L’Alchimia del Medioevo nella sua fase iniziale, quando nel XIII secolo si passa dalla traduzione dei testi alchemici arabi alla produzione di trattati originali, sembra essere aconfessionale o, per meglio dire, «genericamente religiosa»: nei trattati che si possono far risalire a questo periodo si leggono invocazioni alla divinità, ma si tratta di formule generiche, in parte mutuate dalla traduzione dei testi arabi, «con l’aiuto di Dio», «se Dio lo vuole».
È dalla prima metà del XIV secolo che compaiono opere nelle quali viene esplicitato il significato mistico e spirituale dell’Alchimia rispetto all’aspetto prevalentemente «tecnico» dei primi trattati sulla base di un’esplicita correlazione tra i fondamenti teorici dell’Alchimia e la dottrina delle sacre Scritture. In tal modo l’Alchimia assume una forma cristiana, anche rimangono sostanzialmente gli stessi i principi di realizzazione interiore dell’alchimista.
Gli storici dell’Alchimia confermano l’ipotesi di un mutamento d’indirizzo dell’Alchimia a partire dal ‘300 definendola «svolta religiosa». Tale trasposizione nell’Alchimia di temi teologici del Cristianesimo iniziata nel XIV secolo si concentra su alcuni punti principali che già si possono desumere dalla Pretiosa margarita di Pietro Bono: la partecipazione di Dio all’Opera alchemica alla quale l’alchimista prende attivamente parte come concreator; l’analogia posta tra le operazioni alchemiche per realizzare la Pietra e la vita del Cristo, dalla Sua nascita virginale alla morte e resurrezione; la salvazione della materia e in particolare dell’uomo quale nuovo Adamo nello stato edenico precedente la caduta; lo stretto legame tra Alchimia e profetismo, sia perché le operazioni alchemiche ripetono e quindi confermano gli episodi della vita del Cristo come annunciati dai profeti, sia perché l’azione dell’elixir genera un uomo nuovo nella perfezione che avrà nel Giudizio Universale; la lettura in chiave alchemica dei testi vetero e neo-testamentari, come il racconto della creazione del Genesi, come si legge in alcuni mss dello Speculum alchimiae «tipo quattuor».
Anzi, gli alchimisti sono profeti essi stessi come afferma Pietro Bono nella sua Margarita novella: «Pietro Bono, poi, argomenta a fondo e persuasivamente la teoria secondo cui gli antichi alchimisti – per i fatti miracolosi che sperimentarono nell’arte – furono anche profeti della vera fede, così come i profeti e Giovanni Evangelista conobbero l’alchimia» (Crisciani e Pereira).
Tutto questo si può riassumere con la parola «redenzione»: sia la creazione nella sua totalità sia il singolo individuo possono essere trasformati e redenti mediante l’azione dell’Alchimia che, in quanto realizzazione delle Sacre Scritture, diviene strumento di Dio per portare a una condizione perfetta il creato.
A questa interpretazione dell’Alchimia si oppongono in modo esplicito alchimisti protestanti come Andrea Libavius, il quale ritiene che coloro i quali accostano Alchimia e Sacre Scritture «siano giunti a un avanzato grado di empietà per aver applicato alla Pietra gli altissimi benefici del Figlio di Dio », e Petrus Perna, il quale considera nefando l’utilizzo delle Sacre Scritture per esaltare l’Alchimia, «tanto che pare che esse siano state scritte solo per servire a onore e lode dell’alchimia».
Vediamo ora le caratteristiche salienti di questi trattati.
IL TRACTATUS PARABOLICUS
Il primo trattato a costruire in modo organico un parallelo tra Cristianesimo e Alchimia è il Tractatus parabolicus, attribuito ad Arnaldo da Villanova (1240-1311 o 1313), che sarebbe stato redatto tra la data della morte di Arnaldo e il 1350 circa, data probabile della stesura del Liber lucis di Giovanni da Rupescissa, nel quale sono riportate alcune citazioni del Tractatus parabolicus.
L’autore del Tractatus parabolicus utilizza citazioni dei profeti veterotestamentari leggendole in chiave alchemica, e in tal modo fa della vita, morte e resurrezione del Cristo l’immagine delle operazioni alchemiche a partire dalla prima Materia, cioè la nascita del Bambino, fino al compimento dell’Opera con la resurrezione del Cristo come essere perfetto.
«Il nostro elixir può essere compreso secondo il concepimento e generazione e natività e passione di Cristo … Proviamo che l’arte [alchemica] è vera e possibile … Cristo fu composto dagli elementi e il fiore uscì dalla radice [di Jesse], cioè dagli elementi. Questo può essere compreso così nell’arte nostra, poiché il virgulto è chiamato argento vivo, e il fiore è chiamato elixir … e l’elixir fu fatto dall’argento vivo nello zolfo, il che indica padre e madre … L’elixir è designato come Cristo». Il mercurio è identificato con lo stesso Cristo: come il Cristo muore «così è del mercurio … affinché il genere umano fosse liberato da ogni povertà e miseria tramite la passione e morte del mercurio»; come quattro furono le passioni del Cristo così «quattro [passioni] si possono trovare nel mercurio» e come il Cristo è risorto «e dopo essere tornato alla vita fu più bello e più forte di quanto fosse prima … così il mercurio, dopo che sarà resuscitato e ritornato alla vita [attraverso le operazioni alchemiche], risulta per qualità più bello, più puro, più nobile».
GRATHEUS E COSTANTINO DA PISA.
Nei trattati diciamo «cristianizzanti» successivi al Tractatus parabolicus al testo si accompagnano le prime figure simboliche, mutuate dai simboli e dalle figure della religione, figure che integrano ma soprattutto dovrebbero rendere più chiaro il significato del testo. L’utilizzo di immagini in questi trattati, non più disegni di strumentazioni o di forni alchemici ma illustrazioni complesse e articolate, si può spiegare come una sorta di commento al testo per renderlo più accessibile. In realtà lo scopo di rendere più accessibile i contenuti del testo non ci sembra raggiunto, anzi a volte l’immagine è ancora più oscura dello scritto o molto difficilmente associabile ad esso.
Le prime due opere che accompagnano il testo con immagini sono il trattato senza titolo attribuita a Gratheus e il Libro dei segreti di alchimia o, nella versione in fiammingo, il Libro dei segreti di Madonna Alchimia di Costantino da Pisa.
Nel trattato senza titolo di Gratheus compaiono per la prima volta i vasi alchemici non come semplice illustrazione ma come contenitori di immagini di personaggi: il vaso è circolare perché simbolo dell’universo, «in quanto simbolicamente è questo a costituire il recipiente delle ricerche alchemiche», e la sua forma secondo Gratheus «deve essere scoperta in cielo mediante l’osservazione delle stelle».
Le immagini più significative rappresentano la coppia formata dal re e dalla regina, figura degli elementi che vengono uniti in un vaso alla presenza di una figura armata di un bastone di nome Multiperos, che è anche il nome di uno dei vasi adoperati nelle operazioni alchemiche. Questa immagine darà luogo in seguito ai cicli di illustrazioni quali i trattati del Pretiosum donum Dei e dello Splendor solis. Il vaso multiperos in cui avviene l’unione diventerà il leo viridis nella Tabula maioris scientiae del Donum Dei.
Dalla loro unione è generato un figlio chiamato primus puer, la prima trasformazione della Materia che nei trattati alchemici è chiamata «Latone», la quale sarà con le successive operazioni trasformata nel secundus puer, che è l’Oro perfetto.
In questo trattato compare per la prima volta la resurrezione del Cristo collegata esplicitamente all’opera alchemica.
Per quanto concerne il Liber secretorum la data probabile di redazione è il 1257 sulla base della comparazione con altri testi alchemici.
Sull’autore si può dedurre dall’opera che doveva avere una preparazione a livello universitario comprendente medicina, teologia, astrologia e, ovviamente, alchimia, per cui sarebbe probabile che egli fosse un medico, professione per la quale nel Medioevo era necessaria una preparazione del genere.
Il trattato di Costantino è un testo teologico, alchemico e cosmologico prevalentemente teorico nel quale Costantino fornisce all’alchimia una base non solo cosmologica ma anche teologica.
Fondamento e principio di tutti i metalli è il mercurio: «Tutta l’arte alchemica consiste principalmente nel mercurio, perché è la materia stessa di tutti i metalli, nella quale tutti i metalli devono esistere », come affermeranno i successivi maestri con la nota frase est in mercurio quidquid quaerunt sapientes. Il mercurio, attraverso otto operazioni da eseguire secondo precise congiunzioni degli astri, perché «è necessario conoscere l’ordine dei pianeti», viene trasmutato nella Pietra e, dice Costantin,o «questa trasformazione miracolosa consiste nel mutare un corpo in un altro corpo, come il pane in carne e il vino in sangue», istituendo così un chiaro parallelo con la transustanziazione della Messa.
Le illustrazioni del trattato si basano sul simbolismo biblico rivisitato in chiave alchemica e rendono più chiaro il contenuto del testo, anche se non vi è rapporto diretto ed esplicito fra testo e immagine.
Nella prima immagine Dio in figura di cerchio antropomorfizzato e attraverso l’opera mediatrice di Michele, raffigurato ai suoi piedi, si libra sopra il triangolo, triangolo che qui non è il simbolo del fuoco ma della terra, raffigurante forse il Mar Mediterraneo, come si comprende dai nomi che lo circondano (per altro non presenti nel testo).
Nella seconda immagine Dio fons maris è all’origine dei quattro mari, Mare Caspium, Mare Mediterraneum, Mare Rubrum, Mare Occidentale (il nostro oceano Atlantico), simbolo delle «acque superiori», che si riversano sul Paradiso terrestre, raffigurato con Adamo ed Eva ai lati dell’Albero della Conoscenza, e sulla montagna da cui fuoriescono le «acque inferiori» rappresentate dai quattro fiumi biblici (Gen. 2, 14), che bagnano il mondo creato raffigurato di nuovo con un triangolo circondato da animali e vegetali al centro del quale vi è Ierusalem.
Nella terza immagine la mano benedicente di Dio crea il cosmo (Benedicat nos Deus et manus sua. Sua manu creavit omnia et gubernat omnia), sotto di Lui Michele al quale seguono i primi quattro pianeti-metalli: Saturno (Supra quem aquae congelatae Saturnus plumbum), Giove (Iupiter cuprum), Marte (Mars ferrum), Sole (Sol splendidus).
La serie dei pianeti-metalli prosegue con Venus stagnum, Mercurius argentum vivum pater omnium metallorum, raffigurato con la mitria vescovile sul capo, Luna argentum e si conclude con la terra mater omnium, rappresentata dal mondo vegetale e animale. Mentre tutti i cerchi sono concatenati l’uno con l’altro, non lo è l’ultimo, luogo del mare mortuum, il caput mortuum, rappresentato con la testa di un essere dalla cui bocca scaturiscono acque, raffigurazione infera e diabolica poiché fin dai Padri della Chiesa, e ancora oggi lo conferma l’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica, il mare era considerato simbolo del caos, luogo pericoloso per il corpo e, figuratamente, per l’anima.
L’AURORA CONSURGENS.
L’Aurora consurgens dello ps. Tommaso d’Aquino basa la giustificazione dell’Alchimia non sul riconoscimento dei valori in essa contenuti ma sulla loro corrispondenza ai principii del Cristianesimo, mediante il parallelo istituito dall’autore tra le citazioni dei testi scritturali e dei testi alchemici. Qui sarà possibile esaminare solo alcuni aspetti principali dell’Aurora consurgens per cuirimando chi voglia approfondire l’argomento ai lavori dei principali autori che ne hanno trattato.
L’autore.
L’autore, chiunque egli sia, ha una buona conoscenza sia delle Sacre Scritture, in prevalenza veterotestamentarie, sia dei testi alchemici di alchimisti greco-bizantini e arabi (l’unico autore medievale citato è Alberto Magno nel Libro II).
Chi egli sia non è possibile saperlo con certezza perché l’attribuzione a Tommaso (anche se sostenuta dalla von Franz) manca del tutto nei manoscritti: i codici che ci sono pervenuti, scritti tra il XV e il XVIII secolo, sono tutti anonimi e nessuno riporta il nome di Tommaso scritto dalla mano dell’amanuense che lo ha redatto e solo nelle successive edizioni a stampa compare l’attribuzione a Tommaso.
Alcune frasi fanno pensare che l’ambiente di origine possa essere francescano per due motivi principali, sia per il senso del profetismo che coincide con le idee di molti autori francescani, sia perché frequenti sono le affermazioni in sintonia con quanto scrivono Ruggiero Bacone e Giovanni da Rupescissa circa la ricchezza, la sanità e la longevità che vengono date dalla loro «medicina», il cui utilizzo è destinato ai pauperi, come scrive Giovanni da Rupescissa.
La concezione teologica dell’Aurora, a differenza della maggior parte dei testi anaoghi, non si basa sul Cristo come nel Libro della Santissima Trinità ma è la Vergine Maria a costituire il vero centro del trattato identificata anche se non esplicitamente nella figura della Sapienza.
Il significato della Vergine Maria non si limita alla semplice introduzione di un motivo cristiano nell’Alchimia ma costituisce una trasformazione del simbolo religioso il quale, come scrive la Szulakovska, perde il suo originale significato di oggetto di venerazione cultuale diventando un simbolo di significato strumentale.
In termini alchemici, la Vergine è la Materia prima che in sé racchiude il Principio creatore che deve essere portato alla luce perché possa portare alla perfezione ciò che la Materia stessa ha creato; Dante ha espresso in modo perfetto questo rapporto incomprensibile alla razionalità in un solo verso: «Vergine Madre figlia di tuo Figlio».
È da rilevare però che nell’Aurora la Vergine non è mai nominata ma adombrata sotto le vesti della Sapienza, così come in tutto il Libro I la parola «alchimia» non compare mai ed è sostituita da «sapienza» e solo a partire dal Libro II è adoperata la parola alchimia. Due singolari «dimenticanze» dell’autore che andrebbero approfondite.
Il testo e le immagini.
L’Aurora consurgens è un testo singolare tanto da essere definito come «visionario» per il modo nel quale è scritto. Un’interpretazione aberrante è quella della von Franz, che ricordiamo è una psicanalista junghiana, la quale ritiene l’Aurora consurgens il prodotto di una malattia mentale scritta da «qualcuno che si trova in uno stato di disperazione» dovuto a una «irruzione dell’inconscio» causata da una malattia mentale, per cui «il malato dapprima riesce a riferire soltanto un singolo aspetto dell’episodio psicotico».
L’opera è divisa in due Libri, ciascuno a sua volta suddiviso in capitoli: il Libro I comprende quattro capitoli introduttivi e sette «Parabole»; il Libro II tratta dei rapporti tra Alchimia, matematica e astronomia e descrive le proprietà dei metalli adoperati nelle operazioni alchemiche, ma non è meno «visionario» del Libro I, in quanto offre in alcuni capitoli ragionamenti e allegorie di non sempre facile comprensione, come quella di Mater Alchimia et magister Macer tratta dal «quarto libro di Re Artù», da intendersi come l’aiuto che l’alchimista deve dare alla Natura affinché ciò che è stato da lei creato possa giungere alla completa perfezione.
Da notare come in alcuni codici il medico sia stato trasformato in una donna, tanto da giustificare quella ipotesi di «femminilizzazione» di cui si è detto.
Una breve digressione: un trattato medico a nome di Macer si trova in un ms del XII sec.; tra le diverse ricette è riportata una prescrizione contro l’idropisia, proprio la malattia di cui soffre Mater Alchimia, ma basata su vegetali del tutto differenti: Ad ydropicos. Tenera radix sambuci bibata ex calido vino prodest. Item semen fraxini tractum [tantum?] cum vino bibatur ecc. È singolare che l’autore di una ricetta del secolo XII sia ricordato in un testo scritto nel XV.
Per dimostrare come l’Arte alchemica sia un’arte non solo lecita ma soprattutto conforme ai principi teologici del Cristianesimo, l’autore mette in parallelo citazioni tratte dalle Scritture vetero- e neo-testamentarie con estratti di testi alchemici. Occorre però notare che le citazioni sono a volte adattate per assecondare il pensiero dell’autore: ad esempio laddove il versetto biblico usato ha sapientia l’autore sostituisce con scientia, e quando cita il Libro della Sapienza (II, 5) aggiunge nella frase originale i gigli alle rose, per creare un riferimento all’Opera al Bianco e all’Opera al Rosso dell’iter alchemico.
Ancora più evidenti le manipolazioni subìte dai testi alchemici, ai quali sono aggiunte frasi che servono a confermare l’analogia tra questi e i testi scritturali, frasi che però sono assenti negli originali. In particolare proprio l’ultima frase che chiude il Libro I costituisce un esempio delle falsificazioni operate dall’autore: alla frase «Sono tre parole preziose in cui tutta la scienza è occultata» aggiunge «che deve essere data gli uomini devoti, cioè ai poveri, dal primo all’ultimo», ovviamente non presente nel testo alchemico e inserita allo scopo di appoggiare le tesi dei francescani spirituali.
Per ciò che concerne le illustrazioni che accompagnano il testo, in totale trentasette nei manoscritti più completi, esse accompagnano il testo scritto a volte senza un preciso rapporto fra testo e immagine, che in alcuni casi rimane indecifrabile come vedremo.
Incongruenze che lasciano perplessi: la separazione tra testo e immagini è voluta dall’autore per spingere il suo lettore a un’approfondita meditazione per comprendere l’argomento? o le immagini costituiscono un corpus a sé stante separato dal testo?
Analisi del testo e delle immagini.
L’Aurora consurgens presenta l’Alchimia nella forma di un’arte sacra perché di natura divina, espressione della Sapienza di Dio, una via di perfezionamento unitiva e ‘amorosa’ che conduce alla Sapienza e, con ciò, a Dio.
Nel Libro I è possibile individuare questo percorso alchemico attraverso l’esame del testo e delle immagini che lo accompagnano.
Il testo dell’Aurora è preceduto nei codici dall’immagine dello stemma dell’Arte, figurato come un’insegna cavalleresca con il Sole al centro dello scudo, anche se come vedremo più avanti potrebbe trattarsi non di un sole ma della rappresentazione di Saturno.
L’origine della figura dell’Androgine si può far risalire al Simposio di Platone e all’Eros orfico, come è stato proposto sulla base dell’esame di una kylix attica del Museo Archeologico di Firenze, nella quale sono assenti i genitali nella figura dipinta sul fondo della kylix, forse riferimento a una androginia di Eros già nel mito orfico.
Nell’Asclepio del Corpus Hermeticum (par. 21) era stata asserita la duplicità del Dio e dell’essere umano, anzi di tutto l’esistente: «’Dici che Dio possiede tutti e due i sessi, o Trismegisto?’. ‘Non solo Dio ma tutti gli esseri animati e inanimati … Entrambi i sessi sono colmi di forza generatrice e la congiunzione dei due, o più esattamente la loro unione [utriusque conexio aut, quod est verius, unitas], che si può chiamare Amore o Venere [Cupido sive Venus] o con tutti e due questi nomi, è qualcosa che non si può comprendere».
L’Androgine è rappresentato come un essere con due corpi, maschile e femminile, e tre gambe sotto la protezione dell’aquila che qui è simbolo del Principio; si presenta con una scandalosa nudità con i genitali maschili messi ben in evidenza tanto che nella versione del manoscritto di Zurigo furono nascosti dietro una zampa dell’aquila; l’immagine ebbe maggior fortuna nella forma più casta datagli nel Libro della santissima Trinità. Il soggetto è interpretato da Mino Gabriele come una sintesi iconica in cui «il lapis viene simbolicamente testimoniato nei suoi due principi (maschile/femminile), nelle tre componenti (corpo/spirito/anima) e nei due stati (fisso/volatile)».
Nella seconda immagine a tutta pagina vi è la Sapienza che raccoglie sotto la protezione del suo manto i filosofi-alchimisti: la figura è mutuata da un’iconologia mariana di cui si hanno i primi esempi a partire dal 1300 con Duccio di Buoninsegna e Simone Martini.
Anche se non è esplicitamente dichiarato, l’immagine è segno dell’identificazione tra la Sapienza e la Vergine, la quale, ricordo, non è mai nominata nel testo.
Nei primi cinque capitoli l’autore espone quale sia la «Sapienza» che è il soggetto di tutto il trattato: è la Sapienza del «vento del sud» (cap. I), «la regina del mezzogiorno che si dice sia venuta dall’Oriente come l’aurora che sorge … per comprendere e vedere la sapienza di Salomone», equiparata quindi alla Regina di Saba (cap. V). «Essa è dono e sacramento di Dio, cosa divina e occultata al massimo dai sapienti» (cap. II); «nella sua destra stanno longevità e salute, nella sua sinistra gloria e ricchezze infinite» (cap. I).
È «madre di tutte le scienze» (cap. II), «scienza di Dio, dottrina dei santi, segreto dei filosofi e medicina dei medici» (cap. III). Questi sono i tre piani su cui opera la Sapienza: divino perché genera la santità, operativo perché i suoi principi possono essere realizzati, pratico perché queste realizzazioni portano alla sanità degli uomini attraverso la medicina dell’elixir.
Seguono le sette «parabole», che con un linguaggio oscuro e con immagini non sempre comprensibili descrivono le sette operazioni alchemiche. Si tenga presente che, come scrivono i testi, non esiste una denominazione delle operazioni alchemiche che sia comune a tutti gli autori e che lo stesso numero delle operazioni può variare dall’uno all’altro: l’Alchimia non è una scienza moderna e ignora le cosiddette «regole scientifiche».
Prima Parabola: putrefactio.
Dice la Sapienza: «Vidi una densa caligine coprire di nero tutta la terra e aveva preso fino in fondo la mia anima che ne era stata oscurata, e poiché le acque l’avevano inondata queste si imputridirono … Chi mi avrà tratto da sottoterra … per lui sarò padre ed egli per me sarà figlio». Nella terra nigra della prima Materia «nella quale hanno messo radice i sette pianeti» sono occultate le potenze dei «sette spiriti mandati per tutta la terra a predicare e rendere testimonianza», grazie ai quali «i credenti e i battezzati saranno salvi, i non credenti condannati … Coloro che hanno creduto quando il re celeste li guarda diventeranno bianchi come la neve».
La putrefazione con cui ha inizio l’Opera al Nero avviene nell’acqua estratta dalla prima Materia dell’Opera; così scrive il Pretiosum donum Dei: «Putrefazione dei filosofi. Nigredo trasparente e lucida. Esso stesso è necessario che putrefaccia, qui sono posti i corpi in putrefazione e la terra nera è prodotta».
L’immagine nel testo mostra racchiusi in una circonferenza il Sole che ha di fronte a sé Saturno in forma di astro con raggi fiammeggianti e cinque figure in cui si possono riconoscere Mercurio con le ali e la corona, Luna, Giove, Venere e Marte: un ottavo cerchio tra ole e saturno è vuoto, forse a significare il mistero dell’inizio e del compimento dell’Opera visto che si situa tra Saturno-piombo, inizio, e Sole-oro, fine.
Da notare la figura di Saturno che sembra essere la stessa dello stemma dell’Alchimia che prima abbiamo visto.
Seconda Parabola: distillatio.
«Quando la distesa delle acque sarà ritornata a me e i torrenti saranno straripati sul mio volto … lo sposo con le dieci vergini sagge entrerà nella mia camera nuziale … E la morte che la donna ha introdotto la donna stessa la metterà in fuga».
Le «acque», simbolo della potenza animica «femminile» estratta dalla prima Materia, sono sollevate in alto dalla distillazione e ritornano ad essa per purificarla e prepararla all’incontro con lo «sposo», anticipazione del tema della settima e ultima Parabola. Così è scritto nella Figura 5 del Pretiosum donum Dei: «Questa è la terra nera e giallastra e fetida … Ciò che è sopra la materia sono le nuvole tenebrose, sono spirito e vapori».
Per fare questo è necessario eliminare le «acque» pericolose identificabili nelle forze psichiche (desideri, ricordi, pulsioni) che fanno del soggetto dell’operazione un individuo che ha fame di esistenza: «Privalo dell’umidità che corrompe e aumenta l’umidità naturale, e mediante ciò avrà perfezione e vita».
La «morte», cioè lo stato d’imperfezione dell’essere, è superata trasformando la componente animica «umida» da mortifera a vivificante: «Togligli e rendigli l’anima perché la corruzione dell’uno è generazione dell’altro».
Nell’immagine, divisa in due parti, le «acque» sono simboleggiate nell’anima che in forma di bambino esce dalla bocca del guerriero a destra e viene ridata da un altro guerriero a colui che sta risorgendo dalla tomba. Le immagini di uomini in armatura sottintendono la forza necessaria a compiere la purificazione della prima Materia.
Terza Parabola: ablutio e calcinatio.
«Mi raggiungeranno da ogni parte della terra per versare su di me acqua pura e sarò liberata dal peccato originale e dal demonio meridiano … Mi purificheranno da tutte le immondizie occulte ed estranee … dimenticherò i miei peccati perché Dio mi avrà unto con l’olio della gioia».
La frase indica gli effetti della riunione delle acque che una volta purificate devono essere riversate sulla terra perché questa sia a sua volta purificata e dall’unione fra i due elementi possa nascere un olio che è simbolo del fuoco.
La Figura 7 del Pretiosum donum Dei descrive la trasformazione dell’acqua in olio attraverso distillazione ripetuta che è il passo necessario per trasformare l’acqua in olio che è fuoco: «Olio dei filosofi. Capo del corvo. Qui il figlio nero è nato e diviene bianchissimo ... Quella terra nera e fetida è convertita in Argento vivo e soluta nel colore dell’olio, e allora sarà chiamata Olio dei filosofi».
Il testo sottolinea la difficoltà e la lunga durata di questa operazione che nel testo è paragonata ai settanta anni della deportazione del popolo ebraico a Babilonia.
L’immagine in corrispondenza della Terza Parabola è divisa in due: a sinistra un uomo tocca con la mano bagnata di un liquido rosso la fronte di un altro uomo seduto con un bastone in mano, a destra un personaggio legato viene condotto verso un fuoco.
La scena non è di chiaro significato, tanto che è considerata da alcuni corrispondente invece alla Quarta Parabola, nella quale si parla del triplice battesimo con acqua, fuoco e Spirito Santo.
Potrebbe essere possibile una differente interpretazione: se si coonfrontano l’immagine della Prima Parabola, in cui il mercurio è raffigurato come un personaggio con la corona sul capo e il mercurio del testo di Costantino, che ha sul capo una mitria vescovile, il soggetto della Terza Parabola potrebbe identificarsi con il mercurio per il bastone che potrebbe essere un pastorale vescovile secondo Crisciani e Pereira, e sarebbe quindi figura dell’acqua mercuriale purificata ma ancora non fissa e stabile, cioè è il «mercurio fuggitivo» o «servo fuggitivo» che deve essere fissato mediante la calcinatio per mezzo dell’azione del fuoco nell’immagine di destra dell’uomo condotto al rogo.
Quarta Parabola: ceratio.
La ceratio è l’operazione con cui si riporta l’umidità, cioè l’acqua mercuriale purificata e fissata.
Con questa parabola inizia in modo più esplicito l’accostamento tra Alchimia e Cristianesimo: argomento centrale è il numero tre su cui si basa la fede in quanto esso è il numero della Trinità: «Nel Padre è l’eternità, nel Figlio l’armonia [equalitas], nello Spirito Santo il legame tra eternità ed armonia … e questi tre sono uno, corpo spirito e anima».
Il numero tre si ritrova nel triplice Battesimo dello Spirito Santo, battesimo di acqua, che «piove dal cielo, inebria la terra e da essa prende la forza contenuta in ogni metallo», di sangue, perché il sangue «nutre … e la sede dell’anima è nel sangue», e di fuoco, «che infonde l’anima e la perfezione della vita perché il fuoco dà forma e completa l’opera».
Nell’immagine che accompagna questa parabola i tre componenti della Trinità formano un triangolo il cui centro è costituito dall’Annunciazione alla Vergine, profezia della nascita del Figlio.
L’immagine non trova riscontro nel testo perché in esso non si fa alcun accenno esplicito alla Vergine e al mistero dell’Annunciazione. Il collegamento tra l’Annunciazione e l’immagine potrebbe essere trovato nelle parole di Alfidio: «La terra si liquefa e si trasforma in acqua, l’acqua si liquefa e si trasforma in aria, l’aria si liquefa e si trasforma in terra glorificata». Con l’operazione della ceratio si completa l’unione tra la «terra», il corpo fisico del Verbo, e l’«acqua», lo Spirito disceso dall’alto sulla Vergine, cosicché si ottenga la «terra glorificata».
Quinta Parabola: fixio.
«Chi entrasse nella casa che la Sapienza ha edificato per sé si salverebbe e troverebbe cibo … A chi aprirà questa casa sarà data la dovuta santità e lunga vita perché è stata costruita su solida roccia», ove «santità e lunga vita» sono due qualificazioni consone al pensiero alchemico francescano. «Pochi tuttavia la aprono perché sono fanciulli … quelli che sono bambini apriranno la casa con la loro dignità e il loro grado in modo da osservare a faccia a faccia lo splendore del Sole e della Luna».
La casa è il simbolo della fixio: il mercurio ancora volatile, il drago o l’uccello con le ali, simbolo della femmina, si unisce al drago maschile senza ali: una volta fissato il mercurio è pronto per l’ultima operazione che sarà descritta nella Parabola Sesta, l’unione dell’acqua mercuriale e delle ceneri che sono il residuo della prima Materia.
L’immagine del manoscritto è divisa come sempre in due parti: a destra, riprendendo il frontespizio della Tabula chymica di Senior, si vede l’anziano con la tavola coperta di simboli, simbolo degli «insegnamenti dei sapienti» che è necessario seguire per realizzare le «promesse»; a sinistra un discepolo dell’anziano indica con la mano una colonna che regge un matraccio, il risultato del lavoro fino a qui eseguito posto in evidenza al centro dell’immagine.
Sesta Parabola: coagulatio.
Qui viene affrontato il mistero dell’Elemento terra che è il più basso tra gli Elementi ma è la loro origine una volta purificato e congiunto all’Acqua mercuriale: «Qui si pone la terra come principio degli elementi … La terra è il principio e la madre degli altri elementi … la terra è eterna e i cieli si fondano su di essa … I pianeti hanno le loro radici e i loro influssi nel centro della terra … questa terra creò la luna a tempo opportuno e poi è sorto il sole … La cenere [della prima Materia] viene mescolata con l’acqua che circola, che è il lievito dell’oro … Quando avranno estratto quest’acqua divina, che è fuoco, la riscalderanno col suo fuoco, che è acqua … [questo è] il grande paradosso oscuro agli stessi sapienti».
La coagulatio, unione della cenere con l’acqua, prelude alla conclusione dell’Opera nel mysterium coniunctionis. Si confronti con la Figura 10 del Pretiosum donum Dei: «Cenere delle ceneri. Quelle nebbie nere discenderanno nel corpo da cui erano uscite e sarà realizzata l’unione tra Terra e Acqua e sarà fatta la cenere. Cenere dei Filosofi».
La parabola è illustrata con un’immagine che differisce secondo i codici: quella che riteniamo più attinente al testo si trova nel manoscritto di Leida, in cui è raffigurato un uomo che accoglie la pioggia su di una mano mentre si dirige verso un fuoco su cui si trova un paiolo dal quale emerge il busto nudo di una donna incoronata. L’acqua che scende dal cielo è la «rugiada celeste» o «rugiada di Maggio», simbolo dell’intervento divino che aiuta l’alchimista a portare a compimento l’opera che ha realizzato con le sue proprie forze, rappresentate dall’azione del camminare, il cui risultato è simboleggiato con la figura della Sapienza incoronata che emerge dall’unione dei due elementi opposti, l’acqua e il fuoco, simboleggianti l’anima e lo spirito.
Settima Parabola: mysterium coniunctionis e multiplicatio.
La Settima Parabola è considerata come un possibile indizio per identificare in Tommaso d’Aquino l’autore del testo, perché prima di morire nell’Abbazia di Fossanova, dice la von Franz, Tommaso «fece alcune lezioni – cosa piuttosto sorprendente - sul Cantico dei Cantici … La trascrizione di queste lezioni non è stata mai trovata [e] la lettura degli Acta bollandiana mi fece nascere il sospetto che l’Aurora consurgens derivasse proprio dagli appunti delle ultime lezioni di san Tommaso».
L’amata è la terra, «nera e oscura, perché il sole mi privò del colore e gli abissi coprirono il mio aspetto» ma diviene «la terra promessa che fa sgorgare latte e miele». La sposa ora può dire: «Io sono la mediatrice degli elementi, li accordo l’uno all’altro … Io sono la fine e il mio amato il principio, io sono l’opera intera e tutta la scienza è occultata in me … Io uccido e faccio vivere».
Il significato alchemico dell’unione è adombrato nei colori dei due amanti, rosso il maschio e bianca la femmina: «Il mio amato vermiglio mi ha parlato … Io sono il fiore dei campi e il giglio delle valli».
Nella fase finale dell’Opera il principio maschile e quello femminile si uniscono e il due genera uno, come si vede in alcuni codici in cui all’immagine dei due sposi sul letto segue una seconda in cui nella scena è presente anche una culla con un bambino.
Il testo è ispirato al Cantico dei Cantici, ma la corrispondente illustrazione non coincide con il testo biblico, nel quale non si parla di un rapporto sessuale tra i due. Nel manoscritto di Leida l’immagine dell’unione è esplicita, tanto più che le lenzuola sono trasparenti per mettere in evidenza i corpi degli amanti, in altri manoscritti la scena è stata censurata o addirittura rimossa, come nel manoscritto di Praga, mentre la ritroviamo ancora più esplicita, senza nemmeno le lenzuola a coprire i due, nelle illustrazioni dei più antichi manoscritti del Pretiosum donum Dei.
Rispetto alla scena della precedente Parabola ora gli alberi portano frutti, simbolo della capacità di generazione a cui l’alchimista è giunto al compimento dell’Opera, la multiplicatio del lapis philosophalis.
Del mysterium coniunctionis non è lecito parlarne perché è un segreto che può essere trasmesso solo da bocca a orecchio, come afferma la frase con cui si chiude il Libro I: «Chi ha orecchie per intendere intenda ciò che dice lo spirito della dottrina sull’unione dell’amato con l’amata».