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‘Misteri mitraici’ nel Rinascimento. Sui ‘Tre filosofi’ di Giorgione - (di S. Minarelli - recensione di P. Galiano)

Il quadro de I tre filosofi di Giorgione venne completato dal pittore entro i primi anni del ‘500, nel pieno di un periodo fecondo di produzioni artistiche intessute di principi ermetici, sia realizzazioni architettoniche come la Villa farnesiana di Caprarola o il cosiddetto Parco dei Mostri di Bomarzo voluto da Felice Orsini, sia pittoriche e scultoree, quali le opere di Michelangelo e, come in questo caso, di Giorgione.

Il suo quadro pone molti interrogativi,

non soltanto su chi siano i tre personaggi raffigurati in esso ma soprattutto sull’oggetto che costituisce il centro della scena verso cui il filosofo più giovane rivolge lo sguardo: l’ingresso di una grotta. Lo studio di Minarelli consente di porre l’ipotesi che il dipinto nasconda un significato che finora era sfuggito, o quanto meno non stato esaminato a fondo, dai precedenti commentatori, cioè che l’argomento del quadro di Giorgione sia una rievocazione della grotta in cui si svolgevano i misteri sacri a Mithra.

I misteri mithraici erano già conosciuti negli anni in cui Giorgione lavorava, anche grazie a una delle più grandi opere dell’Ermetismo cinquecentesco, la Hypnerotomachia Poliphili, la cui prima edizione a stampa è del 1499, quindi di poco precedente il quadro dei Tre filosofi, nella quale Francesco Colonna (chiunque egli fosse, romano o veneziano) riprende la descrizione dell’antro mithraico fatta da Stazio nella sua Tebaide integrandola, come ben specifica Minarelli, con l’aggettivo «sacro», segno di come già alla fine del ‘400 negli ambienti per così dire «colti» dell’Italia rinascimentale si andasse diffondendo la conoscenza dei misteri di Mithra (ovviamente per quanto era possibile in quel tempo).

Che l’ambiente frequentato dal committente dell’opera di Giorgione, Taddeo Contarini, avesse un particolare interesse per gli aspetti ermetici del Classicismo allora dilagante lo conferma anche il fatto che il Contarini aveva tra i suoi più intimi amici Gabriele Vendramin, appartenente a una delle casate nobili veneziane di maggior spicco e proprietario di un’altra opera di Giorgione di contenuto non meno ermetico dei Tre filosofi, il dipinto noto come La tempesta.

Sembra quindi che nella Venezia del Rinascimento si fosse costituita una consorteria di persone interessate all’Ermetismo, e forse non solo intellettualmente, analoga a quella che si andava contemporaneamente formando nella Tuscia meridionale intorno alla famiglia Farnese e nel secolo seguente nelle Marche con Giuseppe Guaccimanni e il marchese Santinelli, a sua volta in stretti rapporti con il veneziano Federico Gualdi.

L’approfondita analisi del quadro (grazie anche alle tecniche più moderne di studio della pittura), dei personaggi ad esso correlati e degli aspetti principali del culto di Mithra costituiscono un prezioso esempio di un esame ben differente da quello a cui ci hanno assuefatto i cosiddetti «critici d’arte», capaci di fermarsi solo agli aspetti più esteriori di un’opera d’arte.

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