Dalla coincidentia oppositorum di Jung alla dualitudine di Corbin - di A.Bonifacio

Prospettive immaginali

991 bonifacio 1La concezione di “totalità”, di “unione di contrari”, di “unus-ambo” in ambito religioso ha occupato le menti di numerosi interpreti perché essa assume un valore essenziale nel panorama delle credenze religiose dei popoli ed è rimasta nella coscienza dei più sensibili interpreti del sentimento della totalità anche nella modernità. Ne è prova il romanzo Seraphita di Honoré de Balzac, di cui si vedrà l’importanza appena successivamente, pur se i suoi contenuti saranno tratteggiati in maniera necessariamente sintetica.
Uno di questi esploratori della “complementarità” è stato Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung. Questi lavorò sul tema nel corso di tutta la sua esistenza, dopo il doloroso distacco con il padre della psicanalisi, Sigmund Freud, suo indiscusso maestro. L’inconscio personale, versione individuale di quello collettivo, nella sua inaccessibilità diurna cela l'esilio dell’Ombra, controparte oscura del soggetto. Essa però riemerge implacabile nel lavoro dell’analista a pretendere il suo ruolo, come materia estratta dalla miniera dei filosofi nell’arte dell’alchimista e per questo attende di essere cavata e riunita all'io per formare il “Sé”, il principio di individuazione che rappresenta il compimento del lavoro psicologico dell’analista congiunto a quello del paziente.
Sbaglieremmo a considerare quest’opera di ricongiunzione necessaria ai soli soggetti “fratturati”, la “malattia” è collettivamente condivisa e parte da molto lontano. Essa quindi non è materia astratta per specialisti ma corpo vivo dell’umanità fessurata.
Mircea Eliade, nella sua infaticabile opera di indagine, compilazione e commento, prodotto in anni di ricerca, dedicati al tema della totalità e del significato della sua perdita, ha ritrovato il mito generale della “frattura” disperso in ogni continente e a ogni livello di cultura e i suoi risultati comparativi si sono condensati in un libro giovanile a ciò dedicato risalente al 1921, praticamente in quasi contemporanea alle conclusioni junghiane.
Dal materiale folklorico raccolto da questo ricercatore emergono prospettive che, ai nostri occhi, possono apparire inquietanti. In ogni dove, nei vari e vasti residui morenici indagati dall'Eliade emerge un tratto essenziale ed inquietante: la collaborazione che si instaura tra Dio e il suo antagonista, il diavolo, risultanti, per giunta, addirittura consanguinei ab origine. Persino nell’episodio biblico di Giobbe l’inspiegabile connubio tra Dio e il suo angelo ribelle e maledetto si rivela e funziona ancora nel diverso contesto monoteistico: Dio ascolta il perfido consiglio di questi e l'innocente Giobbe viene perseguitato e quasi abbattuto, nonostante la palese fedeltà e devozione mostrate a colui che lo perseguita.

. Verrà riabilitato e ricompensato dopo molte traversie, il danno però è ormai fatto. La giustizia divina svela i suoi imbarazzanti limiti conoscitivi offuscata dalla collera scaturente dalla falsa delazione del “seduttore”.
Ci vorrà poi il sofferto personaggio di Mefistofele, descritto nel Faust, per riportare all’attualità gli elementi di questo pattern sepolti vivi nella coscienza europea proprio nel momento in cui il tema dell’androgine tornava di “moda” nel milieu continentale, dove si affacciavano teorie in qualche modo... “pre-gender”.

991 bonifacio 2Se Massimo il confessore, con altri 'padri', attribuiva a Cristo un carattere androgine, anche l’Imitatio Christi deve seguire questo esempio. Tuttavia, osserva Jung, i pesci cristici sono rappresentati procedenti in direzione opposta: uno va in alto, l’altro in basso e per questo il modello non è univocamente definito.
Ciò lo porta a interrogarsi sulla natura complessa del Cristo e sul tema della quaternità che pienamente investe la figura. Tale nozione è ormai espunta e sostituita nelle coscienze dalla squilibrata concezione trinitaria ma tuttavia ben sopravvive. Infatti, il costrutto quaternario è assai arcaico e l’analista lo ritrova, a riprova delle sue ragioni, ben articolato nei testi ermetici di Maria Profetissa, che ama assai citare nelle sue esposizioni quale modello permanente e inaffondabile della struttura intrinseca del sacro.
Non v’è scampo: la coincidentia oppositorum è un connubio tra elemento chiaro ed elemento oscuro e, seppure con modalità diverse, questa tesi sembra essere abbracciata dallo stesso Mircea Eliade nel suo studio Mefistofele e l’Androgine scaturito ben successivamente dal lontano lavoro del 1921.
Nonostante la rimozione secolare l’Ombra si affaccia implacabile alla soglia delle coscienze e grida incessantemente la propria esistenza e, per conseguenza, la necessità di essere integrata nel luogo che le compete: l’anima. Nel 1946 Jung e la sua famiglia ebbero la più straordinaria delle esperienze paranormali, la visita di una legione di spiriti che occuparono 'materialmente', e per giorni, la casa del medico gridando ossessivamente il motivo della loro intrusione. Si allontanarono solo al momento in cui questi prese coscienza, scrivendo, quasi in forma automatica, i Septem sermones ad Muortos, in cui si constatava, come vissuto dell'anima, che la suprema divinità del pantheon che tutto sorregge (anche la psiche individuale) era l’entità gnostica Abraxas di cui Jung parlò in questi incisivi termini:
“Abraxas è il Dio duro a conoscere. Il suo potere è il più grande perché l’uomo non lo vede. Del sole egli vede il summum bonum, del demonio l’infimum malum; ma di Abraxas la VITA, indefinita sotto tutti gli aspetti, che è la madre del bene e del male....Duplice è il potere di Abraxas. Ma voi non lo vedete, perché ai vostri occhi gli opposti in conflitto di questo potere si annullano...Ogni cosa che chiedete supplicando al Dio sole genera un atto del demonio. Ogni cosa che create col Dio sole dà al demonio il potere di agire. Questo è il terribile Abraxas”.

Contro questa concezione, a distanza di tempo, si levò la voce di Henry Corbin che, dopo aver delineato nel suo libro Corpo spirituale e Terra celeste, la struttura gerarchizzata degli universi spirituali, ne delineò i tratti rappresentandoli come strutture di luce, così come di luce sono sostanziati i le sue angeliche presenze.
Di questa imbibizione luminosa dei mondi superiori e dei loro abitanti scrive:
“Interpretazioni della coincidentia oppositorum che sembrano confondere sotto la stessa nozione di opposita i complementari e i contraddittori. Deplorare il fatto che il cristianesimo abbia posto al centro una figura di bontà e di luce trascurando l’intero lato oscuro dell’anima, è un giudizio che sarebbe altrettanto valido per lo zoroastrismo. Ma come potrebbe la reintegrazione consistere nel mettere in connivenza, nel totalizzare Cristo e Satana Ohrmazd e Ahriman? Tale proposizione trascurerebbe di considerare il fatto che anche sotto il regno di una figura di luce le forze sataniche rimangono all’opera, quelle stesse forze che tentano per esempio di impedire a Hermes di allontanarsi dalle profondità del pozzo e di salire verso i merli del Trono. Proprio dinanzi a esse è opportuno affermare che Cristo e Satana, Ohmazd e Ahriman non sono in rapporto di complementarità ma di contraddizione”.
In questa prospettiva di “luce increata” (xvarna) viene interpretato il Seraphita di Balzac, la cui struttura diadica non rimanderebbe a un’opposizione ma a una complementarità. La natura di Seraphita è perfettamente androgina, egli è pienamente Seraphitus e come tale ama una donna, come, parimenti, Seraphita ama un uomo. Tuttavia, per quanto questo ermafrodita possa ispirare morbosità, la vita spirituale di questo unus - ambo è tutta rivolta verso il cielo. Nell’interpretazione dello straordinario romanzo, una traduzione in forma narrativa delle istanze swedemborgiane, Corbin ci offre con un magistrale colpo d’ala interpretativo, una lettura davvero esemplare del testo che viene innalzato, di ottava in ottava, secondo la consueta espressione dell’autore, fino alla pienezza angelica della sua scaturigine.
In effetti ricordiamo che il romanzo nacque nell’atelier di un noto scultore dell’epoca, Theophile Bra, profondamente influenzato dalle teorie di Swedemborg. Egli trasformò plasticamente le suggestioni ricevute dal visionario svedese traducendole in un gruppo marmoreo rappresentante la Vergine, il bambino e due angeli adoranti. Proprio la vista dei due bellissimi angeli ispirò Balzac nella stesura del suo capolavoro. Secondo Corbin, che ebbe modo evidentemente di visionare il gruppo scultoreo, come nel caso della rappresentazione dell’arcangelo Michele di Monte Sant’Angelo del Sansovino, ci si troverebbe di fronte a una delle più commoventi rappresentazioni del nostro “custode”. Questo doppio di marmo avrebbe configurato ai suoi occhi un essere doppio, congiuntamente maschile e femminile, “liberando in ciascuno dei due la creatura angelica imprigionata nel proprio essere carnale” (H: Corbin: 2015, 355).
991 bonifacio 3Nella stessa pagina, cui rimandiamo, è presente una stoccata alla concezione junghiana, che val la pena di riferire: “...è l’esperienza gnostica della conoscenza di sé, scoprendo questo sé quale alter ego, l’”angelo” non certamente nelle tenebre dell’inconscio, ma nella sovra luce della transcoscienza. Lo gnostico sperimenta, eo ipso, la liberazione dall’esilio, vale a dire dalla solitudine, perché il suo essere integrale è una dualità nella quale l’ego è liberato dall’egoicità solitaria, dal momento che forma un tutto plenario, un pleroma con l’alter ego celeste di cui è la controparte terrestre”.

Eliade, come del resto Jung, hanno fatto del tema della mancata totalità un tema epocale, di natura esistenziale e quindi totalmente inerente la vita di ciascun essere umano. Le sofferenze degli uomini, il loro vuoto, è sentito in maniera particolarmente evidente nella contemporaneità, nonostante sia l'epoca in cui le asprezze delle lotte della vita sono state molto ridotte. All'uomo è stato perciò consegnato una gran quantità di “tempo libero”, una pausa illusoriamente priva di “preoccupazioni”, in cui, sovente, il contemporaneo sperimenta, piuttosto che l'agognata serenità, frutto della pienezza di Sé, la dimensione del baratro della propria solitudine, scaturente dalla propria incompletezza antropologica rivelataglisi come esperienza di irrisolta nostalgia.
Anche Corbin si è associato a questa impietosa diagnosi proponendo però una prognosi che ha le sue radici in varie espressioni della gnosi e segnatamente in Sorhavardi suo (forse) principale mèntore sull’argomento.
Per questo motivo desideriamo estrarre dalla sua opera due “aforismi”, duri e diretti, come due pugni sferrati contro il nostro tempo, che proponiamo alla meditazione di chi si è affacciato su queste pagine.

Fuori da questa funzione teofanica ed ermeneutica dell’Angelo, ogni altro mondo è soltanto silenzio per l’uomo. La sua ascensione spirituale di Cielo in Cielo, di mondo in mondo, non può realizzarsi senza la conduzione dell’Angelo. Non trovare o perdere il contatto con l’Angelo significa dunque smarrirsi nel deserto dell’incerto e dell’inconoscibile, significa ‘disertare’.

La causa che ha innescato questo ciclo è il desiderio malvagio delle anime individuali, che rinunciano al loro stato di individualità angeliche per rivestire, cedendo a un’inclinazione aberrante, la maschera di individualità fisiche materiali.

A Bonifacio

Bibliografia essenziale

Henry Corbin: L’immagine del tempio, Boringhieri, Milano, 1983
Henry Corbin: Corpo spirituale e terra celeste, Adelphi, Milano, 1986
Henry Corbin: L’alchimia come arte ieratica, Aragno, Milano, 2001
Henry Corbin: L’immaginazione creatrice. Alle origini del sufismo, Editori Laterza, Bari, 2005
Henry Corbin: la scienza della Bilancia. Conoscenza religiosa, SE Henry
Henry Corbin: Nell’islam iranico, Lo sci’ismo duodecimano, vol. I°, Milano- Udine, 2012
Henry Corbin: La sophia eterna. Mimesis, Milano Udine, 2014
Henry Corbin: Nell’islam iranico, vol. 2°, Sorhavardi e i Platonici di Persia Milano-Udine, 2015
Mircea Eliade: Mefistofele e l'androgine, Mediterranee, Roma, 1971
Carl G. Jung: Psicologia e alchimia, Boringhieri, Torino, 1981
Carl G. Jung: Septem sermones ad muortos Arktos Carmagnola, 1989
Jeffrey Raff: Jung e l’immaginario alchemico, Ed Mediterranee, Roma, 2008

Spiegazione Immagini

Fig 1  - Rappresentazione dell’anticristo di Luca Signorelli nella cappella Brizzi del duomo di Orvieto

Qui l’anticristo, marionetta del demonio, che agisce dietro di lui, viene reso con sembianze gemellari al Cristo assecondando apparentemente l’ipotesi junghiana. In realtà la rappresentazione del Signorelli è corretta dal punto di vista di H. Corbin, perché un’anima tenebrosa non può che essere sizigia di un’altra anima tenebrosa a formare con essa una dualitudine come esattamente raffigurato nella circostanza.
Un testo eretico come la Pistis Sophia ci aiuta a intendere la composizione biunitaria dal punto di vista della luce. Qui Maria narra dell’incontro del Gesù fanciullo con il suo alter ego. “Quanto tu eri piccolo, prima che lo spirito venisse su di te mentre ti trovavi in una vigna insieme a Giuseppe dall’alto discese lo spirito, venne da me in casa mia. Essendo uguale a te, io non lo riconobbi pensai che fossi tu, lo spirito mi disse: -ov’è il mio fratello Gesù? Desidero incontrarlo-....Dopo l’incontro tra i due, uno controparte speculare dell’altro“....anche tu baciasti lui è siete diventati una cosa.”. In questo modo il fanciullo del fanciullo sarebbe dunque lo spirito che si unisce a Gesù, uomo materiale generato da Maria.
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fig.2 -  Abraxas
Le principali fonti dirette sono alcuni testi del primo e più antico gnosticismo, facenti parte del corpus dei codici di Nag Hammadi (Vangelo degli Egiziani e Apocalisse di Abramo). Secondo Geog Mead accurato interprete dei testii citati Abraxas sarebbe di un altro nome di Cristo. Completamente opposta era la concezione dei Padri della Chiesa che lo consideravano una sorta di rappresentazione con annesso culto di Satana/ Shaitan. Si aggiunge che nella cosmologia gnostica Abraxas non solo un grandissimo eone ma addirittura il Padre Ingenerato.
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Fig.3 -  Simorgh
Questo essere protagonista del capolavoro iniziatico titolato La lingua degli uccelli di Farid ad-din Attar che molto s’innesta sui temi della Teosofia orientale di Sorhavardi, s’incentra sulla migrazione di migliaia di uccelli (anime individuali desiderose di integrarsi nella dimensione trascendente) per trovare il mitico simorgh l’uccello fenice della tradizione orientale, equivalente della colomba quale espressione figurativa dello Spirito Santo. Solo trenta di essi, attraverso estenuanti fatiche, giungeranno alla sua dimora presso la “Fonte della Vita”, dove regna un eterno solstizio. Si-morgh etimologicamente significa “i trenta” e quindi ogni uccello di quelli sopravvissuti è l’immagine ancora inconsapevole della sua controparte celeste, anche se fino alla fine non sa d’appartenere alla stessa famiglia di anime. Ognuno di essi è quindi un simorgh, come ciascun uomo liberato dall’ombra, è unito all’angelo che lo rappresenta di cui è solo un riflesso. Alla fine ognuno dei volatili scoprirà di non essersi mai mosso dal punto di partenza perché questo coincide con quello di arrivo


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