L'Unicorno - Parte I: Dal mito all'Ermetismo (di P. Galiano)

L'Unicorno - Parte I: Dal mito all'Ermetismo (di P. Galiano)

Il mito dell’Unicorno ha origini antiche, ma è solo con gli Indikà del greco Ctesia nel III sec. a. C. che la sua descrizione viene per così dire “ufficializzata”. All’inizio dell’èra cristiana l’Unicorno viene assunto dai Padri della Chiesa e dai Dottori, Tertulliano, Giustino ed Agostino, come simbolo del Cristo nell’esegesi di alcuni Salmi (21, 29 e 91); l’interpretazione cristiana del mito dell’Unicorno venne ripresa nella Topographia christiana di Cosma Indicopleuste, scritta tra il 535 e il 537[1] FIG. 1. L’Unicorno assume nel cristianesimo una duplice valenza, in quanto simbolo del Cristo ma anche del male, come si legge nella Leggenda di Barlaam FIG. 2.

Fig. 1 - Cosma Indicopleuste, Topographia christiana (Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms Vat. greco 689, sec. IX).
Fig. 2 - L’Unicorno nel Romanzo di Barlaam e Joasaf, Apologo III (Psalterium, New York, Morgan Library and Museum, ms M.729 c. 354v, data: 1280-1299).

Ma più importante, per quanto qui ci interessa, è l’opera di autore ignoto, il Physiologus, scritta tra il II ed il IV secolo, nella quale troviamo per la prima volta la menzione di quello che sarà in seguito conosciuto come il mito della Dama e dell’Unicorno.

La fabula della Dama e dell’Unicorno divenne un tema ricorrente nel Medioevo e nel Rinascimento, ma non ostante la possibile valenza simbolica raramente questo tema ebbe posto nell’Ermetismo e nell’Alchimia.

L’UNICORNO IN ALCHIMIA

L’interesse degli alchimisti per il simbolo dell’Unicorno sembra essere tardivo, e solo dalla metà del ‘500 esso compare nelle loro opere e nelle immagini, a meno che la serie di arazzi ora al Metropolitan Museum ma provenienti dal castello di Verteuil dei La Rochefoucauld FIG. 3 e datati tra il 1495 e il 1505 non siano stati tessuti, come alcuni sostengono[2] ma non so con quale fondamento, da cartoni disegnati da Jean Perrèal, pittore, architetto e alchimista FIG. 4[3].

Fig. 3 - L’Unicorno in un arazzo del XVI sec. proveniente dal castello di Verteuil dei La Rochefoucald ed ora esposto al Metropolitan Museum of Art di New York.
Fig. 4 - J. Perréal, Complainte de la nature à l'alchimiste errant (Parigi, Musée Marmottan Monet, Collection Wildenstein, ms. 147, circa 1516-1517).

 La prima testimonianza iconografica del rapporto tra Unicorno e Ermetismo la si trova nel cosiddetto “studiolo” di Francesco I de’ Medici, il secondo arciduca di Toscana figlio di Cosimo I, appassionato di Alchimia, il quale si fece costruire al primo piano del Palazzo Vecchio uno studio affrescato tra il 1570 e il 1572 da Giorgio Vasari e altri pittori con soggetti mitologici e alchemici (a differenza del padre che, pur essendo anch’egli alchimista, prediligeva soggetti religiosi): il soffitto FIG. 5, decorato da Francesco Morandini detto il Poppi[4], è diviso in nove riquadri, con i Quattro Elementi e quattro coppie di putti simboleggianti l’unione a due a due degli Elementi e al centro le figure di Prometeo e Pandora che allatta un piccolo Unicorno e un bambino circondata da altri animali FIG. 6. Tornerò più avanti su questo affresco, il cui significato è chiarito da Andrea Bacci[5], medico alla corte di Francesco I, in una sua esauriente descrizione del mito dell’Unicorno. 

Fig. 5 - Il soffitto dello “studiolo” del granduca Francesco I de’ Medici in Palazzo Vecchio a Firenze, opera di Francesco Morandini detto il Poppi, affrescato tra il 1570 e il 1572.
Fig. 6 - Particolare del riquadro centrale dell’affresco del soffitto: Prometeo in catene con la fiaccola in pugno e la Natura che allatta un bambino e un Unicorno.

 I primi accenni espliciti al simbolismo di questo animale in Alchimia si hanno a partire dalla fine del XVI sec.: Bernard Georges Penot[6] nel Dialogus inter naturam et filium philosophiae, pubblicato nel Theatrum chemicum del 1602[7], in una complessa tabella sui sette minerali dell’Opera alchemica pone l’Unicorno tra i quattro animali simboli dell’Oro insieme con il Leone, l’Aquila e il Drago; un autore conosciuto con il nome di Abraham Lambsprinck o Lambspring, nel Libellus de lapide philosophicorum, stampato senza immagini da Nicolas Barnaud nel 1599[8] e riproposto con illustrazioni nel Musaeum hermeticum edito da Luca Jennis nel 1625[9], unisce nella Tertia figura l’Unicorno con il Cervo FIG. 7 a simboleggiare lo Spirito e l’Anima: “Unicornu esse Spiritum omni hora, Cervus vero nullum aliud nomen cupit quam Anima”.

Fig. 7 - A. Lambsprinck: la Tertia figura del Libellus de lapide philosophicorum (dal Musaeum hermeticum reformatum et amplificatum, Nicolas Barnaudi, Francofurti, edizione del 1677).

Il Matrimonio Chimico di Christien Rosenkreutz, comparso nel 1616 anonimo (ma forse opera di Valentin Andreae), descrive l’Unicorno in coppia questa volta con il Leone: “Venne avanti un bellissimo unicorno bianco come la neve con un collare d’oro attorno al collo che aveva incise alcune lettere. Subito si chinò su entrambe le zampe, come se avesse mostrato onore al leone che stava immobile presso la fontana, che io avevo creduto essere di pietra o ottone. Il leone immediatamente impugnò la spada nuda che aveva nella sua zampa, e la spezzò in due parti nel mezzo, e i pezzi di questa, mi sembrò, caddero nella fontana; dopo che ruggì a lungo, fino a che una colomba bianca portò un ramo di olivo nel suo becco, che il leone divorò all’istante, e poi tutto fu calmo. E così l’unicorno ritornò al suo posto con gioia”.

Nel 1604 Basilio Valentino spiega la capacità del corno dell’Unicorno di proteggere dai veleni sulla base dell’attrazione dei simili e repulsione dei contrari, per cui il corno è in grado di respingere tutti i veleni e di attrarre invece le sostanze non velenose: “Il vero corno dell’unicorno tutti i veleni da sé rigetta… ma se ad un puro pezzetto di pane non adulterato che nuoti nell’acqua si accosti, lo stesso corno senza contatto subito attirae il pane… è meravigliosissimo che tutte le cose a sé omogenee lo [il corno] seguitino e le contrarie lo odino e lo fugghino[10].

Mylius nel 1622[11] raffigura l’Unicorno tra i sette frutti FIG. 8 che il Dio Nettuno gli mostra in una insula amoenissima, ove tra piante di ogni genere si trovano i due alberi del Sole e della Luna, che hanno frutti e foglie rispettivamente l’uno d’oro e l’altro di argento vivo. Nell’immagine l’Unicorno è associato alla Rosa FIG. 9.

Fig. 8 - J. Mylius, i frutti dell’albero dell’insula amoenissima descritta in Ioannis Danielis Milii Philosophia reformata, continens libros binos, Francofurti apud Lucas Iennis, 1622.

 Fig. 9 - Particolare dell’immagine precedente: l’Unicorno e la Rosa.

Un aspetto particolare del mito dell’Unicorno è il suo potere di purificare l’acqua avvelenata da un serpente o da un drago (e per esteso prevenire dall’avvelenamento chi beve ad una coppa ottenuta con il cuo corno): anche in questo caso l’immagine compare tardivamente nei codici miniati come negli affreschi: l’immagine del ms Franҁ. 22971 della Bibliotèque Nationale de France è del XV sec. FIG. 10 mentre l’incisione di Jean Duvet risale al XVI sec. FIG. 11

Fig. 10 - L’Unicorno purifica l’acqua immergendovi il suo corno (Parigi, BNF, ms Franҁ. 22971 c. 15v, sec. XV).
Fig. 11 - Incisione di J. Duvet (vissuto tra il 1485 e il 1562): l’Unicorno purifica l’acqua.

Il tema si ritrova in un affresco del Palazzo Crispo di Bolsena FIG. 12, costruito dal cardinale Tiberio Crispo tra il 1544 e il 1561[12]: il cardinale, figlio dell’amante di papa Paolo III Farnese e da lui beneficato con il cardinalato, faceva molto probabilmente parte di quella “cerchia ermetica” che ebbe inizio ad opera di questo papa, formatosi in gioventù alla fine del ‘400 all’Accademia neoplatonica fiorentina dei Medici[13].

Fig. 12 - L’Unicorno immerge il corno nell’acqua di un fiume (Bolsena, Palazzo del cardinale Crispo, costruito e affrescato tra il 1544 e il 1561).

LA DAMA E L’UNICORNO NEL PHYSIOLOGUS

La presenza dell’Unicorno nei testi alchemici, come si è visto, sembra iniziare solo tardivamente non ostante le chiare valenze ermetiche che esso sembra avere e lo stesso si può dire del tema della Dama e l’Unicorno, anch’esso fonte di possibile interpretazione ermetica, pur essendo come narrazione e come iconografia un tema molto antico, in quanto nell’Occidente europeo la fabula[14] della Dama e dell’Unicorno compare tra il II e il IV secolo con la descrizione del Physiologus, un trattato scritto in greco e poi tradotto in latino, che ebbe larga diffusione nei bestiari medievali, in cui la fauna, la flora e i minerali vengono illustrati ed interpretati in chiave cristiana: nel capitolo dedicato all’Unicorno, animale selvaggio e pericoloso, è descritta per la prima volta la sua possibile cattura solo per mezzo di una giovane vergine che riesce ad ammansire l’animale e a farlo prendere o uccidere dai cacciatori FIG. 13.

Fig.13 - Physiologus (Berna, ms Bongarsianus 318, c. 16v - sec. IX): l’Unicorno e la Dama vestita con abito romano.

 Il Physiologus così descrive l’Unicorno e il modo della sua cattura nel ms di Berna scritto tra l’825 e l’850[15]: Vi è un animale simile ad un capretto[16] mansueto e con un solo corno sul capo, e il cacciatore non lo può avvicinare perché ha un corno solidissimo… Lo si cattura in questo modo: si porta davanti a lui una vergine castissima e quando l’animale vede la vergine subito va mansueto da lei e le si pone in seno. E allora si riscalda [?][17] e così viene portato subito al palazzo del re[18]. Infatti nessun cacciatore è capace da catturarlo. Così il nostro Salvatore è colui di cui il profeta disse: ‘Innalzò un corno di salvezza per noi nella casa di David’. Allora si vide che nessun potere maligno può nuocere a Lui, quando il Verbo si fece carne ed abitò tra di noi”.

In altri manoscritti è specificato che la vergine allatta l’Unicorno, come nel De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico[19]: si trova “el log là ol [l’unicorno] usa” e “se mete una zovenzella vergin e quand l’unicorn arditament ven a ela ella faur el sen e monstraie le peit e le mamelle” e quando l’animale “vez le beleze al peit e sentant l’odor de la virginità… ie mete el co sul peit e coy laure de la boca ie toca le mamelle e segant la virgen in fra el fa dormeza intre y so braz e no se recorda d’alcuna soa forza né d’alcuna soa vita e la polzella ha le cadene e ligal”, così l’animale la segue “e ha tut el so cor a la beleza de la carn de la virgen e al diletevol odor de la virginitàFIG. 14.

Fig. 14 - Bartolomeo Anglico, De Proprietatibus rerum (tradotto in dialetto mantovano: Londra, British Library, Add ms 8785, c. 296v – circa 1300-1309).

L’allattamento, particolare per cui la fanciulla divenne in àmbito cristiano la Vergine Maria che allatta il Cristo, costituisce una palese contraddizione, perché se la fanciulla è vergine non dovrebbe aver partorito e quindi essere in grado di allattare. Gli scrittori islamici notarono l’incongruenza e la corressero: Abu Haiyan (morto dopo il 1010) scrive che l’Unicorno cerca di allattarsi ai seni della vergine sebbene non vi sia latte e questo lo intossica come se avesse bevuto vino, mentre un altro trattato islamico, il Manāfi'-i hayavan (scritto prima del 1295), forse sapendo che per gli infedeli cristiani la vergine è identificata con Maria, sostituisce alla vergine una giovane prostituta la quale ha partorito[20].

 La narrazione viene ripresa anche in un contemporaneo testo greco del IV sec. noto come Kyranides, tradotto in latino intorno al VII sec., e attribuito ad Arpocrate o ad Hermes, in cui l’Unicorno viene sostituito dal rinoceronte: “Il rinoceronte è un quadrupede con un grosso corno sul naso. Non può essere catturato, ma (solo) per mezzo del profumo e della bellezza di donne ben fatte, perché è una creatura lasciva in fatto di sesso. Il corno o la pietra che cresce sul naso della creatura caccia i dèmoni, e i suoi testicoli o il membro genitale, bevuto da uomini e donne, li esalta violentemente alla lussuria[21].

Fig. 15 - Richard de Fournival, Bestiaire d’amour (Parigi, BNF, ms Franҁ. 1951 c. 14r – tra XIII e XIV sec.).

Una variante della fabula si ha nel Bestiaire d’amour di Richard de Fournival del XII sec.[22] FIG. 15, il quale associa gli animali alle diverse forme dell’amore tra uomo e donna e per quanto concerne l’Unicorno scrive: “Fui catturato anche per mezzo dell'odorato, come l'unicorno che si addormenta al dolce profumo della verginità di una damigella. Questa è la sua natura: non esiste alcun animale così pericoloso da catturare, e in mezzo alla fronte ha un corno al quale nessuna armatura può resistere, tanto che nessuno ha il coraggio di attaccarlo e di avvicinarglisi tranne una fanciulla vergine. Perché quando ne riconosce una al fiuto, si inginocchia davanti a lei e si inchina con umiltà e dolcezza come volesse mettersi al suo servizio. Sicché i cacciatori avveduti che conoscono la sua natura mettono una vergine sul suo passaggio, e l'unicorno si addormenta nel suo grembo; allora, quando è addormentato, giungono i cacciatori che non avevano il coraggio di attaccarlo da sveglio e lo uccidono”.

Nelle miniature medievali la figura della Dama si presenta nei modi più diversi: vestita in abiti della Roma imperiale FIG. 13 o della corte bizantina, come nel ms Barb. Gr. 372 della Biblioteca Apostolica Vaticana, in cui l’immagine è accompagnata in alto dalla figura di Maria e del Cristo bambino FIG. 16, a volte invece nuda FIG. 17, o ancora ritratta nel gesto di trattenere l’Unicorno perché possa essere ucciso o al contrario nel tentativo di difenderlo dal cacciatore FIG. 18.

Fig. 16 - Psalterium, in lingua greca (Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms Barb. gr. 372, c. 160r – sec. XI).
Fig. 17 Insolita raffigurazione della vergine nuda (Oxford, Bodleian Library, ms Douce 132 c. 70r – circa 1200-1250).
Fig. 18 - La Dama protegge l’Unicorno (Book of Hours, detto “The Taymouth Hours”, Londra, British Library, Yates Thompson ms 13, c. 8r – tra 1325 e 1350).


POSSIBILI FONTI DELLA FABULA: L’INDIA

L’origine della fabula della Dama e dell’Unicorno è certamente oscura: vi è chi la fa risalire alla storia del monaco-unicorno Rishyashringa “Corno-di-gazzella” dell’epica indiana del Mahābhārata[23] FIG. 19, che ricorre anche se in forma diversa nei racconti connessi con le vite anteriori del Buddha chiamati jataka[24], in cui l’eremita ha il nome di Isisinga “l’Unicorno”.

Fig. 19 - Il monaco-unicorne Rishyashringa nel suo eremitaggio in una stampa proveniente dal nord dell’India, databile al 1650-1675 (Los Angeles County Museum of Arts, M.76.149.1).

La traslazione da questi scritti ad un bestiario mi sembra difficile, data la diversa natura del racconto (espiazione di un’offesa agli Dèi, elemento assente in tutte le versioni occidentali della fabula), il passaggio del personaggio principale da essere umano ad animale e la difficoltà per uno scrittore del II-IV secolo di venire a conoscenza di questi testi, il che richiederebbe una precedente traduzione dal testo sanscrito in greco, a meno che l’ignoto autore del Physiologus non fosse un orientalista provetto.

L’origine della fabula della Dama e dell’Unicorno è a mio parere più complessa, e potrebbe essere nata dalla contaminazione delle storie sulla ferocia dell’Unicorno con una descrizione allegorica di lavorazione del mercurio risalente all’alchimista Zosimo di Panopoli[25], autore di cui poco sappiamo e che si ritiene sia vissuto tra il IV e il VI secolo d. C.

LA DAMA E L’UNICORNO NELL’ALCHIMIA: DA BISANZIO ALL’ORIENTE

Nella versione siriaca del trattato attribuito a Zosimo sullo pseudo Democrito, versione scritta circa tra l’800 e il 1000 ma che potrebbe conservare il testo originale greco a noi giunto incompleto considerata la sua diffusione anche presso gli alchimisti dell’Estremo Oriente, Zosimo descrive sotto forma di racconto una singolare tecnica di estrazione e preparazione del mercurio: in un’imprecisata regione occidentale si trova una sorgente di acqua nella quale si trova lo stagno, chiamato nel testo siriaco con il sostantivo neutro zws, letteralmente Zeus (in Alchimia Zeus-Giove è correlato con il minerale stagno), e quando sulla superficie dell’acqua si è formato uno strato sufficiente del minerale viene scavata una fossa ai bordi della quale prende posto una fanciulla nuda di grande bellezza, tanto da eccitare lo stagno-Zeus (a questo punto nel testo il termine zws da neutro diviene maschile) il quale, spinto da un frenetico desiderio sessuale, fuoriesce dall’acqua “simile in forma a un dragone ribelle e violento” per possedere la fanciulla, ma i giovani appostati intorno al fosso lo assalgono e lo percuotono con bastoni finché esso da sé congela e dallo stagno congelato viene estratto il mercurio: “Questo è il motivo per cui chiamano il mercurio estratto dallo stagno acqua di fiume”, conclude Zosimo[26]

Il tema riportato da Zosimo si ritrova, come scrive sempre White, in diversi trattati alchemici orientali sull’estrazione del mercurio di età posteriore, i quali fanno sempre riferimento ad un luogo situato “ad occidente”, trattati sia indo-iranici del periodo tra XIII e XVII sec.[27], sia cinesi, il più antico dei quali, redatto dallo storico Zhu Derun, risale al 1347 ma si riferisce a fatti avvenuti tra il 1314 e il 1320[28].

Così White traduce il più antico testo sanscrito del XIII sec.: “Una giovane che ha avuto il suo primo ciclo mestruale [quindi in grado di concepire] si avvicina ad una pozza [di mercurio] su di un cavallo e egli [cioè il mercurio personificato, in precedenza definito “il seme di Śiva”], che la desidera per prenderla in sposa, la insegue per un intero yojana [circa nove miglia] e poi ritorna alla pozza, ma spesso si deposita nella cavità scavata lungo la sua strada e così viene raccolto dalle persone che vivono in quel luogo”.

Il mercurio secondo gli antichi testi induisti è originato dal seme di Śiva durante il suo amplesso con Parvati, ed esso viene utilizzato allo scopo di dare immortalità al corpo, primo passo per la liberazione dell’essere umano in questa vita[29].

Quale possa essere stata l’eventuale via seguita per la fusione di questi temi tra Alchimia occidentale ed orientale, se da ovest ad est o viceversa, al momento non è possibile affermarlo. Però è da rilevare un elemento, sia pur tardivo, presente in una miniatura dell’Impero moghul del XVIII sec. FIG. 20, nella quale in alto a sinistra sono disegnate tre figure che vestono abiti europei FIG. 21 con in mano strumenti per raccogliere il mercurio che la giovane sta portando fuori dall’acqua: forse questo potrebbe essere un indiretto segno che in Persia si sapeva che il mito originario era stato importato dall’Occidente, forse per mezzo della “via della seta”.

Fig. 20 - Immagine da un manoscritto moghul del XVIII sec. (Maharaja Sawai Ramsingh II Museum and Library, City Palace, Jaipur, da S. R. Sarma e Y. Sahai, Gushing Mercury, fleeing maiden, Journal of the European Ayurvedic Society, IV 1995).

 

Fig. 21 Particolare dell’immagine precedente: tre personaggi vestiti con abiti europei assistono alla cavalcata della giovane inseguita dal minerale uscito in forma di spuma biancastra dall’acqua del lago.

Si potrebbe pensare ad una contaminazione tra il testo di Zosimo e i racconti dell’eremita Rishyashringa “Corno-di-gazzella” nei testi indù, contaminazione possibile data la diffusione dell’operazione alchemica descritta da Zosimo presso gli alchimisti indiani.

Lo schema della storia del monaco unicorne e del trattato di Zosimo a loro volta presentano troppe affinità con la descrizione dell’Unicorno nel Physiologus per essere casuali: nei racconti indiani un asceta di grande potere provvisto di un corno sulla fronte è attratto sessualmente da una donna esperta nell’arte amorosa (prostituta) o meno (figlia del re ma non detta vergine), e dalla loro unione sessuale ha origine un beneficio per il paese (la remissione della colpa del re o la caduta della pioggia), nel processo alchemico Zeus, antropomorfizzazione del minerale stagno contenuto nel lago, è spinto dal desiderio sessuale verso una fanciulla, la quale lo attrae fuori dall’acqua, e viene così trasformato nel mercurio, nel Physiologus una fanciulla vergine attrae l’Unicorno, lo allatta e lo fa uccidere o catturare per portarlo al palazzo del re.

Se è stata operata una fusione tra le due storie allora il passo fondamentale, del quale non è possibile determinare la causa, è stata la sostituzione del monaco unicorne e di Zeus con l’animale Unicorno, a cui si è aggiunta, nella cristianizzazione del Physiologus, il pudico passaggio del soggetto femminile da tentatrice a vergine e l’abolizione del rapporto sessuale (tentato o riuscito che sia da parte di Zeus o del monaco).

Sorvolo ovviamente sulle interpretazioni della fabula della Dama e l’Unicorno su basi psicologico-simboliche, per cui il corno è un simbolo sessuale, forma riduttiva analoga, anche se su di un piano diverso, a quella esposta da Parpola[30], secondo cui questi miti indiani sarebbero figura di riti agricoli. Questi miti sull’Unicorno sono anche espressione di cerimonie concernenti l’agricoltura con un significato di ierogamia, ma ciò avviene su di un piano materiale o rituale che non esaurisce la portata di un simbolo che, in quanto tale, ha significati molteplici.

UNA POSSIBILE INTERPRETAZIONE ALCHEMICA?

Se la fabula della Dama e dell’Unicorno deriva dalla contaminazione tra il testo siriaco di Zosimo e i miti indiani, l’Unicorno corrisponderebbe allo stagno contenuto nella sorgente, e questo autorizzerebbe a cercare nella fabula un significato simbolico ermetico-alchemico al di là del senso allegorico datogli dagli scrittori cristiani. Lo stesso colore del mantello dell’Unicorno, raffigurato nella quasi totalità delle miniature e dei dipinti di colore bianco, potrebbe essere segno della sua corrispondenza con Giove-stagno: in alcuni testi alchemici è detto che Giove contiene un “mercurio imperfetto”, per cui “nella fusione di Giove vedrai un fumo bianco che è segno di un mercurio non fissato e chiarificato, né mondificato né puro[31], e se l’Unicorno è simbolo della trasmutazione dello stagno in mercurio l’uso del latte con cui la Dama lo nutre assumerebbe il significato di lac virginis, cioè di acqua solvente e corrosiva con cui ne vengono eliminate le impurità.

La vergine, che nella descrizione di Zosimo attira lo stagno-Giove, potrebbe rappresentare il simbolo della forza “legante” dell’Eros della metafisica orfica, che qui si esprime nella sua duplice forma di Amore e di Lussuria, rappresentate dalla vergine casta e dall’animale descritto nei testi come lascivo e impetuoso.

Le due figure potrebbero rappresentare i due aspetti del Mercurio che si devono contemperare a vicenda per giungere alla trasmutazione in Oro: il Mercurio di fuoco (l’Unicorno, immagine del principio maschile e solare, assimilato al seme generatore di Śiva) e il Mercurio di acqua (la Vergine come potenzialità generatrice, la quale è detta essere al suo primo mestruo e quindi in grado di essere fecondata).

Questa interpretazione del rapporto tra l’Unicorno e la Dama come simbolo della forza legante dell’Eros sembra trovare conferma nelle parole del medico fiorentino Andrea Bacci[32], il quale, nello scrivere al granduca Francesco de’ Medici, critica l’interpretazione della fabula della Dama e l’Unicorno come simbolo della castità, perché “la suddetta historia è molto lontana, se non contraria, dalla natura dell’alicorno”, in quanto l’animale è solitario e ha in odio anche le sue femmine, “eccetto che nel tempo che vanno in amore, perché (come chiaramente dice Eliano) allora il maschio diventa alla femmina piacevole e per forza d’amore deposta ogni ferocità vien con esse alla pastura”. Prosegue il Bacci: “Et in questo è fondata la allegoria dell’Alicorno in braccio ad una vergine: cioè per una forza significante (secondo me) una delle forze d’amore, che sì come l’Alicorno per fera asprissima e inimica… con tutto ciò viene tal volta a cedere e rendersi vinto per amore, così e molto maggiormente habbia egli [= l’amore] possanza ne’ cuori degli huomini”.

Sappiamo che Francesco de’ Medici era conoscitore delle dottrine alchemiche ed ermetiche, come si è visto negli affreschi del suo “studiolo”, e d’altronde Firenze era stata la sede dell’Accademia neoplatonica istituita da Cosimo il Vecchio, al quale è dovuta la rinascita della conoscenza ermetica e alchemica con la traduzione fatta dal Ficino sia del Corpus hermeticum, in quegli anni giunto nella biblioteca di Cosimo, sia degli Inni orfici, per cui le dottrine ermetiche ed orfiche erano ben note ai frequentatori di questo cenacolo.

Che l’interesse per l’Unicorno non fosse per semplice sfoggio di conoscenze intellettuali o di rarità preziose[33] potrebbe essere testimoniato anche dalla sua presenza nella “Grotta degli Animali” della Villa Medicea di Castello (FI) FIG. 22 nella scultura di Nicolò Tribolo, eseguita intorno al 1540 su incarico del granduca Cosimo I padre di Francesco, dove la statua dell’Unicorno campeggia al di sopra delle rappresentazioni degli animali terrestri mentre la sua testa si erge tra le immagini degli uccelli che volano nel cielo della grotta, ponendosi così come un Mercurio intermediario tra il mondo terrestre e quello celeste.

Fig. 22 - Il ninfeo detto “Grotta degli Animali” della Villa medicea di Castello (FI): opera dello scultore Nicolò Tribolo, eseguita intorno al 1540 su incarico del granduca Cosimo I de’ Medici.

 

Paolo Galiano

 

[1] Per la datazione si veda E. Albrile, La liturgia dell’Asino. Elementi di una transizione simbolica, in “La Persia e Bisanzio. Atti del Convegno internazionale Roma 14-18 ottobre 2002”, Accademia Nazionale dei Lincei, Atti dei Convegni Lincei 201, Roma 2004, pp. 457-472, p. 459.

[2] In www.alchimialascienzadeifolli.net/la-chasseallunicorno,html, consultato il 5 Gennaio 2020.

[3] Perrèal è l’autore del Complainte de nature à l'alchimiste errant, nel cui manoscritto si trova l’immagine conosciuta con lo stesso nome (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, ms 3220; Parigi, Musée Marmottan Monet, Collection Wildenstein, ms. 147).

[4] Così soprannominato perché nato a Poppi nel 1544 ove morì nel 1597.

[5] A. Bacci, L’alicorno. Discorso dell’eccellente medico e filosofo M. Andrea Bacci nel quale si tratta della natura dell’Alicorno e delle sue virtù eccellentissime al sereniss. Don Francesco medici Gran Principe di Toscana, in Fiorenza, appresso Giorgio Marescotti, 1573.

[6] Bernard Georges Penot : alchimista francese autore dei Tractatus varii, de vera praeparatione et usu medicamentorum chymicorum nunc primum editi. Authore et collectore Bernardo G. Penoto à Portu S. Mariae Aquitano, Francofurti. apud Ioannem Feyerabend, impensis Petri Fischeri, 1594. Alcune sue opere sono state pubblicate nel Theatrum chemicum del 1602.

[7]Theatrum chemicum, praecipuos selectorum auctorum tractatus de chemiae et lapidis philosophici antiquitate, veritate, iure, praestantia, & operationibus, continens, Zetzner, Ursellis [Oberursel im Taunus], 1602 (Stiftung der Werke von C.G.Jung, Zürich, persistent Link: http://dx.doi.org/10.3931/e-rara-851), libro II.

[8] Triga chemica, De lapide philosophico tractatus tres, Leyden 1599.

[9] L’immagine qui riprodotta proviene dall’edizione del Musaeum hermeticum del 1677: A. Lambsprinck, Lambsprinck nobilis germani philosophi antiqui libellus de lapide philosophicorum, apud Hermannum à Sande, Francofurti, 1677, in Musaeum hermeticum reformatum et amplificatum, Nicolas Barnaud, Francofurti, 1677 (Stiftung der Werke von C.G.Jung, Zürich, persistenter Link: http://dx.doi.org/10.3931/e-rara-7703).

[10] Basilio Valentino, Il cocchio trionfale dell’antimonio, a cura di M. Gabriele,Mediterranee, Roma 1998, p. 62. La prima edizione dell’opera, in lingua tedesca, fu pubblicata a Lipsia nel 1604 da Johannes Tölde.

[11] Ioannis Danielis Milii Philosophia reformata, continens libros binos, Francofurti apud Lucas Iennis, 1622, p. 316.

[12] A. De Romanis, Il Palazzo di Tiberio Crispo a Bolsena, De Luca editori, Roma 1995, p. 1.

[13] Sull’argomento delle ville, dei giardini e dei castelli appartenuti alla famiglia Farnese e a quelle ad esse collegate rimando agli articoli sulla “Tuscia ermetica” che ho pubblicato sul sito www.simmetria.org.

[14] Adopero il termine secondo la sua etimologia originaria da fari, parlare, e non nel senso moderno di “fantasioso”.

[15]Est autem animal simile hedum [sic per haedus] mansuetum valde unum cornum habet super caput et non potest venator adpropinquare ei propter quod valde fortissimum cornum… Sic modo comprehenditur: proicitur ante eum virgo castissima et dum videret virginem statim venit mansuetus et in sinu eius se conlocat. Et dum calefiet [sic] eum portat festinans in domo regis. Nam nullus eum venator adprehendere valet. Ita et salvator noster est de quo propheta dixit: Erexit cornu salutis nobis in domo David. Dum enim videretur nulli sic potestates malignae valuerunt nocere eum, cum verbum caro factum est et habitavit in nobis” (Bern, Burgerbibliothek Bern, Codex Bongarsianus 318, cc. 16v-17r). Il codice, scritto a Reims tra l’825 e l’850, è il primo esemplare di Physiologus miniato.

[16] Nel tardo latino hedus è il nome della macchina bellica nota come ariete (Du Cange Glossarium mediae et infimae latinitatis, s. v. hedus): l’autore, giocando sul significato del termine, sembra dire che l’animale è mansueto ma pronto a scatenarsi come una macchina da guerra.

[17] In altri codici si legge exilit in sinum virginis et complectitur eam (Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 290 c. 38v e Pal. Lat. 1064 c. 37r).

[18] Questo particolare è già presente in Megastene, di cui ho riportato il testo nella Parte Seconda di questo articolo.

[19] Londra, British Library, ms Add. 8785, scritto tra il 1300 e il 1309, manoscritto di difficile lettura essendo la traduzione del testo di Bartolomeo in dialetto mantovano, opera di Vivaldo del Belcalzer. Ho apportato alcune modifiche ortografiche al testo per migliorarne la lettura.

[20] R. Ettinghausen, The unicorn, The Lord Baltimore Press, Smithsonian Institution, Freer gallery of Art occasional paper, publication n° 3993, Washington 1950, p. 60.

[21] The magick of Kirani king of Persia and of Harpocratian… now published and translated into english from a copy found in a private hand, 1685.

[22] Parigi, Bibliotèque Nationale franҁaise, ms Franҁ.1951, scritto tra XIII e XIV sec.

[23] Ettinghausen, The unicorn, p. 96: “(Il Mahābhārata) sembra essere la principale fonte della storia del Physiologus circa la cattura dell’unicorno con l’aiuto di una giovane vergine”.

[24] A. P. Bell, Didactic narration: Jataka iconography, Lit Verlag, Monaco-Amburgo-Londra 2000, p. 24. Lo jataka di Isisinga è illustrato in un bassorilievo dello stupa di Bharhut nell’India centrale, che viene fatto risalire al I sec. a. C. (idem, pp. 17-18).

[25] Quanto segue prende lo spunto da D. G. White, Variations on the Indo-European “Fire and water” mytheme, in “Journal of the American Oriental Society”, 137, 4 (2017), pp. 679-698. Per Zosimo si veda in particolare pp. 687-689.

[26] “Acqua di fiume” è uno dei nomi dati dagli alchimisti bizantini al mercurio, il più usato era “acqua divina”.

[27] WHITE, Variations, pp. 679-685.

[28] WHITE, Variations, pp. 686-687.

[29] Questa concezione nell’Alchimia indiana si può far risalire al Rasahṛdaya dell’XI sec. e al Rasārṇava del XII sec. Il successivo passaggio dal mito di Śiva e Parvati alla storia della giovane vergine si ha a partire dal Rasendracūdāmani di Somadeva, scritto tra il XII e XIII sec. e dal Rasaratnasamuccaya di Vāghbata del XIII sec. (S. R. Sarma e Y. Sahaj, Gushing mercury, fleeing maiden: a Rasašāstra motif in Mughal painting, in “Journal of the āyurvedic society”, 4 (1955), pp. 150-162).

[30] Sorvolo ovviamente sulle interpretazioni della fabula della Dama e l’Unicorno su basi psicologico-simboliche, per cui il corno è un simbolo sessuale, forma riduttiva analoga, anche se su di un piano diverso, a quella esposta da Parpola, The Harappan unicorn, p. 138, secondo cui questi miti indiani sarebbero figura di riti agricoli. Sono anche questo, ma su di un piano materiale che non esaurisce la portata di un simbolo che, in quanto tale, ha significati molteplici.

[31]In fusione jovis videbis fumum album facere quod est signum argenti vivi non fixi et clari nec mundi nec puri”, Firenze, Biblioteca Centrale Nazionale, ms C.2.567, c. 12r (scritto nel 1491).

[32] Bacci, L’alicorno, p. 64 e p. 71.

[33] L’Unicorno era ben conosciuto alla corte dei medici, come si vede dall’inventario manoscritto dei beni di Lorenzo de’ Medici redatto dopo la sua morte, in cui si annovera un “corno d’unicorno lungo 3 braccia e 1/2”, stimato del cospicuo valore di 6.000 fiorini (Questo libro d’inventarii è copiato da un altro inventario, el quale fu fatto alla morte del magnifico Lorenzo de’ Medici, copiato per me, prete Simone di Stagio dalle Pozze, oggi, questo 23 di dicembre 1512, per commissione di Lorenzo di Piero de’ Medici, c. 18r; il manoscritto si legge nel link www.memofonte.it/home/files/lorenzoilmagnifico.pdf, consultato 14 /12/2020).

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