Se un campo d'indagine in cui siamo insufficientemente informati per le epoche più antiche, è quello relativo alla guerra e agli eserciti, ancor più lacunose sono le nostre conoscenze circa le tecniche del tiro con l'arco[1].L'arco è stato inventato più volte, in continenti diversi, durante la storia dell'umanità. Inventori geniali, di cui s'è persa completamente la memoria. Nell'area attorno al Mediterraneo, sappiamo che l'arco era in uso dal Mesolitico (10.000-8.000 anni a. C.) nell'Africa settentrionale ed Europa occidentale, ed è documentato nell'Egitto della I Dinastia (3150-2925 a. C.)[2] .
La Mesopotamia, dal periodo più arcaico, ha lasciato raffigurazioni iconografiche[3] e testimonianze scritte, che risalgono al proto-dinastico (2900-2350 a. C.)[4].Non richiamo in questa sede quanto esposto altrove in studi di diversi autori circa la diffusione dell'arco nel mondo[5]. Mi limito a distinguere tra archi semplici, formati da un unico elemento di legno sufficientemente elastico, e archi composti, costruiti connettendo parti di diverso materiale[6]. Il tipo di arco più documentato – perché più affidabile – è l'arco composto, che sarebbe giunto in Mesopotamia dal Turkmenistan, nel Calcolitico (V millennio a. C.)[7], introdotto per ovviare ad un notevole inconveniente dell'arco semplice, che si spezza facilmente, e, se irrobustito col fuoco, perde la necessaria elasticità[8].Gli eserciti del Vicino Oriente Antico comprendevano reparti di arcieri: ne troviamo inquadrati negli eserciti dei re della III dinastia di Ur (2112-2004 a. C.)[9], mentre dall'Egitto tali reparti erano richiesti dai vassalli del faraone in Siria-Palestina, dove sembrano essere più apprezzati, come truppe di rinforzo, che i contingenti di carri (età di el-Amarna, fine XIII sec. a. C.)[10].
Anche l'esercito assiro aveva reparti di arcieri, sia appiedati (e accompagnati da scudieri che li proteggessero) che a cavallo[11]. Essi impiegavano archi angolari e archi composti[12].Ora, e questo appare chiaro dalle rappresentazioni artistiche assire, sempre molto precise e puntuali sui dettagli, tanto il loro re Assurbanipal (668-626 a. C.), così come i suoi arcieri, sono regolarmente raffigurati mentre tirano, usando la posizione detta “mongola/turca”, sui cui ora diremo, seppure usando archi di diverso tipo. Ma c'è un'eccezione notevole, che proviene dal Palazzo Nord di Ninive, ed è oggetto di questa nota.A riguardo della modalità di tiro testimoniata nei monumenti assiri, mi pare propedeutico dapprima riferire verbatim le stupefatte osservazioni di Morse, provetto arciere inglese, quando incontrò un arciere giapponese[13]:
«Being familiar with the usual rules of shooting as practised for centuries by the English archers … it was somewhat surprising to find that the Japaneese practice was in every respect totally unlike ours.»[14]L'autore prosegue confrontando la posizione della freccia all'arco: la punta dalla parte del dorso della mano dell'arco, in Inghilterra; dalla parte del palmo della mano d'arco nell'arco giapponese (come in quello turco-mongolo). Sopra il modo “inglese”, sotto quello turco-mongolo
Fig. 1
Fig. 2
Ma anche la presa della corda è radicalmente differente: la corda, nell'arcieria inglese, è trattenuta tra le pliche delle tre dita centrali – metodo “mediterraneo”, proprio dei popoli dell'Egeo[15] –, mentre nel tiro con l'arco giapponese è il pollice che aggancia la corda, rinforzato dalle altre dita chiuse a pugno[16].
Do qui uno schema per chiarimento.
Fig. 3
Le differenze non terminano qui: ve ne sono altre, essendo l'arco giapponese – e la disciplina che ne educa al tiro, chiamata kyudo – molto particolare nel panorama generale degli archi del mondo.È invece rilevante per i nostri intenti, soffermarci sull'impostazione del tiro con l'arco giapponese, perché la corda agganciata col pollice e la freccia posizionata dal lato del palmo della mano d'arco costituiscono due tratti peculiari dell'arcieria orientale, mongola, turca e indiana comprese. anche se usano archi assai diversi da quello nipponico.Infatti, la freccia viene posizionata nella stessa posizione di quella dell'arco giapponese, e la corda è trattenuta sempre col pollice, rinforzato dal dito indice e protetto da un anello, come qui si vede.
Fig. 4
La modalità di tiro corrente nelle raffigurazioni monumentali assire è quella “mongolo/turca”, e la esegue lo stesso Assurbanipal, come si vede anche in questo rilievo mentre è raffigurato quando tira[17]:
Fig. 5
Invece in questa raffigurazione qui sotto, si nota che il re tira usando la posizione “mediteranea”: punta della freccia dalla parte del dorso della mano d'arco e la corda tenuta tra le falangi delle tre dita centrali: la rappresentazione di questi dettagli è molto accurata[18].
Fig. 6
Appare evidente come il sovrano abbia inteso fornire prova della sua destrezza con l'arco, sapendo padroneggiare due distinte modalità di tiro. Ma sarebbe riduttivo considerare questa testimonianza come una mera esibizione di abilità venatoria, poiché per l'assiro che si fosse trovato ad ammirare questo rilievo sarebbero sorti spontaneamente nel pensiero precisi riferimenti culturali, che donano un senso nitido all'immagine, riferimenti cui si intende in questa sede definire i contorni, poiché non sono affatto ovvii per noi, che siamo così lontani da quella civiltà
Bowden ha posto in risalto come l'arco rappresenti un simbolo di autorità non solo politica, ma anche spirituale[19]. È questo un aspetto importante per le considerazioni che stiamo svolgendo, e, per tale ragione, ne cercheremo le radici lontane, con un salto di quasi 1400 anni, fin nel periodo della III Dinastia di Ur (periodo detto: neosumerico); infatti testi di quel periodo furono studiati presso le corti della Dinastia dei Sargonidi, cui apparteneva Assurbanipal[20].Il secondo re della III Dinastia di Ur, Shulgi (2094-2047 a. C.) teneva molto al tiro con l'arco[21], e negli inni in sua gloria non è solo celebrata la sua virtù guerriera di arciere, ma anche, nel medesimo contesto narrativo, la sua competenza sia nel padroneggiare lingue straniere, sia nel saper leggere e scrivere, compresa la conoscenza della matematica.
Una contestualizzazione su cui occorre soffermarci. Ad esempio, nel cosiddetto Inno B[22], versi 12-14, Shulgi canta:
«Io, il nobile Shulgi, sono stato dotato di un destino propizio fin dalla gestazione. Quando ero bambino, fui nell'accademia scribale, (dove) appresi l'arte dello scriba dalle tavolette sumeriche ed accadiche».Le conoscenze letterarie e matematiche proprie dell'arte scribale, sono integrate, ai versi 208-220, dove il sovrano vanta le sue competenze linguistiche, grazie alle quali può perfino giudicare ed emettere sentenze in ben cinque diverse lingue.Il tema è ripreso nel cosiddetto Inno C, ai versi 35-49[23], dove il sovrano espone altri aspetti dell'arte scribale, quali l'agrimensura e l'edilizia[24].
Come si è accennato sopra, a proposito dell'attenzione prestata da Shulgi al tiro con l'arco, nello stesso Inno B, ai versi 59-61, 75-76, esaltando le sue ineguagliate virtù venatorie, Shulgi descrive come abbia eliminato innumerevoli leoni dalla steppa, mentre poco oltre, ai versi 81-94, Shulgi celebra la sua qualità di arciere, facendo eco a quanto sostiene nel cosiddetto Inno D (versi 178-182) e nell'Inno X (verso 64).Il sistema di scrittura cuneiforme era piuttosto farraginoso, essendo composto da sillabogrammi (un grafema[25] per ogni sillaba, quali, per esempio: -la-, -li-, -ba-, ecc.) e ideogrammi (come da noi $ per dollaro o 3 per “tre”), e spesso ogni grafema aveva più referenti fonetici ed ideografici[26]. Queste caratteristiche rendevano arduo l'accesso allo scrivere e leggere, e non erano numerose le persone letterate. Fra i re, solo Lipit-Ishtar (intorno al 1870?1860? 1934? a. C.) seguì l'esempio di Shulgi, e per secoli e secoli nessun altro sovrano mesopotamico vantò le proprie competenze letterarie.La tradizione della quale fu esponente Shulgi fu ripresa – come s'è detto, ben 1.400 anni dopo circa! – da Assurbanipal. Questo sovrano aveva grande cura delle tradizioni culturali sia assire che babilonesi e sumeriche, ed inviò suoi emissari a raccogliere tavolette d'argilla scritte in cuneiforme in tutta la Mesopotamia, per raccoglierle o farle copiare nella sua grande biblioteca di Ninive. È chiaro che Assurbanipal conosceva gli inni di Shulgi, così come era ben consapevole del senso di un insieme di simboli, quali l'educazione letterario-matematica[27], il tiro con l'arco e, aggiungerei, la divinazione[28], della quale tanto Shulgi[29] quanto egli stesso[30] si dichiarano interpreti sicuri.
Infatti si deve considerare che la dichiarazione nella quale Assurbanipal sostiene, come prima di lui fece Shulgi, di aver imparato a leggere le tavolette in Sumerico ed Accadico, giungendo addirittura ad intendere iscrizioni antidiluviane[31], è contestuale alla notizia della sua educazione guerriera, nel corso della quale si fa menzione esplicita anche del tiro con l'arco[32]:«Inoltre, io, Assurbanipal, vi (= “nell'edificio della successione al trono”) appresi la sapienza del dio Nabû[33], l'interezza dell'arte scribale. Esaminai i precetti di ogni tipo, appresi a tirare con l'arco, a cavalcare e (guidare) un carro e tenerne le redini.»Anche altrove[34], questo sovrano ribadisce il suo coraggio nell'affrontare i leoni nella steppa, descrivendo anche l'assalto di queste belve al carro su cui egli stava, racconto che riflette l'immagine del rilievo con la scena di caccia qui discusso.
Che il tiro con l'arco abbia un'indubbia valenza spirituale, oltre che pratica, in molte civiltà del mondo, è stato illustrato Coomaraswamy[35], e penso che sia a questo studio che faccia riferimento l'affermazione di Bowden ricordata poc'anzi. Per quanto riguarda la Mesopotamia, anche se Coomaraswamy non vi si sofferma in particolare, l'arte assira offre riscontri palesi.Il dio Assur[36] è raffigurato armato di arco[37] e il re assiro è mostrato tenere un arco in mano in momenti cultuali[38]. Non è fuor di luogo a questo proposito ricordare come Commaraswamy ribadisca che l'arco è par excellence l'arma sacrale dei re[39].
Considerazione altamente significativa è quella che riguarda la contestualità dell'arte del tiro con la padronanza degli strumenti del linguaggio, ovvero la scrittura e la competenza in lingue straniere[40]. L'intima relazione che connette l'acquisizione di queste due tecniche, assurte a simboli metafisici, è illustrata, citando fonti indiane, da Coomaraswamy, che ne spiega il senso intendendo la corda come “voce”, organo di espressione, ovvero la lingua, e la freccia come il concetto reso udibile, ovvero la parola pronunciata[41].La parola pronunciata, come la freccia scoccata, è quella parola dotata di forza sacrale atta a trasformare il mondo nella direzione dell'ordine cosmico stabilito dagli dèi, dei quali il sovrano è l'immagine in terra: se questo è il centro, il “cuore” su cui Coomaraswamy ha sviluppato il suo studio, di nuovo la Mesopotamia offre testimonianze pertinenti.Infatti essa presenta un mitologema che deve aver avuto vasta diffusione, seppure in forme narrative diverse, ed è infine fu canonizzato e ben delineato nel racconto dell'esaltazione di Marduk, l'Enūma eliš[42].
Nello svolgimento della narrazione del poema, Marduk riceve dagli dèi il potere magico della parola (Tav. IV 21-28):«“Il tuo destino, Bēl [bēl = “signore”], è superiore a quello di tutti gli dèi; / comanda e fa' essere il distruggere e il creare. / Al tuo ordine (= una parola) annienta una costellazione / e poi un tuo successivo ordine riporti in essere la costellazione”. / Egli (Marduk) diede l'ordine e annientò la costellazione / con un successivo comando la costellazione tornò in essere»Questa parola, poi, nel corso del combattimento, diventa una freccia (ibid. 101)[43]:«lanciò una freccia e trapassò il suo ventre»
Non c'è iato fra questa concezione e l'antichissima teologia, già espressa negli Inni zami della metà del III millennio, dove, a proposito del signore degli dèi, Enlil, è detto[44]:«Signore, (la cui) parola non (può) essere cambiata»,perché essa determina il corso del divenire dell'universo, di cui Enlil è re. Come una freccia lanciata, essa fissa i destini.L'assiro, quando si trovava ad ammirare il rilievo qui considerato, vedendo come Assurbanipal fosse in grado di padroneggiare le due diverse modalità di tiro, vi leggeva la potenza che Marduk promana nell'Enūma eliš, ed attribuiva ad esse il senso di un'investitura sacrale del re, investitura che gli attribuiva poteri divini.Il re, divenuto pertanto capace così di lanciare le sue parole in tutti i modi, di comprendere anche i segni divini, era quindi – a tutti gli effetti – un “signore, (la cui) parola non (può) essere cambiata”, in quanto diretto rappresentante nel mondo del pantheon degli dèi.
[1] Jay Bowden, “Archery in Sumerian and Canaanite Context”, H-War 02-06-2022 https://networks.h-net.org/node/1284/discussions/9655501/archery-sumerian-canaanite-context:1.
[2] Elisabetta Borgna, L'arco e le frecce nel mondo miceneo, Atti della Accademia dei Lincei, Memorie Serie IX - vol. II - fascicolo I, Roma 1992.
[3] Dominique Collon, “Hunting and Shooting”, Anatolian Studies 33 (1983): 51-56.
[4] Miguel Civil, “Of Bows and Arrows”, Journal of Cuneiform Studies 55 (2003): 49-54: 51.
[5] Menziono solo Gad Rausing, The Bow - Some Notes on its Origin and Development, R. Habelt Verlag Bonn - Gleerups Förlag, Lund (Sweden) 1967 e David Gray, Bows of the World, Lyons Press (Globe Pequot Press), Guilford CT 2002, con relativi riferimenti bibliografici.
[6] Un breve quadro su l'uso dell'arco in Assiria è dato in Rausing, The Bow - …, cit.: 84-87.
[7] Collon, “Hunting and Shooting …”, cit.: 53 n 19.
[8] Jay Bowden, “Introduction of a Superior Bow - Stave, Compound and Composite”, Ancient Warfare Magazine V-6 (2012): 1.
[9] Bertrand Lafont, “The Army of the Kings of Ur: The Textual Evidence“, Cuneiform Digital Library Journal 2009.
[10] Bowden, Archery in Sumerian and …, cit.: 3.
[11] Tamas Dezsö, The Assyrian Army - I/1 Infantry, Eötvös University Press, Budapest 2012: 82-88 e id., The Assyrian Army - I/2 Cavalry and Chariotry; Eötvös University Press, Budapest 2012/2: 23.
[12] Sull'arco assiro, v. Eshter Findling - Barbara Muhle, “Bogen und Pfeil: ihr Einsatz im frühen 1. Jt. v. Chr. in Urartu und seinem Nachbarland assyrien”, in: S. Kroll - C. Gruber - U. Hellwag - M. Roaf - P. Zimanski eds., Bainili-Urartu, Peeters, Leuven 2012: 397-411.
[13] E. S. Morse, Ancient and Modern Methods of Arrow-release, Bull. Essex Institute vol. 17 (1885): 4-5.
[14] «Abituato alle correnti regole di tiro, quali sono state praticate per secoli dagli arcieri inglesi, … fu stupefacente constatare che la modalità di tiro giapponese era totalmente diversa dalla nostra sotto ogni aspetto».
[15] Borgna, L'arco e le frecce …, cit.: 34.
[16] Rausing, The Bow - Some …, cit.: 28. La presa della cocca della freccia fra pollice ed indice, “primary draw”, è inadatta per archi che abbiano una potenza efficace contro animali di media o grossa taglia ed esseri umani.
[17] Immagine di copertina (front jacket illustration) di Paul Collins with photographs by Lisa Baylis and Sandra Marshall, Assyrian Palace Sculptures, The British Museum Press, London 2008. Altri esempi: John E. Curtis - Julian E. Reade, Art and Empire, British Museum Press, London 1995: 86-87.
[18] Si veda la fotografia in: Collin - Marshall 2008: 118-120.
[19] Bowden, “Archery in Sumerian and …, cit.: 3.
[20] Natalie Naomi May, “«I Read the Inscriptions from before the Flood …» Neo-Sumerian Influenceses in Ashurbanipal's Royal Self-Image”, in: L. Feliu - J. Llop - A. Millet Albà - J. Santmartín (eds.), Time and History in the Ancient Near East, Eisenbrauns, Winina Lake IN 2013: 199-210: 199-210.
[21] Civil, “Of Bows and Arrows, cit.: 49, 53.
[22] ETCSL (= Electronic Text Corpus of Sumerian Literature: https://etcsl.orinst.ox.ac.uk) 2.4.2.02.
[23] ETCSL 2.4.2.03
[24] L'antico scriba mesopotamico non solo doveva saper scrivere, ma doveva saper fare di conto e svolgere attività di concetto, quali agrimenssura, stesura di sentenze giudiziali, edilizia. Cfr. Pietro Mander - Loredana Sist, Le scienze nel Vicino Oriente Antico, Carocci, Roma 2014.
[25] Un grafema è un segno grafico che costituisce un'unità.“S” è un grafema (anche se rappresenta due suoni diversi: “sasso”, “vaso”).
[26] Una spiegazione più ampia si può trovare in Pietro Mander, L'origine del cuneiforme: caratteristiche, lingue e tradizioni – Archivi e biblioteche pre-sargoniche, Aracne, Roma 2005 (scaricabile in rete: academia.edu).
[27] Cfr., da ultimo, Sanae Itio - Sebastian Fink, “Assurbanipal the Humanist? The Case of Equal Treatment”, State Archive of Assyria Bullettin 23 (2017): 67-90, dove si esamina cosa comportino queste conoscenze. Gli autori, come termine di paragone, si riferiscono direttamente al Rinascimento italiano, citando G. Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitade. Lo studio dei testi antichi, così come della pura speculazione matematica (non da impiegare nelle faccende pratiche) costituiscono stadi di educazione degli antichi scribi mesopotamici, per far sì che la loro «umanità possa far alzare [loro] il collo e il petto», come recita un antico testo sumerico. Testa e cuore sono i centri dell'intelletto e della conoscenza.
[28] In quanto la divinazione si basa sulla “lettura” (interpretazione) di segni tracciati dagli dèi.
[29] Cfr. per esempio, Inno B versi 131 ss.; Inno C vv. 102-103;
[30] Luckenbill 1989: 379; RINAP (= The Royal Inscriptions of Ashurbanipal, Aššur-etel-ilàni, and Sîn-šarra-iškun: http://oracc.museum.upenn.edu/rinap/rinap5/corpus) Assurbanipal 015 18'-19'; May, “«I Read the Inscriptions from …, cit.: 205-206.
[31] D. D. Luckenbill, Ancient Records of Assyria and Babylonia - Part II, Histories & Mysteries of Man ldt., London 1989: 379; May, “«I Read the Inscriptions from …, cit.: 205-206.
[32] Jamie Novotny - Joshua Jeffers, The Royal Inscriptions of Assurbanipal (668-631BC), Aššur-etel-ilāni (630-627 BC), and Sîn-šarra-iškun (626-612 BC), Kings of Assyria, Part 1, The Royal Inscriptions of the Neo-Assyrian Period (RINP) vol. 5/1, Eisenbrauns, Winona Lake IN 2018: 231 (rinap 11 [Ashurbanipal 011 = Prism A i 31-34); May, “«I Read the Inscriptions from …, cit.: 200-201.
[33] Nabû era lo scriba degli dèi; assurse a ruoli importanti nel governo del cosmo in periodo neo-assiro e neo-babilonese (I millennio a. C.). Cfr. Francesco V. Pomponio, Nabû: il culto e la figura di un dio del pantheon babilonese ed assiro, Isituto di studi del Vicino Oriente, Roma 1978.
[34] Novotny - Jeffers, The Royal Inscriptions of …, cit.: 345.
[35] Ananda Coomaraswamy, “The Symbolism of Archery”, Ars Islamica 10 (1943): 105-119.
[36] Il dio Assur era il dio omonimo della città di Assur, centro originario degli assiri. Era una divinità molto particolare, priva dei caratteri antropomorfici con i quali venibano rappresentate le divinità nel sud babilonese e sumerico. Solo col tempo assunse limitatamente tali tratti, per via del continuo rapporto col meridione della Mesopotamia.
[37] Diez Otto Edzard, “Mesopotamien - Die Mythologie der Sumerer und Akkader”, in: H. W. Hassig et alli, Götter und Mythen im Verderen Orient, E. Klett Verlag, Stuttgart 1962: 18-141: 43-44. Cfr. la fotografia in Collins - Baylis - Marshall, Assyrian Palace Sculptures, cit.: 48.
[38] Esempi: Collins - Baylis - Marshall, Assyrian Palace Sculptures, cit.: 54-55; Antonio Invernizzi, Dal Tigri all'Eufrate - II Babilonesi e Assiri, Le Lettere, Firenze 1992: 199, 203-204, 208; Curtis - Reade, Art and Empire, cit.: 86-87.
[39] Coomaraswamy, “The Symbolism …, cit.: 108,110.
[40] Quale era il Sumerico per Assurbanipal.
[41] Coomaraswamy, “The Symbolism …, cit.: 108.
[42] Enūma eliš «Quando in alto …» sono le parole iniziali del poema. Inteso, in un primo tempo, come “poema della creazione”, perché prendeva le mosse dall'inizio dei tempi (così lo considerarono i suoi primi interpreti: George Smith - Archibald H. Sayce, The Chaldean Account of Genesis, revised and corrected edition, Samson Low et alli, London 1880 [orig, 1876]). In realtà il poema (composto verosmilmente nell'XI secolo a. C) esalta le gesta del dio poliade di Babilonia, Marduk, da divinità locale a re dell'universo, dopo aver sconfitto le forze del caos. Traduzione italiana: Jean Bottéro - Samuel Noah Kramer, Uomini e dèi della Mesopotamia, Einaudi, Torino 1992: La glorificazione di Marduk: 640-722.
[43] Traduzione secondo: Wilfred George Lambert, Babylonian Ceation Myths, Eisenbrauns, Winona Lake IN 2013: 86-87, 92-93; Bottéro - Kramer, Uomini e dèi …, cit.: 665, 669.
[44] Robert D. Biggs, Inscription from Tell Abū Ṣalābīkh, Oriental Institute Publications XCIX, The Universiti of Chicago, Chicago & London 1974: 46. I testi da Abu Ṣalābīkh risalgono al XXV sec. a. C. Enlil era il re dell'universo. Nel poema Enūma eliš lascia il suo posto a Marduk.