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IL LIBRO DI CIÒ CHE È NELL’AMDUAT - Parte II - (di P. Galiano) - Simmetria-Institute

IL LIBRO DI CIÒ CHE È NELL’AMDUAT - Parte II - (di P. Galiano)

IL LIBRO DI CIÒ CHE È NELL’AMDUAT

Paolo Galiano

1370 002 Djed e Ptah

 

PARTE SECONDA

 

ORA SESTA

Ora: Approdo che dà la retta via.

Porta: Quello che affila i coltelli.

Luogo: Acqua profonda.

 

Nelle Ore dalla Sesta alla Nona la barca solare torna a navigare sulle acque e attraversa la città di Busiris nel Delta del Nilo, città sacra fin dal periodo protodinastico a Osiride. Il Dio Solare consegna alle divinità che sono in questa contrada le offerte perché ne siano fortificati: “Voi siete coloro che sono soddisfatti del sostentamento, signori delle braccia, con i piedi giusti. Siano alte le vostre forme, grandi le vostre manifestazioni, per essere forti, potenti e non capovolti” (FT p. 68). Più avanti è detto: “State in piedi e non indietreggiate, sdraiatevi e non siate stanchi ... Voi siete soddisfatti nella vostra carne e le vostre bende non sono legate... Possano i vostri volti vivere, possano respirare i vostri cuori ed essere illuminata la vostra oscurità, possiate prendere possesso dell’acqua ed essere soddisfatti delle vostre offerte” (FT p. 70).

Il testo sottolinea più volte questo stato di “soddisfazione” degli Dèi nella Sesta Ora: le forze che sono state dapprima separate dal nucleo spirituale (ricordiamo che nella Seconda Ora si parlasse di “cadaveri da essiccare” per togliere il “cattivo odore della putrefazione”) e poi a ogni Ora successiva purificate nel corso dell’Opera iniziatica vengono ora potenziate e “soddisfatte” per predisporsi a riprendere il loro posto accanto al Dio e tornare a integrarsi nel Centro spirituale che ha superato la prova nel deserto del Ro-stau.

Di questi poteri è anche detto che “non devono essere capovolti”: essi vanno indirizzati verso il fine ultimo della totale integrazione e non dispersi verso mete secondarie. Ciò riporta alla mente le istruzioni date in altri ambiti esoterici di non arrestare il proprio cammino alla manifestazione dei primi poteri psichici, ma di proseguire fino in fondo il percorso.

Il segno che in questa Ora inizia l’integrazione dei poteri nel segno della Regalità (non possiamo non pensare al nome di “Ars Regia” dato all’Alchimia) si riscontra nella ripetizione di taluni simboli: vi sono nove scettri che rappresentano i Faraoni del Basso e dell’Alto Egitto, tre con la corona dell’Alto Egitto, tre con quella del Basso Egitto e tre con gli urei, le “potenze fiammeggianti”, simbolo del potere solare e distruttivo del Faraone; in un’altra immagine si trovano nuovamente i Faraoni del Basso e dell’Alto Egitto, questa volta accompagnati da “Coloro che provvedono alle offerte” e dagli “Spiriti luminosi” (akhu).

Il Dio Solare si rivolge loro dicendo: “I vostri regni sono vostri, re dell’Alto Egitto … Voi siete soddisfatti. Le vostre corone sono vostre, re del Basso Egitto … Le vostre offerte divine sono vostre perché possiate essere soddisfatti. Voi provvedete alle vostre anime per essere forti. Voi siete sovrani nelle vostre città. Voi siete invero soddisfatti per le offerte che la parola degli Dèi vi ha procurato” (FT p. 70).

La presenza degli Antenati durante tutto il viaggio dell’Iniziato nel Libro dell’Amduat così nella Sala del sarcofago della tomba di Sethi (ove sono raffigurate le “anime di Pe e di Nekhen”, simboli rispettivamente dei Faraoni protodinastici del Basso e dell’Alto Egitto) significa, a nostro avviso, non solo la testimonianza del corretto corso dell’Opera a suo tempo completata dai predecessori dell’Iniziato ma anche la riunione in un soggetto unico dei poteri realizzati dalle generazioni a lui precedenti.

1370 Fig 11 VI ORA I TRE SANTUARI

Fig. 11 – VI Ora: i tre Santuari. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

In questa Ora si trovano tre santuari misteriosi FIG. 11, ciascuno posto sotto la protezione di un ureo che sputa fiamme e illuminato da un disco solare: essi, secondo Fornari e Tosi, “contengono rispettivamente la testa, le ali e la parte posteriore dello stesso Râ” (FT p. 69), interpretazione non corretta considerato che poco dopo il testo dice “Egli [= Râ] approda presso i misteriosi santuari che contengono le immagini di Osiride. Questo Dio chiama al di sopra di questi misteriosi santuari”.

In effetti, considerando il mito di Osiride fatto a pezzi dal fratello Seth, ci sono ottime ragioni per ritenere che l’interpretazione di Fornari e Tosi sia inesatta, anche perché i nomi dei santuari si rifanno alla lotta tra Horus e Seth per la conquista del potere dopo il passaggio di Osiride a Signore dell’Aldilà: “Santuario dell’adorazione a Seth”, “Santuario di Kher-aha” (il luogo ove avvenne la disputa fra i due Dèi), “Santuario dell’unione di Horus”.

Per il de Rachewiltz i santuari, che contengono secondo l’Autore una testa umana, un’ala di volatile e la parte posteriore di un leone (in effetti l’immagine della tomba di Thutmosi, anche se non è molto chiara, sembra raffigurare una zampa posteriore con la coda) “possono indicare la tripartizione dei piani di manifestazione cui viene fatto corrispondere il simbolo del Leone, dell’Aquila e del Volto” (R p. 69).

Una forma analoga di “tripartizione della divinità” la ritroviamo nel Capitolo XVIII del Libro dell’uscire al giorno: “Riguardo alla notte del grande mistero delle forme essa è l’esistenza nel sarcofago delle cosce, delle gambe e dei talloni di Osiride Unnofer”. Il significato di questo testo così è spiegato dal Mayassis[1]: “Il sarcofago è la luce che avviluppa intimamente l’anima osiriana come il sarcofago circonda il corpo morto. Le membra sono il simbolo della potenza, delle facoltà dell’anima ... Questa ‘notte del mistero’ è dunque la vita”, e aggiunge: “le membra che sono nel sarcofago sono precisamente quelle che simboleggiano la capacità di camminare, di muoversi”.

I tre santuari potrebbero essere il simbolo di un’unità psicofisica che deve essere reintegrata (Osiride fatto a pezzi, il primo Re terreno fonte del Potere regale in quanto dà inizio alla successione dei Faraoni) per poter ricostituire la completezza dell’Essere.

Altro segno di “riunificazione” è la contemporanea presenza in questa Ora dei poteri di Râ e di Horus, poteri simboleggiati dagli “occhi” di Horus e dalle “pupille” di Râ, rispettivamente nella forma del doppio udjat, gli “occhi di Horus”, custodito dal leone seduto davanti ai nove Scettri e da una divinità femminile, Imenet-seshemus, “Colei che nasconde le loro immagini”, la quale davanti a Thot porta le due “pupille” di Râ, aventi forma simile alla pupilla che si vede nell’Ora Terza, ma nascondendole dietro di sé.

È oscuro il significato che si può attribuire a questo “nascondimento”, con il quale forse si indica che l’Iniziato non è ancora preparato all’unione dei due poteri solari. Tale stato di incompletezza della realizzazione potrebbe essere indicato dalla figura di Khepri: Khepri antropomorfo, che qui ha il nome If, “Carne”, cioè lo stesso nome che ha il Dio Solare dall’inizio del suo “viaggio”, davanti a sedici divinità mummificate, cioè in posizione passiva, di cui quattro con la corona dell’Alto Egitto e quattro con quella del Basso Egitto, è sdraiato per terra, ma non è del tutto passivo, perché braccia e gambe sono in movimento, e avvolto in un circolo protettivo formato dal serpente dalle cinque teste Asha-heru, “Dai molti volti”: “Questo è il cadavere di Khepri, la sua stessa carne, il ‘Dai molti volti’ lo sorveglia. Così egli è: la sua coda è nella sua bocca” (FT p. 70), cioè in forma di Ouroboros, il serpe cosmico simbolo dell’eternità. FIG. 12

1370 Fig 12 VI ORA KHEPRI NEL SERPENTE

Fig. 12 – VI Ora: Khepri e il serpente a cinque teste.

È necessario rilevare come altre Tradizioni conoscano il simbolo del serpente a cinque teste e sempre connesso allo stato di “riposo” di una divinità: l’esempio più interessante lo troviamo in India nella figura del serpente Ananta, “l’Eterno”, simbolo della Materia primordiale, raffigurato nei bassorilievi con cinque teste, sulle cui spire si adagia in riposo il Dio Vishnu FIG. 13. Vishnu è la figura del Dio creatore e la sua presenza “dentro” le spire di Ananta è simbolo del Potere che ancora non si è manifestato dalla Materia, così come divinità egizie quali Atum e Neith si trovano nell’acqua del Nun primordiale prima di manifestarsi; con l’analogia tra l’immagine di Khepri-Ashaheru e quella di Visnu-Ananta ci troviamo di fronte alla perfetta coincidenza tra differenti espressioni della stessa concezione cosmogonica nell’àmbito della Tradizione.

1370 Fig 13 Vishnu e serpente modif

Fig. 13 – VI Ora: Vishnu protetto dal serpente a cinque teste (San Francisco, USA, Asian art Museum; autore: Marshall Astor, Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license, modificato).

ORA SETTIMA

Ora: Colei che respinge il serpente Hiu e decapita Nehahor.

Porta: Portale di Osiride.

Luogo: La caverna misteriosa.

 

Perché si possa portare a compimento l’opera di riunificazione delle componenti che erano state separate all’inizio del “viaggio” occorre prima sconfiggere e immobilizzare il Male, o come direbbero gli egiziani il Caos, visto che per essi non esiste il binomio Bene-Male ma solo Ordine-Caos.

Elemento centrale della Settima Ora è la lotta contro Nehahor, “Dal volto ritorto”, altro nome di Apep, che cerca di riassorbire il cosmo ordinato nel Caos primordiale.

Sulla barca solare la cabina, che aveva la forma di una cappella lignea, si trasforma nel benefico serpente Mehen, “Colui che avvolge”, il quale proteggerà il Dio fino all’ultima Ora: il Dio è accompagnato sulla sua barca da Iside, la Grande maga, da Heka, la “Magia”, e da Sia, la “Sapienza”. Iside e l’Anziano (o” il Primogenito”, forse una forma di Shu, il primo Dio dell’Ogdoade) con i loro incantesimi fanno avanzare la barca sulla sabbia (che nell’Ora precedente era invece trainata), poiché il serpente Nehahor ha “bevuto” l’acqua per fermare la barca e distruggere il Dio, ha cioè riassorbito nel caos primordiale ogni possibile potenzialità per impedire la creazione del cosmo, cioè dell’ordine, perché tale è il significato etimologico di “cosmo”.

Dice il testo: “Egli [= il Dio Solare] percorre questa strada che è priva di acqua, senza essere trainato, egli avanza per gli incantesimi di Iside, per gli incantesimi dell’Anziano e anche per le formule magiche che sono nella bocca di questo stesso Dio. Ha luogo lo smembramento di Apep nella Duat ... Così ciò avviene come descritto nella parte settentrionale della camera nascosta della Duat.” (FT p. 72).

Iside e l’Anziano con le loro formule magiche privano della forza il serpente Nehahor in modo che Serquet-hetit, “Colei che apre la gola”, e Heri-desuf, “Colui che è sul suo coltello”, possano immobilizzarlo con i lacci e quattro Dèe armate di coltelli lo facciano a pezzi.

Nelle altre scene si prepara il passaggio dall’ora Settima all’Ora Ottava attraverso le progressive modifiche delle “divinità” che l’Iniziato incontra in questo luogo, immagine delle facoltà individuali psichiche e animiche, o dei “centri” come li chiama il de Rachewiltz seguendo la sua lettura del Libro in chiave tantrica, facoltà le quali sono ancora inattive e devono progressivamente essere risvegliate, affinché il “viaggio” possa procedere verso la ricomposizione dell’unità dell’Iniziato che diviene un Dio, ciò che nelle Litanie di Râ e nel Capitolo LXII del Libro dell’uscire al giorno è descritto come l’ identificazione di ciascuna parte del suo corpo con una divinità: “I capelli dell'Osiride N sono quelli di Nut, il volto dell'Osiride N è il volto di Râ, gli occhi dell'Osiride N sono quelli di Hathor, ecc.”.

La trasformazione avviene in due tempi: nella Settima Ora le “divinità” sono inerti, “sedute” o nascoste in “cofani”, nell’Ottava Ora esse diventeranno visibili nelle loro “caverne” anche se ancora immobili, questo per evitare che si “risveglino” alterando il corso dell’operazione prima di essere perfettamente purificate dalla “luce” che emana il Dio Solare, simbolo della conoscenza che si va realizzando nell’Iniziato. Questa “inattività” è ben visibile nelle scene che accompagnano l’uccisione del serpente.

Atum e Osiride sono rappresentati nella forma di If-Atum e di If-Usir, cioè “Carne di Atum” e “Carne di Osiride”, la stessa “materia prima” If con la quale il Dio Solare nella forma di Khnum è entrato nell’Amduat nella Prima Ora. Ambedue sono seduti, il che implica una presenza non attiva: le due divinità sono in possesso dei loro attributi, lo scettro uas e la croce ankh, ma sono ancora incapaci di essere di per sé agenti e per questo posti sotto la protezione dei serpenti.

“Carne di Atum” è seduto sul serpente Saq, “Colui che congiunge”, ed è accompagnato da tre uccelli con volto umano, immagini del ba, che portano sul capo la Doppia Corona; “Carne di Osiride” è assiso sul trono avvolto nelle spire del serpente Ankh-iru, “Il vivente di forme”, che lo protegge, mentre avanti a lui il Dio-gatto Medes-her, “Tagliente di volto”, decapita i suoi nemici. Il Dio-gatto, l’animale sacro a Bastet, la controparte della terribile Dèa-leonessa Sekhmet, ambedue a loro volta forme di Hathor Madre degli Dèi, è una figura di Râ, spesso rappresentata sulle steli e sulle pareti delle tombe nell’atto di fare a pezzi Apep. FIG. 14

1370 Fig 14 VI Ora Gatto e Apep Pap Hunefer

Fig. 14 – VI Ora: il Gatto, immagine di Râ, uccide il simbolo del Caos Apep-Apophis (papiro Hunefer, immagine di pubblico dominio).

Altra immagine da considerare è quella di Osiride sepolto in un tumulo di sabbia controllato dal coccodrillo Abesh che cerca di divorarlo FIG. 15. Solo quando passa la barca solare possono emergere dalla sabbia la testa e l’occhio di Osiride, perché Râ impedisce ad Abesh di recare danno a Osiride: “Egli [= Osiride] è quello che custodisce l’immagine di questa città. Egli ascolta le voci degli uomini sulla barca di Râ ed emerge l’occhio dalla sua spina dorsale ed anche la testa che è sulla sua sabbia. Egli ingoia questa immagine dopo che questo grande Dio passa vicino a lui [cioè scompare nuovamente sotto il tumulo]. Chi conosce ciò è un’anima che il coccodrillo Abesh non può annientare” (FT p. 74).

1370 Fig 15 VII ORA OSIRIDE E IL COCCODRILLO

Fig. 15 – VII Ora: il tumulo di Osiride e il coccodrillo. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

La minaccia dell’annientamento di Osiride potrebbe indicare la “pericolosità” dell’operazione che si sta conducendo: un’incompleta preparazione, un agire fuori tempo, quando ancora il Dio non sta “passando”, non ha raggiunto la perfetta padronanza del potere, porta alla distruzione dell’operatore.

Un elemento di particolare interesse lo si trova in quanto scritto nel testo circa “l’occhio [che] emerge dalla sua spina dorsale”: la connessione posta tra la spina dorsale e l’occhio, poiché l’occhio è simbolo del potere solare, potrebbe confermare quanto abbiamo detto circa lo scopo dell’operazione iniziatica, padroneggiare il “potere dell’Occhio”, qui esplicitamente connesso alla spina dorsale (per il de Rachewiltz sede di Kundalini), segno della “stabilità” che si deve raggiungere per avere il retto possesso dell’Occhio.

1370 Fig 16 VII ORA LE QUATTRO TOMBE

Fig. 16 – VII Ora: le quattro tombe. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Di nuovo compaiono insieme Atum, Osiride, Khepri e Râ rinchiusi in quattro cofani FIG. 16, ciascuno indicato con il nome di “Quello che contiene l’immagine di Atum”, “di Osiride” e così via: “Esse sono le forme misteriose della Duat, i cofani della terra, le teste segrete. Esse si trovano alla fine di questi banchi di sabbia. Le teste e i coltelli che sono in esse [sui cofani sono raffigurate due teste alle estremità di ciascuno e un coltello in mezzo alle teste] escono fuori quando odono le formule magiche di Nehahor. Poi esse ingoiano le loro immagini quando questo grande Dio [il Dio Solare] è passato in questa città”. Sono gli stessi quattro Dèi che nella Prima Ora erano presenti sotto forma di erme di pietra con i nomi di “Ordine di Atum”, “di Osiride”, ecc.: la differenza tra le steli e i cofani potrebbe indicare che la trasformazione delle componenti psicoanimiche dell’Iniziato sta procedendo nel senso di una loro trasformazione in entità viventi e non più “pietrificate”; ciò, è sottolineato, avviene “alla fine di questi banchi di sabbia”, quando la barca solare sta per uscire dal deserto per tornare a navigare sulle acque del Nilo.

Difficile è determinare il significato di questa tetrade di Dèi che troviamo per due volte nella Duat: se i primi tre rappresentano le tre fasi del sole all’alba (Khepri), a mezzodì (Râ) e al tramonto (Atum), quale posizione può avere Osiride tra di loro? La risposta potrebbe essere che Osiride è il “Sole notturno”, nel suo periodo di scomparsa dal cielo: ciò lo identificherebbe con Sokar, del quale abbiamo già rilevato nella Quinta Ora il carattere di “Sole notturno”, e giustificherebbe l’attributo dato ad ambedue di “Signori della necropoli”, il mondo in cui il Sole passa durante le ore della notte.

Nell’ultima parte dell’Ora Settima Horus è seduto in trono davanti a dodici divinità maschili, le “Stelle”, rivolte verso di lui, e dodici femminili, le “Ore”, rivolte in senso opposto verso il tumulo di Osiride sorvegliato dal coccodrillo Abesh. “La maestà di Horus che è nella Duat si rivolge agli Dèi delle stelle: ‘Possa la vostra carne essere in ordine, possano le vostre forme venire in esistenza mentre riposate nelle vostre stelle’ ... E dice alle Dèe delle Ore che sono in questa città: ‘Ore che divenite, o ore delle stelle, o ore che proteggete Râ... accogliete le forme, portate le vostre immagini e sollevate le vostre teste, mentre voi guidate Râ verso il bell’Occidente in pace’“ (FT pp. 73-74).

Questa immagine delle “Stelle”, con cui gli egiziani indicavano i giorni, e delle “Ore”, cioè la suddivisione dei giorni, potrebbe indicare il periodo di tempo per l’espletamento del rituale connesso alla Settima Ora, come il de Rachewiltz suggerisce per una scena simile nella Quarta Ora (in questo caso le “stelle” sono quattordici), oppure potrebbe indicare che, sorpassato il caos di cui Apep-Nehahor è simbolo, inizia la divisione ordinata del tempo (analogamente alla creazione dei “luminari maggiori” dopo che la luce viene tratta da Jaweh dalle tenebre). Infatti è detto: “Ciò che [Horo] fa nella Duat è mettere in movimento le stelle e stabilire la posizione delle ore nella Duat”, E come abbiamo detto nel paragrafo sul “Potere degli Occhi”, gli Occhi di Horus potrebbero interpretarsi come connessi alla generazione della manifestazione fisica, che è in quanto tale soggetta a “misura”, a differenza degli “Occhi di Râ” che sono all’origine della creazione del Cosmo.

Anche nella Settima Ora sono presenti divinità pronte a intervenire distruggendo i “nemici” del Dio, cioè quelle forze che hanno deviato dalla giusta direzione e intralciano il retto percorso. Sotto altro angolo visuale, possiamo leggere questi simboli distruttivi come segni di un continuo perfezionamento che deve essere realizzato in ogni fase della complessa Opera per portare al massimo grado di purezza quello che abbiamo chiamato più volte “l’Elemento centrale”, e che, adottando altra terminologia, potremmo definire il Piombo che sta trasmutando in Oro.

ORA OTTAVA

Ora: Signora della notte.

Porta: Che sta senza stancarsi.

Luogo: Sarcofago degli Dèi.

Dopo aver sconfitto il serpente Apep e sempre sotto la protezione dal serpente Mehen, il Dio Solare, il quale è chiamato in questa Ora “Colui che è trainato, Signore del traino” (FT p. 77), segno che l’Iniziato è in grado di condurre attivamente l’azione e non è più un soggetto passivo, entra con la sua barca, trasportata da otto divinità, nella città “Sarcofago degli Dèi”, ove in dieci caverne si trovano gruppi di divinità rappresentate in aspetto mummiforme e sedute, come dice il testo, “sulle loro bendeFIG. 17 (indicate con un simbolo simile al lambda greco ripetuto due volte). Delle immagini degli Dèi è detto: “Così essi sono sulle loro bende, stabili sulla loro sabbia come mistero che Horus ha fatto”.

1370 Fig 17 VIII ORA SEDUTI SULLE BENDE

Fig. 17 – VII Ora: le divinità “sedute sulle loro bende”. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Tra queste è presente nella quinta caverna una divinità con testa di pesce-siluro, Seshem-ifefi: è questa la seconda volta che troviamo nella Duat una divinità pisciforme; della prima si è detto nell’Ora Terza: la divinità “Toro delle forme” con la testa di pesce nar, indicata dal de Rachewiltz (R p. 47) come un’entità antichissima presente già in un disegno risalente alla I Dinastia e chiaramente connessa a un rituale di rigenerazione.

Ognuna delle divinità chiuse nelle dieci caverne è chiamata con il nome “Immagine di ...” seguito dal nome del Dio, Atum, Khepri, ecc., a significare che non si tratta di divinità “attive” ma ancora allo stato di potenza. Questi gruppi di divinità emettono un “suono”: nella Quinta Ora dal luogo segreto in cui si trova Sokar si ode “una voce nella caverna dopo che il grande Dio è passato accanto ad essa, come un ruggito del cielo durante un temporale”, qui invece ogni gruppo di Dèi emette un suono diverso “quando le loro anime invocano Râ”, descritto “come il ronzio di numerose api”, “come le voci di uomini che si rattristano”, “come il muggito dei tori alla monta” e così via (FT pp. 76-78).

Un'altra scena su cui soffermare l’attenzione è quella in cui compaiono nove segni davanti alla barca di Râ, chiamati isiw FIG. 18, formati da un bastone col manico ricurvo alla cui estremità pende una piccola testa umana mentre sotto cui vi è un coltello e di nuovo il segno delle “bende”. Davanti ai nove isiw procedono quattro arieti, i quali hanno tra le zampe anteriori il segno delle “bende”, recanti sulla testa rispettivamente il disco solare, la corona dell’Alto Egitto, quella del Basso Egitto e le due piume simbolo di Verità-Giustizia; il nome degli arieti è “Prima, Seconda, Terza, Quarta manifestazione, immagine di Tatenen” (FT p. 77).

1370 Fig 18 VIII ORA GLI ISIW

Fig. 18 – VIII Ora: gli isiw. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Dei segni è detto: “Quando questo grande Dio li chiama, ciò che in essi è vive e le loro teste escono dalle loro immagini … Ciò che essi fanno è tagliare a pezzi i nemici di Râ nei pressi di questa città alla quale appartengono. Essi poi ingoiano le loro teste ed i loro coltelli dopo che questo Dio è passato”, degli arieti invece: “Immagini segrete di Tatenen, prime manifestazioni, gli arieti che sono sulla terra, presso i quali Horus ha celato gli Dèi ... Dopo che egli li ha superati l’oscurità li avvolge”.

Il significato dei quattro arieti potrebbe essere nel loro nome di “immagini di Tatenen”, la divinità adorata a Menfi raffigurata con le corna di ariete e la corona fatta con le due piume e il disco solare al centro: Tatenen si può tradurre come “la Terra esaltata” o “la Terra che emerge”, cioè la Collina Primordiale che nasce dalle Acque, simbolo antichissimo chiamato ben-ben e legato alla prima manifestazione dell’Ordine dal Caos, la cui creazione nelle cosmogonie egizie è attribuita ad Atum e a Râ. La scena quindi sembra porre il Faraone o l’Iniziato alle origini stesse del tempo, identificandolo con il Dio che esisteva prima che tutto fosse.

Ritorniamo al simbolo delle “bende”: esso è il motivo conduttore di tutta questa Ora e accompagna tutte le manifestazioni presenti in essa: il de Rachewiltz ne interpreta il significato come simbolo della “stasi” delle “potenzialità-Dèi, le quali si sono tanto agitate durante le varie fasi dell’esperienza, e sono ora ‘mummificate’, immobilizzate. Hanno cioè trovato la stasi, la ‘cristallizzazione’ degli elementi dissociati, determinata da un giusto equilibrio stabilizzatore” (R p. 85). Il fatto che sembra però contraddire sia l’interpretazione letterale che quella esoterica è che tale geroglifico si accompagna anche ai quattro arieti, che non sono affatto mummificati in quanto “camminano”, e ai nove simboli isiw: si può trovare un altro significato al geroglifico?

Gardiner[2] dà al geroglifico delle “bende” una serie complessa di significati: “arnese da carpentiere”, ma anche “nome sostituto di Seth”; inoltre esso compare come componente della parola udjat, “severo, giudice”. La definizione di Gardiner apre a una possibile interpretazione differente da quelle sopra riportate: se le figure delle divinità, degli emblemi isiw e degli arieti, tutti collegati dal segno delle “bende”, sono sul piano macrocosmico “immagini di Dèi” e su quello microcosmico possono essere interpretate come gli elementi psicoanimici costitutivi dell’Iniziato, esse come parti costituenti del Dio Solare sono secondo noi anche il simbolo della vittoria sul serpente Apep manifestazione di Seth-Caos e ne sono i “giudici” che lo hanno condannato.

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Compiuta questa parte dell’Opera, le “potenzialità-Dèi”, come le definisce de Rachewiltz, non sono più in “stasi” ma iniziano a vivificarsi, emettendo ciascun gruppo di Dèi il “suono” che è ad esso proprio in segno della “attivazione” che ha inizio in questa Ora.

Crediamo non sia necessario ricordare che nella teologia egizia, come in quella di tutti i popoli tradizionali, il “suono” è strettamente connesso alla capacità di creare, di manifestare dall’Uno la molteplicità delle esistenze. Ciò che invece vogliamo rilevare è la possibilità (come accennato nella Quinta Ora) che questi “suoni” siano gli stessi che nei papiri magici e nei testi gnostici sono riportati nelle forme incomprensibili di catene più o meno lunghe di vocali e consonanti apparentemente prive di senso, “parole di passo” o forse appoggio mnemonico per l’iniziando dei “suoni” che egli deve imparare per farsi “riconoscere” dalle divinità, favorevoli o distruttive, che incontra nel suo percorso.

“Conoscere le divinità”, cioè i propri costituenti psicoanimici, vuole dire farle proprie, sottoporle alla propria volontà: nelle tombe dei Faraoni troviamo dipinte sulle pareti le Litanie di Râ, un testo nel quale il Dio identifica sé stesso con ogni divinità ponendo ciascuna di esse nelle membra del proprio “corpo”, come anche si legge nel Capitolo XLII del Libro dell’uscire al giorno: processo non dissimile deve compiere l’Iniziato che percorre la stessa Via del Dio Solare.

            ORA NONA

Ora: La mattutina che protegge il suo signore.

Porta: Guardiano dei flutti.

Luogo: Segreta di forme, vivente di manifestazioni.

 

L’Ora Nona costituisce il punto di transizione tra il “viaggio a Busiris” e il “viaggio a Heliopolis” ed è caratterizzata dalla presenza di una fase di “riposo”[3] dell’azione iniziatica, nella quale si rinnovano le “offerte” di nutrimento agli Dèi: se nell’Ora Seconda erano presenti divinità della vegetazione le quali garantivano il “nutrimento” per gli Dèi della Duat, cioè dovevano “nutrire” le componenti psicoanimiche dell’Iniziato separate dal loro centro affinché sussistessero integre in attesa di essere ricondotte all’unità, ora altre divinità provvedono a potenziare queste componenti oramai purificate, prima di giungere alla loro definitiva reintegrazione nella totalità.

Come osserva de Rachewiltz (R p. 88), in questa Ora i “flutti” devono essere controllati (“Guardiano dei flutti” è il nome della porta), cioè i poteri che sono stati fortificati e rafforzati, ora divenuti “manifestazioni viventi”, devono essere incanalati nelle corrette direzioni: “Il nome della Porta di questa città nella quale questo grande Dio ha accesso e calma il flutto in questa città è ‘Guardiano dei flutti’ e il nome di questa città è ‘Segreta di forme, vivente di manifestazioni’” (FT p. 78).

Il testo introduttivo così parla di questa “caverna”: “La misteriosa caverna dell’Occidente dove il grande Dio e il suo equipaggio sostano. Ciò è fatto con i loro nomi come quest’immagine dipinta nella parete orientale della camera nascosta della Duat. Chi conosce i loro nomi sulla terra e conosce i loro seggi nell’Occidente riposa nel suo seggio nella Duat … È utile per lui sulla terra” (FT p. 78).

La barca del Dio naviga sulle acque senza più bisogno di essere trainata, come succedeva fino all’Ora Ottava, e dodici rematori l’accompagnano a piedi tenendo con ambedue le mani i loro remi a sottolineare che l’Opera si avvia al suo compimento senza più alcuno “sforzo”: “Questo grande Dio riposa con i suoi rematori vicino a questa città e anche il suo equipaggio si riposa”, e dei rematori è precisato che “Essi stanno vicino all’acqua della barca che è in questa città. Sono essi che con i loro remi danno acqua agli spiriti che sono in questa città” (FT p. 79).

La barca è preceduta da nove divinità che impugnano con la mano sinistra un bastone ondulato e frondoso che sembra il ramo di una pianta e nella destra portano l’ankh, la croce della vita; di esse è detto: “Questi sono gli Dèi dei campi di questa città ... e si appoggiano ai loro bastoni. Questo grande Dio li chiama: sono essi che offrono i bastoni agli Dèi che sono nella Duat presso questa città ... Sono essi che fanno esistere ogni albero ed ogni pianta per questa città” (FT p. 80).

Il “bastone” è un segno di comando e quindi la frase può essere interpretata come la conferma che “gli Dèi”, cioè i centri che sono stati potenziati nel corso delle precedenti Ore, sono a questo punto in possesso del pieno potere e pronti per essere reintegrati nell’unità con il Principio.

1370 Fig 19 IX ORA I TRE ANIMALI

Fig. 19 – IX Ora: i tre animali sul geroglifico neb (“signore”). (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Il rafforzamento dell’idea di “completamento” è dato dalla presenza di tre divinità preposte alle offerte FIG. 19: sono tre figure, un falco o uno sparviero con testa umana ornata dalla corona di piume, un ariete e una vacca con il disco solare tra le corna, simbolo hathoriano, poggiati sul geroglifico neb il cui significato è “potere, signore”, i quali seguono un essere mummiforme. I loro nomi sono “L’elargitore preposto alla Duat”, “Colui che offre, preposto alla Duat”, “La signora delle offerte preposta alla Duat”, mentre la divinità mummiforme è “Colui che fa offerte agli Dèi” (FT p. 81).

Dice il testo che li accompagna: “Sono essi che fanno offerte agli Dèi che sono nella Duat. Râ ordina loro che siano dati pane e birra. Essi procedono dietro questo grande Dio verso l’orizzonte orientale del cielo [cioè il luogo della rinascita del sole] dopo che egli ha soddisfatto gli Dèi della Duat”.

 “Fare le offerte” vuol dire nutrire le divinità e dar loro vita e forza per metterle in condizione di compiere la loro opera: quindi sia le tre figure animali che le nove divinità con il bastone in pugno hanno il compito di nutrire gli Dèi che costituiscono “l’equipaggio della barca di Râ” (FT p. 80).

Anche nella Nona Ora sono presenti divinità sterminatrici, qui rappresentate da dodici urei che sputano fuoco posti sopra il simbolo delle “bende” che costituiva il motivo conduttore dell’Ora Ottava: “Sono le loro fiamme che provocano il massacro nella Duat. Sono essi che respingono ogni serpente che è in terra ... Essi vivono del sangue di coloro che uccidono ogni giorno ... Il ‘giustificato’ conosce ciò, vede le loro forme e non entra nelle loro fiamme” (FT p. 81).

La frase “respingono ogni serpente che è in terra” sembra riferirsi alla duplicità del simbolo del serpente, il quale, come tutti i simboli, ha un significato positivo e negativo, dove i “serpenti della terra” rappresentano evidentemente forze negative che si oppongono alla trasformazione spirituale che i “serpenti della Duat” proteggono.

Un secondo gruppo di dodici divinità in aspetto mummiforme “sedute sulle loro bende” presiede alla punizione dei nemici di Osiride. In questo caso si conferma il significato del geroglifico da noi proposto che, come si è detto nella precedente Ora, oltre che “benda” può avere anche il senso di “giudice”: “Questo è il tribunale degli Dèi che interroga ogni giorno a cagione di Osiride. Ciò che essi fanno nella Duat è abbattere i nemici di Osiride” (FT p. 80).

            ORA DECIMA

Ora: L’infuriata che scanna i perversi di cuore.

Porta: Grande di manifestazioni, che dà vita alle forme.

Luogo: L’abisso dalle alte sponde.

 

L’Ora Decima è ricca di elementi allusivi a fasi diverse dell’Opera, che possiamo solo intuire ma non spiegare compiutamente a causa dell’incompleta conoscenza della metafisica e dell’ermetismo egizio.

Con la Decima Ora inizia il quarto e ultimo viaggio del Dio Solare attraverso la terra di Heliopolis, la città di Atum e di Râ: il nome della porta attraverso cui la barca passa è di per sé significativa della fase in cui è giunta l’operazione, la “Grande di manifestazioni, che dà vita alle forme”, dove le “forme” sono gli elementi psicofisici dell’Iniziato i quali, dopo le operazioni di purificazione e di eliminazione delle componenti inutili o pericolose, sono pervenuti al grado necessario di purezza perché si possa avviare la loro riunificazione con il Principio.

L’unione tra il “vecchio” ed il “nuovo” Dio, cioè il rinnovamento del Potere, sta ora per compiersi: questa è “la misteriosa caverna in cui Khepri riposa vicino a Râ” (FT p. 81) e l’immagine con cui ha inizio l’Ora è Khepri che, alla presenza di una divinità di nome Pan-iri, “Che è reso saggio”, solleva la pallottola di sterco raffigurante il sole: “Così essi sono nella Duat, come forme natali di Khepri quando egli trasporta il suo ovale verso questa città per giungere in seguito all’orizzonte orientale del cielo” (FT ibidem).

La forma della pallottola di sterco portata da Khepri è la stessa del cartiglio regale entro cui sono contenuti due dei nomi sacri del Faraone, lo shenw, da una radice che vuol dire “circondare”, simbolo magico e protettivo significante tutto ciò che il sole circonda, cioè l’universo, e quindi il potere assoluto del Faraone sul mondo intero.

1370 Fig 20 X ORA I DUE OCCHI DI RA

Fig. 20 – X Ora: i due Occhi di Râ. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Di seguito a Khepri due coppie di Dèe sedute su troni invisibili FIG. 20 sono davanti ai due Occhi di Râ: la prima coppia è disegnata nella forma iconografica che indica l’età infantile, con il dito portato alla bocca, e hanno sul capo l’una la corona dell’Alto e l’altra quella del Basso Egitto, e l’Occhio davanti a loro è detto “l’Occhio orientale” ed è sorretto da una coppia di serpenti, “Il Doppio attorcigliato”; la seconda invece è costituita da altre due divinità femminili che poggiano le mani sul segno geroglifico nether (= Dio) su cui è posto il secondo Occhio chiamato “l’Occhio occidentale”.

I nomi della prima coppia di Dèe sono “Corona rossa” e “Corona bianca”, e il fatto che siano rappresentate come adolescenti e l’Occhio abbia il nome di “Occhio orientale” fa comprendere che queste due divinità sono legate alla rinascita del Sole. Forse più significativi i nomi della seconda: “Colei che incatena” e “Colei che chiama gli Dèi”, nomi che fanno pensare a un rituale di magia imperativa intesa a comandare le forze sottili che costituiscono l’essenza degli “Dèi” e a respingere le qualità negative di esse, “incatenandole” nell’Occidente, la Terra dei Morti.

1370 Fig 21 X ORA LOCCHIO DI HORUS

Fig. 21 – X Ora: l’Occhio di Horus. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Dopo i due occhi di Râ si vede l’Occhio destro di Horus tenuto in mano da un babbuino simbolo di Thot, il Dio della conoscenza[4], seduto su di un trono invisibile, chiamato “If [= carne] che porta il suo occhio” FIG. 21, davanti ad otto divinità femminili; il testo dice: “Sono le Dèe che riuniscono l’occhio di Horus [fatto a pezzi nella lotta contro Seth] per lui nella Duat. Râ si rivolge a loro: ‘Possano essere forti le vostre forme o potenti … voi che consolidate per Horus il suo primo occhio che è nelle mani di ‘Carne che porta il suo occhio’. Voi siete coloro che proteggono Horus, che vengono in esistenza e si manifestano come manifestazioni’” (FT p. 82).

La barca del Dio Solare naviga liberamente sulle acque senza più impedimenti: “Il suo equipaggio di divinità lo fa navigare. Riposano gli Dèi che sono in questa città sull’acqua”.

Davanti alla barca si trova un serpente con quattro zampe e due teste, sulle quali sono posate rispettivamente le corone dell’Alto e del Basso Egitto, e davanti a ogni testa è una Dèa, ciascuna delle quali è coronata con una delle due corone: il nome del serpente è “Colui che unisce i volti” e sul suo dorso è poggiato un falco nero, “Quello che è di fronte al cielo”, del quale è detto: “Questa è l’anima di Sokar, che è di fronte alla Duat”.

Si tratterebbe pertanto di un’immagine del Dio che abbiamo visto come “Sole notturno” nell’Ora Quinta, nella quale egli sembra unirsi in modo misterioso con l’intermediazione di Iside al Dio Solare che passa sulla sua caverna ma senza entrare in contatto diretto con lui. Ora invece Sokar si manifesta davanti alla barca del Dio e mostra il suo potere nella duplice Corona portata dal serpente.

Il significato potrebbe essere nella duplicità dei simboli presenti, da cui si può desumere che i due Poteri, raffigurati dalla compresenza delle coppie Râ-Khepri e Râ-Sokar, dalle due Corone e dai due Occhi di Râ (qui è presente solo l’Occhio destro di Horus, i due Occhi insieme li troveremo nell’Ora successiva), sono pronti ad essere riuniti per operazione magica e la rinascita del Sole, come dell’Iniziato, sta per compiersi.

Infatti nel registro inferiore della scena Horus con le sue parole di potenza porta alla vita i centri sottili che sono stati purificati e rafforzati nel corso del “viaggio”: il Dio sta davanti alla distesa d’acqua del Nun, l’Oceano primordiale matrice di ogni potenziale creazione, nel quale si trovano tre gruppi di “nuotatori”, il primo costituito dagli “Annegati che sono nella Duat”, il secondo dai “Capovolti che sono nella Duat”, il terzo dai “Supini che sono nella Duat”.

Parole rivolte da Horo agli annegati, a coloro che galleggiano distesi sulla schiena nel Nun, a coloro che sono nella Duat: ‘O annegati che siete nell’oscurità del Nun ... o voi dal volto capovolto nella Duat ... o voi che remate attraverso il Nun distesi sulla schiena ... Vi sia aria per le vostre anime cosi che esse non debbano soffocare, possano le vostre braccia remare senza essere ostacolate. Voi prendete la giusta via del Nun per mezzo delle vostre gambe ... Voi uscite dai flutti, nuotate nella grande inondazione e approdate alle sue rive. I vostri corpi non sono imputriditi, la vostra carne non è decomposta. Voi potete impadronirvi delle vostre acque, voi respirate perché io l’ho ordinato. Vivano le vostre anime’” (FT p. 84).

La posizione dei tre gruppi indica le tre fasi della rigenerazione: gli “annegati” galleggiano inerti nell’acqua portando la mano alla bocca perché non hanno la possibilità di respirare, i “capovolti” invece sono in atteggiamento di nuotatori e hanno ripreso la capacità di muoversi, infine i “supini” sono in grado di nuotare con il volto all’insù per respirare liberamente, richiamati alla vita dalle parole di Horus. Le loro membra sono libere, i loro corpi “non sono imputriditi”, essi possono “respirare”, e “approdare alle rive del Nun”: da questi termini si rivela chiaramente come ogni elemento dell’unità originaria abbia raggiunto la potenza necessaria per essere attivo e passare dallo stato di potenzialità a quello di realizzazione, simboleggiato dall’uscita dal Nun. La preparazione alla reintegrazione nell’Uno delle componenti sottili e corporee sta per giungere a compimento.

In termini alchemici possiamo richiamarci all’ “Oro nascosto in Saturno”, la necessaria reintegrazione totale del complesso-uomo in tutte le sue componenti, corpo psiche e spirito (Piombo-Mercurio-Oro), che sola consente l’atto finale dell’Opera alchemica, argomento del quale abbiamo trattato più volte in altri saggi[5].

Riassume così Evola: “Fecce, ceneri ed altre superfluità vengono considerate cose preziose perché proprio con esse – si dichiara – si fa l’Oro, o sono esse stesse l’Oro, quello vero, l’‘Oro dei Filosofi’… [perché] il corpo minerale, per così dire, riporta l’Io alla coscienza del suo atto primordiale ed assoluto, di cui esso corpo esprime l’impietramento[6]. L’impietramento di cui parla Evola corrisponde a ciò che nella Gnosi è l’imprigionamento della scintilla divina o della “perla” decaduta a causa del “peccato” nel mondo della Materia: mentre nel pensiero gnostico è necessario l’intervento di un Salvatore perché questa scintilla possa liberarsi e trovare la via della riunificazione al Principio, nell’Alchimia, come in questa Via iniziatica egizia che cerchiamo di riscoprire, è l’azione dell’Iniziato stesso il mezzo per dissolvere il corpo nelle sue componenti estraendone la parte spirituale che va trasmutata in Oro per poi ricongiungere, mediante un ulteriore solve et coagula, il principio aureo al Saturno degli elementi psicofisici ,prima separati, per compiere l’atto finale del perfetto ricongiungimento del Re e della Regina nel Rebis.

ORA UNDICESIMA

Ora: La stella, signora della barca, che respinge il ribelle nel suo assalto.

Porta: Luogo di riposo di coloro che sono nella Duat.

Luogo: L’ingresso della caverna che conta i cadaveri.

 

Le immagini di quest’Ora presenta numerosi elementi interpretabili come indizi di operazioni iniziatiche, ma, per motivi che ignoriamo, de Rachewiltz nel suo testo sul Libro dell’Amduat concentra l’attenzione su uno solo di essi, il disco solare che orna la prua della barca, trascurando altre immagini il cui valore è secondo noi non meno importante.

La barca del Dio Solare subisce nel corso del viaggio modifiche significative nel suo aspetto e nella sua funzione[7]: in questa Ora la prua porta un disco solare di colore rosso sormontato dall’ureo, il quale “conduce questo grande Dio verso le vie dell’oscurità e vi è luce per coloro che sono in essa [= nella Duat] e per coloro che sono sulla terra” (FT p. 85). Il nome del disco solare è pesedet duat, “Che splende nella Duat”, in quanto pesedj ha il significato di “illuminare”[8].

De Rachewiltz (R pp. 97 ss.) rileva che questo sostantivo è scritto con un determinativo costituito dal pilastro djed sormontato dal sole, il quale è anche il nome della colonna vertebrale, mentre il termine sedj indica l’albero sacro: da questi elementi egli trae la conclusione che ci si trovi di fronte a un simbolo significante l’illuminazione raggiunta dall’Iniziato per mezzo dell’attivazione della Kundalini che attraversa la colonna vertebrale per splendere come Sole sul capo dell’Iniziato. “La prova del fuoco quale appare in questa ora e che è indicata anche dal rosso simbolo di Pesedj rappresenta il passaggio per il punto assolutamente indifferenziato e una volta padroneggiata questa fase dell’esperienza l’immortalità è conseguita” (R p. 99).

Molti sono gli elementi che il de Rachewiltz non analizza nel suo testo e che invece possono dare ulteriori significati su quanto avviene in quest’Ora.

Davanti alla barca procedono dodici divinità che sostengono il serpente Mehen sopra le loro teste, trasformato nella gomena che trae la barca sulle acque della Duat. Poiché Mehen è il serpente cosmico, ora da protettore dell’Iniziato, che difendeva dai suoi nemici assumendo la forma di naos, si sottopone al suo potere divenendo il “motore” della barca solare, per poi nell’Ora successiva divenire il “mezzo” del passaggio del Dio fuori dalla Duat. Dice il testo: “Essi portano Mehen sulle loro teste in questa città e procedono dietro Râ fino all’orizzonte orientale del cielo ... Râ dice loro: ‘ Sorvegliate le vostre immagini e sollevate le vostre teste, le vostre braccia siano forti, stabili le vostre gambe, sia giusta la vostra andatura’” (FT p. 85).

1370 Fig 22 XI ORA LE DEE DI NEITH

Fig. 22 – XI Ora: le Dèe che custodiscono la “Porta di Neith”. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

La processione dei dodici Dèi è preceduta da due serpenti, il primo con una Corona rossa dotata di una piccola testa e il secondo con la Corona bianca ornata di due piccole teste: sono “Immagine di Nephtys” e “Immagine di Iside”, le Dèe del Potere e della Magia, delle quali è detto: “Sono queste le immagini misteriose di Horo. Esse sono presso la seconda porta delle tenebre, sulla sacra via per Sais[9]FIG. 22. Il riferimento a Sais è confermato dalle immagini che si vedono davanti alle Dèe-serpenti: sono quattro divinità femminili in piedi, due con la Corona Bianca e due con quella Rossa, forme della Dèa Neith, Signora di Sais: “Così esse sono presso questa porta come immagini che Horo ha creato. Questo Dio le chiama per nome ed esse respirano nell’udire la sua voce. Esse sorvegliano la sacra via di Sais, sconosciuta, invisibile e indistinguibile” (FT ibidem).

Oscura è l’allusione alla “sacra via di Sais” che è “presso la seconda porta delle tenebre”: il fatto che il testo parli di una “seconda via” potrebbe forse indicare che a questo punto della realizzazione si apre una duplice possibilità, seguire quella che potremmo chiamare “la via solare” oppure una non meglio precisata “seconda via”.

Neith è una divinità molto complessa: il suo simbolo è prettamente guerriero, due frecce incrociate e due archi, ma le sue funzioni erano molteplici, e fin dall’Antico Regno era considerata divinità funeraria, perché, in quanto Dèa della tessitura, era connessa con le bende utilizzate nella preparazione del corpo mummificato e come tale si ritrova ai quattro angoli dei sarcofagi o sui canopi, come si vede ad esempio nella tomba di Tut ankh-Amun. Nei Testi delle piramidi Neith è tra le quattro divinità che ritualmente proteggono il Faraone defunto. È scritto nei Testi delle piramidi (n° 606): “Possa io accendere una luce per te, Atum, e proteggerti come Nu protegge queste quattro Dèe nel giorno in cui esse proteggono il trono, Iside, Nephtys, Neith e Selkit[10]. È la madre di Sobek, il Dio–coccodrillo, simbolo delle acque e della fertilità del Nilo e del potere del Faraone: “Io sono il furioso che esce dalla gamba e dalla coda del Grande Uno che è nell’alba. Io appaio come Sobek figlio di Neith[11]. Nel rituale del “mettere gli Dèi nelle proprie membra” Neith con Selkit è “localizzata” nelle cosce[12]: “Io ascenderò e salirò al cielo. Le mie cosce sono Neith e Selkit”, o nella schiena del Faraone defunto: “La sua schiena appartiene a Neith e a Selkit[13]. Mallet, nelle iscrizioni delle sue sacerdotesse, riporta il titolo di “sacerdotessa di Hathor, signora del sicomoro, signora venerata, sacerdotessa di Neith che apre le vie in tutte le dimore pure[14]. Nel Nuovo Regno si accentua la funzione cosmogonica di Neith e diviene demiurgo androgino e Madre degli Dèi, come si legge nei Testi di Esna che, anche se scritti nel periodo tolemaico, fanno riferimento ad un periodo più antico.

Non abbiamo altri elementi nel Libro dell’Amduat né in altre opere per poter comprendere il senso di questa “invisibile via di Sais”, ma il carattere più arcaico di Neith come divinità guerriera rende possibile ipotizzare che il suo significato sia connesso a una seconda Via iniziatica alla quale si può accedere una volta portate a termine le operazioni di purificazione e prima della Dodicesima e ultima Ora del percorso, una “via del Guerriero” che costituirebbe un’alternativa alla “via del Re”.

1370 Fig 23 XI ORA ATUM E I DUE OCCHI DI HORUS 3021

Fig. 23 – XI Ora: Atum, gli Occhi di Horus e il Dio con Due Teste. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Un altro elemento importante per comprendere il significato dell’Undicesima Ora si trova all’inizio del registro superiore: davanti a una divinità femminile il cui nome è “Eternità”, seduta sul dorso del serpente “Colui che porta con sé le ore”, il quale pare volare sopra dieci stelle, raffiguranti le ore (forse un’allusione al “tempo” necessario per concludere questa parte dell’Opera, come si accennato in altre occasioni?) si vedono i due Occhi di Horus posti ai lati di Atum FIG. 23, raffigurato con il disco solare sul capo, il quale ha dietro di sé una divinità bicefala di nome “Dotato di volto, signore dell’eternità”, il quale al posto della testa ha il disco solare e ai lati di esso due teste umane recanti l’una la Corona bianca e l’altra la Corona rossa, e davanti una seconda divinità bicefala senza particolari attributi, di nome Tepui, “Le due teste”. Atum è nell’atto di separare le ali di un serpente con quattro zampe per rivelare i due Occhi di Horus, figure del Sole e delle Luna, i due luminari che scandiscono il tempo e quindi simboleggiano la manifestazione sul piano dell’esistente del Dio creatore, perché tale è Atum.

La presenza delle stelle rafforza l’ipotesi che gli Occhi di Horus siano collegati alla fase della creazione, di cui è segno la divisione del tempo simboleggiata da esse, attributo che non appartiene alla Potenza generatrice rappresentata dagli “Occhi di Râ” della Decima Ora ma alla successiva fase di creazione sul piano degli archetipi per mezzo degli “Occhi di Horus”.

A differenza della Sesta Ora, nella quale i due Occhi erano rappresentati sotto la protezione di un leone, qui è Atum a “mostrarli” aprendo le ali del serpente: se il serpente, come dice Mayassis, è il simbolo dell’essenza divina, in questo caso esso sembra essere più esattamente simbolo di una forza “volatile” che l’Iniziato ha reso fissa estraendo da essa la potenza divina nella forma degli Occhi di Horus.

Atum è preceduto da Tepui e da un corteo di dodici Dèi, tra cui cinque divinità senza braccia, i “misteriosi di braccio”, cioè capaci di agire sul piano invisibile, che completano il primo settore del dipinto. Il testo dice di essi: “Questo Dio li chiama per nome: ‘Uscite, o nascosti, fate luce per me, o misteriosi di braccio. Possano le vostre anime vivere quando si abbassano sulle vostre ombre. Voi siete coloro che aprono il nascosto e mettono l’immagine nel suo posto sacro ... Le offerte che sono nella mia barca sono vostre perché le vostre anime vivano. È vostra l’acqua del Nun ... Salute! Siano giuste le vostre forme’ ... Ciò che essi fanno è sollevare i misteri di questo Dio in alto” (FT p. 85).

Con il possesso dei due Occhi di Horus l’Iniziato diviene signore del tempo e i suo centri sottili sono ormai capaci di agire, di camminare con le proprie gambe con “la giusta andatura”, seguendo il ritmo della trasformazione indicato dalle spire del serpente che portano sul capo; ora l’Iniziato è in grado di comprendere con gli occhi dello spirito, di “illuminare” cioè il “cielo” e la “terra”, ciò che è sopra e ciò che è sotto: “Vi è luce per coloro che sono in essa [= nella Duat] e per coloro che sono sulla terra”.

L’Undicesima Ora si conclude con la punizione dei “nemici di Osiride” da parte di divinità femminili armate di coltelli, le quali sputano fiamme su sei fosse nelle quali, come dice il testo, vi sono i nemici, le loro anime, le loro ombre e le loro teste, e “i capovolti”, figure di uomini a testa in giù: “La maestà di questo Dio ordina di fare strage di coloro che assalirono suo padre Osiride ... ‘Io sono uscito da lui, mio padre colpisce dopo essere stato debole[15]. Siano puniti i vostri cadaveri con i pugnali, siano annientate le vostre anime, siano calpestate le vostre ombre e siano tagliate le vostre teste’” (FT p. 86). Queste parole intendono l’annientamento completo dei “nemici”, la “seconda morte”[16] con la quale viene distrutto non solo il cadavere, con l’impossibilità da parte del ba di ritrovare il corpo a cui era collegato, ma anche l’anima e perfino l’ombra, shut, cioè quello che potremmo identificare con il “residuo psichico” o fantasma del defunto.

Anche la “testa” è annientata: nelle sepolture, onde evitare il pericolo della distruzione o putrefazione del cadavere, da cui sarebbe derivata la rottura del legame tra il defunto e il suo ba, veniva posta una statua o una testa (la cosiddetta “testa di ricambio”) raffigurante il defunto e vivificata da un particolare rituale magico che poteva “sostituire” il corpo mummificato e ricevere per suo conto le offerte che lo mantenevano “in vita” nell’Aldilà; con la distruzione della testa la distruzione dell’individuo era totale e definitiva.

ORA DODICESIMA

Ora: Colei che vede la bellezza di Râ.

Porta: Quella che innalza gli Dèi.

Luogo: Quella che genera le tenebre e fa apparire le nascite.

 1370 Fig 24 XII BARCA E SERPENTE

Fig. 24 – XII Ora: il grande serpente attraverso il quale passa la barca solare. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

L’Opera è giunta al suo compimento: il Dio Solare entra nella coda del serpente “Il ka di colui che fa vivere gli Dèi” ed esce dalla sua bocca al nuovo giorno FIG. 24: “Questo Dio naviga così in questa città lungo la spina dorsale di questa immagina nascosta del serpente ‘Colui che fa vivere gli Dèi’. I suoi Dèi lo trainano mentre egli entra nella coda del serpente ed esce dalla sua bocca essendo generato nelle sue forme di Khepri” (FT p. 89).uesto Dio naviga  

La trasmutazione in Khepri, il Nuovo Sole, avviene alla presenza delle divinità Nun (Oceano Primordiale) ed Heh (Eternità) e delle loro controparti femminili: “È nato questo grande Dio nelle sue forme di Khepri in questa caverna; Nun e Nunet, Heh e Hehet compaiono in questa caverna alla nascita di questo grande Dio allorché egli esce dalla Duat e prende posto sulla barca del mattino e splende tra le cosce di Nut ... Ciò avviene secondo questa immagine che è disegnata a oriente della camera misteriosa della Duat. È glorificato chi conosce ciò sulla terra, in cielo, nel suolo [probabilmente il termine indica ciò che è al disotto della terra]” (FT p. 88).

Nel registro superiore dodici divinità femminili con un serpente che sputa fuoco sulle spalle “allontanano Apophis da Râ verso il portale dell’orizzonte orientale”, per assicurare che il processo di rinascita si compia senza pericoli; esse sono precedute da dodici divinità maschili con le braccia levate i atto di adorazione: “Adorano questo grande Dio all’alba quando egli sosta al portale orientale del cielo. Essi dicono: ‘È nato colui che è nato … Il cielo è per la tua anima, affinché in esso possa sostare, la terra è per il tuo corpo, signore del privilegio’ … Essi sono in questa città, passano in rassegna gli Dèi di malachite[17], lodano Râ dopo che egli riposa in cielo” (FT p. 88).

A manifestare l’avvenuta trasformazione del Dio Solare in Nuovo Sole è la presenza di Khepri nel registro centrale sia alla fine del registro sia sulla prua della barca solare, trainata da dodici Dèi maschili e tredici femminili all’interno del gigantesco serpente passando dentro la sua “colonna vertebrale”.

Le dodici divinità maschili si trovano dietro la coda del serpente mentre quelle femminili sono poste dalla parte del capo; delle divinità maschili è detto: “Essi trainano questo grande Dio all’interno della spina dorsale del serpente ‘Che fa vivere gli Dèi’. I privilegiati di Râ sono davanti a lui e dietro di lui e nascono ogni giorno sulla terra ... essi entrano in questa misteriosa immagine del serpente ‘Che fa vivere gli Dèi’ come privilegiati. Essi escono come ‘giovani di Râ’ ogni giorno. È il loro abominio essere svogliati sulla terra nel pronunciare il nome del grande Dio” (FT p. 89).

Le Dèe trainano la barca solare fuori del serpente il quale “possiede una spina dorsale lunga 1300 cubiti sacra al Dio … Sono esse che ricevono la gomena della barca di Râ quando egli esce dalla spina dorsale del serpente ‘Che fa vivere gli Dèi’. Sono esse che trainano questo grande Dio nel cielo e lo conducono verso le strade in alto. Sono esse che provocano in cielo il sorgere dei venti, della quiete, della tempesta e della pioggia” (FT p. 89).

1370 Fig 25 XII ORA KHEPRI E OSIRIDE

Fig. 25 – XII Ora: Khepri esce dalla Duat mentre il corpo imbalsamato di Osiride è abbandonato all’interno di essa. (da Fornari e Tosi, Nella sede della verità)

Alla fine del registro centrale FIG. 25 è raffigurato Khepri davanti a Shu, il Soffio creatore, del quale è rappresentata solo la testa e al posto del corpo un disco solare rosso inserito nella parete della grotta in cui si svolge quest’Ora a rappresentare il Dio che nasce all’orizzonte.

Nel registro inferiore un lungo corteo di divinità inizia con Nun, Nunet, Heh e Hehet, davanti ai quali quattro personaggi proteggono il Sole: “Sono essi che respingono Apophis in alto nel cielo dopo la nascita del Dio”. Seguono altre dieci divinità con le braccia levate in segno di adorazione rendendo omaggio a Osiride, il quale non può seguire il Dio Solare nella sua rinascita: “Essi sono in questo modo, molto distanti dall’immagine di Osiride che risiede nelle tenebre … ‘Vivi tu che risiedi nelle tenebre tue, vivi o grande che sei nelle tenebre tue, Signore della Vita, Signore dell’Occidente, Osiride che è a capo degli Occidentali [= i defunti] … Essi vivono di ciò che fa vivere lui, essi respirano attraverso le parole di questo Dio e attraverso la loro stessa adorazione” (FT p. 90). Osiride rimane all’interno della Duat in forma di mummia poggiata sulla parete di sabbia che costituisce il confine dell’Aldilà con il nome di Seshem-If, “Immagine della Carne”, assumendo il nome di If che lungo il “viaggio” è stato quello del Dio Solare.

Il testo si conclude con queste parole: “Così egli è come immagine nascosta di Horo nelle tenebre. Questa immagine misteriosa è Shu che sostiene Nut [= il Cielo], mentre la grande inondazione esce dalla terra secondo questa immagine” (FT p. 90). La frase, equiparando Osiride alla “immagine nascosta” di Horus, potrebbe significare l’unione delle due divinità, il mistero più importante nascosto nei Libri dei Morti e che ne dimostra la valenza iniziatica: solo con l’unione di Osiride e di Râ-Horus l’operazione si compie effettivamente, come affermano altri testi in modo più esplicito, quale il poco conosciuto testo inciso sulle pareti della Seconda Cappella lignea della tomba di Tut-ankh-Amon, a cui autorevoli egittologi come il Piankoff e il Darnell danno il titolo di Libro dell’unione di Râ e Osiride[18].

In questa Ora troviamo forse l’unico accenno certo a una possibile tecnica adoperata nell’Opera di trasmutazione nell’ermetismo egizio, là ove il testo dice: “Essi escono come ‘giovani di Râ’ ogni giorno. È il loro abominio essere svogliati sulla terra nel pronunciare il nome del grande Dio”. Potrebbe forse trattarsi di una tecnica di “ripetizione del nome”, conosciuta dalle successive tradizioni di Occidente e di Oriente nelle forme dell’esicasmo e del dikhr, accompagnata a forme di respirazione, alle quali potrebbero alludere le frequenti allusioni al “soffio” o al “respiro” del Dio che “anima” le divinità nel viaggio nella Duat. Tale concezione rimase presente nelle dottrine egizie fino al più recente dei Libri dei Morti, il Libro delle respirazioni, risalente al periodo tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., il quale ha come argomento centrale il “soffio” che rende “vivente” il defunto: “Ha ricevuto il Libro delle Respirazioni e può respirare con la sua anima, con quella del cielo inferiore, può compiere tutte le metamorfosi che vuole… È stato sepolto [nel sarcofago] il Libro delle Respirazioni che è stato scritto sui due lati su tela de[lla pianta] suten ed è stato posto sotto il suo braccio sinistro, vicino al cuore … Egli respirerà con le anime degli Dèi, sempre e per sempre.[19].

TESTI, ARTICOLI E SITI WEB CONSULTATI

Bard Kathryn (a cura di), Encyclopedia of the Archaeology of Ancient Egypt, Routledge, London-New York 1999

Cepollaro Armando (a cura di), Il Rituale di Mithra, Edizioni Atanòr, Roma 20063

Elli Alberto, La Genesi secondo la teologia di Esna e di Sais, in “Mediterraneo antico”, rivista online (MediterraneoAntico_Genesi-Esna-Sais_Alberto-Elli_170829.pdf, consultato 25/04/2019

Evola Julius. La Tradizione Ermetica, Laterza, Bari 1948

Fornari Annamaria, Tosi Mario, Nella sede della Verità, Franco Maria Ricci editore, Roma 1987

Galiano Paolo, La via iniziatica dei Faraoni, Edizioni Simmetria, Roma 2009

Id., Gnosi cristiana e gnosticismo eretico, Edizioni Simmetria, Roma 20172

Id., Il Libro della Santissima Trinità. Libro primo, Edizioni Simmetria, Roma 2023

Id., Storia dell’Alchimia occidentale dalle origini al XIII secolo, Edizioni Simmetria 2024

Id., Il Libro dell’unione di Râ e Osiride nella tomba di Tut.ankh-Amon (in preparazione)

Gardiner Alan , Egyptian Grammar, Griffith Institute, Cambridge 19993

Gardner Jane, Roman myths, British Museum Press, London 1992

de Horrack Philippe Jacques, Le Livre des Respirations d’après les manuscrits du Musée du Louvre, C. Klinsieck, Librairie de l’Institut de Franc, Paris 1877

Lurker Manfred, The gods and symbols of ancient Egypt, Thames and Hudson, London 1980

Mallet Dominique, Le culte de Neith a Saïs, Ernest Leroux editeur, Libraire de l’École du Louvre, Paris 1888

Mayassis Sotirios, Les Livres des Mortes de l’Egypte ancienne est un livre d’initiation, Archè, Milano 2002

de Rachewiltz Boris, Il libro egizio degli Inferi. Testo iniziatico del sole notturno tradotto e commentato, Casa Boris

Id., Il Libro dei Morti degli antichi egizi, Edizioni Mediterranee, Roma 19922Editrice Atanòr, Roma 1959

Id.. Egitto magico-religioso, Basaia, Roma 1982

Sauneron Serge , Le temple d’Esna, 4 voll., Publications de l’Institute Française d’Archéologie orientale, Il Cairo 1958-1959

Wallis Budge Ernest Alfred, The Book of the Opening of the Mouth, K. Paul, Trench, Trübner & Co., London 1909

de Wit Constant, Le rôle et le sens du lion dans l’Égypte ancienne, E. J. Brill, Leida 1951

[1] Mayassis, Les Livres des Mortes, rispettivamente p. 297 e p. 129.

[2] Gardiner, Egyptian Grammar, “Segni non classificati”, Aa21.

[3] Volendo fare un parallelo con l’Opera alchemica, si può citare l’ebdomadario magico-rituale del Primo libro della Santissima Trinità di frate Ulmanno, nel quale viene più volte specificato quale debba essere il giorno di “riposo” al completamento di ciascuna trasmutazione, così ad esempio: “tra la IIII [sic] e la V in hora saturni riposa nella coagulazione ad solem” (Paolo Galiano, Il Libro della Santissima Trinità. Libro primo, Edizioni Simmetria, Roma 2023, p. 220).  Il “riposo” è uno stato che nelle tecniche operative, dall’esicasmo occidentale allo yoga orientale, corrisponde al raggiungimento della concentrazione interiore che si identifica con la “pace”, presupposto essenziale per poter proseguire il lavoro. Per il significato del “riposo” nell’àmbito del protocristianesimo rimandiamo a Paolo Galiano, Gnosi cristiana e gnosticismo eretico, Edizioni Simmetria, Roma 20172, Parte terza, Cap. I Clemente d’Alessandria e la Gnosi.

[4] Thot era il Dio che ricompose l’Occhio destro di Horus strappatogli da Seth durante il combattimento per la supremazia sul cosmo.

[5] Una trattazione più esaustiva dell’argomento in Paolo Galiano, Storia dell’Alchimia occidentale dalle origini al XIII secolo, Edizioni Simmetria 2024.

[6] Julius Evola. La Tradizione Ermetica, Laterza, Bari 1948, p. 75 e p. 180.

[7] Sulle diverse rappresentazioni della barca solare nel corso del “viaggio” del Dio Solare si veda Paolo Galiano, La via dei Faraoni, Edizioni Simmetria, Roma 20092, Appendice II.

[8] Gardiner, Egyptian grammar, p. 566.

[9] Sais (in egizio Zau, presso l’attuale Sa al-Hagar), sulla riva orientale di uno dei bracci del Delta del Nilo, era la capitale del V Distretto del Basso Egitto, sede fin dalla I Dinastia del culto di Neith, il cui nome nelle prime Dinasie era scritto con le due frecce    e in seguito col doppio arco , divinità cosmogonica e guerriera, i cui miti ci sono giunti nei testi geroglifici incisi in età tolemaica sulle pareti del tempio di Esna, tradotti da Serge Sauneron, Le temple d’Esna, 4 voll., Publications de l’Institute Française d’Archéologie orientale, Il Cairo 1958-1959. Per la traduzione italiana della cosmologia di Neith si veda Alberto Elli, La Genesi secondo la teologia di Esna e di Sais, in “Mediterraneo antico”, rivista online (MediterraneoAntico_Genesi-Esna-Sais_Alberto-Elli_170829.pdf, consultato 25/04/2019).

[10] Faulkner, The ancient egyptian pyramid texts, n° 606.

[11] Faulkner, The ancient egyptian pyramid texts, n° 317 (formula intitolata: “Il re diventa il dio coccodrillo Sobek”). Faulkner a p. 99 nota 8 identifica il Grande Uno come ipostasi di Neith (il termine è al femminile, “la Grande Uno”).

[12] Faulkner, The ancient egyptian pyramid texts, n° 539 par. 1314, (formula intitolata: Un testo di ascensione).

[13] Faulkner, The ancient egyptian pyramid texts, ibidem.

[14] Mallet, Le culte de Neith a Saïs, p. 102 ss., in particolare pp. 106-107. Mallet interpreta queste “dimore pure” come un “ruolo funerario che fa di Neith un “raddoppiamento femminile di Anubis”.

[15] Il tema del “Dio debole” come epiteto di Osiride si ritrova più volte nella letteratura sacra, ad esempio nel Libro dell’uscire al giorno, Capitolo XVII.

[16] Non si può non pensare alla “secunda morte” di cui parla San Francesco del Cantico delle creature: “Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male”.

[17] La malachite è di colore verde, e per questo è simbolo presso gli Egizi della vita e della gioia.

[18] Il testo del Libro dell’unione di Râ e Osiride sarà argomento di un nostro prossimo lavoro.

[19] de Horrack, Le Livre des Respirations, pp. 23-24.

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