Olio su tela 25x35. XVIII sec. (CRI-SIRP)
La storia di San Raffaele Arcangelo e Tobia riportata nella Vulgata, dietro una apparente narrazione favolistica (in genere poco apprezzata sotto il profilo filologico nonostante alcuni documenti provenienti da Qumran e da un testo in greco redatto presumibilmente in Giudea intorno al II sec a.C. che ne confermerebbero l’antichità) nasconde un messaggio simbolico-numerico-alchemico complesso e raffinato di cui daremo qualche cenno. Ricordiamo che tale libro non compare affatto nella Tanakh ebraica e neanche nella Bibbia protestante.
La storia di “Tobi” si svolge intorno al VII secolo a C. Il padre di Tobia, della tribù di Neftali, di nome Tobia anche lui, uomo retto e generoso viene deportato in Assiria e, dopo una serie di vicissitudini altruistiche diventa cieco. Sentendosi prossimo alla fine, decide di inviare il figlio nella Media a recuperare un credito di 10 talenti di argento. Il figlio parte e, in un viaggio assai avventuroso, incontra un misterioso saggio che lo consiglia e lo aiuta e che, alla fine rivelerà la sua identità.
Il ragazzo, poco più che adolescente, dovrà affrontare uno strano pesce che lo assale durante una immersione nel fiume Tigri. Vorrebbe fuggire ma il vecchio saggio (che è l’Arcangelo Raffaele in incognito, ovvero “Medicina Dei”) lo incoraggia a prendere il pesce dalla testa, ucciderlo e estrarne il fiele, il fegato e il cuore.
Dopo aver fatto questa operazione Tobia incontra Sara, fanciulla bellissima posseduta dal demone Asmodelo (Colui che induce a uccidere o ad ammalare secondo alcuni oppure, più semplicemente, “Dio dell’ira “ seguendo una semiologia iranica). Sara, sotto possessione, ha già ucciso 7 mariti ed è pronta ad uccidersi dalla disperazione per questi suoi atti involontari. Tobia, reso consapevole da Raffaele delle condizioni di Sara, la chiede ugualmente in moglie. Sempre dietro suggerimento di Raffaele getta nel braciere il cuore e il fegato del pesce. Gli aromi che si sprigionano da questa “cottura” fanno fuggire Asmodeo, la maledizione viene infranta e l’unione mistica si celebra felicemente e in seguito il matrimonio viene ufficialmente celebrato sfarzosamente. Infine Tobia torna dal padre, gli cura gli occhi con il fiele del pesce e il padre riacquista la vista. Questi sono i termini di una apparente storia fanciullesca a lieto fine.
In realtà la storia di Tobia ben si allinea con le “fiabe arcaiche” quelle che in maniera fanciullesca nascondono il racconto misterico, iniziatico e periglioso che contraddistingue saghe e poemi epici di ogni tradizione. Il viaggio inizia col necessario distacco dalla casa paterna (in particolare dal padre suo omonimo, possessore di una “decade” di monete o pezzi di valore arcaico e iniziatico sia per il tipo di materiale che per il numero). Teniamo presente che nell’antichità veniva a volte assegnato all’argento un valore superiore che all’oro e che il collegamente argento-luna è comune a buona parte delle tradizioni mediorientali.
Ovviamente il numero dei “talenti” (ovvero delle qualità-facoltà o delle possibilità) ricorda le Sephiroth cabalistiche anche se si tratta di una tradizione storicamente più recente, ma, dando per accertata anche la origine greca del libro, ricorda soprattutto la tetractis pitagorica e la successione geometrico-filosofica che ne determina la preziosità.
La cecità accomuna molti “vecchi saggi dell’antichità”, visionari, profeti a partire da Omero e il particolare che figlio abbia lo stesso nome del padre, rappresenta la continuazione in una “nuova gioventù” in una rinascita alchemica inesperta ma coraggiosa e cosciente del cammino percorso dal vecchio Tobia[1]. Le peripezie di Tobia-figlio sono moltissime ma quella fondamentale è rappresentata dall’incontro con San Raffaele che di per se è la Grande Medicina, cioè la cura filosofica e fisica dell’uomo e dell’Universo. Raffaele è il conoscitore delle operazione alchemico-magiche superiori per la sconfitta del male, per la purificazione e per la fabbricazione…dell’elixir di lunga vita o, se vogliamo, per la fissazione del Mercurio e la produzione dell’Oro.
Il pesce, maligno (che è una estensione “sotto la superficie delle acque” di Asmodelo) si agita ed emerge per interrompere il viaggio iniziatico. E’ l’avversità necessaria, ma anche la “prova”, il “drago”, il “mostro”.
Il pesce, spiega Raffaele, va preso per la testa[2]. Il veleno malefico[3] e le sue “interiora” si trasmuteranno in medicina (così come spesso invocato nella disciplina alchemica) dopo una opportuna e saggia lavorazione.
Ciò che viene estratto va ovviamente preparato e cotto alchemicamente col giusto fuoco, in modo da acquisire le sue proprietà occulte, evaporare e liberarsi delle scorie inutili.
Non è un caso che le parti estratte riguardino il cuore, l’amore, (il mercurio), il fiele amaro e bruciante (lo zolfo) e il fegato (il coraggio e la forza materiale e arcana (il sale). Su questa identificazione si può essere fortemente discordi. Non solo per le qualità chimiche e per la localizzazione dei tre elementi ma anche per le loro qualità[4].
Raffaele spiega a Tobia che Sara, anche lei innamorata di Tobia, è vittima del demonio ma che sottoponendola agli aromi del cuore e del fegato, usati opportunamente sull’argenteo lunare e puro di Sara (che vuol dire “principessa”), o sulla prima materia, si scioglieranno i vincoli della “possessione” e questo renderà possibile il coito segreto. Non dimentichiamo che Sara ha compiuto a sua volta la dura scalata del settenario dei metalli (7 mariti uccisi e sepolti) per cui ha altresì terminato il suo viaggio planetario senza però poter giungere alla luce (ricorda vagamente il ritorno gnostico della Sapienza al suo Creatore).
Il parallelo con i 7 centri sottili della tradizione orientale e occidentale è superfluo. Comunque nonostante che il padre di Sara abbia già dolorosamente preparato la fossa per l’ennesimo sposo destinato a morire, Tobia si salva, protetto dalla “Opera” di Raffaele e celebra la sua notte d’Amore. Infine torna a casa felice con il suo sacchettino di amaro fiele. Cura la cecità del padre con tale sostanza e quest’ ultimo ovviamente riacquista la vista (forse un nuovo tipo di vista). Infatti l’amaritudo probabilmente oggettivizza una realtà umana di cui Tobia-padre non ha mai preso atto.
A questo punto possiamo dire che la triade si è completata. L’uomo vecchio (della tradizione alchemica) è guarito dall’uomo giovane (e non è stato ucciso contrariamente a quanto spesso previsto dall’alchimia rinascimentale più conosciuta). Il Saturno plumbeo con la falce e le ali è stato aggredito dalla Medicina Dei che lo trasforma nell’oro solare del Giovane Tobia unito alla principessa lunare Sara, ormai in grado di esprimere tutta la sua potenza. La triade è compiuta
P.S: IL quadro è un arrivo recente in Fondazione. Proviene da un "Mercatino dell'usato" dove siamo stati colpita dalla particolare espressività dei personaggi e dai numerosi suggerimenti simbolici. La qualità è ben lontana dai moltissimi quadri di autori italiani famosi a partire dal Verrocchio che hanno in genere rappresentato la storia "dopo" la cattura del pesce
[1] Il vecchio Tobia viene accecato dagli “escrementi degli uccelli” mentre dormiva stremato sotto un albero dopo essersi ridotto in miseria per aiutare i suoi fratelli. Gli escrementi sono il luogo dove alchemicamente si nasconde la più elevata ed improbabile preziosità.
[2] Così come, non a caso, quello della Fontana nel giardino del Simmetria Institute. La Fontana è un elemento particolare del Giardino che viene “strategicamente” modificato in continuazione.
[3] Vedi le trasformazioni operate dai santi a partire da Giovanni che hanno rischiato di essere avvelenati e hanno trasmutato i veleni a loro riservati in liquido potabile.
[4] Ci riserviamo in un articolo di approfondimento, di rivedere completamente tale identificazione in quanto siamo consapevoli della arbitrarietà di quanto al momento affermato.