Commento alla lettura di due libri: Maleducazione Spirituale e L’anima errante
L’ascolto di due bei pezzi di un autore musicale russo che non conoscevo, Georgs Pelecis,) mi ha finalmente stimolato a stendere queste poche note che continuavo a rimandare pur sentendone un impellente desiderio. Il fatto è che sono abituato a “recensire” volumi (anche di Claudio stesso…), ma qui era in gioco qualcosa di ben diverso. Infatti, i testi di cui parlo (o da cui mi lascio parlare…) non appartengono ai pur numerosi studi sulle geometrie sacre e altro, campi su cui il Nostro possiede un ineguagliato sapere, ma al più umile, ma forse al tempo stesso anche più alto campo di… di cosa? Confessioni? Uhm…
Dichiarazioni d’intenti? Uhm…Lasciamo indefinito il genere di appartenenza, quel che è certo è che i due testi in questione (il titolo? Maleducazione spirituale e L’anima errante) «aggrediscono» il lettore (del resto il sottotitolo del secondo recita L’arte della guerra per imparare ad arrendersi).
Sì, «aggrediscono», e aggrediscono proprio noi tipi umani sempre in cerca di spiritualità, esoterismo e così via (non è forse per questo che ci piace frequentare Simmetria, ascoltarne le conferenze e leggerne i libri?).
Bene, i due testi fanno tabula rasa. Cosa intendo dire? Che il fondatore rivela che è stato tutto un gioco, senza nemmeno l’«iniziazione e la magia nei giochi dell’infanzia», come recita un altro suo bel testo? Non proprio. Non si mette in questione l’esistenza di un, chiamiamolo così, «orizzonte di verità», anzi! Ma si mette radicalmente in questione ogni faciloneria che fa credere di poter parlarne impunemente e soprattutto di raggiungerlo per vie «lineari» («fa questo e sarai salvo»). E soprattutto di raggiungerlo una volta per tutte…
Nichilismo in tutto questo? No, piuttosto quella consapevolezza che fa scrivere a Tolstoj (sì, ancora un autore russo!) un capolavoro come Padre Sergij, racconto che dovrebbe leggere chiunque desideri affrontare un percorso spirituale.
Lanzi relativizza tutto l’«umano, troppo umano», ma non in nome di concezioni superomistiche (e quante concezioni della mistica e/o dell’esoterismo vanno in quella direzione?), anzi fa capire che è proprio il superomismo a essere «umano troppo umano», e che la consapevolezza profonda della propria debolezza è il primo passo verso… verso cosa? Ecco il paradosso, verso cui le parole fanno cilecca: la stessa vita (o la vita stessa?), ma completamente diversa. Qualche aiuto può forse venire ancora una volta dalla letteratura (russa!), dove Leskov, nell’ultima fase della sua vita, scrive o riscrive le vite dei «giusti», che non sono nemmeno i santi del calendario, ma ignoti uomini religiosi della strada.
Ma, dato per buono che l’iniziato, il mistico, quello che si vuole, non è un superuomo, c’è o no una via, anzi una Via? L’autore, forte delle sue esperienze, riesce a schivare quelle cantonate che siamo più o meno abituati tutti a prendere, in particolare la falsa alternativa fra abbandono fideistico al o ai Maestri o la presunzione egocentrica di porre sé stessi (intesi come Io) come Maestro. Il Maestro è sì, come si dice, «interiore», ma non ha nulla a che vedere con il proprio Io, anzi comporta proprio l’abbandono, o almeno la messa da parte di tale Io. Ma l’Io ben difficilmente si fa da parte da solo, e allora ben venga un qualificato elemento esterno che ci aiuta in tale impresa. Potrà anche non essere codificato nel classico rapporto maestro-allievo, ma per raggiungere l’«interiore» di cui sopra dovremo comunque affidarci ad un «esteriore» comunque inteso.
I due testi di Lanzi non si preoccupano di definire più di tanto questi elementi esteriori, veri e propri «maestri», che ci servono per raggiungere l’«interiore»: nelle tradizioni mistiche e/o esoteriche c’è tutto l’occorrente per provare, anche e oggi forse soprattutto nelle vie «laiche» delle arti, geometrie e così via, su cui Simmetria si è prodigata per decenni.
Ecco, forse l’ultima considerazione stimolata dalla lettura di questi due testi è se il mondo, anzi i mondi religiosi vivono una crisi forse irreversibile, e sulle cui cause ci asteniamo dall’intervenire, non per questo tutto è necessariamente perduto, anzi, forse l’abito «religioso» che abbiamo messo a Gesù, Buddha e quanti altri è stata solo una forma «storica» di qualcosa di veramente perenne e universale, ma di cui ci manca forse il nome. Ma forse (sempre forse…) qualcuno grida già: eresia eresia!…