Questa è la penna, rigorosamente d’oro, del mio trisavolo, medico condotto e poi ospedaliero nella seconda metà dell’800. Ho perduto il suo bellissimo scrittoio settecentesco che gli proveniva dal padre “aromatario” e tante altre cose di quell’epoca ma questa penna ce l’ho ancora. Sono passati 150 anni da quando la usava per prescrivere ricette. Moltissime di chinino contro la malaria molto diffusa nell’Agro Pontino dove esercitava o ancora di più composte da infusi di erbe e cataplasmi.
Si, perché allora la medicina era meno evoluta, meno automatizzata e robotizzata, ma molto vicina alla natura e agli uomini. Il mio trisnonno era laureato in teologia e filosofia: Conditio sine qua non per esercitare la professione medica. Si recava, come buona parte dei medici. al capezzale dei pazienti, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Curava principesse e straccioni esattamente nello stesso modo. Non visitava quasi mai “in studio”. Andava lui, e lo racconta nei suoi bellissimi diarii. Ma non voglio parlare di mio nonno e del catastrofico declino della professione medica (come di quasi tutte le professioni), L’ho già fatto più volte e sono infastidito dal mio lagnarmi. Voglio parlare della sua penna.
La penna dei medici e dei pochi laureati o comunque di coloro che avevano raggiunto una cultura superiore, due secoli fa era quasi sempre d’oro. Perché era una forma di riconoscimento della consapevolezza dello scrivere, del segnare, dell’assegnare. Scivere attraverso l’oro, materia sublime e comparabile tradizionalmente alla luce solare e alla perfezione, era un avvalorare la scrittura, che diventava sigillo, sentenza discriminante, poesia e viatico.L’importanza che i secoli hanno attribuito ai grafismi, ai sigilli e poi agli alfabeti impressi nella pietra, nelle pergamente o nella carta è equivalente a quella assegnata alla parola, al suono codificato, al dittongo e alla sillaba. Come sappiamo Platone ed altri si lamentavano della fatale deformazione dell’idea man mano che dalla stessa si passava alla espressione fonetica e poi allo scritto (manuale fino a cinque secoli fa). Per questo lo scrivere era quasi sempre un Rito oltre che una consuetudine riservata ai colti e lo scrivere bene era una necessità, non solo per deformare il meno possibile la parola ma per il fatto che costituiva il mezzo formale della comunicazione, tra il mondo delle idee primordiali e quello della manifestazione mondana.
E i mezzi per scrivere erano importanti. La preparazione degli inchiostri, i coloranti e infine le penne (in genere d’oca) più volte sostituite. E poi i pennini, e poi i sigilli per ceralaccare e avvalorare ulteriormente ciò che veniva scritto. E infine i supporti a pennino estraibile come quella in figura e poi le stilografiche. Un universo massacrato dall’avvento delle macchine da scrivere, poi dei computer poi dei telefonini ecc.Tutti oggetti che hanno centuplicato la velocità del messaggio tra gli uomini e completamente azzerato i tempi per riflettere, per meditare, per elaborare ciò che si dice e renderlo aggraziato, elegante, bello, efficace sia esteticamente che eticamente. Una ecatombe dell’eleganza in funzione di una esaltazione dell’automazione e della sclerotizzazione del messaggio umano. Il continuo supporto della macchina che suggerisce perfino come raccontare una emozione (faccine, bacini, fiorellini e altre facezie simili). La distruzione totale del rapporto tra mente cuore e mano, ridotta a servo della macchina che impone quali tasti schiacciare per connettersi subitol
Ma che connessione del cavolo. Nessuna connessione. Zero connessione.
Ragazzi mi rivolgo ai giovanissimi e purtroppo anche ai meno giovani. Lo capite che non siete connessi a nulla (neanche a voi stessi) ma incatenati a un supporto enteogeno deformante, come una droga? La scrittura era spesso contornata da meraviglie di carattere estetico e metafisico (dalla scrittura geroglifica, ai sigilli, ai caratteri cufici, alla logica cuneiforme, agli ierogrammi cinesi o giapponesi, alle rune, alle miniature medievali….ecc.ecc.. Rappresentava un messaggio e una comunicazione di grande valore, sacralizzato da grammatica e sintassi (oggi drammaticamente trascurate) e sopratutto dal magico rapporto fra mente pensante e traduttrice della idea in caratteri scrivibili con l’uso della mano e poi foneticamente traducibili da suono appropriato che conservasse il carattere e l’anima di chi lo pronuncia. Ricevere una “lettera” fino allo scorso secolo era un evento emozionante. Contrassegnato da lunghi lassi di tempo, a volte mesi o anni, tra la partenza e l’arrivo della lettera stessa. La lettera rappresentava un contatto “extratemporale” in quanto il momento in cui era stata ricevuta poteva essere assi lontano da quello in cui era stata scritta e i fatti, le evidenze, le situazioni potevano essere totalmente cambiate. Il che vuol dire che nelle lettere, scritte sopratutto a mano, non era opportuno scrivere stupidaggini e che era saggio”fissare” cose che avessero valore nel tempo, che durassero. Cose che andavano pensate a lungo prima di scriverle e meditate a lungo una volta ricevute,
Sono riuscito a spiegare il mio pensiero con la miseria delle parole? Spero di si perché questa è una delle ragioni per le quali amo quella penna: Essa scriveva cose straordinarie e le avrebbe scritte indipendentemente da chi la avesse utilizzata.