad infinitum
\[ y^4-x^4\neq z^2 \]
non può esistere, perché andrebbe a infinito appunto. Un piccolissimo teorema sull’unicità della terna.
Si può collegare questa informazione al metodo che stiamo vedendo? La risposta è sì.
Per capire ciò dobbiamo ricordare su quale pagina Fermat aveva annotato la sua nota congettura: Diofanto ci stava parlando dei triangoli zoppi cioè quelli dove l’ipotenusa sottratto il cateto di ordine pari resta 1: c-b=1 (che poi sono le terne più note), se nonché avendo ben compreso il Porisma di Bachet, Fermat sapeva che quell’uno era il quadrato di 1, così che in tutte le altre situazioni di c-b abbiamo sempre un quadrato di resto che chiameremo
\[ d^2 \]
(potete verificare su qualsiasi terna primaria), allo stesso tempo anche la somma è sempre un quadrato:
\[ c+b=s^2 \]
così che:
\[ c^2-b^2=d^2s^2=a^2 \]
Rivediamo le figure:
Nella prima figura l’area numerica in rosso equivale a b, mentre quella in verde equivale a c. Stessa cosa nella seconda figura. Evidentemente la loro somma in figura 3, equivale a:
\[ {c+b=\left(m+n\right)}^2=s^2 \]
in nero, cioè tutto il quadrato (del binomio n, m) mentre la loro differenza equivale a:
\[ {(c-b)=\left(m-n\right)}^2=d^2 \]
il quadratino centrale in nero nella quarta figura (la differenza di un quadrato di un binomio n ,m). Se per assurdo c e b fossero due quadrati avremmo
\[ c^2+b^2=s^2 ; e..; c^2-b^2=d^2 \]
ovvero.
\[c^4-b^4=s^2d^2=a^2 \]
ma ciò non è possibile proprio per la reductio ad infinitum :
\[ y^4-x^4\neq z^2 \]
la situazione non può cambiare per qualsiasi esponente salvo 1 e 2. Altrimenti si va proprio verso una riduzione ad infinito. Quindi la possiamo anche scrivere come:
\[ y^n-x^n\neq z^2 \]
se n fosse dispari, non cambierebbe nulla.
Questo triangolo rettangolo non può esistere:
E di conseguenza neanche questo:
Così:
\[ y^\frac{n}{2}+x^\frac{n}{2}=s^2 ; e ; y^\frac{n}{2}-x^\frac{n}{2}=d^2 \]
ma a sua volta quest’ultimo andrebbe a costituire una terna:
\[ d, x^\frac{n}{4},\ y^\frac{n}{4} \]
che ha sua volta potrebbe sempre per assurdo permetterci di costruire due triangoli rettangoli. Di modo che avremmo
\[ y^\frac{n}{4}+x^\frac{n}{4}=s_{II}^2 ; e..; y^\frac{n}{4}-x^\frac{n}{4}=d_{II}^2 \]
ma a sua volta quest’ultimo andrebbe a costituire una terna:
\[ d_{II}, x^\frac{n}{8} , y^\frac{n}{8}\]
Per avere poi una successiva terna e così all’infinito:
\[ d_{III}, x^\frac{n}{16}, y^\frac{n}{16} \]
\[ d_{IV}, x^\frac{n}{32}, y^\frac{n}{32} \]
\[ d_V, x^\frac{n}{64}, y^\frac{n}{64} \]
Classica nonché molto antica dimostrazione per assurdo.
Quindi Fermat, con i poveri strumenti della sua epoca, avrebbe potuto dimostrare il Teorema più famoso:
\[ y^n\neq x^n+z^n \]
Potrebbe sembrare strano. Ma per la congettura di Beal non cambia molto:
\[ y^n\neq x^w+z^j ; (n,w, j\ \neq1,\ 2), \]
Se per assurdo:
\[ y^n=x^w+z^j \]
dovrebbe esistere la terna:
\[ z^\frac{j}{2}, x^\frac{w}{2}, y^\frac{n}{2} (a, b, c), \]
dovrebbe essere rispettato il Porisma di Bachet (o le equazioni di Euclide, che dir si voglia), e quindi, la costruzione delle potenze, o delle radici delle potenze dei tre segmenti di un triangolo rettangolo o di una terna, sono le stesse che abbiamo già visto, cambiano solo gli esponenti ma il percorso è lo stesso.
Inoltre la regola sull’unicità della terna non varia gran che ad es:
\[ y^6-x^4\neq z^2 \]
poiché se esistesse:
\[ y^3-x^2=d^2 \]
non potrebbe esistere:\[ y^3+x^2=s^2 \]
e/o viceversa. Ma anche se gli esponenti fossero dispari, l’unicità della terna rimane una regola valida.
In generale:
\[ y^j-x^w\neq z^4 \]
poiché
\[ z^4=a^2=d^2s^2 \]
ma se esistesse:
\[ y^\frac{j}{2}-x^\frac{w}{2}=d^2 \]
non potrebbe esistere:
\[ \ y^\frac{j}{2}+x^\frac{w}{2}=s^2 \]
poiché andremmo a una discesa ad infinitum. Non cambia molto per:
\[ y^j-x^w\neq z^j \]
perché anche qui avremmo, sempre rispetto al Porisma di Bachet, o alle equazioni di Euclide sulle terne, o all’antico metodo di origine sumera :
\[ z^j=a^2=d^2s^2 \]
Così che se esistesse:
\[ y^\frac{j}{2}-x^\frac{w}{2}=d^2 \]
non potrebbe esistere:
\[ y^\frac{j}{2}+x^\frac{w}{2}=s^2 \]
poiché andremmo sempre a una discesa ad infinitum.
Di fatto la figura che sintetizza tutto l’abbiamo già vista e qualcosa di simile lo troviamo nelle tradizioni orientali: nell’antico trattato del Chou Pei e molti secoli dopo nell’aritmogeometria di Baskara. Noi la rappresentiamo così, sempre per assurdo:
Se c fosse una qualsiasi potenza o radice quadrata di una potenza tale che
\[ c^2=y^n e.. a^{2}=z^{n} oppure z^{j}\]
(con n,j potenze superiore a 2)
allora b non potrebbe essere nella forma
\[ \sqrt{x^n}\ o\ anche\ \sqrt{x^w} \]
se invece b fosse una qualsiasi potenza o radice quadrata di una potenza tale che
\[ b^2=x^n\ o\ x^w \]
allora c non potrebbe essere nella forma
\[ \sqrt{y^n} \]
poiché andremmo nella reductio ad infinitum.
Quindi sia il Teorema di Fermat che la Congettura di Beal, si dimostrano tramite la discesa ad infinito
Altrimenti andremmo sempre alla reductio ad infinitum:
Conclusioni: Il metodo che si basa sul Porisma di Bachet e sul suo sviluppo per potenze, connesso alla reductio ad infinitum di Fermat , e relative applicazioni nelle diverse situazioni, ci permette di verificare se una terna possa esistere o meno.
Così che:
\[ y^n-x^n\neq z^2, (n\ \neq1,\ 2) \]
e...
\[ y^n-x^w\neq z^4, (n,\ w\ \neq1,\ 2) \]
Ed anche:
\[ y^n\neq z^n+x^n, (n\ \neq1,\ 2)\]
e...
\[ y^n\neq z^j+x^w, (n,\ w,j\ \neq1,\ 2) \]
Bibliografia
- “ Elementi” di Euclide - Lemma 1 alla Prop. X, 29. (Tutte le Opere, di Fabio Acerbi, Ed. Bompiani).
- “Arithmetica” di Diofanto (versione integrale consultabile in PDF).
- “Osservazioni su Diofanto” di Fermat (1670 postumo) – (Bollati Boringhieri riedito 2006).
- “Le scienze esatte dell’Antichità” di Otto Neugebauer (1952, tradotto nel 1972 Ed. Feltrinelli 1974).
- “Il tenore di vita pitagorico ed il problema dell’Omoiosis” di V. Capparelli (Ed. Zannoni & Figlio Pd. 1954.
- “Storia della Matematica” di Carl B. Boyer (1968, tradotto nel 1980 Ed. Mondatori).
- “Gnomon” di P. Zellini (1999, Ed. Adelphi.).
- “Storia dell’Algebra” di S. Maracchia (Ed. Liguori 2005).
- “Archeomatematica” Il metodo mesopotamico di Gianluca Ciampi (Scienza e Tecnica, anno LXXXV N.561-2– 2022).
- “Archeomatematica” Dal met. mes. a possibile strada di Fermat di Gianluca Ciampi (Scienza e Tecnica, anno LXXXV 3-564– 2022).
- “Archeomatematica” Dal Teorma di Pitagora alla Congettura di Beal di G. Ciampi (Scienza e Tecnica, anno LXXXVII 569-0- 2024).
- www.sipsinfo.it