Il Simbolismo della Chiesa a sei absidi - Parte I: La Simbologia della Chiesa (di P. Galiano)

Fin dai primi esempi che si conoscono si può osservare come la pianta delle chiese possa assumere le forme più diverse, di cui la croce latina, la croce greca e la pianta a base centrale quadrata o rotonda rappresentano le categorie principali; tra queste ultime un aspetto del tutto particolare per la sua rarità nel mondo cristiano è la pianta circolare a sei absidi, di cui in Italia esistono solo due esemplari, il Mausoleo dei Cercenii alle catacombe di Pretestato del IV-V sec. FIG. 1 e la Canonica di San Niccolò a Montieri in provincia di Grosseto dell’XI sec. FIG. 2, oltre ad alcuni battisteri di Roma, quali quelli di San Marcello al Corso, San Clemente e Santa Cecilia, tutti eretti tra il V e il VI sec.[1]
Per comprendere il significato di una forma così rara e insolita dobbiamo confrontare i principi del simbolismo cristiano[2] con l’esame del disegno architettonico che ne è alla base, ma una breve precisazione circa il significato del simbolismo delle forme architettoniche religiose si rende necessaria prima di proseguire: per gli studiosi dell’arte cristiana il problema del rapporto tra architettura sacra e significato simbolico è controverso: si dibatte cioè se la forma architettonica sia espressione di un simbolismo a essa precedente o se l’interpretazione simbolica nasca in un momento successivo come conseguenza degli scopi liturgici per cui l’edificio viene costruito.

Brandt[3], uno dei principali esegeti contemporanei dell’arte cristiana, è a favore della seconda ipotesi e ritiene che la soluzione del problema si debba trovare nello "spazio vuoto" attorno a cui vengono erette le strutture murarie: la forma dell’edificio, da lui definito "contenitore", non è causa dell’azione liturgica che vi si compie ma è l’atto liturgico a determinare la forma del "contenitore"; ad esempio la navata allungata o la pianta a U delle chiese più antiche rivelerebbe la necessità di avere lo spazio necessario per eseguire una processione solenne, a imitazione delle maestose cerimonie imperiali. Quindi ogni interpretazione simbolica sarebbe una sovrastruttura, in quanto si tratta di un’interpretazione a posteriori della forma materiale generata dalla necessità della liturgia.
Questo però non spiega la forma esagonale o ottagonale così specifica del battistero e attestata fin dal paleo-cristianesimo: se la "necessità liturgica" richiedeva che molte persone potessero assistere al rito e che le parti attive, sacerdoti e battezzandi, potessero muoversi senza essere disturbati dai fedeli presenti, allora non sarebbe stata più adatta la pianta quadrata o circolare anziché poligonale, più complicata da realizzare, quale si riscontra invece nella grande maggioranza dei battisteri fin dall’antichità?
Che il simbolismo sia precedente o quanto meno contemporaneo alla struttura da edificare è un concetto che vale per tutti gli edifici religiosi sia dei gentili che dei cristiani, e per questi ultimi vi sono testimonianze che l’aspetto simbolico delle architetture era esplicitamente conosciuto da parte degli scrittori contemporanei alle più antiche costruzioni liturgiche di cui abbiamo notizia. Il simbolo contenuto in esse era avvertito in modo diretto dai costruttori e da chi aveva la capacità di comprenderlo con la vista e la meditazione: "Siamo noi moderni che nel Roman de la Rose o nelle avventure dei Cavalieri della Tavola Rotonda abbiamo iniettato un coacervo di simboli mediatori e interpretativi. Siamo noi ad averne bisogno, perché non abbiamo più la mente adatta a una comprensione diretta"[4], cioè capace di quell'ntuizione (in-tuere) che è intuitio intellectualis.
Il valore dello spazio per gli antichi è ben diverso da quello percepito da Brandt: "Lo spazio è un "testo" con molteplici livelli di significato, che non sono facilmente leggibili e decifrabili da chiunque"[5].
In definitiva lo studio di Brandt, per altri versi molto interessante, sembra subire l’influenza di una mentalità progressista che applica canoni moderni a un periodo nel quale i fondamenti religiosi e intellettuali (capacità di intus legere il significato simbolico che si fa materia nella forma architettonica) erano ben differenti.

Un primo approccio all’interpretazione mistica della chiesa come "casa di Dio" è presente già nel IV sec.  nel panegirico per l’edificazione della chiesa di Tiro scritto da Eusebio di Cesarea[6], in cui il costruttore della chiesa è elogiato come  colui "a cui Dio stesso, che racchiude il mondo intero, ha concesso il dono di costruire e rinnovare la sua casa in terra" e le singole parti della chiesa sono viste come simbolo dell’assemblea dei fedeli, ognuno dei quali identificato con un elemento dell’edificio secondo la sua partecipazione alle verità divine.

La significazione del simbolismo della chiesa si ritrova ancor più chiaramente nell’inno per la dedicazione della Cattedrale di Haghia Sophia a Edessa, il più antico testo in àmbito cristiano in cui si associano gli elementi della struttura architettonica di una chiesa a un’interpretazione teologica e cosmologica. Il testo[7], scritto nella prima metà del VI secolo in occasione della dedicazione della Cattedrale di Edessa (quindi nell’anno 534 o 535), identifica le singole parti dell’edificio come immagini del cosmo e al tempo stesso delle realtà divine, in un complesso intrecciarsi di corrispondenze; ne riportiamo alcuni versi che mostrano l’esistenza di una concezione simbolica della struttura dell’edificio liturgico nel cristianesimo già nei primi secoli dell’Impero d’Oriente.

996 Esapalle02"È meraviglioso che la piccolezza [della cattedrale] comprenda l’intero mondo, non nella sua grandezza, ma nel suo tipo. Il soffitto si estende come il cielo ed è decorato con un mosaico d'oro come il firmamento è ornato di stelle e la sua alta cupola – guarda, essa assomiglia al più alto cielo – come un elmo[8] è poggiata fermamente nella sua [parte] inferiore. Lo splendore dei suoi larghi archi – essi ritraggono i quattro termini della terra – li rende simili per i loro colori all’arcobaleno di gloria. I suoi marmi, luminosi, politi e candidi, sono rilucenti come il sole. [La cattedrale] è circondata da corti magnifiche e da colonne che sono figura delle tribù di Israele riunite intorno al Tabernacolo… Su ogni lato ha la stessa facciata e la forma di tre di esse è eguale così come la forma della Trinità è una sola. Una sola luce entra nel santuario dalle tre finestre che si aprono [nei tre absidi] e annuncia il mistero della Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E la luce che dai tre lati viene dalle molte finestre è figura degli Apostoli, di Nostro Signore, dei martiri, dei profeti e dei confessori. Il bema[9] è costruito nel centro della chiesa a modello della Camera Superiore di Sion e sotto di esso[10] vi sono undici colonne nelle quali sono nascosti[11] gli undici Apostoli. La colonna che è dietro il  bema rappresenta con la sua forma il Golgota[12] e sopra di essa vi è la croce di luce, come Nostro Signore tra i ladri. Cinque porte si aprono nella chiesa come le cinque vergini[13], e il fedele entra attraverso di esse come gloriosamente le vergini [si accostano] al letto nuziale della Luce. Siano magnificati i misteri di questo tempio in cui il cielo e la terra sono il simbolo dell’esaltazione della Trinità e del perdono del nostro Salvatore".

L’identificazione della chiesa come immagine della sfera del Divino, della Gerusalemme Celeste e allo stesso tempo del cosmo creato sarà ripresa, sviluppata e ampliata dagli esegeti della liturgia cristiana nei secoli successivi, come nella composizione bizantina del XII secolo di Michele Diacono La descrizione della Santissima Chiesa di Dio[14], più lunga e meno incisiva dell’Inno di Edessa, nella quale è detto che la chiesa (in questo caso Haghia Sophia di Costantinopoli) "ha la testa posta in cielo e pianta le sue radici nella terra, e l’oro prova che il suo soffitto lavorato a mano non dev'essere considerato quello terreno, perché il cielo cosmico è stato definito "il tutto-di-rame" ma questo soffitto ci si presenta come "il tutto-d’-oro"”.

Come vi è un’interpretazione simbolica del "soffitto d’oro" della chiesa, così ne troviamo un’altra per il suo tetto, derivante dal simbolismo dei tetti dei palazzi dell’Imperatore a Costantinopoli, concezione che a sua volta ha la prima origine ancor più indietro nei secoli nel tempio di Juppiter Optimus Maximus sul Capitolium di Roma.
Sappiamo che, almeno in età tardorepubblicana, il tempio di Juppiter O M, in cui risiedeva la sacralità di Roma fin dal tempo della Monarchia, aveva una copertura del tetto con tegole di bronzo, tetto che venne ricostruito insieme a tutto il tempio dopo il disastroso incendio dell’83 a.C.[15] e che fu in seguito restaurato più volte fino a Domiziano. Già negli anni del primo Impero gli scrittori celebravano il fulgore delle lastre di rame dorato che lo ricoprivano; questa copertura lucente venne estesa da Traiano all’inizio del II secolo alla sua Basilica Ulpia, la basilica che apriva l’accesso ai Fori, e pochi anni dopo da Adriano, che ricoprì in bronzo dorato i tetti dei templi del Pantheon e di Venere e Roma: si trattava dei massimi simboli della religione e della civiltà di Roma e al tempo stesso della grandezza e potenza dell’Imperatore. Come scrive la Carile[16], questi costituivano "una serie di pochi edifici che esprimevano l’identità stessa della romanitas e che, altrettanto significativamente, avevano tutti i tetti rivestiti di metallo prezioso".
Questa copertura di tegole dorate e risplendenti al sole, significanti la maestà di Roma, venne ripresa dagli Imperatori d’Oriente ed estesa alle chiese da loro costruite con un duplice significato: da una parte dimostrare che Costantinopoli era la sede del più potente Impero allora esistente ma anche che la città era la proiezione in terra della Gerusalemme Celeste, sfavillante d’oro e d’argento come doveva essere la città in cui si celebrava l’unico Dio e l’unica vera religione. Forse per questo motivo vennero tenute distinte le coperture dei palazzi imperiali da quelle delle chiese: mentre le chiese avevano i tetti coperti da tegole di piombo lucidato, che emanava ai raggi del Sole una colorazione argentea, le dimore dell’Imperatore avevano tetti di bronzo dorato che risplendevano di una luce aurea, segnando così materialmente la distinzione tra la sede del sacerdozio e quella dell’imperium.
"Mentre i tetti plumbei di Santa Sofia riflettevano luce bianca, il colore della purezza e della manifestazione divina, che meglio si addice alla Grande Chiesa patriarcale di Costantinopoli, quelli degli edifici imperiali riflettevano la luce brillante della regalità, il color oro che contrassegnava la residenza sacra dell’Imperatore"[17], e in questo duplice colore si celebrava agli occhi di tutti la "metafora cosmica [in cui] si celano il potere imperiale (il Sole) e il sacerdotium (la Luna)", teoria che Eusebio di Cesarea aveva affermato nei suoi scritti sulla natura sacra della regalità di Costantino quale alter Christus e che secoli più tardi sarà negata da papa Gregorio VII e dai suoi successori, arrivando allo scontro tra Alessandro III e Innocenzo IV con gli Imperatori Hohenstaufen e i Ghibellini loro seguaci.


[1] Il presente articolo è tratto da Paolo Galiano, Le chiese del Fiore – Origine e simbolismo delle chiese a sei absidi, ed. Adytum, 2015.

[2] Per un esame più approfondito del simbolismo cristiano e pitagorico nell’architettura consigliamo in particolare i testi di Claudio Lanzi, Ritmi e riti, I ritmi della Scienza Sacra, Misteri e simboli della Croce, Sedes Sapientiae, l’universo simbolico delle cattedrali ed Ermetismo e mistica – Il Cristianesimo e la via iniziatica (edizioni Simmetria, Roma).

[3] Brandt Steven, The Archaeology of Roman Ecclesial Architecture and the Study of Early Christian Liturgy, in "Studia Patristica", Vol. LXXI, 2014.

[4] Claudio Lanzi, Sedes Sapientiae, op. cit.. pag. 128.

[5] George Haleblian, Art, Theology and contextualization: the armenian orthodox experience, in "Missiology: An International Review", Vol. XXXII, n°3, Luglio 2004.

[6] Eusebio di Cesarea, Historia ecclesia X: le citazioni sono tratte rispettivamente da X, IV, 2 e X, IV, 63-68.

[7] Testo siriaco, traduzione ed esegesi in Kathleen Mc Vey, The domed Church as microcosm: literary roots of an architectural symbol, in "Dumbarton Oak Papers", Vol. 37, 1983 pagg. 91-121.

[8] L’analogia tra la concavità del cielo e l’elmo ha origine dal simbolismo degli elmi dei Dioscuri, in quanto, nati dall’uovo deposto da Leda, le due metà del guscio, simbolo della volta celeste per il significato cosmico dell’uovo, divennero i loro elmi. Il loro rapporto col cielo è rafforzato dalla rappresentazione usuale in cui sono associati con una stella, in quanto i Dioscuri vennero assunti in cielo divenendo la costellazione dei Gemelli.

[9] Nelle chiese orientali il bema (letteralmente "gradino") è la zona rialzata posta di fronte all’altare e corrispondente al coro delle chiese occidentali.

[10] Così la traduzione dal siriaco fatta da McVey.

[11] Gli "Apostoli nascosti" in numero di undici, quindi dopo il suicidio di Giuda Iscariota, fanno riferimento all’episodio evangelico in cui il Cristo si rivela loro nel Cenacolo in cui si erano nascosti dopo la crocifissione (la "grande sala al piano superiore" di Luca XXII, 12). Il bema è quindi da identificare col Cenacolo, dove avviene il perfezionamento degli Apostoli attraverso il conferimento dello Spirito Santo.

[12] L’identificazione della croce come centro del mondo risale a Cirillo di Gerusalemme: "Sulla croce allargò le sue mani per abbracciare col Golgota, posto proprio al centro della terra, tutto il mondo fino ai suoi estremi confini" (Catechesi battesimali XIII, 28).

[13] Le "cinque vergini sagge" di Matteo XXV.

[14] Michele Diacono, Descrizione della Santissima Chiesa di Dio in MANGO e PARKER A twelfth-century description of St Sophia, in "Dumbarton Oak Papers", Vol. 14, 1960 pagg. 233-45.

[15] Lukas Sury, The Temple of Jupiter Optimus Maximus in the archaic age, Università di Masaryk (CZ) 2012 pag. 13.

[16] Maria Cristina Carile, Il sacrum e il palatium risplendente di luce. Immagine e realtà del palazzo imperiale di Costantinopoli, in "Polidoro. Studi offerti ad Antonio Carile", ed. CISAM, Spoleto 2013 pagg. 305-27.

[17] Maria Cristina Carile, Il sacrum e il palatium risplendente di luce, op. cit.


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